mercoledì 14 settembre 2016

Inno al Logos - Seconda parte


di Filippo Goti



Il termine "logos" può essere tradotto in molteplici modi, in quanto storicamente ha assunto connotazioni diverse. Non è quindi importante stabilire il senso originale di tale termine, quanto piuttosto i significati che esso ha di volta in volta rivestito nella riflessione filosofica greca e, più in generale, occidentale. Presso i filosofi dell’antica Grecia "Logos" poteva indicare sia il "discorso" (lat. ratio, o-ratio), sia il "calcolo". Già per Eraclito, però, è necessario distinguere tra logos o ragione individuale e logos universale: tutti gli uomini, partecipano a una "legge universale", a un "ordine universale" (altro significato di "logos"), se solo distolgono lo sguardo dalle cose terrene e caduche. Questo Logos universale, è identificato anche con il "fuoco" divino, che vive dentro tutti gli uomini. Con Platone il "Logos" diventa la capacità di fare dei discorsi veri, in grado di resistere al fuoco confutatorio della dialettica. Nel "Sofista" le idee partecipando tanto dell'identico, quanto del diverso, comunicano tra di loro e rendono possibile quella "complicazione", "comunicazione" che sola assicura il discorso (logos), ossia il pensiero. Con Platone si ha quindi il passaggio tra "discorso" e "ragione": il logos diventa la capacità di fare discorsi veri. Platone poi distinguerà la conoscenza come formata da diversi gradi di perfezionamento ("Immaginazione"/eikasìa; "credenza"/pìstis; "ragione"/diànoia; "intellezione"/nòesis). Lo spostamento del significato semantico del termine "logos" dal senso originario eracliteo ("fuoco divino" "Ragione universale") a quello platonico ("discorso vero") è perfezionato da Aristotele che fonda la "logica" poiché scienza del pensiero e del linguaggio. Per Aristotele, sul piano spirituale, è invece fondamentale l'intelletto "attivo", il nous, facoltà comune all'uomo e a Dio, che permette di pensare quel pensiero che Dio ha di se stesso (Etica Nicomachea). Per Plotino si deve distinguere tra la mera ragione "calcolante" (loghismòs) e la capacità di cogliere l'altro pensiero (logos) che determina l'impulso ascetico come cammino di progressivo distacco verso l'Uno, ma la facoltà capace d'identificarsi con l'Uno è l'"intelletto", lo "spirito", il noùs. Fu comunque Filone d'Alessandria, ebreo ellenizzato, a elaborare le originarie concezioni giudaiche, identificando il pneuma (spirito) con il noùs (intelletto attivo aristotelico e del neoplatonismo). il ruah biblico fu quindi identificato con il nòus greco ed ecco il perché della celeberrima espressione "All'inizio era il Verbo". Infatti la Sapienza di Dio è identificata da Filone con il mondo delle idee platoniche o degli archetipi contenuti nella mente di Dio. Questi pensieri divini ed eterni sono contenuti dall'eternità (dall'inizio) nella mente di Dio, che egli chiama logos, Ragione divina che governa il mondo (concetto per la verità anche stoico). All'"inizio era il Verbo" si riferisce proprio alla mente di Dio che contiene prima della creazione stessa, gli archetipi eterni.




Erroneo però sarebbe tradurre, ricondurre, o semplicemente associare il Logos a mediazione, o numero. Poiché esso non media fra Creatore, Creato, e Creatura, è egli stesso una creazione, e veicolo a sua volta di creazione. Mediare implica una reciproca volontà di sintetizzare due posizioni antitetiche, o comunque distanti. Può forse il Creatore, l'Origine Immanifesta, abbandonare la propria perfezione a favore di una condizione comunque deficitaria rispetto alla precedente ? Sicuramente ciò non è possibile. E' la creatura che trascendendo la creazione, e quindi se stessa, tende alla perfezione, e non certo il Creatore all'imperfezione. Ancora il Logos non è numero, o più precisamente non è solamente numero, giacché è anche strutturazione e regola: insieme. Cosa altro è il verbo se non un soffio di vita, articolato in espressione si compiuta ma anche dinamica. Il logos è l'aria che nasce dal fuoco del puro intelletto divino, che raffreddandosi si muta in delicata rugiada, a sua volta destinata a dare vita all'elemento terra.
 Il verbo è vita, senza ancora forma ma portatore in se di ogni idea e matrice di vita. Nel simbolismo cabbalistico la Lux Increata promana dai tre veli negativi, e s’infonde dando forma nel Grande Anziano (Kether), ed esso da vita alla creazione, ancora animata dal soffio divino, e dalla presenza divina. Assumendo quindi sembianze di un'onda sismica che si coagula nuclei, e successivamente da essi, assumendone le peculiarità, s’irradia verso altre direzioni. Il verbo assume significato di presenza divina, tanto che è detto che essa non si ritiri dalla Creazione, altrimenti questa seccherebbe come un canale in cui non scorre più acqua.
