lunedì 4 aprile 2016

Gran Loggia 2016. “La spiritualità che unisce”. Confronto su un’idea che anche la fisica moderna comincia a considerare (video)


“La spiritualità che unisce” è il tema scelto dalla Massoneria del Grande Oriente d’Italia per la tavola rotonda che si è tenuta nella seconda giornata riminese di lavori della Gran Loggia 2016. Un’occasione straordinaria per guardare da una prospettiva tarata sui grandi interrogativi che da sempre costellano il cammino dell’uomo questo particolare tempo della nostra vicenda umana segnato da crisi profondissime e da gravi conflitti. Al dibattito, moderato dal giornalista Claudio Giomini, hanno preso parte Luca Anziani, vice moderatore della Tavola Valdese, Arturo Diaconale, giornalista e consigliere Rai, l’imam di Firenze Izzedin Elzir, la storica Anna Foa, la teologa Marinella Perroni e il vaticanista Marco Politi. E se sono stati tanti e variegati i modi in cui ciascuno dei relatori ha declinato l’idea di spiritualità, tutti l’hanno descritta, al di là del suo intrecciarsi o meno con la religione, come un percorso che porta ad uno stato di consapevolezza alto, che ci dà la misura della nostra capacità di rapportarci con noi stessi e quindi di confrontarci con gli altri. E di dialogo infatti si è molto parlato come antidoto a quello che sta accadendo intorno a noi, al terrorismo, al sangue che scorre, alle guerre, all’esodo inarrestabile di popolazioni che fuggono dalla miseria e dalle persecuzioni.
Luca Anziani, chiediamoci qual è il posto dell’uomo in questo tempo. Sul dialogo ha incentrato il suo intervento il vice moderatore della Tavola Valdese, che ha sottolineato la sintonia che esiste in questo momento con la Massoneria, con la quale la sua comunità condivide una “forte coscienza di paese come sistema e in un contesto globale europeo e una forte responsabilità nel mettere in atto dal punto di vista culturale e politico nuovi meccanismi di collaborazione e di dialogo”. “Io coniugo il dialogo –ha detto – come un’etica. E volendo contestualizzare questo concetto, bisogna chiedersi perché il dialogo è una necessità. E’ facile comprendere quanto bisogno abbia il nostro paese, per non parlare dell’Europa, di luce. E ogni luce accesa insieme è una buona cosa. Viviamo in un’epoca di scarsa memoria sia individuale che collettiva, di incapacità di collaborazione”. “Esempio concreto di questo momento oscuro –ha sottolineato Anziani- è la scelta razzista, nazista e xenofoba che parte dell’Europa a livello governativo o a livello culturale e trasversale ha messo in atto. Noi siamo grati al signore di averci dato la possibilità di avere soldi degli italiani, l’8 per mille, per poter aprire corridoi umanitari insieme alla comunità di Sant’Egidio, che permettono a uomini, donne e bambini di arrivare nel nostro paese e in Europa senza correre il rischio di morire nelle traversate della speranza. E’ una goccia in mezzo al mare. Ma è una responsabilità”. “Penso – ha proseguito- che oggi dobbiamo chiederci non tanto quale sia il posto di Dio in questo tempo, ma piuttosto qual è il posto dell’uomo in questo tempo. E cioè come riuscire a coniugare la nostra appartenenza a una fede o meno alla sfera pubblica. Come passare dal mio particolare al nostro plurale. Come portare la chiesa, la sinagoga, il tempio nella piazza, cioè, nella nostra fattispecie, nelle vicende degli italiani”. “Il dialogo oggi è – ha osservato Anziani- è una testimonianza, la testimonianza del possibile davanti alla negatività dell’impossibile e dell’inutile. Dialogare non è una necessità, è l’unica possibilità e la tentazione forte è quella di chiudersi, di non vedere, di non sapere, di non guardare, mentre invece chi preferisce il buio, garantisce al male di sopravvivere. Il dialogo va collegato ad un atto concreto che è l’etica della speranza. Per me l’etica della speranza ha un fondamento teologico, che è l’etica di Dio. E il primo punto è che Dio ha scelto un patto per confrontarsi con l’umanità. Ma il tema del patto, del donarsi, del venire incontro è un tema di grande importanza anche nella sfera non religiosa. L’unico libro che dovrebbe essere intoccabile per noi italiani e che ci unisce, è un libro che parla proprio di un patto: è la Costituzione, che è un patto fatto da generazioni che non andavano assolutamente d’accordo, quella generazione che 70 anni fa scelse di prendere coscienza di un paese che doveva risorgere. L’etica della speranza è un’etica dell’apertura. E il dialogo è la forma concreta della responsabilità delle donne e degli uomini liberi, cioè dei cittadini, mentre la chiusura, gli assolutismi sono la forma concreta della servitù dei sudditi. Ebbene, a 70 anni dalla nascita della Repubblica noi non vogliamo tornare ad essere sudditi”.
