martedì 27 ottobre 2015
Una delegazione della Loggia Heredom in visita alla Loggia Gallura n° 1060 di Olbia
Questa sera, martedì 27 Ottobre, una nutrita delegazione di Fratelli della Loggia Heredom 1224 di Cagliari, guidata dal Maestro Venerabile, farà visita ai Fratelli della Loggia Gallura n° 1060 di Olbia, partecipando ai Lavori Rituali.
I rapporti tra i Fratelli della Loggia Heredom ed i Fratelli della Loggia Gallura, da anni, sono particolarmente stretti, armoniosi e caratterizzati da continue visite e Lavori comuni.
Rituale Emulation: differenze di forme e di sostanze nelle tradizioni della Libera Muratoria italiana
prodotto per Esonet.it
Si ringrazia la rivista Il Laboratorio, organo del Collegio Circoscrizionale toscano dei Maestri Venerabili del Grande Oriente d'Italia per l'autorizzazione alla pubblicazione del presente articolo.
Ogni volta che si affronta un tema a carattere storiografico e che riguarda la Libera Muratoria, si corre facilmente il rischio di perdersi in tortuosi, quanto sterili, percorsi infiniti, a riprova del fatto che è più facile parlare della nostra Istituzione per negazioni che non per affermazioni. Nel nostro caso, però, qualcosa di sicuro c'è: sono il luogo e la data di nascita del Rituale Emulation. Londra, 5 giugno 1816. [1]
In Inghilterra, per molti decenni prima di questa data, la rivalità tra le due Grandi Logge, una cosiddetta degli Antients [2], l'altra dei Moderns [3], andò avanti e i vari tentativi di arrivare a una fusione non ebbero successo. Gli sforzi dei più tenaci furono al fine coronati solo nel 1813, anno in cui successe al quarto Duca di Atholl, quale Gran Maestro degli Antichi, il Duca di Kent, padre della Regina Vittoria. Suo fratello, Duca di Sussex, venne eletto Gran Maestro della concorrente Gran Loggia originaria di Londra.
Il 25 novembre 1813, i rappresentanti delle due Grandi Logge si riunirono al Kensington Palace dove furono firmati gli Articoli dell'Unione, articoli dai quali presero le mosse i lavori di unificazione dei rituali delle due Obbediente e che consentirono, tre anni dopo, la nascita del Rituale Emulation. L'episodio ha una portata storica generale per la Libera Muratoria e non solo per le Fratellanze d'Oltre Manica, in quanto la riunificazione delle differenti ispirazioni massoniche dovette necessariamente giungere a qualche compromesso.
L'atto di riconciliazione, da cui ha origine la Gran Loggia Unita degli Antichi Liberi Muratori d'Inghilterra, segna, tra l'altro, il superamento del deismo, al quale subentra una concezione secondo cui il Grande Architetto dell'Universo è un Dio personale, separato dal mondo e attivo in esso. Si viene così ad attribuire al GADU una valenza maggiormente improntata alla trascendenza: il deismo viene sostituito col teismo.
Ma quale teismo? Teismo è un termine che assume differenti significati. Quale significato è specifico della Massoneria? Certamente non può valere un'unica interpretazione (per esempio, quella cristiana), perché ciò contrasterebbe con le caratteristiche tipiche della Massoneria moderna, la quale, dopo aver recepito il principio di tolleranza, si situa in una posizione di rispetto nei confronti di tutte le religioni e aspira all'universalità; inoltre, il rifiuto del dogmatismo rende irreprensibile l'antica credenza dei massoni operativi nel Dio cristiano [4]. Ciò, però, che rileva – ai fini del nostro lavoro – è poter accertare se le differenti ispirazioni filosofiche delle correnti massoniche possono trovarsi riprodotte e correttamente rappresentate dai rituali di ciascuna di esse. In altre parole, se i rituali praticati dalle differenti Obbedienze e, nella fattispecie, se il Rituale Emulation possa ritenersi il rituale corrispondente a una precisa idea della libera Muratoria: quella che ancora oggi poggia le proprie fondamenta nella Gran Loggia Unita d'Inghilterra (di seguito GLUI), vista come Organismo centrale dalla quale pervengono le patenti di legittimità e regolarità massonica nel mondo.
Per rispondere alla domanda è necessario soffermarsi sull'impostazione di fondo del Rituale Emulation e saggiarne la sua aderenza a quei principi ispiratori di cui dicevamo, verificandone la reale portata differenziale nei confronti del rituale ufficiale tradizionale del Grande Oriente d'Italia – di seguito GOI – [5]. Ci avvarremo, in primis, del dibattito culturale in corso sulla Rivista periodica del GOI.
Per quanto simbolo massonico fondamentale e presente in tutte le ritualità, il significato che viene attribuito alla Luce non è univoco e in particolare si diversifica per ciò che riguarda i Rituali Emulation della Gran Loggia Unita d'Inghilterra, rispetto ai rituali simbolici di ispirazione illuministica francese, a cui fanno riferimento anche i nostri rituali giustinianei. Per le Logge inglesi la Luce è quella divina: il rito iniziatico è un rito di consacrazione che si ottiene per grazia di Dio e nel quale la Camera di Riflessione e i viaggi sono del tutto assenti. L'evidente impostazione teistica (Divinità provvidenziale) dell'Emulation è dimostrata anche dagli inni di apertura e chiusura dei lavori in onore dell'Eterno, dai numerosi riferimenti a Dio, dall'interpretazione in chiave divina di molti simboli.
D'altronde, è assai probabile che la religione nella quale tutti gli uomini convengono, che si ritrova negli antichi doveri, fosse nella mente di Anderson, pastore protestante, quella cristiana [6]. I massoni italiani iniziati col Rituale Emulation – come gran parte dei massoni sotto la volta celeste – non sostano nel Gabinetto di riflessione, bensì nella “preparation room”, semplice e disadorna sala antistante all'ingresso del Tempio; non redigono testamento; non sono condotti per gli ulteriori tre viaggi, né saggiati con gli altri tre elementi; non odono rumori; ricevono invece gli utensili dell'aiutante e apprendista – regolo, maglietta, scalpello – e la spiegazione del loro significato speculativo.
Coloro che vengono passati compagni d'arte non leggono – né ascoltano spiegazioni di – nomi cervellotici, discutibili, che cancellano conoscenze scolastiche di base; non compiono cinque (ci risiamo) viaggi con vari strumenti, ma ricevono quelli del muratore esperto: squadra, livella, filo a piombo. Non casualmente, sono gli strumenti della Massoneria operativa, oggi gioielli delle Luci di Loggia e testimoni dell'antica Corporazione, che aveva un grado di apprendimento e un secondo grado per i muratori esperti [7].
Come è facile dedurre dalla lettura dei passi appena riportati, la contrapposizione tra i Rituali diventa palese tra differenti Riti, dando per implicito (e scontato) che la risposta alla domanda sopra posta (ossia quella che intendeva sapere se le differenziazioni antropologiche e filosofiche delle diverse Scuole massoniche fossero adeguatamente garantite dalla differenziazione di rituali) sia una risposta affermativa. Se qualche dubbio al riguardo ci è rimasto, è sufficiente continuare con le citazioni.
Per i rituali inglesi l'esoterismo simbolico rappresenta il tipo di insegnamento di matrice ellenica, riservato ai discepoli che sono addentro alla Scuola. Il significato dei simboli è prefissato e viene puntigliosamente specificato al neofita dal Maestro Venerabile. Per ciò che riguarda la massoneria simbolica di origine illuministica, a cui come già detto si ispirano i nostri rituali (N.d.A.: quelli ufficiali del GOI) qualcosa cambia.
Si introduce il concetto dell'interpretazione del simbolo, per cui l'iniziato deve penetrare oltre l'apparenza per riempirlo di significati. Questo sistema, che prende il nome di ermeneutica, finisce per trasformarsi in un vero e proprio metodo di ricerca (...) Lo Scozzesismo introduce in Massoneria l'esoterismo occulto [8]. Tutto ciò, però, prova troppo. Intenderebbe, cioè, provare che lo sviluppo storico dei differenti Rituali sia stato strettamente connesso agli sviluppi storici dei corrispondenti Riti e che questi ultimi siano stati il risultato principale di Scuole ben individuate, che – a loro volta – abbiano voluto e saputo, nel tempo, tradurre in sistema la propria consacrazione storica.
