mercoledì 5 ottobre 2016

Inno al Logos - Terza parte: Protennoia trimorfica


di Filippo Goti



Il tema del pensiero, del Logos, della luce dell’intelletto che si contrappone alla tenebra dell’ignoranza, risulta essere uno dei pilastri centrali della speculazione delle scuole gnostiche alessandrine. Lo gnostico è colui che anela la redenzione e la salvezza tramite la conoscenza che tutto modifica. Ecco quindi che di seguito propongo un testo barbelo gnostico che mostra una sorprendente similitudine con il Prologo del Vangelo di Giovanni. I Barbelo gnostici ritenevano che la caduta pneumatica, così come la risalita verso la casa del Padre (il Pleroma) fossero determinati da un'espressione divina femminle (Barbelo, Sophia, Zoe, ecc..) introducendo così il conflitto fra conoscenza ed emozioni, fra ragione ed errore. La Protennoia Trimorfica è stata ritrovata tra i codici di Nag Hammadi (codice XIII, trattato I), ed è collocabile nei primi anni del secondo secolo dell'era cristiana.

«Io sono la Protennoia, il Pensiero che dimora nella Luce, io sono il movimento che dimora nel Tutto, colei in cui il Tutto pone le proprie fondamenta, la primogenita tra coloro che vennero all’esistenza, colei che esiste prima del Tutto, colei che è chiamata con tre nomi, che esiste di per sé, essendo perfetta. Io sono invisibile all’interno del Pensiero dell’Invisibile Uno e sono rivelata in ciò che è incommensurabile e ineffabile. Sono incomprensibile, stando all’interno dell’incomprensibile. Mi muovo in ogni creatura. Sono la vita della mia Epinoia, ciò che dimora in ogni Potenza e in ogni eterno movimento, all’interno di Luci invisibili, all’interno degli Arconti e degli Angeli, dei Demoni e di ogni anima che dimora nel Tartaro, di ogni anima materiale. Io dimoro in coloro che vennero all’esistenza. Io mi muovo in ognuno e scendo nel profondo di tutti. Io vado rettamente e risveglio colui che dorme, sono la visione di coloro che sognano nel sonno. Io sono l’Uno invisibile all’interno del Tutto. Io sono colei che consiglia coloro che sono nascosti E conosco il Tutto che esiste nel nascondimento. Io sono senza numero al di là di ognuno. Io sono incommensurabile e impronunciabile, eppure se lo desidero mi manifesterò, interamente, perché sono lo Splendore del Tutto. Io esisto prima del Tutto e sono il Tutto perché esisto in ognuno. Io sono una voce che parla sommessamente. Io esisto dal principio nel Silenzio. Io sono ciò che è in ogni voce e la voce che è nascosta in me, nell’incomprensibile illimitato pensiero all’interno dell’illimitato Silenzio. Io discesi nel centro degli inferi e risplendetti sopra l’Oscurità. Io sono colei che versò l’acqua. Io sono colei che è nascosta nelle acque radianti. Io sono colei che illuminò gradualmente il Tutto col mio Pensiero. Io sono unita alla Voce Ed è attraverso me che la Gnosi si manifesta. Io dimoro negli ineffabili e negli incomprensibili. Io sono la percezione e la Conoscenza, emettendo una Voce per mezzo di Pensiero. Sono la Voce reale e parlo in ognuno ed essi la riconoscono dato che in loro dimora un Seme. Io sono il Pensiero del Genitore e fu innanzitutto attraverso me che la Voce venne, cioè la Conoscenza di cose che non hanno fine. Io esisto come Pensiero per il Tutto, in armonia col Pensiero, inconoscibile, irraggiungibile. Io manifestai me stessa – Io – tra tutti coloro che mi riconoscono, perché io sono colei che è unita ad ognuno nel Pensiero nascosto e nella Voce esaltata. Tale Voce viene dal Pensiero nascosto, incommensurabile dimora nell’Incommensurabile. È un mistero, irrefrenabile per la sua incomprensibilità, invisibile a tutti coloro che sono manifesti nel Tutto. È luce che dimora in Luce. Noi soli siamo separati dal mondo manifesto dato che siamo salvati dalla nascosta saggezza dei nostri cuori per mezzo dell’ineffabile e incommensurabile Pensiero. Colui che è nascosto dentro di noi paga i tributi del suo frutto alle acque di Vita. Allora il Figlio che originò attraverso questa Voce, che procede dall’alto, egli che possiede dentro di sé il nome che è una Luce, rivelò le cose imperiture e tutte le cose sconosciute furono rese note e queste cose, difficili da interpretare e segrete, egli rivelò, e per coloro che dimorano nel Silenzio con il primo Pensiero, egli predicò loro. A coloro che dimorano nell’Oscurità egli si rivelò, a coloro che dimorano nell’Abisso, egli si mostrò, a coloro che dimorano nei tesori nascosti, egli disse i misteri ineffabili e li illuminò, tutti figli della Luce, su dottrine irripetibili. La Voce che origina dal mio Pensiero, esiste come tre stati, il Padre, la Madre, il Figlio, come un suono percettibile. Essa possiede la Parola dentro di sé – Parola dotata di ogni gloria. Possiede tre mascolinità, tre potenze, tre nomi, esistendo come Tre – tetrangolati – nascosti nel silenzio dell’Ineffabile».