Per gli egizi il Ptah era il verbo, la parola dell'inconoscibile Nut. Il dio che forgia, e da vita ad Autum, il Re Sole. Il rapporto fra questa divinità e la misterica egizia può essere dedotto attraverso la lettura di un passo rinvenuto in una stele di Shabaka, sovrano della XXV dinastia: "Perché ogni parola divina ha origine a seconda di ciò che il cuore di Ptah ha pensato e che la sua lingua ha ordinato. Allo stesso modo furono create le fonti di energia vitale. Ancora possiamo leggere: "Ptah-Tatenem mise al mondo per prima cosa gli dei". Ptah striscia fuori dal grande lago oscuro, dalla fonte inconoscibile della vita, e solamente quando da essa è distinto, posto oltre i suoi limiti, ascende al ruolo di divinità creatrice, di Artigiano che crea e modella la materia, assumendo però le sembianze di Atum. Nel tempio di Menfi, città votata a Ptah, il gran sacerdote del dio porta il titolo significativo di Decano dei Mastri Artigiani, perché in quel recinto sacro erano tramandati gli insegnamenti delle arti operative e speculative: architettura, scultura, medicina, arti magiche, falegnameria, e oreficeria. Ptah deposita ogni segreto della creazione, che poi trasfonde sia a livello celestiale, che terreno ad altri artigiani, che modellano e riproducono in funzione delle proprie capacità.
Per gli gnostici alessandrini il Logos è il pensiero, il verbo divino, la Sophia, la prima ipostasi, che separata dalla coscienza che l'ha partorita, produce effetti. Essa determina un duplice disconoscimento fra Ente pensate, pensiero, e azione sottostante. L'organizzazione della materia, la creazione nel suo complesso, è frutto di un pensiero che non riproduce la totalità, l'unità, della fonte prima. Determinando una difformità fra creazione, pensiero, ed ente pensate (il quale è altro rispetto alla sorgente), sia un abbandono insostenibile, che provoca nell'uomo cosciente un ardente desiderio di ritorno, di abbandono della manifestazione poiché imperfetta.
 3. L'inno al Logos
In Principio era il Verbo. Il Verbo è l'inizio del tempo, il Verbo è il crinale che separa l'assoluto dall'irreversibilità della creazione stessa, poiché è un principio distintivo e separativo, che ammette un prima e un dopo. All’inizio era il Verbo, senza il Verbo non vi è stato un inizio ma cos’è il verbo ? Il verbo non è solamente un suono articolato, e non è neppure una semplice parola, ma è bensì la contestualizzazione e trasmissione di un’azione. Il Verbo assume quindi un aspetto dinamico, un imprimere forza, una manifestazione di volontà.
In Principio era il Verbo può essere interpretato in termini assoluti ed in termini relativi, nel primo caso si esclude che vi fosse altro prima del Verbo, ma come vedremo questo è incongruente con il seguito dell’Inno, nel secondo caso dobbiamo vedere questo Principio come la manifestazione di una Nuova volontà ordinatrice e creatrice, che si va a sovrapporre o rettificare altro.
Il passo Il verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio, può essere tradotto anche con il Verbo era presso il Dio (Padre), il Verbo era dio. Questo perchè in greco viene fatta distinzione fra Theos accompagnato dall'articolo determinativo (e che si riferisce al Padre) e Theos senza tale articolo che significa potenza, o dio, ma non dio Padre. Quindi se invece che una traduzione contestuale, si predilige una traduzione letterale, dobbiamo vedere il Logos come una divinità a se stante e non identitaria con Dio Padre. Ciò sarebbe in accordo con la teologia gnostica delle ipostasi, cioè delle creazioni sottostanti, ma anche con il dogma della Trinità. In entrambi i casi ci troviamo di fronte ad un elemento distintivo del Vangelo di Giovanni, che introduce la questione teologica in quella che per gli altri Vangeli è la semplice narrazione della vita e della morte di Gesù.
Che questo passo sia cruciale è evidenziato anche da traduzioni ebraiche, che nell’ottica dell’attesa messianica  indicano come il testo greco si riferisce al logos, e alla sua funzione, attraverso pronomi impersonali.  In tale ottica il Logos viene degradato da persona a semplice strumento o manifestazione o attributo divino. Quindi da agente di creazione, esso diviene strumento e leva di creazione. Ciò risponde ad una triplice esigenza. La prima quella di ricondurre il Vangelo di Giovanni, e il cristianesimo, all’interno dell’alveo della tradizione religiosa ebraica, la seconda è quello del perdurare dell’attesa messianica attraverso la rimozione del Logos incarnato in Cristo. Infine la terza negando la persona del Logos, si negano i presupposti tradizionali nel canone cristiano alla Trinità, e questo in accordo con la visione unitaria e monolitica di Dio da parte degli Ebrei.