Al contrario, sono state le esigenze storiche, la volontà di un'organizzazione autonoma auto legittimante e le pretese egemoniche dei singoli e dei gruppi che hanno operato una continua azione di rivisitazione, di compromesso, di inglobamento, di scissione e che, così facendo, hanno dato origine a un'evoluzione dei sistemi rituali come oggi noi li conosciamo e pratichiamo [9]. La realtà è, cioè, opposta: la differenza ritualistica non è causa, bensì conseguenza della differente organizzazione e della spinta autonomistica dei gruppi. Prendere coscienza di tale sviluppo ha una doppia valenza positiva. Permette di non declassare a rango inferiore la storia degli ultimi quattro secoli della nostra Istituzione confutando Joseph De Maistre, uno dei massoni più notevoli fra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, che ritenne quanto segue: “Tutto rivela che la libera Maratona volgare sia un ramo staccato e forse corrotto di un tronco antico e rispettabile” [10]; significa, al contrario, uscire da una storiografia denigratoria, contrapposta a un'altra agiografica (ma altrettanto soggettiva) e cominciare ad affrontare con obiettività storica il problema della ricostruzione delle origini, accettando (finalmente) la pluralità e la varietà di idee nella tolleranza e nell'arricchimento reciproco [11].
Ciò consente, altresì, di recuperare le singole identità nazionali che, per un male interpretato principio di universalità libero-muratoria, sono state fino a oggi artificialmente negate. La Massoneria del nostro Paese non è di stampo cristiano anglosassone, né di origine liberale francese, né di idealismo sociale americano o altro ancora. Se da Oltralpe e da Oltre Oceano abbiamo tratto storicamente origine e successivamente mutuato indirizzi, affinità o rituali stessi, non per questo possiamo rinunciare a un'identità originale italiana che, invece, sembra – almeno per quanto riguarda l'Obbedienza del GOI – iniziare a comprendere l'importanza della diversità di impostazioni e dell'origine storico organizzativa di esse [12].
Consente di affrontare lo studio delle diverse ritualità non più come contrapposizione scolastica, bensì come differente modalità del sentire massonico; modalità e percorsi tutti egualmente preziosi per il nostro perfezionamento e tutti egualmente accreditati sotto il profilo storico; l'unica interpretazione che vale per il teismo in un'ottica massonica è quella che prende le mosse dalla concezione regolativa del GADU, il considerare il GADU come principio regolativo trascendente facilita il superamento definitivo della concezione immanentistica e naturalistica, in quanto il GADU orienta l'immanente, senza essere da questo fagocitato ed evita ai massoni l'obbligo di assumere una precisa posizione in materia di religione [13].
Il tentativo è lodevole e condivisibile, ma a una condizione: che non si utilizzi il concetto di trascendenza o di elemento regolatore come strumento per operare nuove esclusioni o nuove separazioni. Ogni classificazione positiva ha, infatti, il difetto di lasciar fuori qualcosa: ciò che è omesso. Meglio prendere allora atto che questo metodo logico non è coerente con l'universalità del pensiero antropologico massonico, secondo il quale ogni Essere umano ha il diritto e la libertà di intraprendere il proprio percorso di perfezionamento e di fede (o di non fede) e di non essere, per ciò solo, discriminato.
Da questa seconda positiva valenza si può quindi riprendere il discorso lasciato sospeso e affrontare, nel merito, i percorsi differenziati, per singolo grado di iniziazione, tra Rituale Emulation e rituale tradizionale delle Logge appartenenti al GOI [14][15]. Lo faremo, ancora una volta, avvalendoci del dibattito in corso, non più, però, per contrapporre, bensì per unire tradizioni e culture massoniche che non intendiamo abbandonare tra i cosiddetti vinti della storia.
Primo grado: Apprendista
Rituale Emulation : Possiamo affermare che il terzo grado è egizio, che il secondo è ermetico, ma possiamo anche dire con certezza che il primo è pitagoreo. Varie cose contraddistinguono il grado di apprendista: 1) l'essere liberi; 2) il silenzio; 3) il labirinto; 4) la luce; 5) la scala.
Nei primi secoli della chiesa, il battesimo si chiamava illuminazione. La luce è simbolo patristico del mondo celeste e dell'eternità. Alla morte materiale le anime separate dal corpo saranno, secondo San Bernardo, sprofondate in un oceano immenso di luce eterna e di eternità luminosa. Il neofita con gli occhi finalmente aperti è abbagliato dal chiarore della luce improvvisa, simbolo dell'altra luce [16].
Rituale tradizionale : All'iniziando si precisa che la cecità della benda sta a indicare la cecità spirituale nella quale si trova l'uomo quando è dominato dalle passioni ed è vittima dell'ignoranza e delle superstizioni. Il Maestro Venerabile preliminarmente gli indica quali siano i Principi della Libera Muratoria e gli dice che essi sono comuni a tutti i Fratelli sparsi per il Mondo e fondati sulla Ragione. Tali principi sono immutabili, ma sono anche così perfetti da consentire a ciascuno la piena libertà nella ricerca del vero [17].
Secondo grado: Compagno d'Arte
Rituale Emulation : Dal rituale sappiamo che le chiavi del grado sono la spiga e la sorgente o cascata. La spiga è un grande simbolo, è la vita stessa, era l'emblema di Osiride, il dio morto e resuscitato e rappresentava nell'antico Egitto il ciclo della morte e della rinascita. La spiga contiene il grano nella doppia veste come simbolo che nutre e che muore e rinasce. Il Massone deve fare suo questo simbolo perché come il grano deve dare il frutto della generosità [18].
Rituale tradizionale : Il Maestro Venerabile gli fornisce una prima indicazione sui significati simbolici degli Strumenti di Lavoro e gli dice che in I grado gli sono serviti per lavorare la Pietra grezza della materialità profana. D'ora in avanti (dovrà) alimentare una conoscenza più sottile: alla Forza dell'intelletto (dovrà) aggiungere la Bellezza dell'Immaginazione perché possa suscitare l'intuizione che trascende il raziocinio [19].
Terzo grado: Maestro (più Arco Reale per il Rito Emulation)
Rituale Emulation : Durante la celebrazione di elevazione al grado di Maestro, viene posta l'attenzione soprattutto sul sacrificio del maestro Hiram Abif, quale esempio di eroismo e di sacrificio che preferì morire piuttosto che rivelare i segreti da lui custoditi. Possiamo affermare che il terzo grado è in un certo qual modo incompleto: la lacuna verrà colmata nell'Arco Reale. Se nella Massoneria azzurra passiamo simbolicamente attraverso il corpo di Hiram defunto, nell'Arco ritroviamo la cripta e i segreti nascosi. Esisteva nel gabinetto di riflessione, prima dell'iniziazione, inesistente nella stesura attuale del rituale Emulation la scritta VITRIOL. Questo è ancora più valido nell'Arco, anche perché noi come soggiornanti riusciamo a trovare la pietra. La terra è, dunque, simbolo di rigenerazione [20].
Rituale tradizionale : Il Maestro Venerabile afferma: Così morì Hiram, così deve morire il compagno per potere rinascere come Maestro. È stata simboleggiata la morte – rinascita, o rigenerazione, cioè nell'idea della Palingenesi, o catarsi, che impernia il concetto massonico di iniziazione. Si identifica il nuovo Maestro con l'Hiram risorto [21].
Si tratta, in sintesi e senza pretesa di operare un'approfondita analisi comparativa, di differenti impostazioni che, però, non si escludono a vicenda, ma permettono di effettuare una ricerca a tutto campo che, a seconda delle differenti sensibilità individuali, può aiutare più efficacemente al perfezionamento di ciascun massone.
Nulla impedisce, pertanto, di far coesistere, nei primi tre gradi della massoneria (c.d. Massoneria azzurra), rituali differenti che sono la risultanza della storia complessiva della nostra Istituzione e che rispondono, con differenti tonalità, alle tradizioni della Libera Muratoria moderna [22]. Forse, possiamo al fine accettare che esistano tanti Grandi Architetti dell'Universo quanti sono i massoni viventi di tutto il Mondo.
