giovedì 22 settembre 2016

Oggi l'equinozio d'autunno


di Cesare Marco De Lorenzi



Oggi, 22 settembre 2016, alle ore 16,21 (ora legale italiana) in Italia,  accade l’equinozio d’autunno. Ovvero per un osservatore italiano, che si immagini sulla linea immaginaria dell’equatore, il sole si trova allo Zenit, ovvero del tutto sopra la sua testa. l’Equinozio, come il solstizio, è un momento, un attimo di allineamento.
La parola “equinozio” deriva dal latino e vuol dire “notte uguale”, riferendosi alla ripartizione della giornata in 12 ore diurne e 12 notturne che accade ogni anno solo due volte, in occasione appunto degli equinozi di primavera e d'autunno. Questa divisione del giorno in due è correlata al fenomeno delle stagioni sulla Terra. Il pianeta ruota su un asse con un angolo di 23,5 gradi rispetto al piano orbitale; ciò significa che mentre la Terra compie la sua orbita di 365 giorni, i due emisferi sono via via più o meno inclinati rispetto alla direttrice dei caldi raggi del Sole.
Sin dall’alba della vita l’equinozio d’autunno, carico di fascino, suggestione e mistero, ha rappresentato un evento importante per i popoli. Nella tradizione druidica l’equinozio d’autunno è chiamato Alban Elfed (Luce d’autunno) o Elued (Luce dell’acqua).
Esso rappresenta la seconda festività del raccolto, segnando la fine della mietitura, così come Lughnasad ne aveva segnato l’inizio… una festività dedicata a varie cerimonie religiose in cui si ringraziava la terra per i suoi doni ma di questi rituali non è rimasta nessuna documentazione. In Grecia tutte le cerimonie più significative si verificavano durante il mese dell’equinozio. In questo periodo, chiamato dai Beoti, Demetrio o Cererino, Atene celebrava le grandi Tesmophorie, in onore di Demetra, dea del grano. A queste seguivano le Eleusine, che si tenevano ad Eleusi.
Ai Grandi Misteri Eleusini tutti erano invitati, al di là dell’appartenenza sociale, purché parlassero la lingua greca e non fossero assassini. Vi si recava moltissima gente, anche grazie ad un periodo di tregua di 55 giorni, stabilito proprio per facilitare la partecipazione. Si trattava di una drammatizzazione del mito della discesa agli Inferi di Persefone, quindi una esperienza di buio e di tenebre, cui seguiva una esperienza di luce, una trasformazione dello stato interiore nella direzione dell’unificazione con la divinità. Pare, infatti, che alla fine del rito si contemplasse una spiga di grano. In seguito, la rinascita della vegetazione era l’aspetto mitico rivissuto nei Piccoli Misteri primaverili, segnati da purificazioni, digiuni e sacrifici; ma era un aspetto considerato “piccolo”, minore, rispetto alla fase dei Grandi Misteri in cui si poneva il seme spirituale della nuova nascita, il seme che deve morire per dare nuovamente origine alla vita.
Secondo il celebre “Ratto di Proserpina”, Persefone venne rapita da Ade, dio degli Inferi e del sottosuolo, invaghitosi di lei e deciso a farne la sua sposa e regina. Demetra, madre di Persefone e dea della terra e della fertilità, disperata per la sparizione dell’amata figlia, smise di generare le forme di vita terrestri che davano sostentamento ai viventi, gettando l’intera creazione nel panico, compresi gli stessi dei. Quando sembrò che Demetra fosse riuscita a riottenere la figlia grazie alla intercessione di altre divinità tra cui Ecate; Ade fece mangiare a Persefone un seme di melograno, cibo infero, legandola così per sempre al sottosuolo e a dover periodicamente tornare da lui. Fu così che i nostri antichi predecessori spiegarono lo scorrere delle stagioni, poiché autunno e inverno sono lo specchio della disperazione di Demetra nei sei mesi in cui Persefone, divisa tra l’amore della madre e quello del suo sposo oscuro, è costretta a tornare negli inferi; mesi in cui la terra è triste e piena di nostalgia, rifiutando di generare.
