lunedì 7 marzo 2011

"Fratelli d'Italia" merita di essere il nostro inno.

 


La Repubblica Italiana non ha ancora un Inno ufficiale perché l’Inno di Mameli da ben 63 anni è solo l’inno “provvisorio”. E regolarmente sui giornali appare la polemica se adottarlo in via definitiva o sostituirlo con “Va pensiero”. Nel 1943, dopo l’armistizio dell’8 settembre, il governo presieduto dal generale Pietro Badoglio adotta come Inno nazionale “La canzone del Piave”. Il 14 ottobre 1946 un provvedimento governativo adotta l’Inno di Mameli come inno nazionale della Repubblica Italiana, senza che il provvedimento venga approvato dal Parlamento. Indubbiamente l’Inno di Mameli ha una esaltante storia: il 23 dicembre 1822 nasce a Genova il maestro Michele Novaro compositore della musica. Il 5 settembre 1827 nasce a Genova Goffredo Mameli che nel 1847, ad appena venti anni, scrive il testo dell’Inno, prima interpretato su basi musicali di ripiego, e poi il 10 dicembre presentato a Genova, nella versione musicale di Novaro, davanti a un pubblico di 30mila patrioti. Nel 1848 le note dell’Inno risuonano sulle barricate delle Cinque giornate di Milano. Goffredo Mameli muore a 22 anni a seguito di una ferita durante i combattimenti per la Repubblica Romana a Villa del Vascello (dove attualmente è la sede della Massoneria del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani). Nel 1862 Giuseppe Verdi scrive l’“Inno delle nazioni”, richiamando il motivo di “Fratelli d’Italia” accanto alla Marsigliese ignorando sistematicamente la Marcia Reale. L’Inno di Mameli acquista particolare significato dopo la elezione a presidente della Repubblica di Carlo Azeglio Ciampi, che rivaluta i simboli patriottici e soprattutto la bandiera e l’inno nazionale. Purtroppo la maggior parte degli italiani non conosce bene tutti i significati del nostro Inno, che è una significativa lettura del nostro Risorgimento. Tarquinio Maiorino, Giuseppe Marchetti Tricamo e Pietro Giordana, nel loro libro “Fratelli d’Italia - la vera storia dell’Inno”, edito a Milano nel 2001 per i tipi della Casa Editrice Mondadori, affermano e giustamente che la strofa chiave dell’Inno è quella che dice: “Dall’Alpi a Sicilia / Ovunque è Legnano / Ogni uom di Ferruccio / Ha il cuore e la mano / I bimbi d’Italia / Si chiaman Balilla / Il suon d’ogni squilla / I Vespri suonò”.

In non più di otto versi, Mameli riuscì a concentrarvi un “campione” di momenti libertari in punti diversi d’Italia: poco conta che non fossero contemporanei e che ognuno abbia avuto propri connotati. Il primo è la battaglia di Legnano del 1176 in cui la Lega Lombarda sconfisse il Barbarossa. Il secondo è l’estrema difesa di Firenze assediata nel 1530 da Carlo V (d’intesa con papa Clemente VII) per rimettere sul trono i Medici; nella battaglia di Gavinana si distinse il capitano Francesco Ferrucci, che riportò una vittoria campale, ma cadde poi prigioniero ferito e fu trucidato da un italiano al soldo straniero, Fabrizio Maramaldo. Il terzo episodio porta alla Genova del 1746, quando un ragazzo, Giovanni Battista Perasso, soprannominato “il Balilla”, lanciando sassate, fu il simbolo della rivolta anti-austriaca. Infine “il suon d’ogni squilla” è il suono delle campane che la sera del 30 marzo 1282 chiamarono i parlamentari all’insurrezione (I vespri siciliani) contro i francesi di Carlo d’Angiò”. Quindi l’Inno di Mameli non è solo “L’Italia s’è desta, le porga la chioma, che schiava di Roma, Iddio la creò”, ma la sintesi della epopea di tutta l’Italia - Nord, Centro e Sud - per l’unità e la libertà. E sulla battaglia di Gavinana occorre ancora dire qualche cosa: fu un grande tentativo di Francesco Ferrucci (in poesia diventato Ferruccio) per salvare la Repubblica. Al comando di 400 fanti e quattromila cavalieri, Francesco Ferrucci uscì da Pisa il 31 luglio 1530, cercando di evitare lo scontro con le milizie imperiali di Carlo V comandate da Maramaldo. La sua intenzione era quella di risparmiare le forze per accettare battaglia. Ferrucci aveva scelto di arrivare a Firenze attraverso un percorso che comprendeva la montagna pistoiese, Montale, la Val di Bisenzio e il Mugello. Agli inizi di agosto, tallonato dalle truppe di Maramaldo, e ignaro dei movimenti di quelle del principe di Orange che si erano staccate da Firenze per affrontarlo, Ferrucci giunse a Gavinana. Accerchiato e nella impossibilità di disporre l’artiglieria, il condottiero fiorentino fu costretto a giocare l’ultima disperata carta e sfondare il fronte avversario. Quella del 3 agosto fu una battaglia combattuta corpo a corpo nel borgo e nei boschi circostanti. Lo stesso principe d’Orange rimase ucciso da una prima carica. La vittoria sembrava arridere ai fiorentini quando entrarono in campo i Lanzichenecchi che sbaragliarono la retroguardia fiorentina di Giampaolo Orsini. Con un ultimo pugno di valorosi, fra cui Fanfulla da Lodi (uno dei tredici cavalieri della disfida di Barletta), Ferrucci tentò una ultima difesa asserragliandosi in un casolare. Ricoperto di ferite, ma non ancora domo, Francesco Ferrucci venne giustiziato nella piazza del Paese.

Si calcola che nel corso della battaglia, entrata poi nell’epica risorgimentale per il suo alto valore patriottico, siano morti quasi 10mila uomini: anche in anni recenti, i resti di alcuni di quegli uomini sono riaffiorati a testimonianza della crudezza dello scontro.  Nel settembre di nove anni fa, sul quotidiano “Il Sole 24 Ore” Francesco Maria Colombo scriveva: “Che cosa si richiede a un Inno? Primo, di incarnare l’animo della nazione che lo ha scelto. Secondo, di essere facilmente cantabile. Non a caso l’Italia ha la canzone di Novaro e di Mameli. La costruzione fra intervalli (la distanza fra le note) ridotti, gli incisi ritmici di elementare quadratura, l’iterazione delle frasi su gradi diversi della scala, rendono il nostro Inno nazionale facilissimo da intonare e da ritenere a memoria. E i versi serbano quell’aura misteriosa e generica che è uno dei punti di forza del nostro melodramma: l’elmo di Scipio fa vibrare anche un animo che non abbia dimestichezza con Scipio, proprio come il verso “all’egre soglie ascese” (nella “Traviata” di Verdi) riesce a commuovere anche chi non abbia la minima idea di cosa le “egre soglie” siano. Negare all’Inno di Mameli dignità poetica e musicale sarebbe un gioco troppo facile e privo di senso: è una pagina che, per la semplicità della struttura e l’ardimento alla portata di tutti che riesce a innestare, non si potrebbe immaginare più efficace”. Dedico questo mio pezzo all’onorevole Umberto Bossi, con il quale - credo - ho in comune la grande idea di Cattaneo.
 


di Aldo Chiarle
Gran Maestro Onorario del Grande Oriente d'Italia.