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Note
1. RL Santorre di Santarosa (001) all'Oriente di Alessandria. (torna al testo)
2. Poco meno di tre anni furono necessari per giungere a una conclusione dei lavori della Lodge of Reconcilation. Il 5 giugno 1816. (torna al testo)
3. Malgrado l'appellativo, la storia suole affermare che fu la Gran Loggia dei Moderns, quella famosa del 1717, a nascere per prima. Propugnatrice di una massoneria speculativa e intrisa del pensiero filosofico liberale inglese del XVII Secolo, Essa ben si conciliò con accenti di deismo e modernismo. Verso la metà del XVIII Secolo, vi si contrappose l'altra Gran Loggia, detta degli Antients, che intendeva rifarsi a un più stretto legame storico con la Muratoria operativa delle gilde e delle corporazioni medievali, di stampo più decisamente cristiano. (torna al testo)
4. Giuliano Di Bernardo: Filosofia della Massoneria. L'immagine massonica dell'uomo. Marsilio Editori, Venezia 2002, pag. 45. (torna al testo)
5. Il Rituale Emulation – dopo il riconoscimento ufficiale (ottenuto nel 1972) a favore del Grande Oriente d'Italia, da parte della Gran Loggia Unità d'Inghilterra – è stato ammesso per quelle Logge (c.d. logge inglesi) che intendano adottarlo come unico loro rituale praticato. Sebbene il riconoscimento sia stato ritirato dopo il tristemente noto affaire Di Bernardo, il rituale conserva la sua legittimità all'interno del GOI. La Gran Loggia d'Italia non riconosce la ritualità Emulation. La Gran Loggia Regolare d'Italia riconosce solamente il Rituale Emulation. Il presente lavoro si basa sul testo ufficiale del GOI, Edizioni Soc. Erasmo, I edizione: Roma, 1976, II edizione aggiornata: Roma 2004. (torna al testo)
6. Claudio Modiano: Riflessioni sulla luce massonica, su Hiram (Rivista periodica del GOI) n. 3, anno 2000. (torna al testo)
7. Giuseppe Cacopardi: Rituali massonici e loro interpretazione, su Hiram (Rivista periodica del GOI) n. 3, anno 2000. (torna al testo)
8. Claudio Mediano: Op. cit. Hiram (Rivista del GOI) n. 3. anno 2000. Per quanto concerne il Rito Scozzese Antico ed Accettato (di seguito RSAA), però, si preferisce di gran lunga la classificazione in cinque tipologie di Riti massonici, operata da Eugenio Bonvicini, Massoneria di rito scozzese, Editrice Atanòr. Roma 2003. pag. 65 all'interno della quale il RSAA è considerato appartenente alla famiglia dei riti c.d. eclettici (a cui apparterrebbe, peraltro, anche il Rito Simbolico Italiano, finendo – così –per operare una sorta di unitarietà nella genesi della Massoneria italiana), ossia a quei riti disgiunti da ogni scelta dogmatica, che uniscono alla ricerca esoterica l'attenzione per il sociale. (torna al testo)
9. Valga, per tutti, l'ottimo lavoro di Giuseppe M. Vatri sul RSAA, La nascita del Rito scozzese amico e accettato (1761-1802), Edizioni Brenner, Cosenza, 2002. (torna al testo)
10. Passo tratto dalle memorie ai Duca di Brunswick (1782). (torna al testo)
11. Da un punto di vista non valgano le reciproche dichiarazioni di guerra. Per tutti valgano le seguenti: la Massoneria Emulation è la Massoneria di tradizione inglese contrapposta alla cosiddetta Massoneria Scozzese che la precede di quasi mezzo secolo. È presente in maniera consistente in Italia, già dal Settecento e si uniforma all'antico costume di mantenersi lontana da questioni di ordine politico ed economico. Massimo Graziani. Massoneria Emulation. La prima Massoneria speculativa di tradizione inglese, Bastogi Editrice Italiana, Foggia 2003, pag. 5. Si tratta di Obbedienze tutte che hanno abbracciato quella Massoneria di schema liberale che sempre più si sta affermando in ambito mediterraneo in alternativa allo schema dogmatico di matrice anglosassone. Luigi Danesin, in AA.VV., La Massoneria liberale, Editrice Atanòr, Roma 2006, pag. 10. Per fortuna, si tratta solamente di affermazioni preliminari che non intaccano l'importanza dei contenuti trattati nei due testi, a riprova di un falso problema che continua a perseguitare i Figli della Vedova italiani! (torna al testo)
12. Per questo motivo, riteniamo fondamentale l'opera di alcuni studiosi italiani che si dedicano alla storia della nostra Istituzione nel nostro Paese. Per tutti, valgano Aldo A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai giorni nostri, Bompiani 2002; Aldo A. Mola, Giosué Carducci: scrittore, politico, massone, Bompiani 2006; Fulvio Conti, Storia della Massoneria italiana. Dal Risorgimento al fascismo, II Mulino, Milano 2003. (torna al testo)
13. G. Di Bernardo, op. cit., Marsilio Editori, Venezia 2002. pag. 45. (torna al testo)
14. Altro falso problema, qui solamente sfiorato, è quello degli Alti Gradi, ossia dei gradi superiori al terzo, che rappresentano parimenti terreno di divisione tra l'impostazione c.d. anglosassone e quella c.d. scozzese. Nella seconda metà del XVIII Secolo, in Europa continentale si assistette a una proliferazione di nuovi gradi superiori al terzo, più o meno raggruppati a sistemi rituali e di cui gli storici, ancora una volta, ne confermano l'origine organizzativa (quando non addirittura lucrativa!) e quasi mai speculativa-iniziatica Valga, per tutti, l'imponente opera di Rene Le Forestier, La Massoneria Templare e Occultista, in 4 Voli. Editrice Atanòr, Roma 1991, impeccabile da un punto di vista storiografico, ma che non sfugge purtroppo al solito e già ricordato pensiero monotematico di J. De Maistre e alla condanna, un po' superficiale, di tutta la Massoneria esoterica e occultista che diede origine, tra gli altri, al RSAA (l'impostazione del Le Forestier non cambia neppure nell'opera L'occultismo e la massoneria scozzese, Arche Edizioni PiZeta, Milano 2006). A riprova di come la strada della divisione sia più difficile di quanto non appaia de prima facie, va detto che anche la GLUI riconobbe (e riconosce tutt'oggi) una sorta di quarto grado, successivo al grado di Maestro ed estremamente importante come tenteremo di dimostrare. Infatti: Con la riconciliazione del 1813 (...) il 4° grado Antients dell'Arco Reale rimase incluso nel sistema dei 3 gradi della Massoneria azzurra, pur venendo conferito in un Capitolo dell'Arco Reale (Grand Chapter) con autonoma struttura riconosciuta dalla Gran Loggia Unita e avente a capo il Gran Maestro della stessa. Questo è tuttora il sistema inglese dell'Holy Royal Arch of Jerusalem, originariamente previsto per gli ex Maestri Venerabili ed è considerato un addendum al terzo grado con compiti di perfezionamento. E. Bonvicini, op. cit., Editrice Atanòr, Roma 2003, pag. 54. Esso non va confuso con il sistema del Rito di York o Arco Reale Americano, attualmente riconosciuto dal GOI. (torna al testo)
15. Mentre risulta relativamente più semplice ricondurre a unità i significati che sottendono al rituale Emulation, sia per la già richiamata sua impostazione ellenica e occidentale, sia per la gelosa preservazione che la GLUI ne ha fatto dal 1813 a oggi, più arduo appare il compito per quanto riguarda il rituale tradizionale del GOI che, proprio nel rispetto della scelta politica effettuata, appare idoneo a un utilizzo più generale, ma per questo più facilmente attaccabile dalle diverse ortodossie massoniche. (torna al testo)
16. Tratto da: M. Oraziani, op. cit., Bastogi Editrice Italiana, Foggia 2003, pagg. 43 e 47. (torna al testo)
17. E. Bonvicini, Massoneria moderna, Bastogi Editrice Italiana, Foggia 1997, pag. 255 e 256. (torna al testo)
18. M. Graziani, op. cit., Bastogi Editrice Italiana, Foggia 2003, pagg. 54 e 55. (torna al testo)
19. E. Bonvicini: op. cit., Bastogi Editrice Italiana, Foggia 1997, pag. 255 e 263. (torna al testo)
20. M. Graziani, op. cit., Bastogi Editrice Italiana, Foggia 2003, pagg. 63, 89 e 90. (torna al testo)
21. E. Bonvicini: op. cit., Bastogi Editrice Italiana, Foggia 1997, pag. 272 e 273. (torna al testo)
22. Ai Lettori pazienti e interessati possiamo aggiungere che non tutto è, però, risolto. Infatti, se è possibile, come abbiamo tentato di fare, confutare sterili contrapposizioni a livello di Massoneria Azzurra, ben diverso è il problema concettualistico per quanto riguarda i Riti. Non vogliamo nascondere la nostra personale preferenza per il RSAA del GOI e al riguardo rimandiamo ai seguenti testi, ritenuti fondamentali, sull'argomento: Eugenio Bonvicini, Massoneria di rito scozzese, Editrice Atanòr, Roma 2003; Ugo Poli, Massoneria iniziatica. La via scozzese, Editrice Atanòr, Roma 2006; Umberto Gore! Porciatti, Simbologia massonica: Gradi scozzesi, Editrice Atanòr, Roma 1948: Umberto Gorel Porciatti, Simbologia massonica: Massoneria Azzurra, Editrice Atanòr, Roma 1947; Charles W. Leadbeather, La Massoneria e gli Antichi Misteri, Editrice Atanòr, Roma 2006. Riportiamo il seguente passo tratto dall'opera più volte citata da Eugenio Bonvicini, Massoneria moderna, che centra esattamente i termini della questione sulla quale sarebbe opportuno proseguire il lavoro intrapreso: Ci appare arduo accogliere l'opinione di coloro che ritengono necessario, oltre il 3° grado, o come addendum dello stesso, praticare una ritualità di Perfezionamento, o di Esaltazione, nella quale si trasmetta la Parola perduta. Così avviene nella ritualità inglese del Sacro Arco reale di Gerusalemme, che si richiama non alla leggenda di Hiram, ma alla distruzione del Tempio di Salomone e alla sua ricostruzione dopo la cattività babilonese per opera di Zorobabel e il ritrovamento della Parola sacra perduta tra le rovine del tempio. Con l'iniziazione al 3° grado la Parola è stata simbolicamente ritrovata e comunicata al nuovo Maestro che massonicamente è perfetto (...) Ciò che avviene dopo il 3° grado come nei rituali dei Riti massonici -è soltanto un perfezionamento individuale, sia pure caratterizzato da altre iniziazioni, con altre Parole di passo; ma la simbolica Parola perduta, o Parola sacra, è stata ritrovata con l'Iniziazione al 3° grado (pagg. 273 e 274). Come si può vedere, la costruzione del Tempio non avrà mai fine.