Nessuno può con sicurezza affermare che l’Inno al Logos ha influenzato la stesura di questo scritto, e neppure che questo scritto ha influenzato la stesura dell’Inno al Logos. Possiamo però affermare che fra i due scritti ci sono delle profonde assonanze, che suggeriscono come al tempo della loro stesura esistessero numerose casse di risonanza per queste visioni filosofiche, che in seguito sarebbero state violentemente combattute dalla stessa Chiesa.”


Conclusioni

Malgrado la brevità dei passi che compongono l'Inno al Logos abbiamo potuto apprezzare la molteplicità di feconde riflessioni che da essi scaturiscano, di cui in questo breve lavoro ho potuto evidenziarne solamente una misera parte.
L'autore dell’Inno sembra non essere estraneo a concetti cari alla filosofia greca, e allo gnosticismo alessandrino. Questo Logos fecondo che dona la vita, richiama la filosofia stoica ma anche il concetto di Demiurgo Platonico. Le Tenebre che cercano di sopraffare la Luce, e il non mischiarsi della seconda con le prime richiamo lo zoroastrismo, l'antica religione dei Magi, dove Luce e Tenebre erano in lotta fra loro, e il fuoco rappresenta la vita e la conoscenza.
Così come la generazione del Logos richiama prepotentemente gli scritti dei maestro gnostici Valentino e Basilide, che vedevano nella conoscenza la via e la forma di redenzione e rettificazione dell’uomo.
  A prescindere dalle varie riflessioni, che ognuno di noi può trarre dall'Inno al Logos, dobbiamo chiederci se questa sua capacità di svelare infiniti scrigni di sapienza dipenda da una chiara volontà del suo estensore, oppure sia frutto del caso, ed inoltre che scopo è stato inserito il Vangelo di Giovanni in seno alla raccolta del Nuovo Testamento, tenuto conto della sua difformità rispetto ai sinottici?
 Il sottoscritto non crede molto al caso, specialmente quando abbiamo innanzi a noi un testo che è il frutto di una serie di stesure successive, e che oramai fa parte del canone sacro cristiano da quasi duemila anni. Gli studiosi sostengono che la compilazione del Vangelo di Giovanni si durata oltre cinquanta anni, possiamo però ipotizzare che nel corso di questo periodo vi siano stati degli apporti e delle inclusioni, e che il Vangelo di Giovanni sia solamente ciò che sta attorno al Prologo, così come il Prologo è un’appendice all’Inno al Logos. Opera che ha come fine quello di raccogliere  elementi filosofici e metafisici, all'interno di una narrazione che in qualche modo incontrasse la capacità di lettura e di ascolto dei semplici, e non turbasse troppo il sonno dei censori. Una volta che questo Vangelo ebbe conquistato il cuore delle comunità dei fedeli, la sua inclusione nel canone fu necessaria, e non più ostacolabile, e da quel momento la sua preservazione garantita.  Un’astuta operazione, attraverso la quale la narrazione delle opere e della storia di Gesù non sono altro che il cavallo di troia, lo strumento, attraverso cui traghettare nel cuore della nascente e vincente religione elementi filosofici si destinati ai pochi uomini di conoscenza, ma che necessariamente dovevano essere salvaguardati dal crollo imminente del mondo greco-romano, e traghettati nella nuova era. Attraverso una nuova forma narrativa, oppure inseriti all’interno di una nuova forma narrativa che ne garantiva la capillare diffusione attraverso la ripetizione orale e rituale.
