lunedì 30 novembre 2009

Storia del monumento a Giordano Bruno a Campo de’ Fiori


E’ sempre stata scarsa e quasi inesistente la letteratura sull’altra Roma, quella dei cittadini costretti a subire le angherie del potere politico e di quello religioso, spesso coincidenti.Quasi nessuno conosce la storia della statua eretta a Giordano Bruno, a Campo de’ Fiori, dove fu arso vivo dalla santa inquisizione il maggior filosofo del rinascimento europeo, “apostata di Nola da Regno, eretico impenitente”.Una statua fu eretta una prima volta durante la repubblica romana del 1849 e fu distrutta durante la restaurazione, una volta tornato sul soglio pontificio quel Pio IX, che oggi si vorrebbe far santo, probabilmente per aver vietato la luce elettrica a Roma (che arrivò solo dopo Porta Pia), per aver massacrato gli insorti (oltre 1000 morti nella difesa di Roma), per aver imposto la legge marziale alla città, per aver reso famoso e proverbiale “Mastro Titta” (suo boia di fiducia), per aver fatto sequestrare e battezzare bambini ebrei, per aver fatto uccidere dalla Santa Inquisizione patrioti, organizzatori di leghe artigiane, operaie e contadine e semplici cittadini. Tra il 2 maggio del 1849, fine della repubblica romana, ed il 20 settembre 1870, breccia di Porta Pia, quel papa fece assassinare dalla Santa inquisizione ben 130 cittadini romani, l’ultimo il 9 luglio del 1870.Tanto fu l’odio dei cittadini romani verso questo “Santo” papa, che quando finalmente morì (nel 1878), i papalini attesero 3 anni per traslare, la notte del 13 luglio 1881, la salma a S. Lorenzo fuori le mura. Le precauzioni prese, il gran segreto che circondò la traslazione, la cerimonia notturna non servirono a nulla: il corteo funebre fu assalito da cittadini romani inferociti che cercarono di buttare la salma nel Tevere e la polizia riuscì ad evitarlo solo dopo una notte di scontri.
Dopo l’unità d’Italia e in particolare a seguito della conquista di Roma avvenuta il 20 settembre 1870, si creò un clima di forte attrito fra la Chiesa e lo Stato italiano. Pio IX non accettò la Legge delle Guarentigie (1871) in cui si riconoscevano al papa onori sovrani, la facoltà di disporre di forze armate, l’extra-territorialità dei palazzi del Vaticano, del Laterano e di Castel Gandolfo, una dotazione annua di oltre tre milioni di lire, nonché la piena autonomia della Chiesa, nel rispetto della sua separazione dallo Stato. Il pontefice per tutta risposta scomunicò i Savoia e nel 1874 emanò la bolla “Non expedit“, in cui invitava i cattolici a non partecipare alla vita politica dello Stato.Nel 1885 fu formato un comitato per la costruzione del monumento a Giordano Bruno, cui aderirono le maggiori personalità dell’epoca: Victor Hugo, Michail Bakunin, George Ibsen, Giovanni Bovio, Herbert Spencer e molti altri. Nel 1888 gli studenti universitari romani, tra i maggiori animatori del comitato, fecero numerose manifestazioni per erigere il monumento, spesso con scontri, arresti e feriti. Il Comune, ai cui vertici, nonostante il “non expedit”, andavano affermandosi amministratori clerico-moderati, senza opporsi apertamente al progetto, cercava di ostacolarlo tramite strategie burocratiche.Il consiglio comunale di Roma, all’epoca controllato dalla maggioranza filoclericale, fu costretto alle dimissioni, e le elezioni successive, tutte incentrate sulla questione del monumento a Giordano Bruno, furono perse dai filoclericali.Il monumento divenne il simbolo del libero pensiero e una sfida alla Chiesa e al papa. Crispi nel 1887, anno in cui divenne presidente del consiglio, suggerì al comitato promotore, che chiedeva il suo appoggio, di procedere alla fusione del bronzo senza preoccuparsi degli indugi del Comune. Il dibattito continuò a svolgersi in un clima arroventato dalle manifestazioni studentesche e popolari che a volte provocavano scontri tra “bruniani” e “anti-bruniani“, che si concludevano con arresti e feriti. Alla fine dello stesso anno il re, su proposta del consiglio dei ministri, firmò un decreto con il quale, Leopoldo Torlonia, sindaco di Roma veniva rimosso dalla carica; ufficialmente senza motivazione, anche se era chiaro individuarne le ragioni nella visita al cardinale vicario a cui il sindaco aveva trasmesso l’omaggio dei romani a Leone XIII.
Finalmente nel 1889 la statua fu eretta a Campo de’ Fiori “lì dove il rogo arse”.A seguito delle elezioni amministrative del giugno 1888 entrarono nella rappresentanza municipale esponenti anticlericali, tra cui Ettore Ferrari, lo scultore massone artefice della statua considerato un uomo della sinistra “radicale” non massimalista, mentre furono non eletti politici contrari all’erezione della statua. Prima della fine dell’anno fu approvato, senza difficoltà, il progetto del monumento a Bruno, fra gli applausi del pubblico che urlava: “Viva Crispi!”