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Convegno a Milano il 14 novembre per conoscere fatti e personaggi storici della Libera Muratoria. “Malachia De Cristoforis: la Massoneria come impegno professionale, civile, politico e patriottico” è il tema dell’incontro organizzato dalla loggia regionale “Insubria” del Rito Simbolico Italiano presso la casa massonica milanese, sede delle logge cittadine e del Collegio circoscrizionale, in via … Continua
A Pesaro presentato “Rinato nella pietra”, l’ultimo libro di Marco Rocchi
Nella libreria Il Catalogo di Pesaro è stato presentato il 23 ottobre il libro “Rinato nella pietra” edito da Tipheret. Il volumetto, che affronta alcuni aspetti della “Psicologia e antropologia della iniziazione massonica”, è stato scritto da Marco Rocchi, attualmente maestro venerabile della Loggia Antonio Jorio (1042) di Pesaro, e si arricchisce di tre contributi … Continua
La Magna Charta Libertatum. Ottocento anni di evoluzione di diritti. Conferenza ad Arezzo il 30 ottobre
La Biblioteca massonica di Arezzo continua a ospitare interessanti iniziative culturali. La prossima sarà il 30 ottobre ed è organizzata dal Rito Scozzese cittadino in collaborazione proprio con la Biblioteca dell’Oriente di Arezzo. Si parlerà della Magna Charta che quest’anno celebra otto secoli dalla sua promulgazione. “La Magna Charta Libertatum. Ottocento anni di evoluzione dei diritti” è … Continua
lunedì 26 ottobre 2015
Nasce il Capitolo dell'Arco Reale "Knight of Heredom" di Cagliari
Prende vita a Cagliari un nuovo Capitolo dei Liberi Muratori dell’Arco Reale, dal titolo distintivo “Knight of Heredom n°85”.
Il Sommo Sacerdote del Gran Capitolo Generale d’Italia, l’Ecc.mo Compagno Tiziano Busca, con suo Decreto, ha costituito in un Capitolo dell’Arco Reale 15 Compagni provenienti dal Capitolo Libertas Cepola n° 75 di Quartu Sant’Elena.
I Compagni fondatori del Capitolo, tutti Maestri Muratori della Loggia Heredom 1224, Emulation Lodge di Cagliari, hanno inteso attribuire al Capitolo il nome di “Knight of Heredom”, ossia il Cavaliere che proviene da Heredom, per rappresentare il naturale percorso liberomuratorio, tradizionale dei paesi anglosassoni, che prevede, dopo il passaggio nei gradi azzurri del Craft, il perfezionamento del grado di Maestro Muratore, ossia l’Arco Reale, e quindi l’Ordine cavalleresco dei Cavalieri Templari.
Nei paesi anglosassoni ogni Loggia di Liberi Muratori possiede un suo Capitolo, da cui prende il nome, per consentire ai propri Maestri Muratori di concludere un percorso che, altrimenti, risulterebbe incompleto.
Ed è per questo che la scelta del Nome e dello Stemma del Capitolo Knight of Heredom non sono affatto casuali: essi si richiamano alla Loggia di provenienza dei Compagni, e derivano da ragioni storiche, tradizionali e simboliche a loro assai care.
Il termine “Heredom” ci riporta idealmente al XII secolo, al tempo del regno di Davide I, re degli Scozzesi, quando si sarebbe originata la tradizione del Royal Order of Scotland (Ordine Reale di Scozia), forse il più antico ed alto Ordine Massonico.
Al termine “Heredom” si possono ascrivere ben quattro diverse valenze:
I Compagni fondatori del Capitolo, tutti Maestri Muratori della Loggia Heredom 1224, Emulation Lodge di Cagliari, hanno inteso attribuire al Capitolo il nome di “Knight of Heredom”, ossia il Cavaliere che proviene da Heredom, per rappresentare il naturale percorso liberomuratorio, tradizionale dei paesi anglosassoni, che prevede, dopo il passaggio nei gradi azzurri del Craft, il perfezionamento del grado di Maestro Muratore, ossia l’Arco Reale, e quindi l’Ordine cavalleresco dei Cavalieri Templari.
Nei paesi anglosassoni ogni Loggia di Liberi Muratori possiede un suo Capitolo, da cui prende il nome, per consentire ai propri Maestri Muratori di concludere un percorso che, altrimenti, risulterebbe incompleto.
Ed è per questo che la scelta del Nome e dello Stemma del Capitolo Knight of Heredom non sono affatto casuali: essi si richiamano alla Loggia di provenienza dei Compagni, e derivano da ragioni storiche, tradizionali e simboliche a loro assai care.
Il termine “Heredom” ci riporta idealmente al XII secolo, al tempo del regno di Davide I, re degli Scozzesi, quando si sarebbe originata la tradizione del Royal Order of Scotland (Ordine Reale di Scozia), forse il più antico ed alto Ordine Massonico.
Al termine “Heredom” si possono ascrivere ben quattro diverse valenze:
- Quella di eredità templare, per cui sarebbe la deformazione di “heirdom”, formata da “heir” (erede) e dal suffisso “dom”. Quindi Heredom significherebbe l’infusione e la congiunzione della tradizione templare in quella della Massoneria. A supporto di tale leggendaria ascendenza si adduce la data di fondazione dell’Ordine Reale di Scozia, ossia il 1314, coincidente con l’eclissi storica templare;
- Quella di qualifica muratoria, per cui “Heredom” sarebbe la deformazione di “harodim”, temine ebraico che nell’Antico Testamento (Libro dei Re 5, 15-16 e Cronache 11, 18) designa i capi degli operai del Tempio di Salomone;
- Quella di casa o luogo santo: in tal caso “Heredom” viene ricondotto al greco “hieros” (sacro) e “domo” (casa), fenomenologicamente omologato alla “Casa dello Spirito Santo”;
- Quella di montagna sacra, per cui “Heredom” sarebbe una vetta ubicata in Scozia, ai piedi della quale si sarebbero rifugiati i Cavalieri Templari sfuggiti alla persecuzione francese, prima di fondare con il re Robert Bruce, la Loggia Madre di Kilwinning, la più antica Loggia massonica conosciuta al mondo.
