venerdì 13 novembre 2015

13 Ottobre: Filippo il Bello arresta i Templari (nasce così la leggenda nera del “Venerdì’ 13”)


Era Venerdì, era il 13 Ottobre, era l’anno domini 1307: scattava durante le prime ore dell’alba in tutta la Francia l’operazione che il re aveva concepito quasi un mese prima (il 14 Settembre) e che aveva ordito in segreto fino ad allora. L’obiettivo era arrestare tutti i templari presenti sul territorio francese e sequestrarne i beni. L’ordine in tal senso era stato diramato da tempo a tutti i balivi ed i siniscalchi del regno, con l’imposizione di tacerne fino alla data stabilita, che era appunto venerdì 13 ottobre, data che proprio da questo episodio divenne simbolo e metafora di “grande sciagura” e sfortuna.
L’operazione, mirabile per efficienza e segretezza per quei tempi, porterà all’arresto simultaneo di 546 cavalieri. Pochi quelli che riuscirono a fuggire: un documento degli archivi reali parla di una dozzina di templari scampati alla cattura, probabilmente furono assai di più (durante il processo si fecero i nomi di altri 18 cavalieri in contumacia), mentre da altre fonti si ha notizia di 40 cavalieri in fuga nella notte, fra i quali Gerard de Vilche il maestro di Francia e il nipote di Hugues de Pairaud, che avrebbe poi progettato con un compagno un vano tentativo di vendetta teso ad assassinare il re.
La “preda” più ambita dell’operazione (oltre al tesoro dell’Ordine) era ovviamente il Gran Maestro Jacques de Molay, che pare fosse stato avvisato, ma non volle, e non potè, sottrarsi all’arresto. Conosceva ovviamente le accuse rivolte all’Ordine del Tempio (blasfemia, eresia, sodomia), ed era probabilmente sicuro, in cuor suo, di poter difendere con successo se stesso e l’ìnterno ordine templare. Fuggire in quella circostanza avrebbe significato ammettere le colpe addebitate. Appena il giorno prima, il 12 Ottobre, lo stesso Gran Maestro si era trovato al fianco del re, alle esequie di Catherine de Courtenay, moglie di Carlo di Valois, fratello di Filippo il Bello, come se niente fosse. Poche ore dopo sarebbe finito in catene per ordine dello stesso Filippo.
Jaques de Molay ed i suoi confratelli, pur sconvolti dal precipitare degli eventi, erano probabilmente sicuri di poter confutare le accuse, e fidavano su un più diretto e incisivo intervento del Papa Clemente V a loro difesa.
Non facevano i conti, quegli uomini, con la forze costrittiva della tortura, applicata scientificamente dagli inquisitori del re.
LA PRIMA APPLICAZIONE “MODERNA” DELLA TORTURA
Alain Demurger, uno dei principali studiosi della vicenda Templare, ha notate che con la tortura moderna, nasce anche lo stato moderno. Con i beni confiscati ai Templari, il re di Francia non solo risanerà le proprie casse, ma favorirà anche la crescita di una ricca borghesia nazionale, distribuendo ad essa la gestione e la conduzione di molte attività che prima appartenevano all’Ordine del Tempio. Così si spiega anche il relativo “consenso” pubblico che ebbe in patria l’azione spregiudicata di Filippo il Bello, nonostante la sua evidente iniquità e violenza.
Una pratica, quella della tortura applicata ai templari, che derivava dall’Inquisizione e dalla consuetudini del tempo, ma che in questa occasione venne usata per la prima volta in modo, appunto,“moderno”, per condizionare un intero gruppo di persone, sgretolare le resistenze individuali, e produrre un’unica rappresentazione, ovviamente “colpevole”, dei fatti, ed indurre così gli stessi imputati a sentirsi colpevoli ed apparire colpevoli anche all’opinione pubblica. Si può dire che quello ai templari fu probabilmente il primo “processo stalinista” della storia. Certo faceva impressione vedere quei cavalieri che non avevano mai avuto paura di morire nelle loro battaglie in Terrasanta, cedere così alle pratiche degli inquisitori (un annichilimento dovuto anche ad un timore al quale non erano preparati: l’isolamento ed il rigetto dallo stesso mondo religioso che avevano giurato di difendere). Questo li faceva credere ancor più colpevoli da parte della gente comune. Per dimostrare pubblicamente la loro innocenza i templari avrebbero dovuto in pratica scegliere il martirio, resistere ad indicibili sofferenze, insomma mantenere collettivamente un comportamento sovrumano che era al di là di ogni capacità di sopportazione fisica e psicologica. E così in molti cedettero, fra questi lo stesso Gran Maestro, de Molay, che pare sia stato crocifisso ad una porta, e sbattuto miseramente appeso ad essa con i chiodi. Ad altri vennero bruciate le estremità degli arti, e dovettero presentarsi al processo recando in grembo i resti dei propri piedi carbonizzati.
Quando il 27 Ottobre arriverà a Parigi la nota di protesta del Papa per l’arresto in massa dei templari senza il consenso preventivo della Chiesa (“Con quest’azione improvvisa tutti provano non senza ragione un oltraggioso disprezzo verso di noi e la chiesa di Roma”), le cose saranno profondamente cambiate. Molti templari avevano cominciato a confessare, sotto tortura, le accuse che erano state loro rivolte dal re (“dallo sputo sulla croce al momento dell’iniziazione, alla sodomia imposta ed accettata fra confratelli, a pratiche eretiche ed idolatriche”), e la loro difesa religiosa diventava più complessa e difficile. Anche perché era in atto da tempo, fra il re di Francia ed il papato, una acerrima contesa politica, con vari sottofondi economici, che si protraeva fin dai tempi di Benedetto VIII e del padre dell’attuale re di Francia.
