lunedì 30 novembre 2009

Storia del monumento a Giordano Bruno a Campo de’ Fiori


E’ sempre stata scarsa e quasi inesistente la letteratura sull’altra Roma, quella dei cittadini costretti a subire le angherie del potere politico e di quello religioso, spesso coincidenti.Quasi nessuno conosce la storia della statua eretta a Giordano Bruno, a Campo de’ Fiori, dove fu arso vivo dalla santa inquisizione il maggior filosofo del rinascimento europeo, “apostata di Nola da Regno, eretico impenitente”.Una statua fu eretta una prima volta durante la repubblica romana del 1849 e fu distrutta durante la restaurazione, una volta tornato sul soglio pontificio quel Pio IX, che oggi si vorrebbe far santo, probabilmente per aver vietato la luce elettrica a Roma (che arrivò solo dopo Porta Pia), per aver massacrato gli insorti (oltre 1000 morti nella difesa di Roma), per aver imposto la legge marziale alla città, per aver reso famoso e proverbiale “Mastro Titta” (suo boia di fiducia), per aver fatto sequestrare e battezzare bambini ebrei, per aver fatto uccidere dalla Santa Inquisizione patrioti, organizzatori di leghe artigiane, operaie e contadine e semplici cittadini. Tra il 2 maggio del 1849, fine della repubblica romana, ed il 20 settembre 1870, breccia di Porta Pia, quel papa fece assassinare dalla Santa inquisizione ben 130 cittadini romani, l’ultimo il 9 luglio del 1870.Tanto fu l’odio dei cittadini romani verso questo “Santo” papa, che quando finalmente morì (nel 1878), i papalini attesero 3 anni per traslare, la notte del 13 luglio 1881, la salma a S. Lorenzo fuori le mura. Le precauzioni prese, il gran segreto che circondò la traslazione, la cerimonia notturna non servirono a nulla: il corteo funebre fu assalito da cittadini romani inferociti che cercarono di buttare la salma nel Tevere e la polizia riuscì ad evitarlo solo dopo una notte di scontri.
Dopo l’unità d’Italia e in particolare a seguito della conquista di Roma avvenuta il 20 settembre 1870, si creò un clima di forte attrito fra la Chiesa e lo Stato italiano. Pio IX non accettò la Legge delle Guarentigie (1871) in cui si riconoscevano al papa onori sovrani, la facoltà di disporre di forze armate, l’extra-territorialità dei palazzi del Vaticano, del Laterano e di Castel Gandolfo, una dotazione annua di oltre tre milioni di lire, nonché la piena autonomia della Chiesa, nel rispetto della sua separazione dallo Stato. Il pontefice per tutta risposta scomunicò i Savoia e nel 1874 emanò la bolla “Non expedit“, in cui invitava i cattolici a non partecipare alla vita politica dello Stato.Nel 1885 fu formato un comitato per la costruzione del monumento a Giordano Bruno, cui aderirono le maggiori personalità dell’epoca: Victor Hugo, Michail Bakunin, George Ibsen, Giovanni Bovio, Herbert Spencer e molti altri. Nel 1888 gli studenti universitari romani, tra i maggiori animatori del comitato, fecero numerose manifestazioni per erigere il monumento, spesso con scontri, arresti e feriti. Il Comune, ai cui vertici, nonostante il “non expedit”, andavano affermandosi amministratori clerico-moderati, senza opporsi apertamente al progetto, cercava di ostacolarlo tramite strategie burocratiche.Il consiglio comunale di Roma, all’epoca controllato dalla maggioranza filoclericale, fu costretto alle dimissioni, e le elezioni successive, tutte incentrate sulla questione del monumento a Giordano Bruno, furono perse dai filoclericali.Il monumento divenne il simbolo del libero pensiero e una sfida alla Chiesa e al papa. Crispi nel 1887, anno in cui divenne presidente del consiglio, suggerì al comitato promotore, che chiedeva il suo appoggio, di procedere alla fusione del bronzo senza preoccuparsi degli indugi del Comune. Il dibattito continuò a svolgersi in un clima arroventato dalle manifestazioni studentesche e popolari che a volte provocavano scontri tra “bruniani” e “anti-bruniani“, che si concludevano con arresti e feriti. Alla fine dello stesso anno il re, su proposta del consiglio dei ministri, firmò un decreto con il quale, Leopoldo Torlonia, sindaco di Roma veniva rimosso dalla carica; ufficialmente senza motivazione, anche se era chiaro individuarne le ragioni nella visita al cardinale vicario a cui il sindaco aveva trasmesso l’omaggio dei romani a Leone XIII.
Finalmente nel 1889 la statua fu eretta a Campo de’ Fiori “lì dove il rogo arse”.A seguito delle elezioni amministrative del giugno 1888 entrarono nella rappresentanza municipale esponenti anticlericali, tra cui Ettore Ferrari, lo scultore massone artefice della statua considerato un uomo della sinistra “radicale” non massimalista, mentre furono non eletti politici contrari all’erezione della statua. Prima della fine dell’anno fu approvato, senza difficoltà, il progetto del monumento a Bruno, fra gli applausi del pubblico che urlava: “Viva Crispi!”
Il pontefice minacciò di abbandonare Roma per rifugiarsi nella cattolica Austria, qualora la statua fosse stata scoperta al pubblico. Quando il Segretario di Stato Vaticano riportò tale intenzione del pontefice al Primo Ministro Italiano Francesco Crispi questi letteralmente rispose: “dica a sua santità che se dovesse andare via dall’Italia non potrà più ritornare”.
Finalmente il 9 giungo 1889, giorno di Pentecoste, venne inaugurato a Campo de’ Fiori, con la partecipazione di un’immensa folla festante, il monumento di Ettore Ferrari, lo scultore che nel 1904 sarà eletto gran maestro della massoneria. Alla base del monumento si legge un’iscrizione del filosofo Giovanni Bovio, oratore ufficiale della cerimonia di inaugurazione: “A Bruno, il secolo da lui divinato qui dove il rogo arse“.
Per la cronaca, va ricordato che Leone XIII non abbandonò Roma come aveva minacciato, né il 9 giugno, che trascorse digiuno e in preghiera ai piedi della statua di San Pietro, né in seguito.
Il monumento, aldilà della battaglia politica condotta per erigerlo, è significativo anche per la figura che rappresenta: quello che è stato tramandato nella coscienza popolare, più che il pensiero di Giordano Bruno, è stato il suo rifiuto alla sottomissione. Se si fosse pentito, probabilmente avrebbe avuta salva la vita. Per il suo inquisitore, il cardinal Bellarmino (fatto santo dalla chiesa), era molto più importante l’abiura che non la condanna. Il rifiuto di Giordano Bruno al pentimento, la sua tenacia nel difendere le proprie idee, la sua spavalderia nell’affrontare la sentenza di condanna con la risposta al Cardinal Madruzzo, che gliela leggeva, “Tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’ascoltarla”, ne hanno fatto un simbolo della libertà di pensiero, della volontà dell’uomo a lottare in difesa delle proprie idee.Questa tradizione ideale di lotta per libertà è stata tramandata da generazioni di laici e di militanti che ogni anno, il 17 febbraio, si danno appuntamento sotto la statua.La preoccupazione della chiesa nei confronti di questa cerimonia laica è stata sempre molte forte: si pensi che, al momento della stipula dei patti Lateranensi nel 1929, Pio XI (anche lui oggi in odore di santità) propose addirittura di radere al suolo il monumento e di erigervi “una cappella di espiazione al cuore santissimo di Gesù”, ma Mussolini (”l’uomo della provvidenza”, secondo lo stesso Pio XI), memore di quanto era successo non molti anni prima, gli garantì solo la proibizione delle manifestazioni che furono così vietate soltanto durante il fascismo. E fece istituire in quella piazza il famoso mercato orto-frutticolo (vergogna della Capitale d’Italia) protagonista di alcuni film con Aldo Fabrizi ed Anna Magnani negli anni ’40.All’epoca dei Patti Lateransi, siglati tra Mussolini e Pio XI l’11 febbraio 1929, i cattolici chiesero la rimozione della statua e l’erezione al suo posto di una cappella di espiazione al cuore santissimo di Gesù. Mussolini, probabilmente memore dei disordini accaduti non molti anni prima e anche perché G. Gentile, il filosofo del fascismo, era un estimatore del Nolano, non accettò questa condizione, limitandosi a garantire che non si sarebbero più tenute manifestazioni per commemorare Giordano Bruno. A tale riguardo si fa seguire un passo del discorso che Mussolini tenne alla Camera dei Deputati il 13 maggio 1929:
“(…) non v’è dubbio che, dopo il Concordato del Laterano, non tutte le voci che si sono levate nel campo cattolico erano intonate. Taluni hanno cominciato a fare il processo al Risorgimento; altri ha trovato che la statua di Giordano Bruno a Roma è quasi offensiva. Bisogna che io dichiari che la statua di Giordano Bruno, malinconica come il destino di questo frate, resterà dove è. È vero che quando fu collocata in Campo di Fiori, ci furono delle proteste violentissime; perfino Ruggero Bonghi era contrario, e fu fischiato dagli studenti di Roma; ma ormai ho l’impressione che parrebbe di incrudelire contro questo filosofo, che se errò e persisté nell’errore, pagò. (…)”
Per Bruno non c’è la riabilitazione della Chiesa
Da quel fatidico 17 febbraio 1600 gli anni sono trascorsi senza che la Chiesa abbia espresso uno schietto ravvedimento per il rogo che arse Bruno, ancora vivo. Galileo Galilei, Jan Hus, Girolamo Savonarola e altri sono stati riabilitati; Giovani Paolo II ha chiesto un generico perdono per gli eccessi commessi dall’Inquisizione; tuttavia per quanto concerne il Nolano, la Chiesa si limita a riconoscere il carattere antievangelico del rogo, ma ribadisce l’esistenza di una sostanziale estraneità della filosofia di Giordano Bruno dalla dottrina cattolica.Annualmente, a Campo de’ Fiori ogni 17 febbraio si sono radunate generazioni di laici e militanti per manifestare per ricordare il rogo del filosofo e manifestargli la loro ideale solidarietà. Tali dimostrazioni si sono fermate soltanto negli anni del fascismo.
Giordano Bruno fu ucciso durante l’anno santo del 1600 ed in quest’anno santo, il 17 febbraio 2000, è stato il 400° anniversario dell’omicidio.


Massoneria, alchimia e mesmerismo in “Così fan tutte” di Wolfgang Amadeus Mozart



Olio su tela di autore anonimo, Historisches museum der Stadt Wien.
Rappresenta una riunione di Loggia Massonica a Vienna agli inizi del 1790. La
prima persona seduta a destra è Mozart, in conversazione forse con Emanuel
Schikaneder.



di Annalisa Stancanelli per non solo Mozart


Traendo spunto da scritti di Robbins Landon, Napoletano, Basso e Bramani, la musicologa Marilena Crucitti ha realizzato un’approfondita analisi dell’opera Così fan tutte, rappresentata per la prima volta a Vienna nel 1790 e considerata “la più sostanzialmente esoterica delle tre scritte su libretto di Lorenzo Da Ponte, alla cui composizione Wolfgang Amadeus Mozart attese nell’anno della Rivoluzione Francese”.

