martedì 14 marzo 2017

La Chiave Spezzata


di Marco Lorenzini

by Esonet.it 




Aristoteles in primo meteorum, ait quod pulchrum et laudabile sit investigare causam incentionis causarum. [1]

Aristotele, nel primo libro delle “Meteore”, afferma che è bello e degno di lode ricercare la causa del principio delle cause.

Che gli esami non “finiscono mai” già lo diceva il grande Eduardo che vive nella nostra memoria insieme all'indimenticabile fratello De Curtis, compagni nell'arte ed entrambi massoni.

Nemmeno nella Massoneria sembra mai interrompersi il nostro cammino di ricerca e crescita interiore. Forse finirà solo con la morte, o nemmeno con essa; chissà.


Fatto sta che il Tempio è incompiuto, la parola è perduta e …la chiave è spezzata, fra l'altro posta: fra una menorah – simbolo dell'Universo – ed il Sacro Libro – simbolo della legge in terra; sotto un simbolo geometrico che appare indicare le potenzialità trascendenti dell'uomo.

Dopo l'iniziazione al IV grado, più concettuale che psicodrammatica, il novello Maestro Segreto avvia, allora, il tentativo di mettere ordine nell'insieme di informazioni, messaggi e simboli che gli sono un'altra volta piovuti in testa. Sembra quasi che si debba ricominciare da capo, magari ritrovando l'intelligente umiltà forse un po' smarrita nel raggiungimento del III grado.

Così, improvvisati androgini fra Iside ed Osiride, ricerchiamo i pezzi di un grande corpo squartato e ne tentiamo di ricostruire il messaggio ed il significato, di ridargli una continuità, una progenie.

Proseguiamo, da moderni, la via antica del “mistero”, nata nei meandri dei passati millenni, quando l'evoluzione spirituale dell'uomo portò a riflettere sul destino che tutti ci accomuna – cioè la morte – e su quello che può esservi dopo; ovvero se di noi fa parte integrante una componente immortale, un soffio vitale che poi si può ricongiungere con lo Spirito creatore.

Come Maestri Segreti dovremo essere giunti ad un grado sicuramente più avanzato rispetto alla sola partecipazione exoterica ai lavori, che ha accompagnato i nostri primi anni in Massoneria; anzi, dovremo aver raggiunto un livello di consapevolezza esoterica da saper ascoltare le parole, e guardare i simboli, non per quello che sono ma per il significato occulto che entrambi trasportano.

Proprio in questo modo di porre le verità sta il senso del tutto peculiare della trasmissione della Saggezza misterica: rivelare lentamente la verità, obbligare l'iniziato a cercarla e ad imparare a percepirla progressivamente e con strumenti interiori nuovi ed adeguati, attraverso lo studio e l'introspezione come attraverso la liturgia e la pratica rituale.

Dovremo avere alla spalle l'esperienza dei Piccoli Misteri e di una conoscenza più alta dello stato umano perseguita attraverso il costante “solve et coagula” innescato dal V.I.T.R.I.O.L. – Visita (visita) Interiora Terrae (la terra interiore, l'inconscio, l'infero personale) Rectificando (e correggendo) Invenies (troverai) Occultum Lapidem (la pietra nascosta, la tua essenza nascosta). L'acronimo che appare nel gabinetto di riflessione, simbolo e primo grande segreto della metamorfosi iniziatica .

La sensazione di un “ritorno all'inizio” – quasi ad apprendisti - è quindi errata per un Maestro Segreto, e non deve distrarre dal duplice impegno di consolidare i risultati conseguiti e di guardare al percorso che sta avanti: probabilmente riconducibile a quei Grandi Misteri che, invece, si spingono oltre la realtà umana, sulla via della pura spiritualità, della percezione della presenza del divino in noi.

Qualcosa, allora, è cambiato: e si percepisce, proprio lavorando nel medesimo Tempio di sempre; si percepisce, notando la differenze fra le tornate nella Loggia di appartenenza e quelle nella Loggia di perfezione.

Il clima così familiare delle nostre Logge cede il posto ad una tensione maggiore, ad un nuovo desiderio di conoscenza exoterica ed esoterica, a volte addirittura violento.

Non è solo il diverso arredamento del Tempio a parlarci. Sentiamo che sono diverse le motivazioni della nostra presenza, sì in quello stesso luogo, ma che da “geometrico” è diventato “geodetico”, chiamandoci a lavorare su un livello di maggiore complessità come è quello delle tre dimensioni rispetto ad un luogo semplicemente “geografico”, designato solo con una coppia di coordinate cartesiane.