Invito alla 329a Tornata di Loggia - Venerdì 30 Ottobre 2015
Carissimo Signore e Fratello,
Sei cordialmente invitato a partecipare alla 329a Tornata di questa Loggia che si terrà presso il Tempio n° 2 della Casa dei Liberi Muratori di Piazza Indipendenza 1 a Cagliari, il prossimo Venerdì 30 Ottobre 2015, alle ore 19,30 per le ore 20.00.
Durante questa Tornata verrà celebrata la Cerimonia di Passaggio al Grado di Compagno di Mestiere Libero Muratore del Fr. F.A.
Scarica l'Agenda dei Lavori dall'area Riservata.
Su comando del Maestro Venerabile.
Sinceramente e Fraternamente
Fr. B.L.,
Segretario
Fede e Ragione, i valori universali riletti da Fabio Maria Crivelli e fissati in un suo scritto massonico
di Gianfranco Murtas (www.fondazionesardinia.eu)
Siamo ad un nuovo 24 ottobre. Questo segna il sesto anniversario della morte di Fabio Maria Crivelli, per un quarto di secolo direttore de L’Unione Sarda, protagonista – dal suo ufficio redazionale – della vita civile cagliaritana e sarda da lui marcata dettando linee editoriali, o politico-editoriali, comunque di impatto sul vasto pubblico di lettori e meritevoli di un ripasso critico, fuori dalle contingenze alleate o avversarie. Il tempo è propizio, lo è non da oggi. Ma ciò ancora è mancato e manca, ed è un torto grande che il suo giornale – che pur tanto ha prodotto, a latere della tiratura del quotidiano, con le collane monografiche – ha reso alla sua memoria, perfino inventando anni addietro un premio a lui intitolato, ma che invece di andare a sostenere ricerche originali, tanto più di giovani studiosi e/o magari qualche tesi di laurea illustrativa ed interprete delle fatiche della testata (e della sua storica direzione), s’è perduto nelle scontate passerelle di vanagloria, dei riconoscimenti al giro degli amabili.
A me, per il tanto che sento incombere sulla coscienza ed i doveri o i debiti dell’amicizia discreta, spetta ancora di onorare tanto nome e tanta dirittura, presentando alcuni materiali forse poco noti, o del tutto ignoti, o forse dimenticati che egli ha consegnato nel tempo fertile della sua missione, a chi poteva da essi trarre spunto per elaborazioni chiamale intellettuali o civili, e direi prima di tutto morali, perché collocate sul fronte delicato dei nessi fra l’essere e il darsi sociale.
Ho detto e scritto varie volte della sua militanza liberomuratoria, a tanto autorizzato da quanto egli stesso ritenne di comunicare, attraverso una lunga lettera pubblicata sul suo vecchio giornale il 24 ottobre (coincidenze di calendario!) 1993, all’indomani della puramente pettegola ostensione delle liste degli appartenenti alle logge sarde. Allora – mi si conceda questo rapido appunto di testimonianza – ci si sorprese da più parti, e soprattutto dalla sinistra ex PCI fattasi PDS (alcuni cui esponenti cercavano, e non trovarono, i nomi dei loro compagni da crocifiggere), della presenza di nomi nobili della intellettualità democratica e progressista isolana, da Vindice Ribichesu a Virgilio Lai, da Gianfranco Contu a, appunto, Fabio Maria Crivelli, ad altri cinquanta portatori dei migliori valori della multianime cultura repubblicana e socialista, liberale e cattolico-liberale, radicale ed autonomista radicatasi nella nostra storia. Ché la Massoneria è e deve essere teatro di coscienze libere e anticonformiste, aperte e cercatrici o costruttrici del nuovo, benché gelose custodi della tradizione intesa come dinamico e vitale deposito di sapienza umanistica (e per questo credo che le sbandate penosamente destrorse di molti o troppi, negli ultimi vent’anni, siano valse come una bestemmia: ché un massone è spirito naturaliter critico verso formalismi e convenzioni dottrinarie, è problematico ed antiplebiscitario per marchio di coscienza, coltiva il senso dello Stato e capisce la differenza fra uno statista e un demagogo, sa bene che gli onori alla bandiera – simbolo di una comunità allignata nella democrazia di tanto faticata conquista – non possono essere offesi dalle rozze convenienze elettorali di alcuno, anche di incolti ministri faciloni, populisti e spergiuri. Niente a che vedere, evidentemente, con la statura degli epigoni cavouriani e fedeli monarchici della destra storica a molti dei quali si deve, prima e di fianco a Garibaldi gran maestro, l’impianto iniziale dell’Obbedienza nazionale).
Qui ricorderò soltanto che l’adesione di Fabio Maria Crivelli alla Massoneria del Grande Oriente d’Italia, nelle forme ritenute allora più opportune (essendo egli direttore in carica del giornale), avvenne il 25 settembre 1970, pochi giorni dopo le solenni celebrazioni del centenario della storica e santa breccia di Porta Pia. L’adesione ideale, e comunque formale, si tradusse però in militanza di servizio, con il grado di Maestro, soltanto il 23 aprile 1985, nel tempo della cincinnatica quiescenza sinnaese, all’interno della loggia cagliaritana portante il titolo distintivo di Sardegna (con sede ancora a Genneruxi). Il 17 marzo dell’anno successivo egli assunse le funzioni di 2° Sorvegliante (terza dignità dell’ensemble rituale) della Francesco Ciusa, nel frattempo gemmata – anche con il suo qualificante contributo – dalla loggia madre.
Intanto, il 3 febbraio 1986, aveva “tracciato” – come usa dirsi nel simbolico linguaggio muratorio – una tavola dal titolo “Pascal e Voltaire: Fede e Ragione”. Undici cartelle dattiloscritte, con diverse correzioni a mano, ch’egli mi volle poi donare, con altre carte, ed una cui sintesi apparve sul numero di aprile 1986 della rivista ufficiale del GOI, “Hiram”.
Ripubblicai quel testo nel quaderno “omaggio a Fabio Maria Crivelli – Il giornalismo, il teatro, la memorialistica, la massoneria”, uscito nel secondo anniversario della morte, il 24 ottobre 2011, ad alcuni mesi di distanza da un reading che allestii – era il 29 gennaio 2011 – a palazzo Sanjust, contando sulla generosa partecipazione di amici lettori, fra i quali alcuni ragazzi dell’istituto scolastico Meucci.
Ad onorare la memoria di Fabio Maria Crivelli può valere oggi riproporre quelle pagine che, a leggerle attentamente, rivelano anche aspetti della più intima biografia del suo estensore, fino a farsi scoperte nelle ultime righe, commoventi e virtualmente testamentarie.
Pascal e Voltaire, una lettura cagliaritana
«Oltre tre secoli fa, il 19 agosto 1662, moriva, a soli trentanove anni di età, Blaise Pascal, uno dei grandi maestri del pensiero europeo, colui che ancora resta alfiere del misticismo cattolico nella tormentata storia dell’evoluzione religiosa che in ogni epoca è stata ricca di contrasti ripensamenti, cadute e conquiste. Pascal morì dopo una lunga agonia nella cella di Port Royal, il monastero dei solitari che aveva scelto come dimora nove anni prima, dopo la celebre “notte di fuoco” che aveva radicalmente cambiato il corso della sua esistenza. Di questa agonia, illuminata da momenti di altissima spiritualità e rattristata da dispute che a noi, uomini del ventesimo secolo, possono apparire perfino assurde, ci ha lasciato una precisa descrizione la sorella Gilberte, la stessa che più tardi provvide a raccogliere e a tramandare attraverso la stampa alcuni dei più importanti scritti disseminati confusamente dal fratello nel tormentato epilogo della sua vita terrena. Pascal, che non aveva mai goduto di buona salute, cadde gravemente ammalato nel gennaio di quel 1662; per molti mesi continuò, se pur costretto a letto, a lavorare a quella che avrebbe dovuto essere la sua opera più importante e alla quale intendeva dare il titolo di “Apologia della religione”; ma il male gli concedeva solo poche tregue durante le quali tracciava su dei foglietti quei pensieri sublimi che furono poi pubblicati, a molti anni di distanza, e che pur nella loro frammentarietà costituiscono un’opera di altissimo valore letterario e spirituale. Egli sentiva avvicinarsi la fine e polemizzava con i medici che invece – non so se per pietà o per scarsa perizia professionale – continuavano a negare la gravità del male e lo curavano con i rimedi empirici in voga nell’epoca. Pascal ambiva solo a vivere le sue ore estreme in perfetta armonia con la sua fede ardente; nell’ultima settimana implorava di continuo il sacerdote che veniva a confortarlo perché gli desse la comunione; ma questi non poteva impartirgli il sacramento perché a causa delle medicina ingerite di continuo non era in quello stato di digiuno che allora la Chiesa imponeva per la somministrazione dell’Eucaristia. Solo all’ultimo momento, quando dopo un gravissimo collasso che per un po’ lo lasciò come morto si riebbe con uno sforzo che a molti fece pensare ad un miracolo, il sacerdote accorse ed entrando nella stanza col sacramento gridò al morente: “Ecco Colui che avete tanto desiderato”. Pascal ebbe ancora la forza di alzarsi a metà, di sollevare il capo, di aprire il volto ad un sorriso che esprimeva una sorta di disperata felicità. Ricevette l’estremo viatico lacrimando e mentre il curato lo benediva disse le ultime parole: “Il Signore non mi abbandoni mai”.