Vi si possono, infatti, riconoscere i segni del patrimonio ermetico a partire dai temi peculiari delle nozze e della doppia coppia, con l’intervento di Don Alfonso leggibile come l’esperimento di un alchimista. Le interpretazioni più attuali dell’opera insistono sul potere trasfigurativo della musica, una “nuova” perfezione sonora che accompagna la stilizzazione descrittiva con sottintesi, al posto di violente sottolineature di affetti, invitando a considerarla come un vertice della produzione mozartiana di pura poesia.

Tuttavia alla struttura e ai suoi simboli nascosti, ai suoi modelli tematici, secondo la Crucitti, deve essere mirato lo studio di chi non crede più “nell’immagine di un Mozart poco interessato alle vicende politiche e culturali del suo tempo, chiuso e distratto nel suo universo di genio, che ha alimentato la fantasia popolare fino ai più recenti studi sul musicista che ribaltano lo stereotipo”.

Mozart, al contrario, era un uomo coltissimo inserito nei circoli intellettuali più avanzati della sua epoca, un uomo immerso nel secolo dei Lumi. Di queste sue frequentazioni e dei suoi interessi è efficace testimonianza proprio l’opera lirica presa in esame, che è ricordata come la più discussa fra le opere del grande musicista. Così fan tutte presenta molteplici livelli di lettura e mostra influenze diverse; proprio il suo polimorfismo la rende capace di trasportare gli appassionati in un’altra realtà, di far vivere loro un sogno.“Io non so se questo è un sogno” s’interroga Despina, e un sogno letterario-filosofico-alchemico è celato nel coltissimo libretto di Da Ponte, che risente di influenze ariostesche e shakespeariane, così come si richiama alle Mille e una notte, alla vicenda di Lucrezia tramandata da Tito Livio e alla novella El curioso impertinente di Cervantes. L’equilibrio fra la raffinatezza della musica e la situazione teatrale deve essere sempre tenuto presente per la comprensione delle opere di Mozart e ancor di più di questa, nella quale si coniugano alchimia e massoneria servendosi del tema delle nozze, come nella migliore tradizione rosacrociana. I documenti dell’epoca testimoniano inequivocabilmente l’appartenenza di Mozart alla Loggia Massonica “La Beneficenza” dove fu iniziato il 14 dicembre 1784 a Vienna. “Non si trattò” ha ribadito Marilena Crucitti “come spesso è stato scritto, di un’adesione puramente formale, dettata solo dalla necessità di avvicinare i ricchi mecenati dell’alta società; i contatti di Mozart con affiliati alla Massoneria risalgono ben prima del suo ingresso formale che fu il punto di arrivo di un lungo processo di assimilazione delle spinte ideali del tempo”.

Poiché in campo musicale la Massoneria non aveva ancora delle regole proprie, Mozart creò un simbolismo musicale che venne poi ripreso da altri musicisti massoni come Beethoven (come le note legate a due a due a significare il legame fraterno fra gli affiliati). L’adesione di Mozart alla Massoneria fu convinta ed entusiastica; essere massone significò per lui vivere sentendosi partecipe di un percorso condiviso. Il grande compositore risentì anche dell’ondata di irrazionalismo mistico nel quale si ritrovarono l’ermetismo, i culti misterici, il rosacrocianesimo, e delle finalità e dei riti dei “Fratelli Asiatici”, movimento scismatico nato dal grembo dei Rosacroce, che manifestavano prevalenti interessi per l’alchimia.

Ma sono le opere a parlare per l’autore, che in Così fan tutte inserisce simbologie massoniche intrecciate a molti altri piani rappresentativi che si innestano nel flusso dinamico dell’opera buffa italiana. E così il momento simbolico fondante nella trattatistica alchemico-massonica, il congiungersi delle forze motrici dell’universo maschile e femminile, le nozze, giungono alla fine dell’opera, dopo l’esperimento di guarigione mesmerica attuato da Despina; non solo un esperimento affettivo condotto tra le due coppie, Fiordiligi e Guglielmo, Ferrando e Dorabella, innescato dal vecchio filosofo Don Alfonso seguendo le tappe della trasformazione alchemica (nigredo, separazione, rubedo, scambio, e albedo, ricongiunzione), ma anche occulti riferimenti ad antichi riti iniziatici come il “katapontismós”, il salto nelle acque evocato nel terzetto “Soave sia il vento” che sancisce l’inizio della trasformazione in riferimento alla mutazione degli elementi in acqua nella prima fase dell’opus alchemica. Ultima nota meritevole di approfondimento, la riflessione sull’esperimento condotto da Despina-medico, basato sulla teoria di Anton Mesmer del “magnetismo animale”, che assegnava un ruolo importante all’erotismo e all’induzione di stati di coscienza alterati che sembrano precorrere gli sviluppi dell’ipnosi, della psicologia del profondo e della psicoterapia. I tanti temi innovativi di Così fan tutte, come anche la perdita dell’identità, la fedeltà non più principio incontestabile ma continua ricerca di un punto d’incontro, ancora una volta rivelano in Mozart non solo il raffinato “architetto” musicale ma anche l’intellettuale al passo, o forse più avanti, dei suoi tempi, un genio “illuminato” e illuminista.

sabato 28 novembre 2009

INNALZA LE COLONNE LA LOGGIA GIUSEPPE DOLFI N° 1360 A FIRENZE


Domenica 29 Novembre, alle ore 9.30, nella Casa Massonica fiorentina, il Presidente del Collegio Circoscrizionale dei Maestri Venerabili della Toscana, il Fr. Stefano Bisi, innalzerà le Colonne della R.L. Giuseppe Dolfi 1360, insediandone come Maestro Venerabile Sandro B.


Giuseppe Dolfi
- che fu uno di quei molti personaggi dell'800, più o meno noti, che furono animati da grandi sogni e che li poterono realizzare anche grazie alla loro adesione alla Massoneria, scuola iniziatica di elevazione spirituale ma anche cenacolo della dirigenza nazionale dello Stato nascente - fu un uomo d’azione che affermava: “In tutti i moti del popolo c'era la consapevolezza del fine, anche allorquando questo poteva sembrare utopia e le alte cariche si perdevano in particolari, rifugiandosi nell'ideale puro per sfuggire alla scottante realtà.”.


Troppo ricchi i templari, mandiamoli al rogo


Alla Venaria Reale una sorprendente mostra di storia e di arte sugli ordini cavallereschi, dalle prime Crociate, dai Cavalieri del Tempio con la loro parabola di "potere e morte", a Napoleone che istituì la Legion d'onore. Nuove ipotesi sulla testa dipinta adorata dai Templari: non un idolo, ma il volto di Cristo stampato sulla Sindone. Inaugurati nuovi spazi dell'antica "Reggia di Delizie" dei Savoia