Da un lato, siamo chiamati ad uno studio vero e proprio, come chiaramente espresso nelle ultime parole del rituale d'iniziazione.

Dall'altro, ci viene ricordato che dobbiamo lavorare da “Anziani”, come coloro che conservano la Tradizione.

Per ultimo, vi è il forte richiamo alla prima, essenziale verità misterica: che la via della solo conoscenza intellettuale, non “accende” la nostra aura dell'oro degli iniziati. Una conoscenza ridotta a nozionismo, aumenta certo il nostro sapere, e non è poco. Ma non ci porta alla fusione con il principio originario, superando il corpo e travasando l'anima nello Spirito.

Il tutto, pone il Maestro Segreto di fronte ad una prospettiva nuova nel lavoro massonico. Non solo, con eleganti parafrasi, riemerge – in questo grado - il valore del “so di non sapere” – a ricordo delle umane finitezze – ma si delinea una via di ricerca personale riconducibile ad una Gnosi: termine che qui indico con la “G” maiuscola, volendo fare riferimento al processo di illuminazione interiore quale metodo, prima ancora a ciò che con gnosi e gnosticismo poi si indica nella storia.

Insomma, all'ingenuità dell'apprendista, al fervore quasi mistico del compagno, ai primi squarci di luce del maestro, subentra un ciclo di vita massonica del tutto nuovo. Entusiasmante ed impegnativo al tempo stesso. Ed anche un po' inquietante, perché ci si rende conto che l'oggetto del lavoro futuro saremo proprio noi stessi, chiamati a ricomporre la frattura della chiave che portiamo a nostro segno distintivo.

Exotericamente ormai so che il fine ultimo di questo percorso dovrebbe essere il raggiungimento dell'Ars Pontificia, per creare un ponte interiore fra la terra, ove risiede la nostra entità fisica, ed il cielo, ove si incontrerà la nostra divinità interiore.

Non a caso, la definizione di chi raggiunge questo stato è proprio quella di “illuminato”.

Nella tempesta del dubbio mi domando da dove iniziare, poi arriverò dove arriverò….

Probabilmente devo iniziare a capire il significato vero del “conosci te stesso”, il «gnoteis auton», inciso sul tempio di Apollo a Delfi e fatto proprio da Socrate.

Leggo allora le seguenti parole dai Trattati attribuiti ad Ermete Trismegisto sulle potenzialità insite in noi stessi:

“ Comanda alla tua anima di recarsi in India ed eccovela, più celere del tuo comando.

Comandale quindi di arrivare all'oceano ed eccovela, ancora una volta, non come chi passi da un luogo all'altro ma come chi ci stia già.

Comandale di volare in cielo e non avrà bisogno d'ali, nulla le può fare intralcio, né il fuoco del Sole, né l'etere, né la rivoluzione del cielo, né i corpi degli astri, ma tagliando ogni cosa volerà fino all'ultimo corpo. Vedi quale potenza e velocità possiedi.

E se tu puoi farlo, Dio non potrà? Questo modo di conoscere Dio, che ha in se tutte le cose come pensieri, il mondo, se stesso, il tutto. Se non ti uguagli a Dio non puoi conoscerlo con la ragione; infatti è conoscibile solo il simile dal simile.

Accresciti fino alla dismisura, di colpo sciogliti da ogni corpo; levati e diventa Evo (Aiwn) e conoscerai Dio …” [2]

Un più complesso messaggio mi viene da Plotino, dalle Enneadi:

“…Qui è proprio il caso di richiamarci alla mente che quando anche quaggiù, uno contempla … egli non si volge certo indietro su di se stesso, col pensiero, in quei momenti, ma possiede se stesso e volge la sua attività all'oggetto, diviene anzi quell'oggetto, offre, si può dire, se stesso quale materia, lasciandosi plasmare nella forma della cosa vista: ed è allora solo in potenza lui stesso.

Cosicché, l'uomo è in qualche modo se stesso, in atto, allorché non pensi proprio nulla? Certo: se l'uomo resta «se stesso», allora egli è vuoto dell'universo dal momento che non lo pensa affatto! Ma se questo «io» è di tal natura da essere, lui, il tutto, allora, esso, se pensa se stesso pensa a un tempi il tutto. Ond'è che un così fatto Essere, da un canto intuendosi, non solo vede sé attualmente ma serra altresì come in un abbraccio tutte le cose; e intuendo tutte le cose, serra pure in un abbraccio se stesso”. [3]

Direi che ce ne è abbastanza. L'invito dell'antica saggezza è di spogliare le forme per intuire il pensiero che le sottende – o le genera. Per poi ritrovare quel pensiero in se stessi nella fusione con l'Uno e – al tempo medesimo – per ritrovare l'Uno in se stessi.