E’ comunque smentita da documenti storici, alcuni rinvenuti poco tempo fa, che la corona ed il papa abbiano trovato reciproche convenienze nell’abbattere l’Ordine cavalleresco del Tempio. Anzi è provato che la chiesa non emise alcuna condanna nei confronti dei templari e del loro gran maestro De Molay. Per cui l’esito finale della vicenda (il rogo di De Molay e degli altri templari) resta da attribuire interamente a Filippo il Bello. Mentre a Clemente V, per altro gravemente ammalato, e agli uomini della Chiesa di Roma, può essere addebitata unicamente la pavidità nel non aver saputo difendere più strenuamente lo stesso ordine. Pur con le dovute eccezioni, come quella dell’arcivescono di Ravenna, Rinaldo da Concorezzo, che si rifiutò di applicare la tortura e ritenne nulla ogni confessione estorta con tali metodi, e mandò assolti i cavalieri templari sottoposti al suo giudizio. E’ stata questo il primo pronunciamento giuridico moderno contro la tortura.
LA CRISI MISTICA DI FILIPPO IL BELLO E LA FALSA PROMESSA DI PARTIRE PER LA TERRA SANTA
Né si deve però ritenere che l’unica molla del comportamento di Filippo il Bello sia stato il danaro. Ci fu infatti anche una concomitante e profonda crisi mistica causata dalla morte della moglie, Giovanna, avvenuta nel 1305. In seguito a questa crisi Filippo, preoccupato anche per la sua salute, moltiplicò i peregrinaggi, le fondazioni religiose, le donazioni a istituti ecclesiastici e ospedali. Spinto da un’ossessione di “purezza” religiosa, nel 1306 giunse a bandire tutti gli ebrei dalla Francia. E ci fu probabilmente la stessa componente mistica nella “purificazione” dell’Ordine Templare. Su questa ossessione aveva buon gioco a soffiare un personaggio inquietante come il suo consigliere Guillaume de Nogaret, una sorta di Rasputin, che ebbe un ruolo non secondario nella persecuzione dei Templari.
Ma certo le mire sul tesoro e sulle immense ricchezze dei templari non furono secondarie. Filippo il Bello ebbe problemi di denaro per tutta la durata del suo regno. Ed utilizzò ogni mezzo per ottenerlo: imposte, operazioni di cambio della valuta, spoliazione degli ebrei e dei lombardi (in pratica con interventi di “nazionalizzazione” forzata delle loro banche). Ma il bottino più grosso – ed anche più risanante per le sue casse – fu certo la confisca dei beni templari (e naturalmente l’annullamento dei debiti che aveva contratto nei confronti del Tempio). Nello stesso tempo Filippo il Bello riuscì a razionalizzare e soprattutto a portare totalmente sotto il controllo centrale e nazionale l’amministrazione finanziaria dello stato, sottraendola all’influenza sentita come estranea, “straniera”, dei finanzieri ebrei, degli italiani e degli stessi templari.
Prima di arrivare allo scontro frontale, Filippo il Bello aveva tentato anche la carta della blandizia e delle promesse. Nel 1305, due anni prima dell’operazione contro il Tempio, aveva promesso, durante il Concilio di Vienna, di prendere le armi ed andare a combattere in Terra Santa. Per questa promessa – mai mantenuta -. aveva ottenuto sei anni di decime e benefici fiscali. Ma solo la spogliazione dei templari darà vero “respiro” all’economia del regno di Francia.
Ma erano proprio così ricchi i Templari? La risposta non può che essere affermativa. Bastano alcune considerazioni per confermarlo: innanzi tutto il calcolo della rendita necessaria per mantenere un solo cavaliere in Terrasanta, non bastavano 10mila ettari, e solo questo dà l’idea di quanto estese dovessero essere le proprietà dell’Ordine, fra l’altro gestite e coltivare con i metodi più moderni ed efficienti del tempo. Inoltre dal momento che non tutto il tesoro templare era finito nelle mani del Re, c’è chi ritiene che la fortuna finanziaria di alcuni stati confinanti, come ad esempio la Svizzera (la cui bandiera, guarda caso, è proprio la croce templare con colori rovesciati (il bianco in campo rosso anziché la croce rossa sul campo bianco), sia cominciata proprio dall’esodo dei superstiti templari dalla Francia.
ANCHE LA STORIA DELLA PIRATERIA E’ LEGATA A QUEL “VENERDI’ 13”
In quella occasione sparì nel nulla, dal porto di La Rochelle, anche l’intera flotta templare che issava come bandiera del teschio con le ossa incrociate. Bandiera che apparirà ancora, qualche secolo dopo, sulle navi dei “fratelli della costa” che aveva come basi le insenature dei lontani Caraibi.
Forse non tutti sanno che molti dei più noti comandanti di navi pirata erano massoni di discendenza templare (come il famoso capitan Kidd). Che sulle loro navi si applicava una sorta di assoluta democrazia (ogni testa, un voto), che gli stessi comandanti erano eletti o destituiti per alzata di mano, che alle famiglie dei morti o dei feriti in battaglia era riservata una specie di “previdenza”, assegnando loro una parte del bottino. E che il trattamento goduto dai marinai sulle navi pirata era spesso migliore di quello che le Regie Marine europee riservavano alle loro ciurme. Anche questa è stata una conseguenza di quel fatidico “venerdì 13”.