 Possiamo ancora vedere questa operazione nell’ottica delle anime del cristianesimo primitivo, quella ebraica e quella greca alessandrina, raccolte e cristallizzate nel canone. Dove la prima, meno colta, dispone di un numero maggiore di testi, e la seconda, legata alla conoscenza e al misticismo, di un numero minore ma qualitativamente superiore. In questa prospettiva possiamo vedere il Canone nuovo testamentario come la composizione, o ricomposizione, di quel mosaico che erano le comunità cristiane dei primi secoli della nuova era: la testimonianza eterna all'interno della tradizione scritta non solo dei vari rapporti di forza, ma anche delle varie radici spirituali.
 Già questo schema era presente nell'insegnamento di Gesù, dove al numero degli apostoli si contrapponeva il ruolo di prediletto di Giovanni, e dove coesistevano diverse provenienze e sensibilità spirituali ed umane. A San Pietro il compito di guidare il gregge, a Matteo, Luca e Marco quello di incarnare l'insegnamento morale quindi legato ad una visione orizzontale e normativa, mentre a Giovanni quello di offrire il fiore della mistica e della filosofia a coloro che erano in grado di coglierlo. Del resto la duplicità dell'insegnamento religioso è insita nella religione cattolica, dove il culto e la fede sono riservati al popolo, e l'amministrazione del culto e la teologia riservati alla classe sacerdotale.
 Rimane adesso un'ultima riflessione da proporre al paziente lettore. L'Inno al Logos disegna una creazione basata sull'intelletto, che si manifesta nel Logos vivente, capace di portare vita e luce laddove prima albergavano le tenebre. Possiamo quindi affermare che siamo innanzi ad una seconda genesi, non più basata sul diletto di un fare meccanico in guisa del piacere della divinità così come appare nel'apertura dell'Antico Testamento; quanto piuttosto una creazione frutto di amore e ragionamento. Nella precedente genesi la divinità vede a posteriori ciò che è buono e giusto rispetto al proprio giudizio, nell’Inno al Logos tutto è vita e luce.
 Sorge adesso un ultimo dubbio, considerazione, o semplice ronzare dell'intelletto. Le tenebre che cercano di sopraffare la luce del logos portatore di vita, non saranno state il frutto della precedente creazione legata ad un cieco ed umorale fare ? Rientrando così nel solco non solo della Tradizione barbelo gnostica a cui appartiene anche il testo gnostico in precedenza proposto, ma alimentando la speculazione di Marcione attorno al Dio Buono del Nuovo Testamento, e al Dio degli Ebrei. Altrimenti che senso avrebbe l’Inno al Logos, e le contraddizioni che sono tali solamente se cerchiamo di vedere in esso una forma ellenizzata della genesi dell’Antico Testamento ?
Forse non possiamo affermare che il Vangelo di Giovanni sia un testo gnostico, ma sicuramente possiamo affermare che numerosi sono gli indizi che portano a ritenere tale l’Inno al Logos. Andando così a tratteggiare un mondo spirituale e filosofico molto frastagliato e confuso, e ponendo la nascita del cristianesimo in un limbo non necessariamente riconducibile alla nascita e predicazione di Gesù
In conclusione ciò che sicuramente possiamo affermare è come attraverso l'Inno alla Luce l'estensore del testo, pare voglia separare in modo vigoroso la radice ebraica-messianica dalla radice greca alessandrina della deità generata. Liquidando così l'intera questione del retaggio ebraico come non necessaria non solo alla teologia cristiana, ma alla radice stessa della spiritualità cristiana.