di GOFFREDO SILVESTRI

Una mostra di storia (avvenimento abbastanza raro in Italia) piena di storie, quella degli ordini cavallereschi. Dai Templari ricchissimi e per questo finiti sul rogo all'ordine di Malta nato ospitaliero, che batteva moneta, aveva relazioni diplomatiche con gli Stati e una flotta con la quale partecipò alla battaglia di Lepanto (e in epoca moderna una flotta aerea). Rubens raffigurava i cavalieri di Malta nei suoi dipinti, accanto alle regine. Per finire a Napoleone. Dai difensori della Terra Santa, protettori dei pellegrini, contro i musulmani violatori del Santo Sepolcro, al fondatore della Legion d'onore, sogno di ogni francese (di ieri e di oggi). Quasi un millennio di storia europea fra religione e servizi al prossimo, guerre agli Infedeli, assedi, saccheggi, conquiste e perdite di regni, caccia ai pirati barbareschi, obbedienza al papa, fedeltà e tradimenti ai re. Dal 1095 della prima Crociata, al 1792 quando la Rivoluzione francese abolisce gli ordini cavallereschi (salvo creare un "souvenir" della Rivoluzione da mettersi al collo), al 1815 quando l'imperatore d'Austria e re del Lombardo-Veneto, istituisce il nuovo Ordine della Corona Ferrea, in risposta a Napoleone, che, come re d'Italia, l'aveva istituito. Era un ribadire i diritti al trono d'Italia. E infatti, nel 1866, sconfitta l'Austria nella terza guerra d'indipendenza, Vittorio Emanuele III istituì un omonimo ordine sopravvissuto sino al 1946. Palcoscenico ideale per gli ordini cavallereschi la Reggia di Venaria subito al di là della "tangenziale" di Torino (e arrivata ai primi due anni di vita moderna con un milione 950 mila visitatori). Titolo della mostra "Cavalieri. Dai Templari a Napoleone. Storie di crociati, soldati, cortigiani" (dal 28 novembre all'11 aprile 2010). Reggia di Venaria Reale, con una novità. Questo è un altro pezzo riconquistato della "Reggia di Delizie" dei Savoia, mai aperto al pubblico: il primo piano della costruzione di fondo che chiude il grandioso cortile di ingresso (la "Corte d'onore" con la "Fontana del Cervo"). Sulla sinistra ci sono le sale battezzate "Sale delle Arti" perché sono dedicate alle mostre. Più di 800 metri quadri rimessi all'"onore del mondo" e 600 per uffici. Una zona che non aveva né solai né intonaci e il tetto bucato, pesantemente tenuta su da putrelle in ferro e cemento armato "anni 70". Qui sono state ritrovate (e mantenute) decorazioni di fine Ottocento con trionfi militari, scudi, lance, elmi, scudo Sabaudo: tracce di caserma, una delle tante vite della Reggia. A Venaria il "dentro" e il "fuori" sono un tutt'uno come ha insegnato Juvarra con la "Galleria Grande" (la "Galleria di Diana"). Il "dentro" di saloni, stucchi, dipinti e il "fuori" della luce, di giardini e orti, e delle montagne. E allora le "Sale delle Arti" si aprono allo straordinario panorama dei giardini storici (80 ettari). Il grande architetto barocco compare nella mostra come cavaliere dell'ordine portoghese di Cristo in un ritratto di Agostino Masucci (1724 o 1736).
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I visitatori della mostra vedono un'altra novità recuperata. Lo scalone di fine Settecento progettato da Giuseppe Battista Piacenza (lo "Scalone del Piacenza") per collegare la "Corte d'onore" agli appartamenti dei duchi d'Aosta. Lo vedono, non lo percorrono. Per loro c'è un nuovo scalone di acciaio e vetro, ma con una emozione in più. I 120 scalini e pianerottoli sono ricoperti dal legno delle travi secolari della Reggia e di un altro monumento storico, il castello del duca di Agliè. C'è anche un ascensore vetrato per 21 persone (a Venaria non ci sono "barriere architettoniche"). La mostra (costo 634 mila euro più 250 mila di "promozione") è a cura di Alessandro Barbero, che insegna storia medievale all'Università del Piemonte Orientale (Vercelli) e di Andrea Merlotti, responsabile dell'ufficio studi e biblioteca della Venaria Reale (catalogo Electa). Sono stati scelti oltre 110 fra dipinti (con ritratti di cavalieri di Tiziano, Goya, Agostino Carracci, Mattia Preti, Frà Galgario, un ritratto equestre di Rubens); alcune sculture, bronzetti; codici, miniature, rari manoscritti; spade di ferro e acciaio; lo scudo in ferro del Tosone; armature con particolari da parata come gli speroni di bronzo dorato, leggere armature anche per bambini; manti regali come quello di Giuseppe Napoleone, re di Napoli e Spagna; collari e insegne degli ordini che sono gioielli (Toson d'oro, Annunziata, Elefante, Santo Spirito, Santo Stefano, Due Sicilie, Corona Ferrea, eccetera). Oggetti particolari: l'olifante da caccia in avorio del re di Portogallo con la Croce dell'Ordine di Cristo; insegne di pellegrinaggio in lega di piombo e stagno che inalberano San Giorgio e San Giorgio che uccide il drago. "I filoni dalla mostra sono tre e corrispondono alle fasi della storia degli ordini cavallereschi - osserva Andrea Merlotti - La prima fase inizia nel XII secolo, quando per difendere i regni di Terra Santa nacquero i Templari e gli Ospitalieri, seguiti più tardi dai Teutonici che sono Templari di lingua tedesca. Cavalieri che erano anche monaci e per questo si possono chiamare "cavalieri di Cristo". Dalla metà del XIV secolo, quasi tutti i sovrani europei diedero vita a ordini cavallereschi guidati da loro stessi e formati dai principali nobili: il modello erano re Artù e i cavalieri della "Tavola Rotonda". Nacquero allora l'Ordine della Giarrettiera, in Inghilterra, l'Ordine del Toson d'oro, in Borgogna, l'Ordine dell'Annunziata, nello Stato sabaudo e molti altri. I loro componenti erano "cavalieri dei re". Dal Seicento, al concetto di onore si affiancò sempre più quello del merito. Luigi XIV fondò due ordini (San Michele, in realtà già esistente, e San Luigi) per premiare il merito militare e civile. Durante il Settecento diversi sovrani fondarono ordini di merito: un percorso che si realizzò pienamente con l'istituzione dell'Ordine della Legion d'onore da parte di Napoleone nel 1802. Da allora si può dire che nei paesi democratici sia passato il principio - almeno sulla carta - che il vero onore è il merito". "Moltissimi sono ancora coloro che amano potersi far chiamare cavaliere perché la parola mantiene un fortissimo fascino - continua Merlotti.. Alcuni si accontentano dei titoli che offre il proprio ordinamento istituzionale, altri si ingegnano per esser cooptati negli ordini più disparati. Si potrebbe scrivere un trattato sulla fortuna degli ordini monarchici nelle moderne repubbliche". Gli ordini cavallereschi sono stati (e sono) centinaia. C'è un Paese che non li ha? "In antico la Repubblica delle Province Unite (attuale regno d'Olanda) non aveva ordini cavallereschi, che erano caratteristica dei paesi monarchici. Fra Otto e Novecento tutte le repubbliche si sono dotate di ordini. L'unica che è restata fedele alle radici dell'antico repubblicanesimo è la Svizzera". I Templari (nati col nome di "Cavalieri del Tempio" di Gerusalemme) con tutte le popolari e sbrigative trattazioni, storie e leggende in libri, cinema, televisione, magari rinforzate dalla "soap opera" del Santo Graal, fanno da "locomotiva" al titolo e alla mostra, con la loro tragica, sempre affascinante parabola di "potere e morte". La loro immagine moderna è legata al lungo mantello bianco con la Croce rossa, mentre nella "storia il mantello, per segno di umiltà, non era tinto e quindi aveva un colore grigio". In effetti i Templari sono stati l'ordine "più potente e illustre del Medio Evo cristiano". E possono essere considerati l'ordine cavalleresco più antico. "L'origine dei primi ordini non è del tutto chiara -precisa Merlotti - Quasi certamente gli Ospitalieri nacquero prima, ma all'inizio non erano un ordine militare. Per cui i Templari, pur se nati dopo, furono probabilmente il primo ordine a scegliere la vocazione delle armi". Nato nel 1119 ai tempi delle prime Crociate, dalla Terra Santa l'ordine si diffonde in tutta Europa espandendosi in prestigio, potere e ricchezze. In mostra c'è una tavola di Taddeo Gaddi, 1335-1340 circa, in cui papa Innocenzo III vede in sogno Francesco d'Assisi che sostiene a spallate la basilica Lateranense, simbolo della Chiesa. E il sonno del papa è vegliato da un Templare. Ma potere e ricchezze sono un binomio che non poteva non attirare altri potenti alla ricerche di denaro. Come il re di Francia Filippo IV il Bello che per attaccare i Templari e impadronirsi delle immense ricchezze usò il vecchio sistema di accusarli presso il papa di pratiche eretiche, pagane ed immorali. Le accuse e il processo andarono avanti per sette anni, dal 1307 al 1314. Filippo riuscì a far riunire un concilio che sancì l'abolizione dell'ordine il che avvenne nel 1312. Ma i Templari dovevano essere fisicamente eliminati: pochi in prigione, molti al rogo, compreso il Gran Maestro Jacques de Molay, uno dei riconquistatori di Gerusalemme, arrestato a tradimento, bruciato vivo a Parigi nel 1314. Filippo non riuscì ad incamerare tutte le ricchezze dei Templari perché il papa pretese che una parte arrivasse all'Ordine di Malta. Dalle ceneri dei Templari nascono in Aragona l'Ordine di Montesa e in Portogallo l'Ordine di Cristo. Dagli Archivi nazionali di Parigi e della Biblioteca nazionale di Francia, sono esposti il progetto della cancelleria reale di Filippo con la preparazione di un interrogatorio dei Templari (in cui i cavalieri confessavano di tutto e ancora di più pur di uscire da quei tormenti), e la copia manoscritta dell'ordine di arresto di tutti i Templari in territorio francese, del 14 settembre 1307. Una tempera e oro su pergamena, del 1416-1420 raffigura Filippo il Bello che si gode un bel rogo di Templari, da un'opera di Giovanni Boccaccio. Dell'odissea dei Templari fa parte l'opera più enigmatica della loro storia presentata in mostra. Una tavola di nessuna qualità formata da cinque assi orizzontali (141 per 74 cm), che l'esame al carbonio 14 ha datato al 1280, dipinta da autore anonimo di probabile origine medio orientale. Raffigura la cosiddetta "Testa di Templecombe", dalla omonima località inglese del Somerset e dalla omonima parrocchia. La testa non fu trovata in un luogo sacro, ma murata in un granaio e scoperta per le conseguenze di un inutile bombardamento tedesco sulla campagna inglese durante la Seconda Guerra Mondiale. In una formella mistilinea appare un volto di qualità pittorica rudimentale, di colore azzurrino contornato da capelli e barba rossiccia. Bocca e occhi spalancati. Il fatto di essere stato trovato in un villaggio sede di una precettoria dei Templari, di essere stato datato con attendibilità al 1280, a poco meno di trent'anni dall'inizio delle accuse che avrebbero distrutto l'Ordine, hanno fatto nascere ipotesi divergenti. Volto di Cristo. No, dell'idolo a forma di testa umana, denominato "Baphomet" (Bafometto), che i Templari avrebbero adorato in segreto. Testa del Battista. Ora nel catalogo della mostra Barbara Frale, specialista dei Templari, ricercatrice dell'Archivio segreto vaticano, ribadisce le sue tesi basate su documenti del processo contro i Templari trovati nell'archivio vaticano. Quel volto è il volto di Cristo, più precisamente il volto che era la sola parte visibile del lenzuolo della Sindone quando era piegato in forma di rettangoli. Perché i Templari sono stati i segreti custodi della Sindone dalla scomparsa del telo nel 1204 a Costantinopoli fino a metà Trecento quando ricomparve in Europa. Erano stati loro a rubarla dalla cappella degli imperatori bizantini durante il saccheggio della quarta Crociata. Fu un culto segreto perché sui ladri della Sindone c'era la scomunica di Innocenzo III. Un culto che veniva attuato anche nella cerimonia di ingresso dei nuovi cavalieri. I Templari erano stati spinti al furto per sottrarre la sacra reliquia che testimoniava la natura umana e la morte del Cristo agli eretici, come i Catari, che negavano l'una e l'altra. Come detto, questa è una mostra di storia. Che cosa significhi lo spiega Merlotti. Una mostra storica deve condurre il visitatore attraverso una vicenda che gli appartiene, ma di cui, probabilmente, ha perso il ricordo. Per questo essa deve parlare non solo ai sensi (aspetto peraltro indispensabile quanto si tratta di arte), ma alla coscienza. Nella mostra affrontiamo concetti come onore e merito, che hanno (o dovrebbero avere) una parte importante anche nella società in cui viviamo. Una mostra storica deve invitare con garbo il visitatore a guardare con occhi nuovi ciò che sin a prima gli appariva in un certo modo. Alla propria storia, ma anche alla propria arte. Le mostre di storia sono piene di copie moderne, riproduzioni che chiamano "parchi a tema". Le opere in mostra sono tutte "autentiche" e di grande qualità. Basti pensare a quelle che esponiamo nella prima sala per raccontare cosa fossero i cavalieri. Le più significative sono certo tre acquamanili - di fatto tre statue in bronzo - a foggia di cavaliere. Capolavori del Due e Trecento dal Museo del Bargello e dai Musei civici di Bologna. Nel Medio Evo anche i signori mangiavano con le mani e avevano bisogno di lavarsi le dita. Accanto ad essi sono due spade del Duecento e un elmo d'inizio Trecento (dal Museo di Palazzo Venezia e da Castel Sant'Angelo) che sono fra i più bei pezzi al mondo del loro genere. Completano la sala spada e speroni d'un cavaliere ritrovati dieci anni fa in una sepoltura in una chiesa di Aosta. Già solo queste opere varrebbero la visita. Oltre agli oggetti ci sono molte opere d'arte, in grande maggioranza dipinti. In realtà, anche molti 'oggetti' sono da considerarsi opere d'arte. La lapide mortuaria del cavaliere Giovanni Emo, del Museo di Treviso, per il suo committente, probabilmente, non era un'opera d'arte. Ma chi l'ammira oggi, e ne guarda le insegne degli Ordini del Dragone e della Giara, difficilmente pensa di trovarsi di fronte solo a un 'oggetto'. Lo stesso vale per le stupende armature (fra cui spicca il bellissimo scudo del Tosone, fra i prestiti più generosi che il Kunsthistoriches di Vienna ha voluto concedere) o ai sigilli di certi documenti. È indubbio, comunque, che l'arte figurativa faccia la parte del leone. Si va da Taddeo Gaddi, allievo diretto di Giotto, a Jean Perreal, il maggiore pittore francese fra Quattro e Cinquecento; da affreschi siciliani del Quattrocento, di Tomaso da'Vigilia, a tavole della scuola di Dürer. Fra le opere più belle è difficile non ricordare almeno il ritratto di cavaliere ospitaliero di Tiziano, dagli Uffizi, e il ritratto equestre di Giovan Marco Doria di Rubens: una 'pietra miliarè del genere, dalla Galleria nazionale di Palazzo Spinola. Non vi è quasi sala che non presenti dei capolavori: in quella sull'Ordine di Malta ci sono due capolavori di Mattia Preti: la "Predica di San Giovanni Battista" con l'autoritratto del pittore come cavaliere e il "San Giovanni Battista come cavaliere di Malta". In un'altra sala sono a confronto il ritratto di cavaliere costantiniano di San Giorgio di frà Galgario, uno dei più bei ritratti dell'arte italiana, e il ritratto del castrato Santarelli come cavaliere di Malta di Pompeo Batoni. Due opere che illustrano le metamorfosi dei cavalieri in età moderna, ma anche due opere straordinarie "in dialogo". E poi, dagli Uffizi, il ritratto della contessa di Chinchon di Goya, del 1801, che racconta meglio di qualsiasi altra opera come anche l'onore di una donna potesse passare attraverso l'ingresso in un ordine cavalleresco. E' l'unica "cavaliera"? No. Accanto è il ritratto che Anton Graf ha fatto nel 1792 a Carolina Maria Teresa di Borbone, principessa di Sassonia, come dama della Croce stellata e dell'ordine di Maria Luisa di Spagna. Quali sono le opere in mostra di cui siete più orgogliosi? Tutte ci sono egualmente care. Ognuno di noi, poi, ha le sue simpatie. Quando abbiamo tolto dalla cassa la predica del Battista di Mattia Preti e mi son trovato di fronte all'autoritratto del pittore che mi osservava, tenendo in mano, stretti insieme, la spada e il pennello (l'onore e il merito: appunto), confesso che mi sono emozionato. E ci sono opere rare a vedersi. Il preziossimo manto dell'Ordine del Toson d'oro del 1712. Il modello della grande Galera "bastarda" del gran maestro dell'Ordine di Malta: un modello di inizio Ottocento lungo circa tre metri per oltre uno e mezzo d'altezza, di grandissima maestria. Un'opera rarissima è la medaglia coniata durante la Rivoluzione Francese per i membri dell'Assemblea legislativa. Modellata sull'esempio delle insegne cavalleresche, la medaglia non portava un simbolo religioso, ma la dichiarazione dei diritti dell'uomo ed era retta da un nastro bianco-rosso-blu. Notizie utili - "Cavalieri. Dai Templari a Napoleone. Storie di crociati, soldati, cortigiani". Dal 28 novembre all'11 aprile 2010. Venaria Reale (Torino). Sale delle Arti, primo piano della Reggia. A cura di Alessandro Barbero e Andrea Merlotti. Promossa dal Consorzio di valorizzazione culturale "La Venaria reale" (presidente Fabrizio Del Noce, direttore Alberto Vanelli). Catalogo Electa. Allestimento Studio Gritella con Stefania Giulio. Ambientazione musicali Nicola Campogrande. Biglietti: intero 8 euro, ridotto 6; scuole 4. Biglietto mostra, Reggia e giardini intero 18 euro; scuole 7. ridotto 13. Orari: da martedì a venerdì 9-18,30; sabato 9-21,30; domenica 9-20; 1° gennaio apertura ore 11. Ultimi ingressi: un'ora prima della chiusura. Chiuso il lunedì tranne i lunedì festivi e 7 dicembre (orari della domenica). Chiuso 25 dicembre. Informazioni e prenotazioni +39 011- 4992333; http://www.lavenaria.it/ - prenotazioni@lavenariareale.it. Per le scuole 011-4992355; http://www.lavenaria.it/ - prenotazioneservizieducativi@lavenariareale.it.

