domenica 13 dicembre 2009

Itinerario in Sardegna sulle tracce dei Templari.


Oggi vi proponiamo qualcosa di particolare: un viaggio fra attualità e passato, un itinerario in una parte di Sardegna molto lontana dalla facciata vacanziera.
Per chi non è sardo può essere una buona occasione per un viaggio nella storia, nel silenzio e nel mistero. Per chi vive qui invece potrebbe essere un’opportunità per conoscere una zona poco battuta o, se la si conosce già, per collegare fra loro luoghi e atmosfere cariche di enigmi.
Ci troviamo nel nord-ovest della Sardegna, a poco più di 40 km da Sassari, vicino alla meravigliosa Castelsardo: siamo a Bulzi.
Proprio da qui comincia questo intrigante viaggio fra le tracce evidenti della storia: la Sardegna pare destinata a riservare sorprese mozzafiato.
Nel 12° secolo arrivano nell’isola degli uomini dal coraggio indomito, custodi di misteri: i Cavalieri Templari. Il loro ordine è stato istituito nel 1118 in Terrasanta da <> ai quali il re cattolico Baldovino III consegna le chiavi del Tempio di Salomone. La loro regola prevede, oltre ai voti di castità, povertà e obbedienza anche quello di lotta senza quartiere agli <>.
L’ordine viene quindi incaricato di controllare la sicurezza nelle strade del pellegrinaggio cristiano: i membi si dichiarano pronti a morire in difesa dei luoghi santi, dei pellegrini e del conseguente fiume di denaro che scorre in Palestina. Vestiti con la tunica bianca sormontata dalla croce rossa, i Cavalieri devono sottostare a regole durissime. Inibito qualsiasi contatto con le donne: non si può baciare nemmeno la propria madre. Abolito tutto ciò che è divertimento: vietato perfino parlare senza motivo.
I Templari però non sono soltanto soldati: grazie ad una organizzazione già modernissima e a generosi lasciti l’Ordine in pochi anni acquisisce terre, castelli, casali.
Costituisce in tutto il Mediterraneo -isole comprese- insediamenti agricoli ed economici. Gradualmente questi possedimenti diventano teste di ponte per i regni crociati d’Oltremare.
In epoca normanna, dopo il 1139, i Cavalieri approdano nel Sud Italia, aprendo le loro domus gerosolimitane soprattutto in Puglia, con la sede più importante a Barletta. In questa stessa fase arrivano anche in Sardegna e anche dalle nostre parti non pagano le tasse perchè esentati da Papa Innocenzo II proprio dal 1139.
Questo beneficio consente loro di finanziare e far costruire decine di chiese, monasteri e roccaforti nell’isola, rifugi per i pellegrini e centri di alchimie.
Il percorso sulle loro tracce in Sardegna non può che iniziare quindi dalle chiese, e riserva magnifiche sorprese.
Intraprendiamo questo viaggio a Bulzi, nella chiesa-orologio di San Pietro delle Immagini, teatro sacro di meraviglie insospettate.
Nota anche con la denominazione di “Su Rughifissu”, il crocefisso, per via del gruppo ligneo duecentesco della Deposizione, ora ospitato nella Parrocchia di Bulzi. Una copia del pannello è esposta sul lato sinistro del transetto, vicino all’antica acquasantiera con il fusto ricavato da un tronco d’albero fossilizzato proveniente dalla vicina foresta pietrificata.
Situata a tre km dal paese, nella vallata del Silanis, mostra un articolato sistema realizzato con antiche sapienze orientali che scandisce il passare del tempo religioso.
Le luci arrivano da aperture sui muri laterali e rischiarano l’interno con sprazzi a volte impercettibili e a volte più intensi.
I fasci illuminano quelli che in passato erano i luoghi di lavoro dei monaci e scandiscono le ore, sempre con un alone enigmatico.
Nella chiesa sopravvive infatti un labirinto di allegorie: strade tortuose, lastricate di metafore spesso oscure che toccano le strisce policrome sulla volta dell’abside e nelle navate laterali. Sentieri dell’intelletto che sembrano evocare gialli medievali.
Accogliendo la sfida che giunge fino a noi dalla profondità del Medioevo, tentiamo di riconoscere e decifrare i simboli, sopratutto numerici e apocalittici, presenti all’interno e all’esterno di questa chiesa.