«Oltre un secolo dopo, il 30 maggio del 1778, moriva a Parigi, all’età di 84 anni, Francois Marie Arouet, un altro grande maestro del pensiero umano, quello che tutto il mondo conosce col nome di Voltaire. La sua fine, il suo passaggio all’Oriente Eterno, fu molto più rapido, apparve a quelli che vi assistettero come il sereno tramonto di una lunghissima giornata, senza i tormenti e l’atmosfera di tragedia che accompagna il chiudersi delle esistenze umane. Voltaire si trovava a Parigi da qualche mese, vi era giunto dal castello di Ferney, in cui trascorreva una felice vecchiaia dopo i lunghi anni di lotte, di persecuzioni, di arresti e di esili che i suoi scritti gli avevano procurato. Era venuto nella capitale di quella Francia che ormai si apriva all’età dei Lumi per assistere alla rappresentazione della sua tragedia “Irene”, accolto con grandi onori e invitato a molte feste e banchetti. Si ammalò al termine di una settimana che sembrò celebrare l’apoteosi della sua vita e morì senza quasi soffrire. Ebbe il tempo di dire, in piena lucidità di spirito, queste parole in cui mirabilmente pare riassumersi tutta la sua lezione e il significato stesso della sua vicenda esistenziale: “Muoio adorando Dio, amando i fratelli, non odiando i miei nemici e detestando la superstizione”.
«Spero non sembri strano se nel tentare un raffronto fra due grandi figure della storia del pensiero, fra due uomini che primeggiano nell’arte sublime di aprire davanti alle menti mortali il difficile cammino della inesausta ricerca di valori e verità che trascendono la banale casualità del vivere, io ho cominciato descrivendo l’ultimo momento delle loro esistenze, il momento fatale che chiude il più o meno breve passaggio su questa terra per proiettarsi nell’immenso mistero dell’Aldilà. Ma mi è sembrato di cogliere, ripescandone il racconto da giovanili letture, proprio in quei due momenti, in quei due modi di morire, un significato che meglio può illuminarci sulle differenze, sulla contrapposizione, diciamo pure sul contrasto di fondo che ha separato e separa le due sfere intellettuali nelle quali si sono mossi Blaise Pascal, col suo anelito all’avventura mistica, e Voltaire con il rigore della sua razionalità.
«Un raffronto, sia detto subito, che è fatalmente soggetto a personali influssi di interpretazione e che io ho tentato, fermamente, di sottrarre agli infiniti giudizi che in tre secoli sono andati accumulandosi attorno alle due grandi figure, coll’alterno prevalere di consensi e di critiche, assai spesso con una radicalizzazione estrema che finisce col trasfigurare gli stessi connotati spirituali della materia in discussione.
Pensiero e umanità di Pascal. «Pascal è fuor di dubbio il campione della Fede; oggi nel mondo cattolico non esiste più nessuno, io credo, che non sia pronto a riconoscerlo come tale, e l’accanimento nei suoi confronti dei Gesuiti suoi contemporanei può solo essere compreso inserendolo nell’oscurità di un secolo in cui il Giansenismo, al quale egli si ispirava, veniva a turbare quello spirito di controriforma che dominava nelle alte gerarchie del clero e vedeva la Chiesa tutta dominata dalle forme di una Religione esplicata esteriormente e con rigido riconoscimento delle proprie gerarchie. Il giovanissimo genio che in pochi anni impone il suo nome all’attenzione del mondo con una serie di scoperte scientifiche, con l’enunciazione di principi matematici e geometrici di enorme importanza, con sperimentazioni che aprono nuovi orizzonti allo studio della Fisica, improvvisamente irrompe nel campo della filosofia e della teologia e rinnegando tutte le sue precedenti attitudini afferma che quelle scienze astratte non sono fatte per l’uomo; da ora in poi, egli proclama, consacrerà la sua mente alla Fede, e tutta la sua vita volgerà alla pratica della virtù, alla lotta contro le “tre conoscenze”, alla mortificazione della carne, alla frequentazione e alla cura dei sofferenti, tanto più cari quanto più malati e miseri. E infatti, da quel momento, salvo un oscuro periodo di mondanità sul quale sono fiorite molte controversie e illazioni senza prove, Pascal si dedica solo alla stesura di quelle opere (“Lettere provinciali”, “I pensieri”) che lo collocheranno nelle cime più alte della letteratura francese di ogni tempo.
«La sua decisione di abbandonare il mondo e di ritirarsi in quel monastero di Port Royal che diverrà la roccaforte del Giansenismo è preceduta da un momento di estasi che egli stesso poi definirà la sua “notte di fuoco”; entrato nella Chiesa del Monastero, dove si era recato per una visita alla sorella maggior, Jacqueline, che contro il parere dei familiari vi si era rinchiusa qualche anno prima, Blaise, dopo aver ascoltato il sermone del celebrante, rimane solo davanti al Crocifisso e “vede e sente la presenza di Dio”, trascorre molte ore in una specie di sublime deliquio, perde ogni nozione del tempo e del luogo. Quando esce dallo stato di estasi, traccia con mano tremante il ricordo delle ore indimenticabili su un foglietto che da allora fino alla morte porterà cucito all’interno egli abiti e scrive: “Certezza, certezza, sentimento, gioia, pace”.
«Siamo, fuor di dubbio, davanti ad una vera ed esplosiva crisi di conversione mistica; Pascal che già aveva posto a fondamento della sua fede la ragione e il costume ora vi aggiunge, anzi vi sovrappone, quel terzo elemento che nei “Pensieri” chiamerà “l’ispirazione”; da quel momento, anzi, gli altri due fattori perderanno per lui sempre più d’importanza e imboccherà una strada – che a molti sembrerà vicina all’eresia – per la quale il ragionamento, la filosofia, i precetti teologici possono addirittura divenire pericolosi e fuorvianti nella ricerca della Fede, nell’accostamento al Mistero di Gesù, nella conquista della salvezza. Nascono le grandi parole pascaliane, nasce quello stile limpido, della limpidezza impeccabile del cristallo, gelo e fuoco ad un tempo, che procede ora per brevi proposizioni ora per periodi involuti e complicatissimi. Talvolta il cristallo ha bagliori e guizzi, e allora, come ha scritto un critico, “hai quelle parolette alate, quei lembi di cielo, quel senso di mistero che ti strappano un grido o un singhiozzo”.
«Chi di noi, almeno una volta nella vita, non ha sentito d’improvviso messa in dubbio ogni razionale certezza nel ricordare la sua celebre frase “Tu non mi cercheresti se non mi avessi trovato”, o non si è sentito pronto a credere che “il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”?
«Partito dalla scienza, dalla più inesorabile e limpida delle scienze, la matematica, Pascal ha finito con il ritrarsene tanto che alla fine la sete del sapere non è più che una concupiscenza da combattere come le altre. Diventa allora evidente che non si può assolutamente considerare Pascal come un filosofo sistematico; i frutti delle sue analisi, spogliati della poesia che li avvolge, diventano discutibili; avrà buon giuoco Voltaire un secolo dopo a denunciare la fragilità razionale, il groviglio di contraddizioni in cui questa ricerca della verità si perde, la stranezza di un procedere verso concetti sublimi poggiando più su aforismi che su meditate progressioni logiche.