venerdì 27 novembre 2009

153a Tornata di Loggia - Venerdì 4 Dicembre 2009


Carissimo Signore e Fratello,

sei cordialmente invitato a partecipare alla 153a Tornata di questa Loggia che si terrà presso il Tempio n° 4 della Casa dei Liberi Muratori di Piazza Indipendenza 1 a Cagliari, il prossimo Venerdì 4 Dicembre 2009, alle ore 19.45 per le ore 20.15.

Durante questa Tornata verrà celebrata la Cerimonia di Passaggio al Grado di Compagno di Mestiere Libero Muratore del Fr. M. N.


Su comando del Maestro Venerabile.


Sinceramente e Fraternamente

Ven. Fr. G.M., Segretario

giovedì 26 novembre 2009

L’arcano Bafometto alla Reggia


L'icona che l'Inquisizione considerava un'immagine diabolica decorava lo sportello di un sacello templare

di MAURIZIO LUPO
torino
L’inquietante icona medievale ritrovata nel 1945 nella chiesetta di Templecombe, resa celebre nel 2003 dal romanzo «Il codice da Vinci» di Dan Brown, ha lasciato per la prima volta l’Inghilterra, per essere esposta alla Reggia di Venaria. Raffigura una sofferente testa maschile, dipinta su tavola, con baffi e capelli lunghi. Ricorda il viso della Sindone. Ma la «Santa Inquisizione», aizzata nel 1314 dal Re di Francia Filippo il Bello, la riteneva un’immagine diabolica, convinta che fosse adorata dai Cavalieri Templari, accusati ad arte di avere rinnegato Cristo. La chiamavano il «Bafometto». L’avevano confessato, sotto atroci torture. E per questo erano stati condannati tutti al rogo, per la maligna soddisfazione del sovrano, che ambiva alle loro grandiose ricchezze.E’ una delle più affascinanti storie che racconterà la mostra «Cavalieri, dai templari a Napoleone». Dal 28 novembre all’11 aprile verrà ospitata nelle «Sale delle arti» della residenza sabauda, diretta da Alberto Vanelli. Curata da Alessandro Barbero e Andrea Merlotti, con 120 tesori rievoca un’epopea «di crociati, soldati e cortigiani».

E’ un racconto che l’allestimento ideato dall’architetto Gianfranco Gritella ha sceneggiato in tre sezioni cronologiche, dedicate ai «Cavalieri Templari», ai «Cavalieri dei Sovrani» e ai «Cavalieri del Merito». Ogni sezione è caratterizzata da un tempio scenografico. Per prima si scopre una cripta templare, poi la sala d’onore dei Cavalieri di Malta. Qui spicca la «Bastarda», una galera che combatté a Lepanto, riproposta da un modello lungo tre metri. Quindi ecco un’aula regale. Espone ordini dinastici, quali il Toson d’oro e il Collare dell’Annunziata. Vi sono abiti di corte, come quello indossato da Gerolamo Bonaparte. Attorno si ammirano celebri opere pittoriche, come il ritratto di Giovan Carlo Doria, dipinto da Rubens.

Tutto incomincia da un portale gotico. Un corteo di cavalieri conduce alla cripta templare, ricca d’affreschi. Al centro è posta la lapide tombale di un cavaliere francese, morto a Vercelli. Pare annunciare la ricostruzione parziale della cappella di Templecombe. Qui, in un’intercapedine, aperta da bombardamenti, si rinvenne la sua misteriosa icona. Venaria la espone su una parete nera, dietro un muro diroccato. Ne parla nel catalogo un saggio di Barbara Frale, storica, «ufficiale dell’Archivio Segreto Vaticano», autrice del libro «La Sindone di Gesù Nazareno», appena edito da Il Mulino. Per Frale «l’immagine di Templecombe è la testimonianza più importante e suggestiva del culto di Cristo presso i Templari. Si tratta dello sportello di un sacello che custodiva una copia della Sindone, consacrata per contatto con il suo lino».

Che cosa c’entra con il Bafometto? «Il termine è ripreso dagli interrogatori dei cavalieri torturati. E’ un’assonanza con il nome di Maometto, storpiato dal dolore». L’Inquisizione compiacente Filippo il Bello «la riporta per dimostrare che i Templari si erano convertiti all’Islam e per questo avevano fatto fallire le crociate. La testa di Templecombe è invece un’icona orientale. Deriva dall’immagine bizantina del Mandylion, ovvero della Sindone, piegata in modo da mostrare solo il viso. Era una figura ignota nell’Europa del tempo. Non ritrae il Cristo risorto che l’occidente era abituato a vedere nelle chiese. Rappresenta un Cristo umano, torturato, che i Bizantini conoscevano grazie alla Sindone. Era quella la figura venerata dai templari».

Filippo il Bello non poteva accettarlo. Aveva bisogno di sterminare i templari sul rogo, come eretici. Perché contrastavano i suoi piani: «Uno dei documenti esposti in mostra - racconta Frale - riguarda un accordo fra il Gran Maestro templare Jacques De Molay e Papa Clemente V, per bandire nel 1305 una nuova crociata. De Molay rivela al pontefice che re Filippo non ha alcuna intenzione di liberare il Santo Sepolcro, ma vuole inviare truppe in oriente contro regni cristiani, come l’Armenia, per farne colonie francesi».

Seminario di studio del Terzo Grado


A gennaio seminario di studio del terzo grado riservato ai fratelli maestri del Grande Oriente d'Italia. Chiude i lavori il Gran Maestro Gustavo Raffi.


CASTEL MARECCIO 16 GENNAIO 2010


Programma

09:45 Registrazione dei partecipanti

10:15 Benvenuto di Roberto Cirimbelli, presidente del Collegio Circoscrizionale dei maestri venerabili del Trentino Alto Adige


Interventi

10:20 Claudio Bonvecchio (Pavia)

Il significato e i temi del terzo grado

10:40 Stefano Bisi (Siena)

Il mito di Hiram

11:00 coffee break

11:30 Giuseppe Abramo (Roma)

La ritualità del terzo grado

11:50 Andrea Allieri (Cagliari)

Il terzo grado come trasformazione interiore

12:10 Peter Litturi (Bolzano)

L'unione degli opposti

12:30 buffet

14:30 Antonio Calderisi (Rimini)

Il senso della meditazione

14:50 Bent Parodi di Belsito (Palermo)

Esoterismo e misticismo nel terzo grado

15:10 Conclusioni di Gustavo Raffi, Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia


Castel Mareccio - via Claudia de' Medici 8 - Bolzano

Info: Roberto Cirimbelli(348 3659473 - roberto.cirimbelli@gmail.com)

La rivoluzione dei Templari: presentazione del libro di Simonetta Cerrini


Sabato 28 novembre alle ore 16 alla Sala Congressi dell'Hotel Ena ad Arenzano avrà luogo la presentazione del libro La Rivoluzione dei Templari (Mondadori, Le Scie, 2008) di Simonetta Carrini, con un'introduzione di Guglielmo Famà.


Il libro

Chi non ha mai sentito parlare dei cavalieri templari, della loro tragica fine, dell'inesauribile leggenda e del loro favoloso tesoro? Eppure, l'esuberante bibliografia sui "Poveri cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone", nati a Gerusalemme nel 1120, ha pressoché tralasciato la storia della loro nascita. Attraverso gli indizi storici, filologici, codicologici, testuali che si trovano nei nove manoscritti superstiti della regola del Tempio, Simonetta Cerrini ricostruisce l'ideale che animò la prima comunità templare, con l'obiettivo di sfatare le leggende fiorite nel corso dei secoli, di abbandonare i luoghi comuni storiografici e soprattutto di intraprendere nuove vie di ricerca. Proprio quando si era ormai affermata la separazione tra chierici e laici, e i chierici avevano assunto il monopolio del sacro, i templari sostennero la loro piena appartenenza al mondo dei chierici pur restando assolutamente laici. Al di là dell'impegno militare nell'esercito crociato, questa loro autonomia spirituale - di cui ancora non si sapeva nulla - si attuerà nella diffusione della cultura religiosa in lingua volgare e nel confronto con altre esperienze religiose, come l'islam o il cristianesimo d'Oriente.