Arturo Diaconale, separare nettamente i valori religiosi da quelli della società. E se il dialogo è una delle modalità per favorire l’integrazione tra culture diverse, ce n’è anche un’altra che è quella e dell’educazione. E alla domanda “quale può essere in questo il ruolo della Rai ?” Arturo Diaconale ha risposto sottolineando l’importanza del “servizio pubblico nell’ affrontare le tematiche di questo momento, la conflittualità che esiste nel nostro paese, le realtà molteplici che si agitano e che sono sempre realtà aspre e difficili da conciliare”. “Il servizio pubblico –ha detto il consigliere Rai- ha fatto gli italiani, ha dato loro un’identità, che è composta di tante diversità. E se vuole rimanere pubblico deve essere pluralista e diversificato, deve essere lo specchio di un paese dove vivono tante realtà diverse”. Ma Diaconale è poi voluto tornare ai temi della spiritualità, affrontandola da “un punto di vista laico”, e del dialogo. “Il dialogo – ha detto- non si può realizzare soltanto con la buona volontà e con i buoni sentimenti. Il tema del dialogo presuppone un terreno comune e valori condivisi. Senza di questo non è possibile sviluppare quella spiritualità laica che è legata ai valori fondanti della società. Io non mi appello al Dio cristiano, a quello ebraico, o a quello islamico, che è sempre lo stesso Dio con sfaccettature diverse e che non ha prodotto dialogo, ma guerre e che è un Dio totalitario in tutte le versioni”. “Se si vuole sviluppare un dialogo proficuo – ha spiegato – dobbiamo partire dalla separazione netta tra valori religiosi e i valori che riguardano invece la vita associativa di un paese. Facciamo riferimento alla Costituzione, che fissa una serie di valori che rappresentano la condizione per il dialogo. Valori di cui ci dobbiamo ricordare come quello della parità tra gli uomini di fronte alla legge che si deve applicare realmente. Se noi facciamo i corridoi umanitari e portiamo nel nostro paese flussi di persone che poi releghiamo in campi di concentramento o confiniamo in periferie senza servizi e ai quali non diamo una prospettiva di lavoro, a cui non diamo la dignità della persona, noi creiamo non le condizioni del dialogo ma per una futura conflittualità, noi creiamo brodo di coltura del futuro terrorismo, perché noi dobbiamo garantire a queste persone condizioni di vita che sono previste dalla nostra costituzione, non possiamo essere ipocriti”. Diaconale ha fatto poi l’esempio di San Francesco che andò dal sultano per proporgli la pace e tornò indietro, “perché allora come adesso non c’era un conflitto di religione, ma un conflitto politico, di egemonia e di forza e in cui la religione era soltanto la copertura di altre questioni”. “Allora – ha domandato- perché buttare su questo terreno questioni che sono brutalmente politiche, economiche, finanziarie che noi dobbiamo avere il coraggio di affrontare con concretezza e trovando soluzioni concrete. Certo per trovare queste soluzioni ci vuole la buona volontà. Ben venga ma se non se non produce risultati, o produce i risultati che sono quelli che abbiamo sotto gli occhi oggi in Europa, dove abbiamo creato le condizioni per quello che è successo. Dobbiamo riconoscere gli errori per correggerli e questi errori sono enormi. Questo è il momento della correzione degli errori”.
