mercoledì 24 settembre 2008

LA GRANDE OPERA GASTRONOMICA - Tavola semiseria


Cari Fr∴, l’idea di questa tavola parte da un quesito che da tempo mi pongo:
“Ma che tipo di persone erano i frequentatori delle quattro taverne (“L’oca e la salsiccia”, “Alla corona”, “Uva e calice” e “Al melo”) che il 24 giugno 1717, giorno di San Giovanni Battista nonchè solstizio d’estate, decisero di formare la Gran Loggia d’Inghilterra ?”
Dato che si riunivano in taverne, sicuramente dovevano essere delle persone che amavano la convivialità e il piacere dello stare insieme.
Le sociétés des plaisirs pullulavano nell’Europa più progredita ed erano un’eredità dell’Epicureismo: agapi fraterne celebravano la gioia di vivere interno a un buon tavolo imbandito dove anche la musica aveva la sua parte. Si riteneva, a buon diritto, che attraverso il piacere e l’armonia si sarebbero accresciuti sia gli individui che la società.
Ancora oggi si pensi che esistono, ad esempio in Spagna, le sociedades gastronomicas, associazioni per soli uomini dedicate unicamente allo stare insieme per cucinare e mangiare ciò che si è preparato. Sono luoghi speciali dove lo spirito comunitario si mette al servizio delle gastronomia e della convivialità.
Ma allora, per gioco, ma neanche più di tanto, si può lavorare con la fantasia e affermare che esistono delle forti analogie e legami tra la cucina e i nostri lavori di massoni speculativi.
Non è “armonia e piacere di stare insieme” l’organizzare dei banchetti per i nostri amici ? mettersi in cucina e cucinare qualcosa che possa appagare noi stessi e gli altri ? dare vita alle nostre architetture gastronomiche con la magia di pietanze diverse ? non esiste anche nelle grandi cucine la tipica gerarchia che parte dall’ultimo garzone per arrivare allo chef, depositario dell’arte e tracciatore di mitici menù ? non si usa il grembiule anche in cucina? ma soprattutto, non è un rituale anche il cucinare ?
E’ fatto accertato che i rituali sono necessari, anzi indispensabili, all’uomo, soprattutto al giorno d’oggi in cui si è assillati dall’incalzare del tempo e dell’efficienza. Il rituale aiuta la concentrazione, contribuisce a estraniarsi dalla banale e stressante quotidianità. In una celebre frase del Parsifal di Wagner, prima del cerimoniale dell’Agape Sacra, viene detto che lì il tempo diventa spazio: frase enigmatica che racchiude l’essenza del rituale. Questo, difatti, si svolge nello spazio e tende ad annullare la dimensione tempo. Nel mondo dei fornelli, lo si può vivere provando a dilettarsi con le vecchie ricette. Cucinare il fagiano come ci consiglia il grande Artusi è come rivivere un tempo ormai dimenticato.
Ma vi è di più. Nel cucinare vi è una certa forma di filantropia che pone il cuoco nella condizione di donare agli altri il frutto del proprio lavoro e della propria creatività.
Platone ambienta uno dei suoi dialoghi più elevati proprio durante un banchetto, il Simposio, e in quelle pagine afferma che l’aspirazione massima dell’uomo è quella dell’immortalità: il cuoco come l’artista in un certo senso crea per perpetuarsi.
Vi siete mai chiesti quante cose può insegnarci la Cucina?
Prendiamo ad esempio due concetti base dell’Iniziazione: quello di Morte e di Rinascita.
Tamino all’inizio del Flauto Magico sviene, come accadrà più avanti a Pamina: è il primo stadio iniziatico. Lo svenimento è una morte simulata, ed è dalla morte che ha origine la trasformazione dell’individuo. Ebbene, in nessun posto come in cucina è valido questo principio: quello di ridar vita a chi vita non ha più.
Lo Stracotto d’Asino rinasce grazie al prodigio dell’Alchimia gastronomica con il risultato di una mutazione qualitativa: dopo sette ore di cottura avrà raggiunto uno stadio di mutazione spirituale della materia.
L’Alchimia consisteva nel ricondurre sul piano materiale la perfezione spirituale. Il suo fine ultimo era quello di spiegare che “uno è in tutto e tutto è in tutto”, che il mondo è una Grande Analogia. Il testo più importante è di poche righe, talmente semplice da poter essere scritto su uno smeraldo: ciò significa che le cose più alte sono quelle più semplici. E’ appunto la Tavolo di Smeraldo attribuita a Ermete Trismegisto.
Molto dobbiamo ancora imparare dall’alchimia gastronomica.
E per i grandi alchimisti - Raimondo Lullo, Basilio Valentino, Paracelso - c’era un solo modo per imparare: l’azione. Trascorrevano anni e anni davanti a fornelli accesi, osservando il fuoco che avrebbe dovuto purificare i metalli. Nel fissare il fuoco a poco a poco dileguavano dalla loro mente tutte le impurità, le negatività, le vanità del mondo e il processo di purificazione del metallo finiva col rigenerare loro stessi. Alla fine, il metallo si sarebbe liberato dalle sue proprietà individuali e avrebbe permesso loro di comprendere il linguaggio dell’Universo, poiché rappresentava il mezzo tramite il quale le cose comunicavano tra loro: questa era per gli alchimisti, così come per noi, la Grande Opera.
E per finire un’altro quesito che mi attanaglia la mente:
“Ma l’Ouròboros, simbolo alchemico del divenire eterno, prima di mordersi la coda l’ha immersa, come un buon pinzimonio, in una ciottola contenente il sale e il mistico “Olio del Tempio”?”

Fr. Maurizio B. PM