giovedì 26 novembre 2009

L’arcano Bafometto alla Reggia


L'icona che l'Inquisizione considerava un'immagine diabolica decorava lo sportello di un sacello templare

di MAURIZIO LUPO
torino
L’inquietante icona medievale ritrovata nel 1945 nella chiesetta di Templecombe, resa celebre nel 2003 dal romanzo «Il codice da Vinci» di Dan Brown, ha lasciato per la prima volta l’Inghilterra, per essere esposta alla Reggia di Venaria. Raffigura una sofferente testa maschile, dipinta su tavola, con baffi e capelli lunghi. Ricorda il viso della Sindone. Ma la «Santa Inquisizione», aizzata nel 1314 dal Re di Francia Filippo il Bello, la riteneva un’immagine diabolica, convinta che fosse adorata dai Cavalieri Templari, accusati ad arte di avere rinnegato Cristo. La chiamavano il «Bafometto». L’avevano confessato, sotto atroci torture. E per questo erano stati condannati tutti al rogo, per la maligna soddisfazione del sovrano, che ambiva alle loro grandiose ricchezze.E’ una delle più affascinanti storie che racconterà la mostra «Cavalieri, dai templari a Napoleone». Dal 28 novembre all’11 aprile verrà ospitata nelle «Sale delle arti» della residenza sabauda, diretta da Alberto Vanelli. Curata da Alessandro Barbero e Andrea Merlotti, con 120 tesori rievoca un’epopea «di crociati, soldati e cortigiani».

E’ un racconto che l’allestimento ideato dall’architetto Gianfranco Gritella ha sceneggiato in tre sezioni cronologiche, dedicate ai «Cavalieri Templari», ai «Cavalieri dei Sovrani» e ai «Cavalieri del Merito». Ogni sezione è caratterizzata da un tempio scenografico. Per prima si scopre una cripta templare, poi la sala d’onore dei Cavalieri di Malta. Qui spicca la «Bastarda», una galera che combatté a Lepanto, riproposta da un modello lungo tre metri. Quindi ecco un’aula regale. Espone ordini dinastici, quali il Toson d’oro e il Collare dell’Annunziata. Vi sono abiti di corte, come quello indossato da Gerolamo Bonaparte. Attorno si ammirano celebri opere pittoriche, come il ritratto di Giovan Carlo Doria, dipinto da Rubens.

Tutto incomincia da un portale gotico. Un corteo di cavalieri conduce alla cripta templare, ricca d’affreschi. Al centro è posta la lapide tombale di un cavaliere francese, morto a Vercelli. Pare annunciare la ricostruzione parziale della cappella di Templecombe. Qui, in un’intercapedine, aperta da bombardamenti, si rinvenne la sua misteriosa icona. Venaria la espone su una parete nera, dietro un muro diroccato. Ne parla nel catalogo un saggio di Barbara Frale, storica, «ufficiale dell’Archivio Segreto Vaticano», autrice del libro «La Sindone di Gesù Nazareno», appena edito da Il Mulino. Per Frale «l’immagine di Templecombe è la testimonianza più importante e suggestiva del culto di Cristo presso i Templari. Si tratta dello sportello di un sacello che custodiva una copia della Sindone, consacrata per contatto con il suo lino».

Che cosa c’entra con il Bafometto? «Il termine è ripreso dagli interrogatori dei cavalieri torturati. E’ un’assonanza con il nome di Maometto, storpiato dal dolore». L’Inquisizione compiacente Filippo il Bello «la riporta per dimostrare che i Templari si erano convertiti all’Islam e per questo avevano fatto fallire le crociate. La testa di Templecombe è invece un’icona orientale. Deriva dall’immagine bizantina del Mandylion, ovvero della Sindone, piegata in modo da mostrare solo il viso. Era una figura ignota nell’Europa del tempo. Non ritrae il Cristo risorto che l’occidente era abituato a vedere nelle chiese. Rappresenta un Cristo umano, torturato, che i Bizantini conoscevano grazie alla Sindone. Era quella la figura venerata dai templari».

Filippo il Bello non poteva accettarlo. Aveva bisogno di sterminare i templari sul rogo, come eretici. Perché contrastavano i suoi piani: «Uno dei documenti esposti in mostra - racconta Frale - riguarda un accordo fra il Gran Maestro templare Jacques De Molay e Papa Clemente V, per bandire nel 1305 una nuova crociata. De Molay rivela al pontefice che re Filippo non ha alcuna intenzione di liberare il Santo Sepolcro, ma vuole inviare truppe in oriente contro regni cristiani, come l’Armenia, per farne colonie francesi».