Izzedin Elzir, dobbiamo avere il coraggio di ammettere i nostri errori. L’importanza della integrazione nel rispetto della diversità è stata al centro dell’intervento di Izzedine Elzir. “Ognuno di noi – ha detto l’imam di Firenze- ha una spiritualità diversa, una fede diversa. Noi spesso abbiamo paura di ciò che non unisce. Ma se vogliamo costruire un futuro migliore dobbiamo conoscere le diversità e dobbiamo apprezzarle, perché sono una ricchezza e non cancellarle e considerare chi non la pensa come noi un nemico da eliminare. Ma questo passa attraverso il dialogo, un dialogo come è stato detto basato proprio valori condivisi e che spesso è difficile e complicato, perché ognuno cerca di affermare la propria opinione”. “Come esseri umani – ha aggiunto l’Imam- sbagliamo, ma dobbiamo aver il coraggio di chiederci dove abbiamo sbagliato. Oggi si parla di terrorismo in Europa. Abbiamo il coraggio di dire tutti quanti che abbiamo fallito? Perché se un fratello uccide suo fratello per qualsiasi motivo, non è un fallimento di noi esseri umani? Questi ragazzi dove sono cresciuti? Sono cresciuti nella nostra scuola pubblica, hanno visto la nostra tv, i nostri film. Non sono passati dalla moschea, ma dal carcere e poi da un maestro cattivo fino ad arrivare a diventare terroristi. La nostra responsabilità, io come rappresentante di una comunità islamica assumo la colpa su di me. La nostra politica dove è? Dove siamo tutti noi che dobbiamo dare un contributo ad una cultura nuova e apprezzare la diversità, che è una risorsa. Dove sono gli spazi del dialogo e del confronto? Questo per un po’ di tempo l’abbiamo dimenticato o non l’abbiamo voluto. Ben venga la laicità accogliente, ben venga la separazione tra stato e chiesa. Ma dobbiamo avere il coraggio di lavorare per l’attuazione della nostra Costituzione che sancisce principi bellissimi, che non possono essere messi in pratica, perché mancano le leggi per farlo. Abbiamo l’articolo 8 che parla della libertà religiosa, ma a 70 anni dalla sua elaborazione non esiste ancora una norma”. “Oggi –ha riferito l’imam- in tutta l’Italia abbiamo cinque moschee e più di mille sale di preghiera, che non sono degne né della comunità islamica né del nostro paese, che è conosciuto a livello mondiale per l’arte e la cultura. Le fedi religiose dovrebbero essere uno strumento di pace non di guerra. Il mio invito è di non attribuire le azioni di terrorismo, firmata da musulmani, alla fede islamica. Dobbiamo trovare spazi di dialogo e confronto che ci permettano di crescere. A chi arriva spesso non diamo niente. E chi li accoglie ha trasformato spesso la sua attività in business. Abbiamo bisogno di lavorare all’interno delle nostre comunità ma insieme, di fronte al terrorismo –ha aggiunto facendo riferimento ai giornalisti- dobbiamo essere uniti e responsabili, dobbiamo essere vigili del fuoco e non incendiari. Dobbiamo impegnarci e lavorare per crescere e per la nostra libertà”.
Anna Foa, la spiritualità è un potente strumento che veicola il dialogo. In che modo la spiritualità può servire alla crescita della società? Deve recidere le sue radice religiose? Esiste un’intercambiabilità tra laici e religiosi in nome della libertà di pensiero, della democrazia, dei valori positivi? E quali effetti ha avuto la religiosità nel corso della storia? Sono gli interrogativi sollevati nel suo intervento da Anna Foa. “Sono tuttora convinta – è stata la sua risposta- che quella che chiamiamo spiritualità ma che in genere possiamo definire come un atteggiamento lontano dalla materialità, lontano dall’egoismo, lontano da una concezione incurante degli altri e della società, può essere di grande aiuto. La religione lo è stato, ad esempio, nei campi di sterminio nazisti. In molti casi avere un ideale che ti porta verso gli altri è importante. E’ importante avere valori condivisi oggi nella lotta contro il terrorismo. La minaccia che abbiamo dinanzi coinvolge tutti, anche gli stessi musulmani, come dimostrano le stragi che avvengono ogni giorno lontano da noi e di cui si parla poco”. “Noi europei – ha aggiunto la storica- perdiamo se non ci alleiamo con quella parte del mondo musulmano che ha tutto da perdere dalla vittoria del fondamentalismo islamico. E’ una questione di realismo politico non di buoni sentimenti. Noi perdiamo se non cerchiamo di aprirci e di dialogare, se innalziamo muri e barriere, cedendo a una sollecitazione di nazionalismo come sta facendo l’Europa orientale erede del comunismo e del nazionalismo comunista che è quanto di peggio possa esserci”. Tuttavia, secondo Foa, per avviare il confronto con l’Islam c’è un grosso ostacolo da superare, che è quello del rapporto uomo e donna. “Credo che quel mondo musulmano che è qui da noi e vuole integrarsi deve agire dall’interno per accelerare quel processo di superamento dello stato di inferiorità della donna come del resto è avvenuto qui da noi”.
Marinella Perroni, la spiritualità è una conquista quotidiana. “Teologa che si è occupata della questione di genere, una cattolica, orgogliosa di esserlp e appartenente a quello schieramento conciliare che in questi anni spesso è stato ridotto al silenzio e marginalizzato. E per di più biblista, che è una carta perdente”. Così si è presentata al pubblico Marinella Perroni, lamentando il dilagare dell’analfabetismo religioso della nostra epoca, che ha frenato e continua a frenare la capacità di interlocuzione e di dialogo. “Mettendo da parte lo studio della Bibbia, trascurando quel rapporto che ci insegna ad avere con Dio, abbiamo perso l’occasione -ha detto riferendosi all’ambito cattolico- di costruire una piattaforma dalla quale far partire il confronto anche con gli altri. Io – ha aggiunto- mi considero vetero rispetto al tempo nuovo che si sta delineando. Per di più -ha rimarcato- io ho delle difficoltà con la parola spiritualità, che, almeno nel gergo tipico della tradizione cattolica, io trovo una delle cose più deleterie che esistono, perchè rappresenta la fissazione di codici religiosi ristretti, normalmente asfittici di quella che è invece una esperienza religiosa aperta. Codici che appartengono a movimenti e gruppi e ordini religiosi che strozzano la fede”. “Preferisco -ha spiegato- pensare alla spiritualità come a una conquista quotidiana. E mi piacerebbe che venisse stimolata negli uomini la capacità critica, la capacità di scegliere, di capire quale è il bene che oggi ci sentiamo di sottoscrivere”.