L'autrice
Laureata cum laude all’Università Cattolica di Milano, Simonetta Cerrini ha ricevuto nel 1998 le “félicitations du jury” per la sua Tesi di dottorato all’Università di Paris IV - Sorbonne sulla spiritualità dell’Ordine del Tempio. Sui Templari ha pubblicato numerosi articoli in Francia, in Italia, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Attualmente non c’è libro serio sui Templari che non inserisca i suoi lavori in bibliografia.È in corso di stampa la sua voce Military Orders, Levantine scritta per Medieval Warfare and Military Technology: An Encyclopedia, a cura di Clifford J. Rogers (professore alla U.S. Military Academy di West Point), Oxford University Press, New York.La sua edizione critica della regola del Tempio, in latino e in francese antico “d’Oltremare” sarà pubblicata nel Corpus Christianorum Continuatio Mediaevalis. Ha insegnato in varie università francesi (Nice, Cérgy-Pontoise, Boulogne-sur-Mer) e alla Scuola Post-Dottorale della Pontificia Università Antonianum di Roma. Fa parte della Society for the Study of the Crusades and the Latin East ed è stata consigliera scientifica del dramma storico I Templari, ultimo atto, del drammaturgo Gian Piero Alloisio, interpretato magistralmente da Paolo Graziosi e mandato in onda da RAI 2 (Palcoscenico). Per l’A.T.I.D. diretta dallo stesso Alloisio, di cui è co-fondatrice, ha prodotto grandi eventi teatrali e musicali (per tre Festival Gaber di Viareggio, per il Festival di prosa di Borgio Verezzi, per il Festival di Anagni, per la Fondazione Carnevale di Viareggio, per la Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse di Genova, per la Fondazione Teatro Stabile di Genova, per la Fondazione Carlo Felice Teatro dell’Opera, per la BMG Ricordi ora Universal, oltre che per numerosi Enti Pubblici, dal Ministero degli Esteri al Comune di Genova, dalla Provincia di Milano al Comune di Padova, dalla Regione Liguria alla ASL di Roma…) tra cui “I Templari, un mito di oggi”, un Convegno storico-artistico sui Templari al Festival Arte di Taormina (1997) diretto da Giorgio Albertazzi, che ha visto la presenza dei maggiori studiosi internazionali dei Templari: Franco Cardini, Alain Demurger, Peter Partner.A ottobre del 2009, unica italiana presente, è stata invitata al convegno internazionale sugli Ordini militari svoltosi all’Università di Lione in onore dello storico francese Alain Demurger e sarà prossimamente in Portogallo, a Palmela, per presentare La Rivoluzione dei Templari.Il suo libro, La Rivoluzione dei Templari, edito a Parigi da Perrin (2007, e 2009 per l’edizione tascabile), nel 2008 è stato accolto nella prestigiosa collezione Le Scie di Mondadori ed è stato tradotto anche in spagnolo (El Ateneo, 2008). Adottato come libro di testo in due Università italiane (Venezia e Macerata), è stato presentato a Radio France - France Culture – La Fabrique de l’Histoire e al programma La Storia in giallo di RAI Radio 3.

martedì 24 novembre 2009

L’APPRENDISTA MASSONE PINOCCHIO


Il 24 Novembre 1826 nasce a Firenze Carlo Lorenzini alias Carlo Collodi autore de "Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino".
Considerata da alcuni una fiaba per bambini, “Pinocchio” in realtà fu concepito e scritto da Lorenzini come un romanzo iniziatico, denso di metafore, allegorie e messaggi esoterici.

Lorenzini apparteneva infatti alla massoneria, come pure il primo illustratore della sua opera, il ferrarese Arnaldo Ferraguti.

Ed anche la celebre trasposizione cinematografica di Pinocchio a cartoni animati, fu realizzata, forse non a caso, da un altro celebre massone americano: Walt Disney.

BIOTESTAMENTO: RAFFI (GOI), LIBERTA’ DI SAPERE E DI SCEGLIERE


(AGI) - Roma, 24 nov. - “Liberta’ di sapere e di scegliere il proprio destino”. La Massoneria italiana entra nel confronto sul testamento biologico e rivendica la “liberta’ di indicare, in caso di malattia, come morire, interrompendo le cure senza subire la violenza della nutrizione forzata”.
Nel presentare il convegno “La vita: una sfida per ciascuno di noi, il testamento biologico”, quarto seminario di studi massonici che si terra’ sabato 28 novembre a Udine presso il Palazzo Kechler, il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia (GOI), Gustavo Raffi, nota: “Tra diritto ed etica, il dibattito sul testamento biologico deve guardare alla centralita’ della persona e al suo unico sacrario: la coscienza. E’ una sfida tutta umana e partendo da questo foro interno, il dibattito e il confronto puo’ prendere il colpo d’ala per arrivare alla norma necessaria”. Al convegno organizzato dal GOI, dal Collegio circoscrizionale del Friuli Venezia Giulia e dall’associazione culturale ‘Galilei’ interverranno Giovanni Maria Cecconi, Enzio Volli, don Paul Renner e Luisella Battaglia.
“Sulla bioetica come su altri temi che toccano valori e diritti, laicita’ e vita la Libera Muratoria - spiega Raffi, che concludera’ il convegno - non solo e’ aperta al confronto con la Chiesa e con altre forza sane della societa’, ma vuole portare il proprio serio contributo di riflessione, evidenziando la necessita’ di rispettare la decisione del malato in caso di un possibile accanimento terapeutico. Non si tratta solo di rifiuto delle cure da parte del paziente, ma di preservare l’integrita’ psicofisica della persona, la sua emotivita’ e dignita’. In gioco non c’e’ soltanto un corpo da tenere in vita con ogni mezzo, ma una storia da difendere”.
Per il Gran Maestro Raffi: “Le problematiche connesse alla legge devono tener presente un mondo di valori e di convinzioni etiche, filosofiche e religiose che ciascuno ha sulla vita e la morte. Perche’ un diritto e’ tale anche se a esercitarlo e’ una sola persona. Allo stesso tempo vanno indicate misure concrete di supporto economico ai pazienti in stato vegetativo e alle loro famiglie. Ecco perche’ la legge sul testamento biologico non va caricata di connotati ideologici ne’ politici, ma deve prendersi cura, in senso heideggeriano non mistico-disincarnato, dell’uomo e della qualita’ della sua vita”.
Raffi conclude: “I liberi muratori, che sono e restano sempre uomini del dubbio, sostengono ancora una volta la liberta’ della ricerca scientifica contro ogni intolleranza e oscurantismo, invitando allo stesso tempo a evitare la spettacolarizzazione del dolore altrui e la demagogia di chi evoca roghi o scomuniche. Nel necessario dialogo, si tenga la barra dritta su un punto di partenza che e’ anche l’unico punto di arrivo: l’uomo e il suo bene”. (AGI)