«Forse Voltaire nel suo giudizio critico ha calcato la mano quando ha affermato che Pascal era il “genio degenerato” a cui il cristianesimo aveva turbato la ragione fino al punto che durante gli ultimi anni della sua vita “vedeva sempre un abisso accanto alla sua poltrona”; ma è un fatto che la visione della vita umana vista con gli occhi del pensare di Port Royal è priva di ogni consolatoria fiducia nella possibilità di un progresso basato sulle proprie forze; la vita è per lui solo un perfido mare nel quale siamo tutti abbandonati a noi stessi e la religione – acquisita per via d’istinto e non per ragionata scelta – diventa l’unico rifugio di un’anima tormentata e debole davanti al baratro.
«E ancora: per Pascal l’uomo è un essere pieno di contraddizioni, vuole la felicità e non è in grado di procurarsela, le cose lo seducono, finché non sono sue: quando diventano sue egli ne scorge la vanità e la labilità. Anche le facoltà intellettuali dell’uomo si contraddicono, i sensi lo ingannano la fantasia lo fuorvia, la ragione stessa gli è fonte d’errore. Se scendiamo alla profondità del nostro io ecco il nostro cuore, abisso di un tempo infinito e vuoto, perpetuamente incolmabile, perpetuamente aspirante a colmarsi. Ed ecco il nostro bisogno di sfuggire di continuo a noi stessi, di distrarci dal pensiero di vivere questa vita pur già tanto breve e fuggitiva.
«E’ difficile, davanti a queste argomentazioni che appartengono tutte a “I pensieri”, la maggiore opera di Pascal, negare, come pur fanno molti suoi apologeti, ch’egli non sia un pessimista. Ma è un pessimismo che ha un valore dialettico, perché dopo aver così distrutto tutto il campo delle attività umane e dimostrato il nulla della felicità e della ragione, gli errori dei filosofi e l’inconsistenza degli empirici, Pascal fa finalmente spuntare dalle tenebre un lumicino; e può così dirci che se l’uomo in tanto volgere di secoli e di sventure non ha mai smarrito la forza di vivere è perché uno spiraglio gli si è aperto, non in fondo alla mente, ma in fondo al cuore. E’ la rivincita del sentimento contro la fredda razionalità, è la ricerca di Dio attraverso una precognizione della metafisica, è anche – come troppe volte – una giravolta contraddittoria cui Pascal s’abbandona. Perché dopo averci così a lungo dipinto l’uomo come un esile fuscello in balìa di tempeste che non gli danno scampo, eccolo scrivere una frase sublime che stando alla logica è l’esatto contrario di tutte le affermazioni precedenti. “Quand’anche l’uomo lo schiacciasse – scrive Pascal – l’uomo sarebbe più nobile di ciò che l’uccide, perché sa di morire mentre l’universo ignora il vantaggio che ha su di lui”.
«Mi pare dunque indubitabile che la dialettica entro la quale si muove il pensiero pascaliano anziché procedere rettilinea non è che l’impronta tortuosa di una sua profonda inquietudine, e che se proprio vogliamo accettare l’idea ch’egli abbia una sua filosofia dobbiamo definirla una filosofia dell’intuito, dell’istinto, del cuore, la quale lo conduce alla religione cattolica e ne fa uno dei massimi esponenti, uno dei più abili propugnatori e propagandisti.
Pensiero e umanità di Voltaire. «Voltaire si muove su sponde assai diverse e, a mio giudizio, decisamente più accostabili per l’uomo che oggi, come ieri, voglia avvicinarsi al mistero dell’esistenza senza abbandonarsi alle tentazioni dell’estasi mistica. Al centro del suo pensiero e del suo insegnamento sta l’illuminismo della ragione, la pratica della tolleranza, la fiducia nella cultura e nel progresso. Ed è davvero singolare che molti degli stessi critici che hanno compiuto sforzi prodigiosi per difendere Pascal dall’obiettiva accusa di pessimismo non esitino poi un momento ad accusare invece Voltaire di “sorridente o irridente pessimismo”. Basterebbe il racconto della lunga e fattiva vita di questa straordinaria figura per distruggere l’accusa dei suoi avversari; i tanti anni passati nell’accogliere e soccorrere i perseguitati, i poveri, le vittime di un potere tutto dominato dalla prepotenza e dai rigori di leggi ingiuste; le case che fece costruire per i senza setto, gli aiuti ai contadini sfruttati, le battaglie per modificar legislazioni inique.
«La vita di questo patriarca dell’illuminismo francese, che domina con le sue opere il cosiddetto secolo d’oro, non fu mai priva di triboli; l’imprigionamento alla Bastiglia contrassegna la sua giovinezza, l’esilio per sfuggire a nuovi arresti accompagna gli anni della maturità. Solo quando il malcontento generale avvicina la Francia al momento dei grandi cambiamenti che sfoceranno, dopo la sua morte, nella Rivoluzione, i potenti si accorgono che Voltaire con le sue intuizioni, col suo senso già moderno della storia con le sue prediche sulla suprema necessità della tolleranza, ha suonato un campanello d’allarme che potrebbe ancora evitare il peggio. Ma gli avversari non demorderanno né allora né dopo e anzi, con un errato senno del poi, accuseranno Voltaire di avere seminato con i suoi ragionamenti e le sue denunce quei germi che faranno fiorire la rivoluzione fino agli eccessi più sanguinosi e distruttivi. Senza tener in nessun conto il fatto che la prima condanna pronunciata dai giacobini trionfanti è proprio – anche se solo postuma – contro Voltaire e i suoi scritti.
«Altrettanto assurda e pur persistente è l’accusa che i suoi avversari hanno levato, e continuano a levare, contro Voltaire, quando lo definiscono un genio dell’ateismo. Basterebbe ricordare le parole pronunciate al momento della morte per smentire tale accusa, se non esistessero anche migliaia di pagine fra tutti i suoi scritti a dimostrare la sua assoluta certezza di una Presenza superiore, di una Provvidenza, di un Essere Supremo che ha originato il mondo e gli ha dato ordine, leggi, bellezza. Certo il Dio al quale si volge, adorandolo, nel momento supremo, Voltaire, ha connotati diversi da quello terribile misterioso di cui parla continuamente Pascal; ed è proprio qui che si scontrano le loro concezioni, è qui che risalta in modo nettissimo questo che è un confronto tra Fede e Ragione. Mentre il giansenista si batte con tutto l’ardore di un ispirato, di un mistico, di un passionario, per la verità unica e non dimostrabile di una sola religione, Voltaire mette a confronto tutte le esperienze religiose, non ne condanna a priori nessuna, apre all’uomo e alla sua intelligenza un ampio ventaglio di scelte che esaltano la sua libertà, la sua fondamentale sete di verità, il suo diritto alla conoscenza e alla ricerca della felicità. Perciò tutta la sua battaglia di pensatore è in favore dell’uomo e contro i mali che insidiano l’esistenza umana: il fanatismo, la superstizione, l’autocrazia, il pregiudizio, l’imperfetta conoscenza delle cose, la mancanza di chiarezza, i dogmi calati dall’alto e non discutibili. Certo, la sua visione del mondo non è tutta ottimistica e quando si diverte ad inventare Pangloss, il personaggio che è convinto di vivere nel migliore dei mondi, egli amaramente e polemicamente vuole mostrarci come, purtroppo, anche nei paesi più civili regnino la stupidità e l’ignoranza, infurino le guerre e gli odi, l’infelicità generale sia la regola e non l’eccezione.
«E tuttavia, se non ci fermiamo al solo “Candido” e leggiamo con pari attenzione le altre e tutte ugualmente notevoli opere di Voltaire, noi scopriremo che la fede di Voltaire nell’uomo visto come soggetto e come oggetto della ragione, è il vero filo conduttore della sua filosofia e che egli, lungi dall’arrendersi di fronte ad un Fato soverchiante, ha invece l’incrollabile convinzione che la sofferenza umana si può diminuire e abolire con l’intelligenza e con la cultura. Quell’invito a coltivare il proprio giardino che conclude la scintillante prosa di “Candido” non è un passivo e disilluso segnale di abbandono o di resa, ma l’incitamento ad un raccoglimento spirituale che occorre all’uomo, provato da mille sciagure, per ricominciare dall’interno del proprio io, della propria coscienza, la scelta di nuove strade, di nuove avventure, nell’eterna ricerca della saggezza e della virtù.