Marco Politi, l’etica ha un valore solo se è sociale. “Non esistono valori religiosi con il bollino totalmente separati da valori laici diversi con il bollino. Io penso che all’interno della nostra società frastagliata, disorientata e tormentata alla fine ciò che conta è il valore umano, quale che siano le sue radici o motivazioni. Lo ha sottolineato prendendo poi la parola Marco Politi, giornalista vaticanista, autore del libro “Francesco tra i lupi. Il segreto di una rivoluzione”, pubblicato da Laterza. “L’impiegato musulmano -ha detto- che l’anno scorso a gennaio a Parigi nel supermarket kosher ha salvato decine di ostaggi ebrei ha agito per religione, in nome della laicità della Repubblica o ha agito per un valore umano di solidarietà immediato. Io credo sia questo quello che conta, con cui immedesimarsi”. “L’etica -ha sottolineato politica- ha un valore solo se è sociale, nel momento in cui l’uomo si rapporta con l’uomo. Io ho in mente uno dei capolavori di Mozart, che il Flauto magico che uno dei capolavori dell’illuminismo massonico del Settecento. C’è una celebre aria in cui c’è Salastro, che all’inizio dell’opera sembra il cattivo, ma che alla fine si rivela il principe della luce e della conoscenza, che è appena sfuggito a un tentativo di assassinio e la colpevole sta ancora lì con il coltello in mano tremante in attesa della punizione. E allora Salastro canta: in queste sacre sale non si conosce la vendetta, e se un uomo è caduto noi lo riportiamo al suo dovere, perchè siamo in uno spazio in cui l’uomo ama l’uomo. Ecco – ha rimarcato Politi- questo senso del dovere che si ritrova anche nel motto di questa Gran Loggia ci rimanda al carattere necessario dell’etica. L’uomo è un animale politico diceva Aristotele, cioè appartenente alla polis alla comunità cittadina di cui è protagonista responsabile ma a cui lui deve anche il servizio dovuto alla patria. Questo senso di rapporto orizzontale lo troviamo in altri patrimoni religiosi, nel cristianesimo “Ama il prossimo tuo come te stesso” e nell’ebraismo nell’esortazione “Ricordati quando eri schiavo in Egitto” o nel concetto di misericordia. E nell’Islam, quando nel Corano Dio dice ‘io avrei potuto creare una sola tribù ma non ho voluto, ho voluto creare diversi popoli” a conferma del riconoscimento della diversità e dello stimolo a creare relazioni tra i diversi”.
L’onorificenza Giordano Bruno al fisico Claudio Verzegnassi
Ha concluso il dibattito il Gran Maestro Stefano Bisi, che insieme al Grande Oratore Claudio Bonvecchio, ha consegnato l’onorificenza Giordano Bruno classe argento al fisico Claudio Verzegnassi, che ha insegnato all’Università di Udine e ha lavorato al Cern. Un uomo, uno scienziato, ha detto Bonvecchio, che ha saputo coniugare didattica e ricerca e il dovere della conoscenza con la dimensione della spiritualità che è propria della tradizione massonica.
Rimanendo nel tema del tema della tavola rotonda Verzegnassi ha spiegato che la fisica moderna ha un contenuto di spiritualità incredibile, poco noto. “Negli ultimi 20 anni -ha riferito lo scienziato- è stata costretta a ipotizzare, sulla base di varie scoperte, che nell’universo esistano due forme di energia, una forma di energia materiale e una forma di energia spirituale che viene chiamata oscura, non perché non splenda, ma perché nessuno capisce cosa sia. Non solo. Sapete, ha chiesto, come è nato l’universo? E’ nato da un’infinita energia spirituale concentrata in un unico punto materiale, un’energia che a un certo punto si è espansa, provocando quello che si chiama big bang e dando così origine alla materia. Da qui si è sviluppata  una nuova visione della fisica, in cui il materialismo è stato sostituito dall’idea che ci sia qualcosa di spirituale nell’universo”.