Gelli e la P2 fra cronaca e storia


Di Licio Gelli e della Loggia Propaganda 2 sono state scritte un sacco di cose.
Quasi tutte pressoché a sproposito a cominciare dal fatto che fu una "Loggia segreta".
La P2, Loggia all'Ordine del Grande Oriente d'Italia, fu - diversamente - una Loggia "coperta" di diretta pertinenza del Gran Maestro dell'Obbedienza.
"Coperta" in quanto al suo interno vi erano personalità di spicco (del panorama culturale, politico, artistico ecc...) che - per la loro particolare posizione professionale - preferivano non rivelare l'appartenenza alla Massoneria e dunque figurare unicamente "all'orecchio" del Gran Maestro, come si dice in gergo massonico.
Si pensi solo al fatto che la Loggia Propaganda Massonica (poi P2) fu fondata nel 1877 e di essa vi faceva parte anche il Vate della letteratura risorgimentale Giosue Carducci e l'ottimo ed in dimenticato Sindaco di Roma Ernesto Nathan.
Tutto ciò e molto altro ancora è spiegato dettagliatamente e con una ricchissima documentazione e bibliografia dallo storico Alessandro Aldo Mola - Medaglia d'Oro per la Cultura dal 1980 - nel suo ultimo saggio "Gelli e la P2 fra cronaca e storia" edito dalla Bastogi.
Mola, senza faziosità alcuna, racconta di come il "presunto scandalo" P2 non fu che il pretesto per una lotta senza quartiere contro i massoni e la Massoneria italiana, da sempre vista con sospetto da settori clericali, fascisti e comunisti.
Mola ripercorre così - come già fece lo scrittore Pier Carpi nel suo "Il Venerabile" nei primi anni '90 - la vita di Licio Gelli sin dai tempi della Guerra di Spagna quando combattè a fianco dei franchisti e successivamente in Italia a Capo del Fascio di Pistoia. Sino a quando salvò da morte certa 62 prigionieri fra ebrei e partigiani, evitando così la loro deportazione nei campi di sterminio in Germania.
Ciò gli vantò un attestato da parte del Comitato di Liberazione Nazionale di Pistoia e gli consentì, a guerra finita, di rifarsi una vita. Prima come commerciante di prodotti di cancelleria e via via, negli anni '50, nell'ambito della Permaflex ove divenne direttore dello stabilimento di Frosinone.
E così, successivamente, come racconta Mola, Gelli decise di farsi iniziare massone negli anni '60 con l'obiettivo di rendere la Massoneria un organismo in grado di risolvere le controversie internazionali e nazionali. Un po' come durante il Risorgimento italiano o con la fondazione della Società delle Nazioni e dell'ONU.
Nulla, insomma, di oscuro e di occulto. Anzi.
Un capitolo molto denso del saggio di Mola, oltre a quello dell'amicizia fra Gelli ed il generale Peron, è infatti dedicato alla fondazione dell'OMPAM da parte di Licio Gelli, ovvero dell'Organizzazione Mondiale Per l'Assistenza Massonica.
Un organismo sovranazionale, appunto, in grado di "contribuire a soccorrere ed ad elevare le condizioni morali, spirituali e materiali dell'Uomo e della Famiglia umana, operando secondo i principi etici propri dell'insegnamento massonico", come dichiarato dal promotore stesso.
Un organismo che faceva leva proprio sulla fratellanza massonica che era l'unico principio in grado di superare tutte le divisioni in fatto di politica, razza, religione....
Un organismo "alla luce del sole", che fu riconosciuto anche in sede ONU alla stregua della Fao e dell'Unesco e che si proponeva di integrare l'opera umanitaria laddove le giurisdizioni massoniche non disponessero di strutture economicamente e giuridicamente idonee per operare sia all'interno dei singoli Stati che a livello internazionale.
Operazione ambiziosa che purtroppo la stampa nostrana omise di far conoscere al grande pubblico. E che si arenò con l'avvento del presunto scandalo P2, nel 1981.
L'OMPAM fu tuttavia un'operazione autonoma di Gelli e per nulla legata al Grande Oriente d'Italia, anche se egli stesso propose all'allora Gran Maestro del GOI, Lino Salvini, di nominare il suo predecessore - Giordano Gamberini - alla carica di Ambasciatore del GOI presso l'OMPAM.
Licio Gelli, sia detto per inciso, allora non era ancora Venerabile della Loggia P2, anche se la P2 era attiva e nota ai Gran Maestri sopra citati ed ai loro predecessori senza scandalo alcuno come spiegato all'inizio di questo articolo.
Gelli fu solamente un personaggio particolarmente attivo sia all'interno che all'esterno della Massoneria. Il che lo porterà ad occuparsi di cose estranee alla stessa Istituzione come ad esempio di politica (si noti bene che le Costituzioni di Anderson del 1723, vietano espressamente ai massoni di occuparsi di politica e religione in Loggia).
Ma ad ogni modo anche qui nessuno scandalo "profano", come rilevato dall'ottimo Alessandro Mola nel capitolo dal titolo "Gelli per la Seconda Repubblica".
Alla metà degli anni '70 - vista l'estrema fragilità e litigiosità della coalizione di Pentapartito e l'incalzante terrorismo rosso e nero - l'Italia si trovò ad un bivio: o una dittatura clericale di estrema destra, oppure un ancor meno auspicabile regime di estrema sinistra.
Licio Gelli stilò così il famigerato "Schema R" (Rinascita), all'indomani dell'avanzata del Pci alle elezioni amministrative del 1975.
Lo "Schema R", come documentato dal saggio di Mola, non fu altro che un piano riformatore, che elaborava la strategia politica per arginare la dilagante avanzata dei comunisti - alleati alla dittatura sovietica - in Italia, per mezzo di un rafforzamento della coalizione di Pentapartito (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli) a partire dalla Democrazia Cristiana, a patto che essa si depurasse da correnti ed alchimie che la rendevano inefficiente ed inefficace.
L'obiettivo finale di Gelli non era altro che un ritorno ai "fasti ed al prestigio della Segreteria De Gasperi".
Un rafforzamento, dunque, della democrazia centrista e moderata. Altro che autoritarismo filo-fascista tanto sbandierato dalla grande stampa dell'epoca !
Gelli delineò nel suo "Schema", anche un elenco molto preciso di riforme che - peraltro - erano condivise dalla gran parte degli italiani di allora e di oggi e che proprio oggi - trent'anni dopo - sono di scottantissima attualità e dibattito.
Dalla riforma presidenziale all'abrogazione dell'immunità parlamentare; dalla riduzione ad una Camera dei Deputati sino all'abolizione dei ministeri e degli enti inutili quali le Province; dall'introduzione di pene severissime per i reati di corruzione perpetrati da politici, funzionari e pubblici ufficiali sino alla privatizzazione del carrozzone Rai-Tv. Riforme allora necessarie come lo sono oggi.
Al punto che lo stesso Gelli precisò subito che tutto ciò "non preludeva ad un colpo di Stato", bensì intendeva "scongiurare l'irreparabile jattura di una guerra civile e allontanare dall'Italia il pericolo di un governo dittatoriale di ispirazione comunista o fascista".
Chi accusò Gelli di cospirazione politica sulla base dello "Schema R" o fu in mala fede oppure quello "Schema" non lo lesse punto. Come i fatti - documentati dal Mola - si sono incaricati di dimostrare.
Che poi, forse, il Gran Maestro di allora - Lino Salvini – avesse concesso troppo "potere massonico" a Licio Gelli, siamo d'accordo.
Licio Gelli fu elevato al grado di Maestro Venerabile della P2 il 9 maggio 1975 e ciò fu un po' un'anomalia visto che la P2 era storicamente di pertinenza del Gran Maestro in carica.
Come un'anomalia massonica fu che Gelli iniziasse gli aspiranti Fratelli "in punta della spada", ovvero senza alcun rituale massonico, come ricordò anche il prof. Claudio Bonvecchio in un recente convegno sulla Massoneria tenutosi a Pordenone. Ma, come il Bonvecchio ed il Mola ricordano: la P2 divenne il capro espiatorio del malaffare di gran parte delle forze politiche di allora, le quali montarono ad arte la famosa "teoria cospirazionista ai danni dello Stato", istituendo addirittura una costosissima ed inutile Commissione Parlamentare d'Inchiesta presieduta da Tina Anselmi e che si concluse con nulla di fatto. Mettendo a nudo unicamente l'ignoranza di gran parte dei politici e dei magistrati di allora in fatto di Massoneria ed Esoterismo.
La P2, dunque, non era affatto una organizzazione segreta, bensì una "Loggia coperta" come ve ne sono moltissime anche all'estero e per i motivi già sopra spiegati.
Il saggio di Alessandro Mola lo chiarisce, citando anche le sentenze della Corte d'Assise di Roma che fra il '94 ed il '96, assolsero sia la P2 dalle accuse di "complotto ai danni dello Stato" che lo stesso Gelli per le innumerevoli accuse attribuitegli.
Il tutto documenti alla mano, come peraltro - un vent'ennio fa - fece anche lo scrittore e regista Pier Carpi con il suo "Il caso Gelli" (1982) ed il romanzo "Il Venerabile" (1993). Scritti che gli costarono l'esilio da parte del panorama culturale dell'epoca....sic !
Rimane solo una domanda di fondo, che emerge dalla conclusione stessa del saggio di Mola: perché i mass-media tacquero in merito a queste sentenze al punto che ancora oggi Gelli e la P2 sono bollati con marchio d'infamia ?
Quella di "Gelli e la P2 fra cronaca e storia" è senza dubbio una lettura appassionante, dunque, che permette al lettore di addentrarsi in una vicenda mai del tutto trattata per com'è stata nei fatti, con un'analisi dell'Italia degli ultimi trent'anni.
Un Italia ancora incapace di scrollarsi di dosso il suo pesante passato.

di Luca Bagatin

Francia: "No a donne massoni, ma sostenitori fanno ricorso"


Roma, 23 nov. (Apcom) -


Fatto più unico che raro nella più grande loggia massonica della Francia, il G.O.F. "Grande Oriente di Francia", la giustizia interna ha deciso di cassare il voto dei membri che a settembre avevano rifiutato di far entrare le donne e di iniziarle ai riti segreti.
Il Grande Oriente di Francia - scrive Le Figaro che riporta la notizia - attraversa una nuova crisi sull'ammissione delle donne al suo interno. La Camera suprema della giustizia ha annullato il voto sovrano del grande convento (equivalente della sua assemblea generale annuale), che si è riunito a Lione il 4 settembre scorso. Dopo molti anni di dibattito, la questione se le logge possono o no iniziare le donne, e ammettere come membri delle donne già iniziate, è stata sottoposta al voto dei 1.200 delegati. Questi hanno risposto con un "no": il 56% contro l'iniziazione delle donne e il 58,7% contrario all'affiliazione delle sorelle già iniziate in altre logge.
I sostenitori della causa, tuttavia, hanno fatto ricorso e hanno vinto la causa il 20 novembre. L'annullamento della votazione - scrive il quotidiano francese - è quasi senza precedenti.
L'attuale Gran Maestro, Pierre Lambicchi, nega che ci sia una crisi interna. Domenica prossima presiederà un Consiglio dell'ordine mensile, sotto forma di comitato segreto, per decidere quando il tema dell'ammissione delle donne sarà rivotato dal Grande Oriente di Francia: a settembre prossimo o durante un convegno straordinario che si riunirà prima. La strada alle donne massoni è però ormai aperta.

lunedì 23 novembre 2009

"Sotto il cielo della libertà"


Santena (Torino) Castello Cavour - 21 novembre

Libertà è sinonimo di un "agire" privo di condizionamenti? Le scelte per raggiungerla sono "apparentemente" libere? Sono guidate da un'etica?


Questi e altri quesiti saranno discussi il 21 novembre nel Castello di Cavour a Santena in occasione del convegno Sotto il cielo della Libertà.


Filosofie e culture a confronto organizzato dal Collegio circoscrizionale di Piemonte-Valle d'Aosta.


Su questo tema, come recita il titolo, si confronteranno specialisti in varie discipline, esponenti di religioni ed esperti di culture diverse.I lavori si svolgeranno nell'arco di una giornata (dalle ore 10) e al termine, nel pomeriggio, è prevista una visita guidata al Castello di Cavour.

Info:
http://www.grandeoriente.it/eventi.php?id=1045&task=view&t=109 http://www.grandeoriente.it/img/Convegno-21-11-09.pdf

Processo a Gioacchino Murat. Convegno della Loggia partenopea "Giuseppe Mazzini" patrocinato dal Collegio Circoscrizionale.


La bellissima sede delle logge napoletane e della circoscrizione di Campania e Lucania (Galleria Umberto I, 27) ospita la mattina del 21 novembre il Processo a Gioacchino Murat. L'iniziativa è della loggia "Giuseppe Mazzini" (206) di Napoli con il patrocinio del Collegio campano.


Il programma prevede:
ore 10:00 divertissement musical (Mozart e Bach) con M° Luigi Biondi al pianoforte e M° Luigi Tufano al violino
ore 10:30 Il Processo
La Giuria
Presidente Giuseppe Troise, Secondo Gran Sorvegliante del Grande Oriente d'Italia Giudice Giovanni Esposito, Presidente del Collegio Circoscrizionale di Campania e Lucania .Giudice Ciro Furfaro, Presidente del Consiglio dei maestri venerabili di Napoli ,Giudice Rocco Spera, Maestro Venerabile della loggia "Giuseppe Mazzini" (206) di Napoli ,Pubblico Ministero Generoso Romano, avvocato Collegio difesa Pietro Formisano, storico e saggista assistente alla difesa dott. Valentina Mottola voce recitante M° Mario Aterrano, attore (Murat) ore 12:30 Visita guidata alla Casa massonica

Cerimonia di Iniziazione al Grado di Apprendista Ammesso Libero Muratore


Il prossimo Venerdì 27 Novembre 2009, alle ore 19.45 per le ore 20.15, presso il Tempio n° 4 della Casa dei Liberi Muratori del Grande Oriente d'Italia, in Piazza Indipendenza 1 a Cagliari, verrà celebrata la Cerimonia di Iniziazione al Grado di Apprendista Ammesso Libero Muratore del Sig. A. S.

L'invito è esteso a tutti i Fratelli.

Seguirà il Convivio Fraterno.

Raffi: "nessuna infiltrazione nella Istituzione. Le nostre mani sono sempre pulite. Palazzo Giustiniani non ha nulla da temere"


"Le nostre mani sono pulite, come lo sono i nostri guanti rituali. Non temiamo davvero nulla perché nel Tempio di Palazzo Giustiniani i criminali e i mafiosi non possono entrare". E' dura e chiara la presa di posizione di Gustavo Raffi, Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, che risponde così all'articolo pubblicato ieri da ‘Il Giornale di Sicilia’, con il titolo "L'accusa della Chiesa: Poca distanza tra boss e massoni»", che registra, da un lato, le accuse del Presidente Nazionale del Gris, Giuseppe Ferrari e, dall'altro, le aperture di quest'ultimo al dialogo. "Respingiamo con sdegno le accuse di contiguità e di sostegno reciproco fra Libera Muratoria e alta criminalità organizzata. Al riguardo la Massoneria di Palazzo Giustiniani diffida formalmente il Presidente del GRIS ad uscire dalle denunce generiche ed indiscriminate, dalle ombre che non aiutano a comprendere i fatti, per chiarire invece senza indugi – e assumendosi ogni responsabilità civile e penale - se gli addebiti infamanti riguardino il Grande Oriente d'Italia e, in caso affermativo, a denunciare fatti circostanziati e a fornire nomi e cognomi dei responsabili". "Ovviamente – sottolinea ancora il Gran Maestro Raffi - il Grande Oriente d'Italia si riserva fin d'ora di agire giudizialmente a tutela della propria onorabilità. Prendiamo atto con amarezza dei cambiamenti di rotta del vertice del GRIS che, dopo anni di proficui confronti pubblici e civili, sembra ora aver optato per il confronto nelle aule di giustizia. Se questo è il terreno del dialogo cui fa riferimento il Presidente del GRIS, da uomini liberi e di buoni costumi, noi non ci sottrarremo". "Fin d'ora però una cosa sia chiara a tutti: chi profila anacronistici scenari da P2 e chi lancia palle incatenate sulla nostra Istituzione – conclude Raffi - non avrà come risposta il silenzio. Rispetto a una comunione massonica che ogni giorno è lievito sano per la società ed esempio di tolleranza e confronto, rispetto al Grande Oriente dItalia che conta 21.000 persone e tra questi migliaia di giovani, il nostro primo dovere è fare verità. Ed è quello che faremo in tutte le sedi, a schiena dritta come sempre. Chi agita spettri, rimarrà deluso".