Il pontefice minacciò di abbandonare Roma per rifugiarsi nella cattolica Austria, qualora la statua fosse stata scoperta al pubblico. Quando il Segretario di Stato Vaticano riportò tale intenzione del pontefice al Primo Ministro Italiano Francesco Crispi questi letteralmente rispose: “dica a sua santità che se dovesse andare via dall’Italia non potrà più ritornare”.
Finalmente il 9 giungo 1889, giorno di Pentecoste, venne inaugurato a Campo de’ Fiori, con la partecipazione di un’immensa folla festante, il monumento di Ettore Ferrari, lo scultore che nel 1904 sarà eletto gran maestro della massoneria. Alla base del monumento si legge un’iscrizione del filosofo Giovanni Bovio, oratore ufficiale della cerimonia di inaugurazione: “A Bruno, il secolo da lui divinato qui dove il rogo arse“.
Per la cronaca, va ricordato che Leone XIII non abbandonò Roma come aveva minacciato, né il 9 giugno, che trascorse digiuno e in preghiera ai piedi della statua di San Pietro, né in seguito.
Il monumento, aldilà della battaglia politica condotta per erigerlo, è significativo anche per la figura che rappresenta: quello che è stato tramandato nella coscienza popolare, più che il pensiero di Giordano Bruno, è stato il suo rifiuto alla sottomissione. Se si fosse pentito, probabilmente avrebbe avuta salva la vita. Per il suo inquisitore, il cardinal Bellarmino (fatto santo dalla chiesa), era molto più importante l’abiura che non la condanna. Il rifiuto di Giordano Bruno al pentimento, la sua tenacia nel difendere le proprie idee, la sua spavalderia nell’affrontare la sentenza di condanna con la risposta al Cardinal Madruzzo, che gliela leggeva, “Tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’ascoltarla”, ne hanno fatto un simbolo della libertà di pensiero, della volontà dell’uomo a lottare in difesa delle proprie idee.Questa tradizione ideale di lotta per libertà è stata tramandata da generazioni di laici e di militanti che ogni anno, il 17 febbraio, si danno appuntamento sotto la statua.La preoccupazione della chiesa nei confronti di questa cerimonia laica è stata sempre molte forte: si pensi che, al momento della stipula dei patti Lateranensi nel 1929, Pio XI (anche lui oggi in odore di santità) propose addirittura di radere al suolo il monumento e di erigervi “una cappella di espiazione al cuore santissimo di Gesù”, ma Mussolini (”l’uomo della provvidenza”, secondo lo stesso Pio XI), memore di quanto era successo non molti anni prima, gli garantì solo la proibizione delle manifestazioni che furono così vietate soltanto durante il fascismo. E fece istituire in quella piazza il famoso mercato orto-frutticolo (vergogna della Capitale d’Italia) protagonista di alcuni film con Aldo Fabrizi ed Anna Magnani negli anni ’40.All’epoca dei Patti Lateransi, siglati tra Mussolini e Pio XI l’11 febbraio 1929, i cattolici chiesero la rimozione della statua e l’erezione al suo posto di una cappella di espiazione al cuore santissimo di Gesù. Mussolini, probabilmente memore dei disordini accaduti non molti anni prima e anche perché G. Gentile, il filosofo del fascismo, era un estimatore del Nolano, non accettò questa condizione, limitandosi a garantire che non si sarebbero più tenute manifestazioni per commemorare Giordano Bruno. A tale riguardo si fa seguire un passo del discorso che Mussolini tenne alla Camera dei Deputati il 13 maggio 1929:
“(…) non v’è dubbio che, dopo il Concordato del Laterano, non tutte le voci che si sono levate nel campo cattolico erano intonate. Taluni hanno cominciato a fare il processo al Risorgimento; altri ha trovato che la statua di Giordano Bruno a Roma è quasi offensiva. Bisogna che io dichiari che la statua di Giordano Bruno, malinconica come il destino di questo frate, resterà dove è. È vero che quando fu collocata in Campo di Fiori, ci furono delle proteste violentissime; perfino Ruggero Bonghi era contrario, e fu fischiato dagli studenti di Roma; ma ormai ho l’impressione che parrebbe di incrudelire contro questo filosofo, che se errò e persisté nell’errore, pagò. (…)”
Per Bruno non c’è la riabilitazione della Chiesa
Da quel fatidico 17 febbraio 1600 gli anni sono trascorsi senza che la Chiesa abbia espresso uno schietto ravvedimento per il rogo che arse Bruno, ancora vivo. Galileo Galilei, Jan Hus, Girolamo Savonarola e altri sono stati riabilitati; Giovani Paolo II ha chiesto un generico perdono per gli eccessi commessi dall’Inquisizione; tuttavia per quanto concerne il Nolano, la Chiesa si limita a riconoscere il carattere antievangelico del rogo, ma ribadisce l’esistenza di una sostanziale estraneità della filosofia di Giordano Bruno dalla dottrina cattolica.Annualmente, a Campo de’ Fiori ogni 17 febbraio si sono radunate generazioni di laici e militanti per manifestare per ricordare il rogo del filosofo e manifestargli la loro ideale solidarietà. Tali dimostrazioni si sono fermate soltanto negli anni del fascismo.
Giordano Bruno fu ucciso durante l’anno santo del 1600 ed in quest’anno santo, il 17 febbraio 2000, è stato il 400° anniversario dell’omicidio.