giovedì 12 novembre 2009

Grande Fratello Pinocchio


Quando nel 1881, Carlo Lorenzini, meglio conosciuto col cognome Collodi, iniziò la pubblicazione de Le avventure di Pinocchio, lo scrittore aveva già avuto modo di maneggiare materiale favolistico di diversa provenienza, avendo curato la traduzione in italiano dello opere di Perrault ed altri scrittori francesi dediti a questo particolare genere letterario. Spesso, inoltre, egli stesso interveniva pesantemente sul testo originale, esplicitando la morale già contenuta nella storia, o inserendovene ex novo una vergata di proprio pugno.
All'atto della stesura del suo capolavoro, dunque, lo scrittore di Pescia aveva la piena padronanza dell'universo archetipico sotteso alla millenaria tradizione della favola, sotto la cui trasfigurazione mitologica si maschera un inalterato corredo antropologico, una sorta di abisso della precoscienza che stenta a farsi logos, discorso razionale, e si rifugia nel mythos, la narrazione paradossale di ciò che non si può narrare: ecco allora affiorare nelle belle addormentate tutta l'angoscia della pubertà femminile, che culminava spesso nel suicidio prima dell'approdo sicuro nelle braccia di un marito-padrone, il cui bacio del risveglio suona violento e voglioso come un imeneo, ed ecco il lupo cattivo, trasfigurazione dell'antico guerriero-belva, il bersekr, l'essere umano invasato dalla furia combattiva conciliata da droghe e riti di furore collettivo. Strutture antropologiche, dicevamo, e pertanto di lungo periodo, parte integrante del "fondale marino" della storia, per dirla alla Marc Bloch, figure che si riverberano nell'immaginario odierno come materiale narrativo di sicura presa, perché dialogano con il nucleo più profondo, ancestrale delle paure umane.
Il Pinocchio di Collodi si inserisce prepotentemente in questo solco, mescolando favola e romanzo di formazione nella narrazione del viaggio dell'uomo verso la sua umanità, che non è semplice fattura biologica, ma anche e soprattutto conquista culturale: il burattino disegnato con la squadra di Dio (ricordiamoci che Collodi era un massone) ha come Bibbia un abbecedario, lontano dal quale incorre nel pericolo di degradarsi allo stato ferino, nell'assunzione smodata e perniciosa di piaceri, o di restare affisso al legaccio della schiavitù nel teatro dei burattini, sorprendentemente e profeticamente simile ad un reality show. Non credo debba stupire che l'ennesima riduzione televisiva dell'opera collodiana, andata in onda poche sere fa sull'ammiraglia Rai, abbia riscosso tanto successo, pur scontrandosi col Grande Fratello e con la scarsa qualità del prodotto in sé, non indimenticabile per la qualità della recitazione e del doppiaggio: ha vinto il fascino universale del percorso iniziatico, legato alle nostre più intime rappresentazioni del bene e del male, ha vinto la voglia di sentirci ri-educati, riverginati ad una possibilità di crescita più autenticamente umana, sotto la guida del sogno d'antichi valori e liberi dalla morsa opprimente dell'analfabetismo morale mascherato da retto moralismo.Poi, purtroppo, è iniziato Porta a Porta.

di Andy Violet, 09 novembre 2009