Anche il passo tutto è stato fatto per mezzo di lui apre le porte ad un interrogativo: se tutto è fatto attraverso il Logos, come fa il Logos ad esistere al di fuori della sfera del Dio Padre ? Il Logos è un principio creatore increato ? Già in questo Prologo siamo in presenza del binomio teologico Generato e Creato ?! Oppure questo suggerisce una duplice creazione, aprendo così le porte allo gnosticismo dualista, o in alternativa alla teogonia ipostatica di Valentino ?! Sicuramente il Logos di Giovanni appare molto simile al Demiurgo Platonico, che posto al centro dell'Universo e del Tempo plasma la materia infondendo in essa sostanza tratta dal mondo delle idee. La forte attinenza del Prologo con la filosofia greca si ha anche nel concetto stesso di Logos creatore, che è sovrapponibile a quello stoico dove troviamo il logos spermatikòs: un principio igneo che diffonde la vita nella materia. Il Logos assume quindi le caratteristiche di un agente trasmutativo, così come in alchimia è il fuoco, unico fra gli elementi, che può determinare per sua presenza o assenza il cambiamento di stato degli componenti dell'universo.
 In tutta risposta i traduttori di cultura e religione ebraica si richiamano ad una traduzione del 1526 ad opera di Tyndale  “Tutte le cose sono state fatte da esso, e senza di essa, neppure una delle cose fatte è stata fatta.  In essa era la vita e la vita era la luce degli uomini.” Dove ovviamente non si vede il Logos come una persona divina, ma bensì come la parola divina e quindi un semplice attributo del Dio Padre.
 E' ancora interessante notare come in alcune comunità gnostiche questo passo veniva tradotto come:" Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui, il Niente è stato fatto di tutto ciò che esiste." In questo caso siamo innanzi ad un'impostazione gnostica dualistica prossima quindi al manicheismo o al catarismo (espressione gnostica tarda) che suggerisce non solo una doppia creazione, ma anche una differenza qualitativa fra le due creazioni in quanto non provenienti dalla stessa radice: Una che proviene dal Logos divino, ed una che proviene dal Nulla.
Impostazione dualistica che sembra avvalorata dai passi seguenti dove si parla delle Tenebre che non accolgono la Luce. Ovviamente la riflessione che scaturisce è se il Logos è Luce e tutto è stato creato tramite il Logos, chi ha creato gli uomini e le tenebre ?! Dove per i primi l'accogliere il Logos è discrimine fra vita e morte spirituale, e per le seconde che non lo accolgono di preesistenza in quanto la luce non può genere le tenebre, così come le tenebre non possono generare la luce.
Inoltre non possiamo notare l’interessante rapporto che l’estensore dell’Inno ha con il tempo e la sua linearità. Il tempo così importante per noi moderni, tanto da essere alla base del nostro processionare lungo la vita, con le sue cadenze socialmente imposte, per l’autore di questo brano pare essere una porosa membrana deflorata da logos, e dagli altri attori. Tutto ha inizio con il Logos, questi è l’agente che crea, però successivamente troviamo che sullo sfondo del tessuto narrativo si agitano già uomini e tenebra: i primi in attesa di luce e vita, e la seconda animata da spirito di sopraffazione. E’ un tempo diverso ?! Oppure un Logos diverso ?! Oppure ci troviamo innanzi ad elementi tipici della speculazione di Basilide che ci narra di un Cristo Igneo che di manifestazione in manifestazione ne assume la forma ad essa maggiormente indicata ?! Dove il tempo assume la duplice veste di elemento relativo all’insieme in cui il Logos agisce, e movimento esterno all’insieme del Logos stesso. Per gli antichi greci il tempo era circolare, tutto si ripeteva all’infinito. Nella tradizione ebraica il tempo ha un inizio, ma non ha una fine, in quanto l’assoggettamento dell’uomo alla volontà di Dio è un atto dovuto a prescindere il senso di questa legge e la finalità della medesima: un semplice meccanismo. Nella forma religiosa del cristianesimo esiste un tempo degli uomini che ha fine con la seconda venuta del Cristo, che è al contempo principio del tempo di Dio. Infine nello gnosticismo il tempo che cadenza la vita degli uomini ha fine relativamente al singolo gnostico che raggiunge la Gnosis, la quale lo pone oltre il flusso spazio temporale assumendo forma e contenuto di redenzione. Nell’Inno al Logos abbiamo che quest’ultimo irrompe nella vita degli uomini, alterando in coloro che lo accolgono la percezione del circostante. (Continua)
.