Un percorso exotericamente comprensibile sotto l'aspetto razionale, ma esotericamente da “vivere”, da percepire con le proprie carni, cioè, con nella coscienza corporea, superando il tempo e lo spazio. E – se mi si perdona l'audacia – forse superando anche gli Evi (o Eoni) di cui al testo attribuito al tre volte grande Ermete.

A questo punto la scelta è compiuta. Fra una massoneria amicale-conviviale ed un percorso personale ed interiore con la Massoneria come mezzo ed estensione della propria volontà di conoscere. Senza né estasi, però, né furori mistici, né lampi di genio, andando avanti con il mio passo. Guardando i simboli e tentando di capirli, prima, e di riceverne quel lampo magico che ne svela il significato due volte velato per tenere lontano profani e persecutori: quindi velato perché diretto all'anima, poi perché espresso oltre la immediata lettura razionale.

Qualche cosa del simbolo del IV grado mi si è appena illuminato. Ed è la Z posta nella parte della chiave destinata ad entrare nella serratura che chiude la porta degli arcani. Al di là del fin troppo exoterico Zizza vi leggo il significato di un lampo, di una possibilità accecante di intuizione, in caso di corretto uso dello strumento conoscitivo che è in me stesso; ma che intanto devo ricomporre.

Leggo poi che la chiave simboleggia la colonna vertebrale e la mancata, organica fusione della coscienza fisica con la parte sottile di noi stessi; parte che preferisco individuare come ψιχη, il soffio vitale che è in noi, l'anima.

Mi sgorgano, ora, dalla penna, parole molto più grandi di me: chakra, occultum lapidem, pietra filosofale, scintilla del divino; ed infine la Kundalini, quale metafora del fuoco vitale e generativo che è nella nostra sostanza fisica, capace di “risvegliarla” e trascenderla.

La fantasia corre all'immagine del Golgota, quale luogo del cranio, sahasrara, o ultimo centro della risalita, Kether delle sefiroth ebraiche. Forse simbolo, prima ancora che realtà geografica.

E corre ancora la fantasia, al tumulo di Osiride che si apre per l'iniziato, con la voce del dio che risuona nel tempio: “Lasciateli avanzare verso di me … lasciate che vedano le mie piaghe!”.[4]

L'umiltà dell'intelligenza però, ora mi consiglia di fermarmi. Anche perché, so che il percorso di ricomposizione della chiave non è solo exoterico. Né le suggestioni vanno confuse con l'esoterismo, così come la cupola di plastica di Piazza San Pietro con la neve di polistirolo, venduta nella bancarella, non deve essere confusa con il mistero del Logos giovanneo!

Un pezzetto di strada però mi sembra di averla fatta.

Ma so che molto devo fare, per comprendere appieno il significato di quelle parole e di quei concetti più grandi di me, appena citati. Iniziando ad unire la chiave oggi spezzata, così da entrare nella corrente della Tradizione, apportandovi la mia pietra levigata che La arricchisce e La tiene viva, nel solco di una comunione in Spirito, che non ha spazio e che unisce gli iniziati di oggi con quelli del passato, proiettandosi nel futuro senza fideismi cristallizzati.

Nella certezza che sarò accompagnato dal lavoro dei miei fratelli, capace di trasformarsi in una presenza attiva, vigilante e positiva per tutti noi: nella prospettiva di un percorso che, pur se singolo e personale, può comunque divenire una luminosa orchestra.

Il risultato è che mi sto accingendo ad un percorso per cambiare qualcosa di me stesso, ancora con le idee un po' confuse. Partendo per le Indie forse finirò nelle Americhe, ma è questo il bello della vita, no?

Un ultimo pensiero mi attraversa la mente: cosa è un uomo illuminato? Un “sanctus”, cioè un uomo che ha sancito un patto con l'Uno? Un anticipatore? Un dissotterratore del passato? Una nuova specie?

“Sia benedetto Iddio che donò all'uomo un tale potere affinché imitando la natura questi possa commutare le specie naturali, ciò che la Natura lenta realizza con tempi assai lunghi”: così recita uno sconvolgente S. Tommaso, nel suo Trattato sull'alchimia. Saltando ogni altra riflessione, da Darwin agli OGM o all'ingegneria genetica, mi domando se tale potere riguardi anche il “commutare” ( cum – mutare ) noi stessi.

Proprio riunendo la chiave spezzata.