Nella mitologia celtica, l’Equinozio d’autunno è indicato col nome di Mabon, il giovane dio della vegetazione e dei raccolti, il cui simbolo chiave è la cornucopia, la cesta senza fondo dalla quale sgorga, come una cascata, tutto il cibo che si desidera. Indicato col nome di Maponus nelle iscrizioni romano-britanne, è il figlio di Modron, la Dea Madre: rapito tre notti dopo la sua nascita, venne imprigionato per lunghi anni fino al giorno in cui venne liberato da Culhwch, cugino di Re Artù mentre altre leggende raccontano che venne salvato da un gufo, un’aquila ed un salmone. A causa del soggiorno ad Annwn, Mabon rimase giovane per sempre. Il suo rapimento è l’equivalente celtico del rapimento greco di Persefone: un simbolo evidente dei frutti della terra immagazzinati in luoghi sicuri per poi essere sacrificati per dare la vita agli uomini.
Non a caso Mabon è il tempo del seme, ossia è il tempo di raccogliere dagli ultimi frutti ben maturi i semi che serviranno l’anno successivo a darci da mangiare, essiccandoli all’aria e all’ombra, conservandoli al buio e all’asciutto in sacchetti di carta con scritto il nome, aspettando la primavera per piantarli. Mabon è il tempo delle radici officinali da raccogliere per le tisane invernali (es. tarassaco, Angelica, Mandragora); è il tempo dei tagli, delle potature, del compost. Mabon fu identificato dai Romani con Apollo Maponus, simile all’alter ego celtico in tutto e per tutto: è l’aspetto giovanile e luminoso del Dio, anch’egli cacciatore come la sorella Diana e dallo spirito silvano.
L’equinozio d’ autunno era importante anche per i Romani. In questo giorno nacque l’imperatore Augusto nel 63 a. C. Egli fece costruire la più grande meridiana di Roma. Grazie a questo immenso orologio solare l’altare della pace, l’Ara Pacis, era in linea proprio con l’equinozio di autunno. Così, nel giorno del compleanno dell’imperatore, l’ombra dell’obelisco si allungava verso l’altare, creando simbolicamente un’unione tra l’imperatore, il sole e l’emblema della pace romana. Anche per l’imperatore Costantino questa data era particolarmente importante.
Egli decise di celebrare il 24 settembre la vittoria contro Massenzio. Durante la battaglia di ponte Milvio, nel 312 d. C., l’imperatore mise fine al regno del figlio di Massimiano, consacrandosi come promotore della cristianizzazione dell’Europa. In realtà Massenzio fu sconfitto il 28 ottobre, ma Costantino fissò la celebrazione della vittoria nel giorno dell’equinozio di autunno per marcare l’importanza dell’evento. Intorno al III secolo d. C. gli equinozi iniziarono anche a prendere le sembianze di statue. Erano raffigurati dai portatori di fiaccole, spesso posti accanto al dio Mitra. Cautes portava la fiaccola verso l’alto, Cautopates verso il basso. Il primo rappresentava l’equinozio di primavera, quando il sole si alza sopra l’equatore e la forza della vita aumenta; il secondo rappresentava l’equinozio di autunno, quando il sole scende sotto l’equatore e la forza della vita diminuisce. A entrambi erano anche associate due costellazioni. A Cautes quella del Toro, a Cautopate quella dello Scorpione. Entrambi gli animali erano solitamente posti di fianco le due figure.
Per la tradizione cristiana la figura legata a quest’importante momento di passaggio è quella di San Michele, la cui festa si celebra il 29 settembre. Il suo nome deriva dall’espressione ebraica “Mi-ka-El” (chi è come Dio). L’arcangelo Michele è ricordato per aver difeso la fede contro le orde di Lucifero, il quale, ribellandosi al Creatore, si separa dagli angeli e precipita negli Inferi. Dal mondo bizantino, il culto dell’Arcangelo Michele dilagò rapidamente ovunque, diffuso soprattutto dalla popolarità che godeva fra i soldati: a San Michele Arcangelo è infatti attribuito uno dei compiti più importanti, quello della lotta contro le Forze del Male. In Europa, lungo l’ideale asse della via francigena, numerose sono le dediche presenti nella toponomastica e nella sacralizzazione di luoghi posti su monti e altipiani, dove vennero eretti importanti edifici di culto, in Italia in particolare si trovano la Sacra di S. Michele in Piemonte e Montesantangelo in Puglia. È comunemente rappresentato alato in armatura con la spada, elemento di con cui sconfigge il demonio, spesso nelle sembianze di drago. La spada, metaforicamente, squarcia il buio, portando luce.