La presenza dei Templari in Sardegna è accertata a partire dal XII secolo in tutti i giudicati. Nel giudicato di Torres furono introdotti da Gonario II al suo ritorno dalla Terrasanta, mentre nel giudicato d’Arborea arrivarono dopo il matrimonio di Barisone I con la giovanissima Agalbursa di Bas, imparentata con la famiglia dei Torroja, cui apparteneva Arnaud, Maestro Generale del Tempio dal 1180 al 1184. Nella scorta della sposa erano sicuramente presenti alcuni cavalieri rossocrociati e la numerosa colonia catalana stabilitasi in seguito sull’isola favorì, senza dubbio, l’insediamento dell’Ordine.
Agli inizi del XIII secolo, i Templari furono incaricati dal papa Innocenzo III di esigere il censo dovuto dai sardi alla Santa Sede.
E’ anche certo, e ve n’è conferma dalla lettura della bolla “Fratribus Militiae Templi per Sardiniam constitutis” emanata da Innocenzo IV, che nel 1249 i Templari erano fortemente radicati sul territorio. Nel 1291 fu persino celebrato un concilio, convocato dall’arcivescovo di Cagliari per espressa disposizione del pontefice Nicolò IV, in merito alla questione dell’unificazione degli ordini militari.
Nonostante l'impegno di storici e ricercatori, l'analisi dei documenti disponibili e le verifiche condotte presso i siti non hanno ancora portato ad identificare, con chiarezza, la consistenza e la dislocazione delle proprietà templari nell’isola, tant'è che, ad oggi, sono ancora rarissimi gli insediamenti riconosciuti. Tra questi, la chiesa di Santa Corona de Rivora (o d’Errivora) presso l’odierna Riòla Sardo, località del giudicato d’Arborea, alla quale è possibile associare l’esistenza di una precettoria.
Vi è però una chiesetta le cui singolari caratteristiche, collegate a rilevanti indizi, consentono di ipotizzarne il possesso o quantomeno la vicinanza all’Ordine del Tempio.
Esiste in Norbello, grazioso paesino dell’entroterra nell’attuale provincia di Oristano, una chiesa dedicata a Santa Maria della Mercede, un piccolo edificio in stile romanico realizzato su una necropoli alto-medievale risalente al VI–VII secolo. Il periodo della costruzione è compreso fra la seconda metà del XII secolo e i primi decenni del XIII. Al suo interno compaiono iscrizioni dedicatorie intervallate da croci, tutte dipinte in minio rosso, venute alla luce durante recenti lavori di restauro e consolidamento che ne certificano l’età. La datazione delle pitture deriva dalla relazione dei tecnici della Soprintendenza ed è confermata dai pareri di notissimi docenti universitari quali Renata Serra e Roberto Coroneo. I documenti storici la segnalano nella disponibilità della famiglia Puddu, un esponente della quale, divenuto padre mercedario, avviò nella chiesa, attorno al 1770, il culto della Madonna della Mercede.
Dell’esistenza della chiesa di Sancta Maria de Norgillo si ha notizia nel Condaghe di Santa Maria di Bonarcado alla scheda n.126, il cui contenuto è collocabile tra il 1164 e il 1171. Una seconda scheda, la n.174, riporta un atto datato 1229 menzionante, fra i testimoni, Barusone Pinna e Dorgotori de Sogos, nomi che appaiono simili a quelli dei due personaggi citati nelle scritte dedicatorie presenti nella chiesa. Quest’ultimo, Dorgotori de Sogos, viene indicato come “curatore de Norghillos”, anche se, in realtà, le iscrizioni della chiesetta nominano un Dorgotorio Pinna. Fatto indiscutibile, è che compare sicuramente il nome di Barisone Pinna. Dal contenuto di queste dediche è possibile supporre il restauro della chiesa da parte dei due committenti, appartenenti, con tutta probabilità, ad un ordine di crociati.
