martedì 17 marzo 2009

Inno del Punto di Rottura


di Rudyard Kipling


Precisi manuali han calcolato

(in guardia costruttori!)

il carico, l’impatto, la pressione

che può reggere ogni materiale.
Così, quando per trave che s’incurva

l’intera campata è frantumata,

la colpa dei danni, o della morte,

sul conto dell’uomo va segnata.

Dell’uomo - non dei materiali!
Ma nel nostro rapporto quotidiano

con pietra e acciaio,

noi vediamo gli Dei non vincolati

a una simile giustizia per gli umani.
Ci forgiano senza prendere misure,

non frequentano un corso su di noi,

alla cieca ci gravano di pesi.

Troppo spietati da sopportare.
Precisi manuali hanno tabelle:

quale stress lacera i bulloni,

quanto traffico logora l’asfalto,

quant’a lungo dura il calcestruzzo.

Ma per noi, poveri figli di Adamo,

non stamparono tali avvertimenti.

Per l’uso in piena sicurezza.
Rapiniamo tutta la Terra

e Tempo e Spazio insieme;

troppo sazi ormai di meraviglie

per stupirci a nuovi miracoli;

finché, nella dolce illusione

d’aver già sottomano il divino,

una multipla confusione assale

ogni cosa compiuta o ideata:

Le opere possenti progettate.
Noi soli nel Creato soffriamo

(più fortunati ponti e rotaie!)

la duplice condanna di fallire

e sapere il proprio fallimento.
Ma un segno, l’unico, svela

che fummo Dei: è la vergogna

di crollare, pur sotto pesi immani.
Gran carico o dure avversità.

Oh Potenza velata di mistero,

di cui invano cerchiamo il sentiero,

assistici nell’ora di pena e rovina.

E per quel segno che Ti manifesta,

noi gli spezzati, proprio perché spezzati,

sorgeremo ancora a costruir di nuovo.
In piedi, a costruire ancora!