«A questo punto il suo contrasto di fondo con Pascal appare totale. Del resto provvide lo stesso Voltaire a renderlo visibile davanti ai posteri. Una delle sue famose venticinque lettere è tutta dedicata a controbattere, punto per punto, i più celebri “Pensieri” pascaliani. Scritto con una prosa in cui la chiarezza assume il vigore e la precisione delle occasioni più felici, questo saggio di Voltaire meriterebbe di essere letto e riletto per intero. Basterà qui, a titolo d’esempio, riportarne un paio di frasi per capire come il filosofo della Ragione, dopo aver affermato di ammirare il genio e l’eloquenza di Pascal, senta irresistibile l’impulso a combatterne le idee accusandolo, fin dalle prime righe, di mostrare l’uomo sotto una luce odiosa, di essersi accanito a dipingerci tutti come cattivi e infelici, di avere “con molta eloquenza lanciato ingiurie al genere umano”.
«Aveva infatti scritto l’autore giansenista nei suoi “Pensieri”: “Considerando la cecità e la miseria dell’uomo, e questi impressionanti contrasti che si scoprono nella sua natura e vedendo tutto l’universo muto, e l’uomo senza luce, abbandonato a se stesso, e come smarrito in questo angolo dell’universo senza sapere chi ve lo abbia messo, che cosa sia venuto a farvi, che cosa diventerà dopo la morte, sono preso dal terrore, come un uomo che trasportato dormiente su un’isola deserta e spaventato si svegliasse senza sapere dov’è, e senza avere la possibilità di uscirne, e mi meraviglio che non si sia colti dalla disperazione per uno stato così miserabile”.
«Il contrappunto di Voltaire a questa desolata visione è stringente e logico. Egli scrive: “Per conto mio quando guardo Parigi o Londra non vedo alcuna ragione per farmi prendere da questa disperazione di cui parla Pascal; vedo una città che non somiglia affatto ad un’isola deserta; ma popolosa, ricca, civile, nella quale gli uomini sono felici come la natura umana comporta. Quale saggio si sentirà pieno di disperazione perché sconosce la natura del suo pensiero, perché conosce solo alcuni attributi della materia, perché Dio non gli ha rivelato i suoi segreti? Bisognerebbe altrettanto disperarsi di non avere quattro piedi e due ali. Perché ispirarci orrore per il nostro essere? La nostra esistenza non è così infelice come vogliono farci credere. Guardare l’universo come un carcere oscuro e tutti gli uomini come dei criminali da giustiziare, è pensare da fanatico. Credere che il mondo sia un luogo di delizie nel quale non si debba avere che piaceri, è il sogno di un sibarita. Pensare che la terra, gli uomini e gli animali sono quello che debbono essere nell’ordine della Provvidenza è, credo, da uomo saggio”.
«C’è un altro punto in cui la contrapposizione fra Voltaire e Pascal tocca il nodo essenziale della loro diversità davanti al problema religioso. Pascal aveva scritto: “Si esaminino tutte le religioni del mondo e si veda se ve n’è un’altra, oltre la cristiana, che sia soddisfacente. Sarà forse quella che insegnavano i filosofi che ci propongono come bene supremo un bene che è in noi? E’ forse questo il vero bene?”.
«Voltaire si ribella a questo concetto costrittivo, sente messi sotto accusa tutti i suoi grandi maestri del passato, Aristotile, Platone, Pitagora, e replica: “I filosofi non hanno insegnato alcuna religione, non è la loro filosofia che si tratta di combattere. Mai alcun filosofo si è detto ispirato da Dio, perché da quel momento avrebbe cessato di essere filosofo e avrebbe fatto il profeta”.
«Ed ecco, infine, un altro momento di questo duello a distanza in cui lo scontro di due intelletti, di due concezioni, di due modi di guardare oltre l’orizzonte terreno, assume il massimo dell’asprezza dialettica. Pascal, con quel suo stile fatto di ardori improvvisi e spinti quasi al limite del paradosso, aveva scritto: “Non scommettere che Dio esiste significa scommettere che non esiste. Cosa preferite allora? Valutiamo il guadagno e la perdita; optando per l’esistenza di Dio se vincete, vincete tutto; se perdete non perdete niente. Dunque scommettete che esiste, senza esitare”.
«Voltaire si ribella a questa esortazione; la sua replica sale ai toni più duri e scrive: “E’ una evidente falsità il dire “non scommettere che Dio esiste è lo stesso che scommettere che non esiste; infatti chi dubita e chiede di essere illuminato non scommette certamente né a favore né contro. D’altra parte questo argomento appare piuttosto indecente e puerile; questa idea di gioco, di perdita e di guadagno, con si conviene alla gravità dell’argomento; inoltre l’interesse che ho di credere in una cosa non è una prova dell’esistenza di questa cosa. Mi promettete il dominio del mondo se credo che avete ragione; spero allora, con tutto il cuore, che voi abbiate ragione; ma sinché non me lo avete provato non posso credervi. Si potrebbe dire a Pascal: cominciate col convincere la mia ragione”.
«Mi pare che a questo punto della mia riflessione – forzatamente basata su un gran numero di citazioni – il confronto fra i due grandi pensatori, fra un Pascal che è senza dubbio il sostenitore di una fede tutta basata sull’ispirazione, sulla rivelazione che ci raggiunge nel fondo dell’anima per vie trascendentali, sul principio assiomatico che la ragione è tanto al di sotto della fede quanto il finito è al di sotto dell’infinito, e un Voltaire che è il combattente indomito di una razionalità in grazia della quale l’uomo non è un piccolo essere insignificante in balia di forze sovrannaturali che ne decidono il destino per il presente e per il futuro, ma, al contrario, il soggetto della storia, capace per le sue qualità intellettuali di perseguire il progresso e la salvezza, possa considerarsi concluso.
«Uno scrittore italiano, Gianni Nicoletti, nella prefazione ad una delle tante versioni italiane delle opere di Voltaire, ha dato di lui un giudizio che vuol essere positivo e che a me pare, invece, riduttivo. Nicoletti scrive che “è falso dire che Voltaire tolse le illusioni al mondo; constatò semplicemente che illusioni non ce n’erano”, e aggiunge che “ancora oggi insegna a non prendere per arcobaleno una bolla di sapone: una saggezza limitata, ma sempre meglio di tante follie”.
«Io credo invece che Voltaire fece assai di più: sostituì alle false e pericolose illusioni, cui sempre l’umanità è esposta il concetto e l’invito alla speranza temprata dal rigore della ragione; senza precludergli la visione dell’infinto in cui un Grande Architetto vigila e disegna il meraviglioso ordine delle cose, Voltaire ha dato all’uomo anche degli insegnamenti e delle regole che rendano meno difficile e meno penoso il suo percorso terreno.
Conclusioni in chiave personale. «Desidero concludere aggiungendo alla biografia di Voltaire un’annotazione che assai di rado si trova negli innumerevoli libri che sono stati scritti sulla sua vita e sulle sue opere. Il 7aprile 1778, durante quel suo ultimo e trionfale ritorno a Parigi, poco più di un mese prima della morte improvvisa, il grande letterato e scrittore francese volle entrare ufficialmente nella Massoneria e fu iniziato nella Logga delle Nove Sorelle, di cui era Maestro Venerabile il famoso astronomo Lalande. Voltaire fece il suo ingresso nel Tempio guidato da Beniamino Franklin, allora ambasciatore a Parigi, si sottopose al rituale e fu alla fine ammesso a sedere fra le colonne.
«Vi confesso che leggendo questa annotazione e immaginando la scena di questo grande Patriarca dello spirito, di questo genio del pensiero, che già ottantaquattrenne, al tramonto della sua vita, entra in un Tempio che nelle sue linee essenziali è uguale a questo in cui noi ora sediamo, che riceve con umiltà quell’iniziazione che noi tutti abbiamo ricevuto, presta il giuramento che noi anche abbiamo prestato, e in grazia di tutto ciò diviene per noi, uomini comuni, un nostro fratello, io mi sono sentito preso da un vivo senso di emozione, di fierezza, di consapevole giubilo. Penso che anche voi proverete la stessa sensazione; ed è per questo momento di commozione e anche per quel grande principio di tolleranza che Voltaire ci ha trasmesso, che forse mi perdonerete – io spero – il tedio che vi ho inflitto con questa mia faticosa lettura; e che scuserete anche le imperfezioni di stile e di sostanza in cui posso essere caduto nell’affrontare una tematica fatta di così alti e complessi principi, assai distante da quella mia consueta pratica di giornalista commentatore delle piccole realtà quotidiane, modesto cronista dell’effimero. E con questa speranza vi ringrazio».
martedì 20 ottobre 2015
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