Un aspetto del tutto insolito, sul quale è lecito avviare congetture, è che croci e scritte sono rimaste a lungo celate sotto il manto d’intonaco che avvolgeva le pareti e che, una volta demolito, ha svelato le immagini sottostanti.
Ma chi fu a ricoprire le pitture? E soprattutto, perchè? Damnatio memoriae o semplice occultamento in attesa di tempi migliori?
Secondo alcuni documenti del 1919 sembra che all’epoca del restauro l’arcivescovo di Oristano, E. M. Piovella, fosse già al corrente dell’esistenza di dipinti nascosti e che, pertanto, raccomandasse di adottare nell’operazione la massima perizia. La prima ad effettuare la sensazionale scoperta fu comunque Bianca Miselli, studiosa ed animatrice culturale, la quale individuò le croci sotto uno strato di intonaco del secondo dopo-guerra.
La chiesa di Santa Maria, piccola e ad unica navata, è la classica chiesetta romanica della Sardegna; classica sia nelle forme architettoniche che nei materiali utilizzati per l’edificazione. Come accennato, le pareti interne presentano scritte e disegni che si alternano tra dieci grandi croci rosse graffite di tipo “templare”, inserite in clipei ed equamente distribuite sui due muri maggiori. Tali croci, tutte di forma latina, rimandano in maniera inequivocabile alla croce raffigurata sul sigillo del precettore d’Aquitania. L’analogia, per nulla casuale, è supportata dalla presenza, nella parte inferiore, del cosiddetto “ardiglione” (che non è altro che la punta della spada), palese riferimento al carattere militare dell’istituzione. Tra i disegni sono pure riconoscibili dei cavalieri stilizzati ed alcuni simboli dell’apparato iconografico cristiano, come l’asinello e i pesci. Altrettanto significativa e degna di rilievo è la presenza della caratteristica croce intrecciata, simbolo di chiara influenza cistercense.
Maria Cristina Cannas, studiosa cagliaritana, autrice del libro “Nel segno della croce – Le pitture murali della chiesa di Santa Maria della Mercede a Norbello”, ritiene che le immagini disegnate sulle pareti dell’edificio rappresentino un rito di consacrazione da parte di due templari, identificati in Barisone e Dorgotorio Pinna. I due crociati costruiscono o meglio, restaurano e consacrano la chiesa, con una simbologia che è tipica templare. Secondo l’autrice c’è poi un particolare significato nella croce racchiusa dentro la mandorla e nell’asinello che la sostiene. Affiora, così, una finalità quasi penitenziale, ipotesi avvalorata proprio dalla presenza dell’asino, animale spesso associato ai valori della semplicità e della povertà, dell’umiltà e della penitenza. Sono molteplici i simboli riprodotti lungo le due pareti ma tutto l’insieme viene letto come un itinerario, una serie di stazioni del viaggio di purificazione compiuto dal cavaliere cristiano.
Sia la tipologia che il colore delle croci, la loro foggia propriamente militare, la presenza del caratteristico nodo cistercense, per logica attinenza non possono che orientare le ricerche verso l’Ordine Templare. Anche l’intitolazione mariana della chiesa non può essere considerata del tutto occasionale. Pur in mancanza di documenti certi, l’appartenenza al Tempio di Santa Maria di Norbello appare quindi possibile ed anche molto probabile.
Per quanto riguarda l’esistenza di possedimenti templari nella zona interessata, è utile rammentare che all’epoca del tragico epilogo il papa Clemente V affidò all’arcivescovo d’Arborea, Oddone Sala, uomo particolarmente legato al pontefice, il mandato di inquisire i Templari che risiedevano nelle diocesi di Arborea, Cagliari e Torres. Allo stesso tempo, il delicato incarico di amministrare i beni confiscati ai Templari fu assegnato, non a caso, al vescovo di Bosa, Nicolò.