lunedì 11 gennaio 2010

Sindone: quel che la storia non dice


Il matematico Bruno Barberis: l'enigma può essere risolto soltanto dalla scienza
di MARIO BAUDINO (www.lastampa.it)

L’ultima parola sulla Sindone difficilmente arriverà dagli storici. È agli scienziati che bisogna rivolgersi. Il professor Bruno Barberis, matematico di formazione e presidente del Centro internazionale di Sindonologia, su questo punto ha davvero pochi dubbi. Oggi si tiene in città un convegno dedicato al Sacro Lino; sarà l’occasione per presentare un’ambiziosa opera della Utet, ma anche per fare il punto sulla polemiche che nell’attesa della solenne ostensione, dal 10 aprile al 23 maggio, hanno diviso il mondo degli studiosi. Da una parte il Cicap ha dato rilievo a un esperimento del professor Luigi Garlaschelli, che è riuscito a riprodurre una Sindone usando tecniche accessibili nel Medioevo; dall’altra una studiosa vaticana, Barbara Frale, ha sostenuto in La Sindone di Gesù Nazareno (Il Mulino) che è possibile ricostruire la storia del lenzuolo fino al primo secolo.

Studiando una serie di scritte che nuovi procedimenti molto sofisticati riescono a evidenziare dalle antiche lastre fotografiche realizzate nell’Ottocento, la ricercatrice è arrivata all’affascinante conclusione che sarebbe rimasto sul retro lo stesso nome «Gesù Nazareno», quasi un verbale di sepoltura. Ma si sono levate molte critiche, soprattutto in campo cattolico. Sempre a Torino il settimanale diocesano La voce del popolo ne ha contestato la credibilità. E lo stesso Barberis ha molti dubbi. «Il problema è se queste scritte esistano realmente. Le ricerche sono state condotte su lastre del 1831, che per le loro caratteristiche rafforzavano il contrasto, dando immagini straordinariamente nitide, ma perdendo i grigi. Di qui il fortissimo rischio di leggere anche quello che non c’è».

Il Centro di Sindonologia, nato nell’ambito della Confraternita del Santissimo Sudario, non è solo composto da cattolici. Ci sono studiosi di varia estrazione. Barberis è un appassionato, da vent’anni si dedica all’argomento, e non è certo uno scettico. Ma si concede una battuta, molto torinese: «Sulla Sindone è stato trovato di tutto. Andiamoci piano, non è mica il Balon». Però val la pena di approfondire? «Senz’altro. Dovranno esserci nuovi esami, dopo quello del 1988 per la datazione col carbonio 14», che dava al Lino una data di nascita non anteriore al Medioevo (tra il 1260 e il 1390, cioè proprio il periodo a partire dal quale esistono documenti storici inoppugnabili) ed è stato anch’esso molto discusso e contestato. «Ora bisognerà studiare il problema delle scritte, e non solo. Confido che la Chiesa accoglierà le molte richieste che le sono giunte. Anche perché sul retro del lenzuolo non c’è proprio nulla, solo macchie di sangue. Non è neanche passata l’immagine del corpo, che è sottilissima e, ormai ne siamo certi, non è opera di un pittore».

Il professor Garlaschelli, e altri prima di lui a cominciare dall’antropologo Vittorio Pesce Delfino, hanno però creato sindoni «sperimentali»; e d’altra parte è evidente che un corpo avvolto in un lenzuolo non può lasciare un’impronta del genere. «In realtà - risponde Barberis - non sono esattamente eguali al Sudario di Torino. Non ne hanno tutte le caratteristiche chimiche e organiche». La Sindone resta qualcosa di unico, oggetto di una devozione antica ed enorme, almeno da quando comparve nella chiesa di Lirey, prima del 1543, per poi passare nella mani dei Savoia. «E questo basta ampiamente per un’ostensione, cioè per proporla ai fedeli come immagine della passione di Cristo», osserva Barberis. Non per trovare una «prova» storica dei Vangeli, anche se le coincidenze sono impressionanti. Dalle analisi, dice il matematico-sindonologo, è emerso chiaro che è rimasta intorno a un corpo umano per soli due giorni. Il sangue rimasto tra le fibre, inoltre, è in parte sgorgato da qualcuno che era ancora vivo, in parte da un cadavere.

È vero, impressionante è la parola giusta. Tanto che viene da chiedersi se non possa essere altrettanto plausibile il procedimento inverso: ossia che il Vangelo, la cui storicità è quantomeno discussa, sia servito da «manuale». Le crociate sono costellate di episodi feroci: perché qualcuno non potrebbe aver replicato, nei dettagli, la crocifissione? «Perché avrebbe dovuto avere a disposizione conoscenze e tecniche che a distanza di quasi un millennio non siamo in grado di riprodurre. E poi c’è la traccia, questa sì evidente, di un moneta romana sull’occhio. In epoca medioevale sarebbe poco plausibile». Il sospetto sulla Sindone non è recente. Quando era nella cappella di Lirey, il vescovo di Troyes, Pierre d’Arcis, preparò una lettera al Papa (ne possediamo la minuta, come scrivono Barberis e Gian Maria Zaccone nel libro della Utet) sostenendo che era un falso, già smascherato dal suo predecessore. Dopo l’incendio della cappella di Chambéry, Giovanni Calvino, il riformatore di Ginevra, commentò sprezzante che era andata bruciata, ma ne era stata subito realizzata un’altra, anche se il colore era così fresco che lo avrebbe capito chiunque.

Ora la nuova teoria storica riporta la Sindone al sepolcro di Cristo, per il tramite dell’impero bizantino, dove già la si venerava, e dei Templari. Tutto ciò è molto suggestivo. Ma Barberis chiude le porte agli «opposti fondamentalismi». I documenti, conclude, non consentono di tracciare un percorso dal primo secolo a oggi. «Forzare i pochi dati che abbiamo è fare un cattivo servizio. Le ipotesi pre-medievali sono più d’una; ma temo rimarranno tali per quanti documenti si possano trovare».