Cultura: Siena, consegnati Mille euro alla Mensa dei poveri con lo Stradario Massonico


da http://www.agenziaimpress.it/


È nato un nuovo modo di visitare la città di Siena, e non solo il suo celebre e celebrato centro storico, patrimonio mondiale Unesco dell’umanità: il trekking urbano per le strade Intitolate ai massoni illustri. Non solo quelli risorgimentali, che hanno contribuito all’Unità d’Italia (Garibaldi, Cavour, Mazzini, Mameli, Ricasoli) ma anche i senesi del Novecento, da Artemio Franchi a Silvio Gigli, da Paolo Cesarini a Dario Neri. È stato, infatti, presentato in palazzo pubblico, nella sala-museo del Risorgimento, lo Stradario Massonico di Siena (primamedia editore, pp. 112, Euro 12) di Stefano Bisi. Di fronte ad un pubblico numeroso ed attento, il giornalista ha voluto sottolineare il valore e la presenza dell’Istituzione massonica, soprattutto nei suoi aspetti solidaristici e di fratellanza.


Serata di solidarietà - E nel corso della serata sono stati raccolti 1.060,00 Euro subito consegnati alla Mensa dei poveri di Suor Ginetta. “Un modo per dimostrare – ha detto Bisi - che si deve essere solidali nei fatti e non a parole. E mi piace pensare che a Milano vi sia l’associazione massonica “Pane Quotidiano” mentre a Siena sia attiva la Mensa dei Poveri. Strutture che non chiedono a chi bussa a quale religione appartenga, ma gli danno da mangiare senza nulla volere in cambio. Per questo io sento suor Ginetta “mia sorella” e per questo sono orgoglioso di contribuire alla sua causa”.

Lo stradario - A parlare dell’originale guida di Siena (con traduzione inglese e due o più foto di Alessandro Vagheggini per ogni strada) tre interlocutori d’eccezione, il sindaco Maurizio Cenni e gli ex primi cittadini Mauro Barni e Roberto Barzanti, moderati da Luigi Oliveto che nel volume è presente con lo scritto “Un nome, una storia”.“Questo libro può diventare una chiave importante per far conoscere ai più giovani gli uomini che hanno segnato con le loro opere la nostra vita e fornire loro uno strumento mnemonico per ricordare più facilmente – ha detto il sindaco Maurizio Cenni -. Lo Stradario di Bisi attinge la sua capacità di comunicare non solo alla forza della parola, ma anche a semplici tecniche mnemoniche che ci invitano a pensare per immagini, a ricordare i grandi del passato associandoli alle nostre strade perché abbiano più possibilità di restare impressi nella nostra memoria”.

Parola agli ex sindaci di Siena - Roberto Barzanti poi ha voluto sottolineare come con questa operazione lo stesso Bisi abbia voluto sgomberare il campo dalle tante curiosità legate alla Massoneria: “A chi si domanda continuamente chi siano i massoni – ha detto -, Stefano risponde facendoci vedere che questi sono sotto i nostri occhi tutti i giorni, nelle strade che regolarmente percorriamo, nelle figure che conosciamo da sempre”. Mauro Barni, infine, ha ricordato alcuni dei personaggi senesi del novecento compresi nello stradario cui Siena ha dedicato una strada o una piazza. In primo luogo Artemio Franchi, che fu presidente della Federcalcio, Uefa e vicepresidente Fifa, e che scomparve quando lui era primo cittadino. “Fui tra i primi ad accorrere sul tragico luogo dell’incidente – ha ricordato Barni – e quando qualche tempo dopo al Coni a Firenze ne venne ricordata la figura me ne andai sentendo dire che Franchi era morto su un strada in un paese senza storia”.

Sindone firmata: è già polemica


di Lorenzo Fazzini (Avvenire, 21 Novembre 2009)

«In base ai confronti svolti, oggi sono convinta che le tracce di scrittura identificate sul lino della Sindone possano appartenere ad un testo derivato direttamente o indirettamente dai documenti originati fatti produrre per la sepoltura di Yeshua ben Yosef Nazarani, più noto come Gesù di Nazareth detto il Cristo». È questo il sasso lanciato nello stagno della scienza della Sindone, il celebre (e discusso) sudario di Cristo conservato a Torino, da una storica di recente balzata agli onori delle cronache per i suoi saggi medievalistici. Già il volume I Templari e la sindone di Cristo (Il Mulino), uscito a inizio anno, di Barbara Frale, funzionaria dell’Archivio Segreto Vaticano, aveva diviso gli esperti.
Ora, con La Sindone di Gesù nazareno (Il Mulino, pp. 254, euro 28), la Frale - nata a Viterbo nel 1970 - lancia un’altra ipotesi suggestiva: che sul lino custodito all’ombra della Mole si annidino alcune scritte multilingue vergate da un funzionario addetto alla sepoltura dei condannati a morte nella Gerusalemme del I secolo. Qui Barbara Frale interpreta un’iscrizione compatibile con la tradizione che vede nel sudario il telo che avvolse il corpo di Gesù di Nazareth, che nella primavera prossima verrà di nuovo mostrato in pubblico: a Torino si recherà pellegrino anche Benedetto XVI.
La Frale ha interpretato la seguente scritta: «Gesù Nazareno deposto sul far della sera, a morte, perché trovato» colpevole. Il tutto scritto con termini di tre idiomi: latino, greco ed ebraico. E al profluvio di critiche che si preannunciano, la giovane addetta dell’Archivio vaticano risponde così nelle conclusioni del suo volume, anticipato ieri da Repubblica: «L’ipotesi che le scritte siano state messe da un falsario per avvalorare l’autenticità della Sindone è da scartare: infatti questo truffatore avrebbe dovuto inventare un sistema complicato per lasciare sul telo certe tracce che sarebbero divenute visibili ai posteri solo tanti secoli dopo, con l’invenzione della fotografia; inoltre qualunque falsario avrebbe usato le diciture del titulus crucis, quelle descritte dall’evangelista: non certo quelle strane parole che con i Vangeli non c’entrano proprio nulla».
E la discussione si infiamma. «Sono molto stupito». Monsignor Giuseppe Ghiberti, vicepresidente del Comitato per l’ostensione della Sindone, non nasconde la sua perplessità, sebbene metta le mani avanti: «Prima di tutto bisogna leggere l’opera. Sono stato di fronte alla Sindone ore e ore e mai ho avuto sentore di nulla del genere. E nemmeno l’hanno avuto professori competenti in elaborazione di immagini». Circa il carattere multilinguistico della ricostruzione, Ghiberti afferma: «L’unico precedente che può dare peso a questa ipotesi è il titolo della croce di Gesù, che era in più lingue». Ma alla domanda se ritenga realistica la tesi della studiosa laziale, Ghiberti risponde con un eloquente sospiro. E riprende: «Quando non si conoscono bene gli argomenti altrui, si preferisce sospendere il giudizio. Ma tutto questo non mi convince».
«Non voglio essere ironico né polemico», esordisce Luciano Canfora, docente di Filologia greca e latina all’università di Bari. «Ma secondo me Barbara Frale si è avventurata in qualcosa di molto insidioso». Per lo studioso barese «la ricchezza di particolari nascosti nelle fibre di lino fa pensare a una vera falsificazione». Canfora qualifica come errata l’ipotesi della Frale in base a due elementi: la ricchezza di dettagli e il poliglottismo della scritta decifrata. «Si presenta tutto ciò come una gigantesca novità, ma così non è. La prima, forte perplessità è la presenza di tre lingue nella scritta ritrovata. La Frale spiega tale riscontro con il pluriculturalismo della Gerusalemme del tempo. Ma un conto è l’ambiente culturale di una città - annota Canfora -, altra cosa un documento che racchiude tre lingue. È come se oggi un taxista di origine indiana a Londra, per scrivere una ricevuta, utilizzasse tre idiomi diversi».
Canfora sottolinea un altro particolare per spiegare la sua disapprovazione: «Tutto si basa sull’idea che al collo del condannato vi sia il verbale del giudizio di Caifa su Gesù». L’affermazione che si trattasse di uno scritto fatto da un becchino trova l’antichista pugliese nettamente scettico: «Non è ovvio che esistesse una figura del genere. Non abbiamo ancora una trattazione sistematica sulla figura di funzionari addetti alla sepoltura dei condannati a morte nella Giudea del I secolo: vi sono testimonianze contraddittorie al riguardo».
Canfora stabilisce un parallelo tra il papiro di Artemidoro e la Sindone, o meglio tra la contestata autenticità della seconda e la dimostrata falsità del primo: «I numerosi dettagli, che vogliono avvalorare l’autenticità, indicano invece che questi elementi scritturistici sono aggiunte tardive. Com’è stato constatato dalla polizia scientifica per il papiro di Artemidoro». Canfora riconosce che Barbara Frale non propone una tesi: «Lei dice: io ho trovato questo. Ma ha riscontrato cose tutt’altro che univoche!».
A Canfora replica Franco Cardini, medievalista e docente all’università di Firenze: «Primo: dobbiamo difendere Barbara Frale dai sindonologi che si scagliano con durezza contro quanti sostengono ipotesi troppo forti. La sua non è ancora una tesi ma un’ipotesi, ragionevole e affascinante, basata su indizi. Si tratta di una pista interessante. Ritengo che gli indizi che lei individua siano troppo coerenti per poterli considerare frutto del caso. Si è limitata a riempire dei vuoti di documentazione come solitamente si fa nella ricerca storica. La sua è un’interpretazione con forti basi storiche, niente a che fare con la fantastoria di Dan Brown». Insomma, per lo storico fiorentino siamo davanti a «un lavoro serio, da prendere in considerazione, in cui ci sono osservazioni geniali».
È poi singolare che Cardini giudichi in maniera opposta il particolare del plurilinguismo rinvenuto dalla Frale sul lino di Torino, cosa che Canfora bolla come «artefatto»: «Se si trattasse di un documento di ambiente caratterizzato da un forte monolinguismo, capirei l’obiezione. Ma la Gerusalemme del I secolo era un luogo di straordinario incrocio linguistico: il latino era la lingua ufficiale ma il greco rappresentava il "basic english" del tempo. Poi c’erano il caldeo, l’ebraico, e altre lingue che poggiavano su una grande tradizione grafica». Cardini guarda all’oggi per suffragare la plausibilità dell’interpretazione plurilinguistica della Frale: «I ragazzini arabi dei suk della Gerusalemme attuale, quando scrivono, passano tranquillamente dalla grafia araba a quella latina dell’inglese. Il plurilinguismo della scritta della Sindone non mi sorprende affatto».
Invece Bruno Barberis, direttore del Centro internazionale di Sindonologia di Torino, non concorda con la Frale: «Premetto che devo leggere il libro per un giudizio completo. Comunque, già nell’opera precedente, questa studiosa faceva un accenno a tali ipotesi. Il nodo è che queste scritte sono tutt’altro che confermate. Non è mai stato fatto un rilievo fotografico che dia risposte definitive se sulla Sindone ci siano delle scritte. Del resto in molti vi hanno rinvenuto tantissime parole: sembra più un’enciclopedia che un sudario!». Barberis afferma che è prioritario «stabilire se queste scritte esistono. Che poi si giunga a conclusioni del genere della Frale, mi sembra fantascienza e fantastoria. Sono inoltre estremamente critico su queste ipotesi perché possono essere strumentalizzate dagli avversari della Sindone».

