venerdì 18 novembre 2016

Lettera sull'amore (ovvero: il posto dell'amore nella vita)



Gabriel Rossetti, Il sogno di Dante alla morte di Beatrice

«Mio caro Friederich, senza tregua ho dovuto fare l’esperienza che non c’è davvero nulla di più arduo che amarsi. È un lavoro, un lavoro a giornata, Friederich, a giornata. Com’è vero Dio, non c’è altro termine. Come se non bastasse, accade che i giovani non sono assolutamente preparati a questa difficoltà dell’amore; di questa relazione estrema e complessa, le convenzioni hanno tentato di fare un rapporto facile e leggero, le hanno conferito l’apparenza di essere alla portata di tutti. Non è così. L’amore è una cosa difficile, più difficile di altre: negli altri conflitti, infatti, la natura stessa incita l’essere a raccogliersi, a concentrarsi con tutte le proprie forze, mentre l’esaltazione dell’amore incita ad abbandonarsi completamente. Ma i giovani che si amano, nell’impazienza, nella fretta della loro passione, si gettano per così dire l’uno verso l’altro; essi non misurano la mancanza di stima reciproca che un simile darsi disordinato suppone, oppure la misurano, con stupore e stizza, solo in base ai dissensi che questo disordine non tarda a produrre tra loro. Impegnati nell’irreparabile di una rottura, cercano ancora di mantenere l’apparenza della loro felicità (dato che in fondo, tutto, era in vista della felicità). Ahimè! a fatica possono ancora ricordarsi cosa intendessero per “felicità”. Ciascuno, nella sua incertezza, diventa sempre più ingiusto verso l’altro; loro che sognavano solo benevolenza reciproca finiscono per trattarsi in modo tirannico e intollerante, e nel loro bisogno di uscire ad ogni costo da questa confusione insostenibile, commettono la colpa più grave che può macchiare i rapporti umani: cedono all’impazienza. Si riducono a una conclusione, a una decisione che credono definitiva: spaventati dalle sue sorprendenti mutazioni, cercano di fissare una volta per tutte il rapporto, in modo che rimanga ormai in eterno (come dicono) lo stesso. Questo è solo l’ultimo di una lunga catena di errori. Nemmeno chi è morto si lascia fissare definitivamente (dato che imputridisce e si modifica a suo modo); quanto minore può essere la speranza di determinare una volta per tutte chi vive! vivere è, per l’appunto, trasformarsi; le relazioni umane, elemento essenziale della vita, sono tra tutte, la realtà più mutevole, la più fluttuante; e gli amanti sono proprio degli esseri le cui relazioni e i cui contatti non conoscono due istanti identici. Persone tra le quali nulla mai avviene di abituale, di già visto: solo il nuovo, l’inatteso, l’inaudito. Relazioni simili, che devono costituire una felicità immensa, quasi invivibile, esistono, ma possono instaurarsi solo tra due esseri estremamente ricchi, esseri già ordinati, concentrati: possono unire solo due mondi singolari e nel contempo vasti e profondi. Persone giovani non possono assicurarsi rapporti di tal genere; ma se comprendono bene la propria vita, possono innalzarsi lentamente verso quella felicità, e prepararvisi. Non devono dimenticare, se amano, che sono degli esordienti, dei dilettanti, degli apprendisti in amore; devono imparare l’amore e, come per ogni studio, ci vuole calma, pazienza e concentrazione. Prendere l’amore sul serio, soffrirlo, impararlo come un lavoro: ecco, Friderich, ciò che è necessario ai giovani. La gente ha frainteso, come molte altre cose, il posto dell’amore nella vita: ne ha fato un gioco e un divertimento, perché scorgono nel gioco e nel divertimento una felicità maggiore che nel lavoro; ma non esiste felicità più grande del lavoro, e l’amore, per il fatto stesso di essere l’estrema felicità, non può essere altro che lavoro. Chi ama deve cercare di comportarsi come se fosse di fronte a un grande compito: sovente restare solo, rientrare in se stesso, concentrarsi, tenersi in pugno saldamente; deve lavorare; deve diventare qualcosa. In realtà, Friederich, credimi: più si è, più è ricco tutto ciò che si vive. E chi vuole avere nella vita un amore profondo, deve risparmiare ed accumulare, immagazzinare miele a questo scopo. Non dobbiamo mai disperare quando perdiamo qualcosa: una persona, una gioia, una felicità; tutto ritorna più magnifico. Ciò che deve staccarsi si stacca; ciò che ci appartiene resta in noi, perché tutto obbedisce a leggi che vanno al di là delle nostre vedute e con le quali solo apparentemente siamo in contraddizione. Bisogna vivere in se stessi, e pensare la totalità della vita, le miriadi di possibilità, di spazi futuri, di fronte alle quali non v’è nulla di passato, nulla di perduto. Abbi coraggio: tutto è ancora davanti, e il tempo segnato dalle difficoltà non è mai perduto. ti saluto, caro Friederich, con grande affetto».
(R. M. Rilke, Lettera a Friedrich).