lunedì 12 gennaio 2015

Un giallo a tinte massoniche di Luca Sartori



Sullo scaffale
Chi ama le storie di Sherlock Holmes, le sue bizzarre avventure, il suo umorismo tagliente, la sua proverbiale logica deduttiva, non potrà fare a meno di apprezzare l'ultima fatica letteraria di Luca Sartori, "Sherlock Holmes e il labirinto della solitudine" (Delos), disponibile in formato ebook. Sartori, torinese di nascita ma urbinate di adozione, classe 1973, già autore di altri racconti nella stessa collana "Sherlockiana" di Delos Digital editore ("Sherlock Holmes e l'ultimo preraffaellita" del 2013, "Il cane e l'anatra" del 2014) ci porta nuovamente nel mondo che gli appassionati di Sherlock Holmes conoscono bene, con una grande capacità di riproporre le ambientazioni vittoriane di fine secolo XIX e di proporci - in un'epoca di noir violenti al limite dello splatter - un salto a ritroso in un tempo in cui il raziocinio vale più della forza fisica, lo humour più del turpiloquio. Il suo "Sherlock Holmes e il labirinto della solitudine" è un romanzo breve che appartiene a quello che gli sherlockiani definirebbero come un apocrifo rispettoso del Sacro Canone (ossia conciliabile con l'insieme dei 56 racconti e dei 4 romanzi su Holmes scritti dall'inventore del personaggio, il massone Sir Arthur Conan Doyle). Quello degli apocrifi sherlockiani è un sottogenere col quale si sono cimentati grandi giallisti del calibro di Ellery Queen e John Dickson Carr. Il motivo, però, per cui ce ne occupiamo qui è che nel racconto di Sartori affiorano vari riferimenti massonici: una spilla con una "tripla Tau, emblema del sacro Arco Reale", "un labirinto di siepi che ricalca un simbolo massonico", con "una squadra e un compasso che s'intersecano, con una grande G al centro" e, infine, due protagonisti massoni. Ma, se non è insolito trovare tali riferimenti nella saga holmesiana originale (il Sacro Canone, appunto), è più raro trovarne negli apocrifi. Ebbene, in "Sherlock Holmes e il labirinto della solitudine", in risposta a uno scettico Watson che pronosticava: "Un massone, avrei dovuto immaginare che ci fosse sotto qualcosa del genere", Sartori fa dire a Holmes: "Un massone non è necessariamente un assassino, Watson. (...) Ogni massone deve perfezionarsi attraverso lo studio per raggiungere la più elevata 'illuminazione interiore'. L'antica sapienza dei framassoni, costruttori di chiese, veniva trasmessa oralmente e rimaneva segretamente impressa nelle loro costruzioni. Solo attraverso l'osservazione e la meditazione su di esse gli iniziati potevano aspirare a giungere ai più alti gradi della conoscenza". Dunque, Sartori mostra un Watson vittima dei tipici pregiudizi antimassonici, mentre Holmes - che addirittura nel racconto afferma di essere stato l'autore di un saggio dal titolo "Simbologia massonica e giardini dell'epoca georgiana" - rappresenta colui che ha compreso il vero spirito della Massoneria.