Il segno della Trinità, il numero 3, è riconoscibile nel numero delle monofore dell’abside che permettono a tre fasci di luce di illuminare l’altare, fondendosi con altri due, due come la duplice natura di Cristo – provenienti dalle monofore del transetto.
La luce e l’ombra, ripresi dalla bicromia delle volte a botte del transetto e dal catino dell’abside, si uniscono a formare una penombra diffusa che rende facile la meditazione e la preghiera. Usciamo dalla chiesa attraverso la porticina laterale e vediamo ai suoi lati, incise sulla pietra, due meridiane, unici orologi per i monaci che regolavano la loro giornata di lavoro e di preghiera con il sorgere del sole, e con il tempo necessario alla recita di determinate orazioni.
Sollevando lo sguardo verso la parete del transetto osserviamo, sbalzato sotto il secondo archetto, il segno della fine, l’omega.
Qui, a ridosso della parete, recenti scavi hanno messo in luce antiche sepolture; le ossa che erano in alcune di esse trovano ora riposo all’interno dell’edificio, sotto la lastra di granito ai piedi dell’altare, nella stessa fossa probabilmente già ultima dimora di qualche Abate, e ormai violata da secoli.
Nella facciata il gioco di numeri è ancora più evidente: i numeri 3 e 2 sono presenti ovunque … basta cercarli.
È un richiamo continuo, ossessivo, che ci porta a riflettere come sia riduttivo fermarsi alle apparenze. Nella formella dell’architrave del portone di ingresso, tre figure sommariamente scolpite contrastano con l’eleganza della facciata: non si sa esattamente quale sia il loro significato, ma è ragionevole pensare che l’ignoto scultore, probabilmente un monaco, abbia voluto rappresentare S. Benedetto sorretto, in punto di morte, da due discepoli, così come vuole la tradizione. Forse la formella risale al primo ampliamento, ed è possibile che i monaci l’ abbiano voluta conservare ed evidenziare a perenne ricordo dei loro confratelli ai quali, probabilmente, dovevano anche la fondazione dell’adiacente monastero.
Le origini e le basi di San Pietro delle Immagini risalgono infatti a prima dell’anno Mille ma la chiesa assume l’attuale stile romanico-pisano dopo lo sbarco dei Templari nell’Isola: stile che nelle sue pietre si coniuga in un’incredibile bellezza, con caratteristiche architettoniche in grado di documentare perfino i solstizi e gli equinozi.
Sono evidenti i criteri della costruzione che presupponevano conoscenze nel taglio delle pietre, nell’astronomia sacra, nel simbolismo, nella liturgia, nell’arte e nella matematica, tutte discipline perfettamente dominate dai Templari.
Possiamo vedere ogni parte del giorno nei quattro tempi dell’anno: il momento di maggiore intensità mistica arriva la sera, quando la luce indica il tempo di compieta, ultima preghiera del dì, corrispondente in questo periodo alle ore 16:00.
Non sono questi, però, gli unici segni dei Cavalieri. San Pietro sorge in fondo ad un percorso monastico, dedalo di strade per i pellegrini, lungo il quale spiccano altre chiese del nord Sardegna. A poca distanza, la chiesa fortezza di San Pancrazio, a Sedini, altro centro dei Templari.
Se infatti queste due chiese sono gli emblemi più vistosi dell’Ordine nell’Isola, ci sono tanti altri luoghi che parlano delle loro gesta: San Giorgio, a Perfugas
E San Leonardo di Siete Fuentes, dove sorge un tempio di antica nobiltà.
San Nicola di Silanis, ormai distrutta,
La splendida Basilica di Saccargia:

La perla della Sardegna è comunque San Pietro delle Immagini, con le raffigurazioni esterne e, soprattutto, con il gruppo ligneo, ora custodito nella chiesa al centro di Bulzi, un tempo posizionato all’ingresso di San Pietro. Non un semplice crocefisso ma, forse, l’opera sacra più importante di tutta l’Isola.
Perchè allora non deviare un pò dai percorsi più classici per scoprire una perla quasi sconosciuta?
Prossimamente vi porteremo virtualmente a scoprire la più importante chiesa romanica della Sardegna e una delle più notevoli d’Europa: San Gavino a Porto Torres.

da www.unblogindue.it