martedì 9 giugno 2009

La vita esagerata di Roberto MandelPoeta sufi e amico di D'Annunzio




FU ANCHE MASSONE
Sepolto a Poggioreale, la sua biografia pare un romanzo alla
Dan Brown. Ce la racconta il figlio Gabriele


di Rosa Lella


NAPOLI - Tra le rovine del cimitero di Poggioreale può accadere d’imbattersi in reliquie ine­dite del patrimonio cultura­le. Sepolte dal tempo e pro­vate dall’incuria, il corso della storia le ha nascoste in qualche mezzobusto del famedio, il cimitero degli uomini illustri. Uno di questi ha rotto il patto di omertà con le altre statue svelando i propri segreti. È lo scrittore Jusuf Ro­berto Mandel, raffigurato nella statua posta tra quelle di Benedetto Croce e di Vincenzo Gemito. Di discendenza turco-afghana, nacque a Treviso nel 1895 e morì a Napoli nel 1963. Esponen­te del sufismo, corrente mistica del­­l’Islam, fu autore de Il Cantico dei cieli, primo poema sufi scritto in italiano. A svelarci nuovi particolari sulla sua vita e sul suo legame con Napoli è il figlio Gabriele Mandel, maestro della Confra­ternita sufi Jerrahi-Halveti. Il suo rac­conto è un intreccio di vicende straor­dinarie su massoneria e sufismo che include personaggi come Gabriele D’Annunzio, il generale Pietro Bado­glio e Benito Mussolini.
«Mio padre», dice Gabriele Mandel, «per gran parte della sua vita, dopo la seconda guerra mondiale, ha vissuto sei mesi l’anno a Parigi e gli altri sei a Napoli poiché considerava le due città le più grandi capitali della cultura euro­pea. A Napoli il suo appartamento si trovava nella Galleria Umberto I, al nu­mero 27».
Proprio lì, dunque, sotto la cupola di vetro della Galleria Umberto, la sto­ria di Roberto Mandel s’infittisce di dettagli intriganti. Indirizzo alla mano, ripercorriamo le tracce della narrazio­ne del figlio: allo stesso numero civico troviamo la sede regionale del Grande Oriente d’Italia, sotto il nome dell’asso­ciazione culturale Circolo Darwin. Coincidenza degna delle catene d’indi­zi del Codice Da Vinci di Dan Brown. E infatti Gabriele Mandel rivela: «Oltre che un maestro spirituale dell’Islam, mio padre era un massone. Fu il gene­rale Badoglio a farlo entrare in masso­neria, nel Grande Oriente d’Italia, quando lo assunse, ancora ragazzo, co­me suo aiutante di campo durante la prima guerra mondiale».
Roberto Man­del fa poi carriera. E i vantaggi del suc­cesso militare si riflettono nella sua produzione letteraria. Diventa capita­no addetto al Comando Supremo e rie­sce ad accedere agli archivi segreti del­le Forze Armate. Con quelle informa­zioni scrive la Storia popolare illustra­ta della Grande Guerra, in sei volumi. All’ombra della Grande Guerra, tra esercito e letteratura, la storia di que­sta statua del famedio incrocia quella del poeta Gabriele D’Annunzio. «Si co­nobbero », racconta Gabriele Mandel, «per un solo giorno al Comando Supre­mo di Badoglio. Fu una conoscenza su­perficiale. Successivamente D’Annun­zio lo invitò a partecipare alla Marcia di Ronchi del 1919 e a vivere la vicenda di Fiume. L’amicizia più profonda ini­ziò allora. La passione comune per la poesia fece il resto».
Dopo l’esperienza militare i due in­tellettuali diventano amici intimi. Lo testimonia il nome stesso di Gabriele Mandel: «Mi chiamo come D’Annun­zio perché mio padre lo scelse come mio padrino di battesimo». Non solo poesia e armi. Mandel e D’Annunzio condividevano qualcos’altro: le idee dell’ordine massonico. Stesse idee, ac­cesso diverso. «Mentre per mio padre il tramite fu Badoglio, D’Annunzio giunse alla massoneria per altre vie cui non era estraneo Adolfo De Carolis», ovvero il pittore liberty autore di molte xilografie che illustrano i romanzi di D'Annunzio. Col passare degli anni il fervore del­l’esperienza militare si trasforma in passione politica. Mandel e D’Annun­zio diventano sostenitori del fascismo. Partecipano alla Marcia su Roma. Cre­dono nel regime di Mussolini. Ma solo fino all’alleanza con la Germania di Hit­ler.
«D’Annunzio, come mio padre, era fortemente contrario all’alleanza con la Germania nazista. Per questo Hitler mandò da lui una cameriera tedesca: per avvelenarlo. Mio padre invece fu costretto da Mussolini a lasciare l’Italia e a trasferirsi a Parigi». Massoneria e potere: binomio frequente nell’imma­ginario collettivo. Ma Mandel figlio chiarisce: «Il significato originario del­la vera massoneria è legato alla tradi­zione esoterica, che introduce a un per­corso evolutivo dell’uomo attraverso un lavoro su se stesso».
Sia nella tradi­zione sufi che nella massoneria questo percorso spirituale è simboleggiato dall’immagine della pietra grezza che diventa levigata e squadrata. Un pas­saggio riprodotto anche sul pavimento a scacchi bianco e nero (simboli del be­ne e del male) nel Tempio della Casa Massonica di Napoli. Ai piedi dell’alta­re, davanti al trono del Gran Maestro, ci sono infatti due pietre, a circa mez­zo metro di distanza l’una dall’altra. Una grezza, l’altra levigata. Lì, nella Gal­leria Umberto, dove un tempo visse il maestro sufi Jusuf Roberto Mandel.