Ecco l’uomo che firmò la Sindone


di Michele Smargiassi (la Repubblica, 20.11.2009)

Nessun Vangelo, neppure gli apocrifi, parla di lui, lo scriba dell’atto di sepoltura di Gesù. I grandi libri della fede preferiscono i personaggi grandiosi agli sbiaditi comprimari rimasti al di qua del bene e del male. Eppure eccolo riemergere da duemila anni di oblio, così stagliato che par di vederlo. Un funzionario dell’Impero romano, un anziano impiegato ebreo della morgue di Gerusalemme, mano tremolante, parsimonioso, sbrigativo ma accurato. In una Deposizione barocca potremmo immaginarlo un po’ in disparte, intento a stilare i documenti richiesti dalla minuziosa burocrazia imperiale per il rilascio del cadavere di un giustiziato. Non sappiamo il suo nome. Ma quello scritto, che per lui era solo l’incombenza quotidiana di un poco gratificante mestiere, ora lo possediamo. Forse per gli anni passati a inseguirlo, forse per la familiarità coi misteri che deve avere una Ufficiale degli Archivi segreti del Vaticano, Barbara Frale non sembra emozionata nel confermarci quello che potrebbe essere uno dei ritrovamenti più sorprendenti dell’era cristiana: «Sì, penso di essere riuscita a leggere il certificato di sepoltura di Gesù il Nazareno». E quel che pare esservi scritto non solo accredita, ma arricchisce il racconto degli evangelisti.
È stato, per la verità, sotto i nostri occhi per secoli, impresso come una fotocopia sul telo più venerato della storia, la Sindone di Torino; ma per estrarlo di lì occorreva frugare il lino fibra per fibra, con sapere archeologico, storico, paleografico. Ciò che la dottoressa Frale assicura di aver decifrato, e come lo ha fatto, ce lo racconta lei stessa nel volume La sindone di Gesù Nazareno (Il Mulino, 375 pagine, 28 euro), sul quale prevedibilmente si scateneranno le controdeduzioni degli specialisti. Ma questo è il meno: se Frale vede giusto, allora si riapre clamorosamente, proprio alla vigilia della nuova ostensione torinese prevista in primavera, non solo la questione della datazione della Sindone, ma quella ben più scottante della sua autenticità come «la reliquia più splendida della Passione» (Giovanni Paolo II) e non più come semplice «icona veneranda» (cardinal Ballestrero).
La presenza di scritture sulla Sindone è nota da oltre trent’anni. Stringhe di caratteri latini greci e ebraici circondano il volto dell’Uomo, impresse in negativo: macchie chiare visibili solo dove si sovrappongono al colore rossastro che disegna l’immagine più controversa del mondo. Se ne accorse per primo nel 1978 il chimico Piero Ugolotti esaminando alcuni negativi fotografici del Telo, e sentendosi incompetente a decifrarle chiamò in aiuto il classicista Aldo Marastoni. Altri studiosi, francesi e italiani, recuperarono poi nuovi frammenti di vocaboli. L’insieme sembrava promettente: iber poteva essere un moncone di Tiberios, nome dell’imperatore regnante al tempo della Passione; l’apparente neazare suggeriva ovviamente un nazarenos, e quell’innece(m) poteva alludere alle circostanze di una morte. Il senso, però, restava un puzzle insolubile. A che genere di testo appartenevano quelle parole, ma prima ancora: come si stamparono sul lino?
Reperti che presentano ricalchi e impressioni delle scritture con cui vennero casualmente a contatto non sono rari in archeologia: tavolette d’argilla, persino strati di fango ci hanno trasmesso testi il cui supporto originario è andato perduto. Il metallo contenuto nell’inchiostro di un foglio venuto a contatto con la Sindone può aver rilasciato sul telo particelle poi "rivelate" dalla misteriosa reazione chimica che ha impresso l’immagine dei misteri. Ma di che foglio si trattava? Forse l’etichetta, la cedola, di uno dei reliquiari che custodirono la Sindone quando era già oggetto di culto? Ad ogni modo, quando nel 1988 la famosa e clamorosa prova del radiocarbonio stabilì per il Lenzuolo una data di nascita tardomedievale, l’interesse per la questione delle scritte crollò a zero: a chi poteva ormai interessare la presenza di complicati graffiti su una falsa reliquia?
Barbara Frale però è tra quanti non hanno mai creduto a quella datazione scientifica. Per lei, che ne ha tracciato la storia nel suo recente I Templari e la Sindone, il telo di Torino è il bizantino Mandylion di Edessa, trafugato durante il sacco di Costantinopoli del 1204, poi clandestinamente adorato dai monaci guerrieri. Dunque le scritte possono risalire ai primi secoli dell’era cristiana.
Devono, anche? Non mancherà chi accusi la ricercatrice di aver forzato le sue ipotesi per arrivare alla spiegazione più clamorosa. Lei lo mette in conto, e replica: «Non ho voluto dimostrare verità di fede. Io sono cattolica, ma tutti i miei maestri sono stati atei o agnostici, l’unico credente era ebreo. Il mio libro non si esprime sull’origine miracolosa o meno dell’immagine della Sindone. Fin dall ’inizio mi sono imposta, anche per disinnescare l’emozione che avrebbe potuto travolgermi, di lavorare come avrei fatto su qualsiasi reperto archeologico».
Frale procede per deduzione, confronto ed esclusione, come un detective. Impossibile, è la sua prima conclusione, che quelle scritte provengano da un testo scritto da cristiani; infatti, osserva, se oggi è abituale chiamare Gesù "il Nazareno", quell’appellativo diventò pressoché eretico per i fedeli dei primi secoli: troppo legato alla sola dimensione umana, terrena del Salvatore. «Sarebbe stata un ’offesa suprema scrivere Nazareno in un testo destinato al culto. Avremmo dovuto trovare invece Cristo: ma di quella parola sulla Sindone non c’è traccia». Quelle parole straordinariamente salvate dal ricalco, ne deduce, provengono da un documento pre-cristiano. E del tutto "laico". Parlano di Gesù dal punto di vista di chi lo considera solo un uomo. Un documento "gesuano", dunque, non "cristologico".
Ma a che scopo ne parlano? Il confronto con le sepolture coeve, lo studio delle procedure giudiziarie romane e dei regolamenti necrofori giudaici suggerisce alla fine questa ipotesi: un povero corpo crocifisso dopo una condanna poteva essere riconsegnato ai parenti solo dopo un anno di "purificazione" nella fossa comune; per identificarlo, evitando che si perdesse nel caos del sepolcreto di Gerusalemme, i necrofori utilizzavano cartigli incollati con colla di farina all ’esterno del sudario già avvolto attorno al cadavere, a incorniciarne il volto nascosto dalla tela. Corriamo avanti, alla ricostruzione finale proposta da Frale: un funzionario al servizio dell ’amministrazione romana, attingendo ai documenti del processo e nel rispetto delle leggi sulle inumazioni, redige con la mano un po’ tremolante (per l’età?) e con calligrafia un po’ demodé ma ancora in uso nel primo secolo una sorta di "bolla di accompagnamento necroforo", come i cartellini appesi ancor oggi all’alluce dei cadaveri negli obitori; un informale certificato di sepoltura che, visto lo scopo pratico, può essere steso su sparsi scampoli di papiro e vergato in fretta, con errori e incertezze ortografiche.
Frale riprende là dove la decifrazione si era arenata, lancia nuove ipotesi, corregge quelle vecchie, completa le lacune, ricorre ai vocabolari greco, latino ed ebraico e alla fine propone la sua lettura. Eccola: quel testo riferisce di un certo (I)esou(s) Nnazarennos che nell’anno 16 dell’impero di (T)iber(iou), una volta "deposto sul far della sera", (o)psé kia(tho), dopo essere stato condannato "a morte", in nece(m), da un giudice romano "perché trovato", mw ms’, secondo la denuncia di un’autorità che parlava ebraico (il Sinedrio?), colpevole di qualcosa, viene avviato a sepoltura con l’obbligo di essere consegnato ai parenti solo dopo un anno esatto, ossia nel mese di ada(r); c’è infine l’"io sottoscritto", o meglio "io eseguo", pez(o), del nostro umile burocrate.
Tutto torna, il puzzle va miracolosamente a posto. L’anno 16 di Tiberio è l’anno 30 dopo Cristo, il periodo è la primavera, l’ora è la nona, quella del Golgota, le parole superstiti di quella che potrebbe essere una copia del verbale del processo (un testo greco lungo ma illeggibile appare sotto il mento) coincidono con le espressioni che i Vangeli attribuiscono al Sinedrio di Caifa, quell’in necem sarebbe dunque una citazione delle parole della sentenza del romano Pilato; la mescolanza di citazioni in tre lingue non farebbe problema visto l’ambiente poliglotta in cui si muovono gli attori della Passione. Questo complicato puzzle di parole, conclude Frale, è «l’anello mancante» tra dati della storia e racconto del Vangelo. Tutto torna perfettamente.
Magari un po’ troppo, dottoressa? «Io ho incontrato un documento archeologico che parla della condanna e della sepoltura di un uomo di nome Yeshua Nazarani: a lui ho intitolato il mio lavoro. Se quell’uomo fosse anche il Cristo, il Figlio di Dio, non è compito mio stabilirlo»

giovedì 19 novembre 2009

152a Tornata di Loggia - Venerdì 27 Novembre 2009


Carissimo Signore e Fratello,


sei cordialmente invitato a partecipare alla 152a Tornata di questa Loggia che si terrà presso il Tempio n° 4 della Casa dei Liberi Muratori di Piazza Indipendenza 1 a Cagliari, il prossimo Venerdì 27 Novembre 2009, alle ore 19.45 per le ore 20.15.


Durante questa Tornata verrà celebrata la Cerimonia di Iniziazione al Grado di Apprendista Ammesso Libero Muratore del Signor A. S.


Su comando del Maestro Venerabile.

Sinceramente e Fraternamente

Ven. Fr. G.M.,

Segretario

152a Tornata di Loggia - Venerdì 27 Novembre 2009

Carissimo Signore e Fratello,


sei cordialmente invitato a partecipare alla 152a Tornata di questa Loggia che si terrà presso il Tempio n° 4 della Casa dei Liberi Muratori di Piazza Indipendenza 1 a Cagliari, il prossimo Venerdì 27 Novembre 2009, alle ore 19.45 per le ore 20.15.


Durante questa Tornata verrà celebrata la Cerimonia di Iniziazione al Grado di Apprendista Ammesso Libero Muratore del Signor A. S.


Su comando del Maestro Venerabile.

Sinceramente e Fraternamente

Ven. Fr. G.M.,

Segretario