di Nuccio Puglisi
L’alchimia, nonostante l’enorme materiale e il gran numero di studiosi che l’hanno analizzata ed interpretata da vari punti di vista, anche tra loro opposti, è rimasta nella sostanza un “mistero”.
Al giorno d’oggi la definizione che molti scienziati danno dell’alchimia è che essa sarebbe stata il primo embrione, rozzo e fantastico della scienza che verrà poi chiamata chimica ed i successi ottenuti dagli antichi alchimisti, quali la scoperta della potassa caustica, del fosforo, dell’ossido di stagno etc sono stati dovuti esclusivamente all’inesauribile laboriosità di quest’ultimi che a forza di bruciare e mescolare composti a casaccio, ottennero inevitabilmente dei risultati.
Sarà meglio spiegare una volta per tutte che alchimia e chimica non hanno nulla in comune, neppure dal punto di vista della derivazione storica di una dall’altra. Sono due concezioni della realtà distinte ed autonome; la sola cosa che le avvicina è l’azione sulla materia degli elementi o dei composti chimici, per il resto il rapporto che esiste tra loro può essere paragonato, e sempre approssimativamente, a quello che c’è tra pittura e fotografia.
La differenza tra chimica, come disciplina delle scienze naturali e l’alchimia, consiste nella diversa concezione della natura.
L’alchimia asseconda la natura per quanto spetti proprio all’alchimista il compito di portarla a compimento; il chimico, invece, considera la natura una specie di “cava” il cui materiale grezzo è utilizzabile e sfruttabile a volontà.
All’alchimia, in quanto improntata alla sintesi, lo smembramento dei corpi in parti sempre più piccole non interessa; il suo interesse è diretto al perfezionamento delle sostanze.
La chimica è basata essenzialmente su una concezione analitica, il suo interesse è diretto alla composizione delle sostanze.
La moderna chimica ignora l’aspetto immateriale della natura e trascura il fattore qualitativo a favore di quello quantitativo.
L’intelligenza nello studio dei trattati di alchimia sta non nella presunzione di trovare un senso chiaro e razionale nei suoi testi, ma studiarli come se si trattasse di una lingua sconosciuta e l’arte di questi autori sta nell’avere creato parole e figure direttamente comprensibili da qualsiasi individuo provocando quella illusione immediata di comprensione che deve provocare un criptogramma ben composto.
Geber nel suo
Libro del Mercurio orientale scriveva: «In realtà vi è accordo tra gli Autori, benchè per i non iniziati sembri esservi divergenza»; e la
Turba Philosophorum così si esprimeva: «Qual pur sia il modo con cui i filosofi ermetici hanno parlato... essi sono tutti d’accordo, e dicono le medesime cose ... chè noi siamo tutti d’accordo, qualunque cosa diciamo».
I Figli di Ermete sembrano quindi avere perfetta coscienza di dire tutti la medesima cosa al di là delle apparenze; e ciò li induce a ripetere orgogliosamente il loro motto: quod ubique, quod ad omnibus et quod semper. Ovunque la medesima verità: ed il Saggio sa subito riconoscerla pur sotto i veli dei differenti linguaggi.
Se gli alchimisti parlano, allora, la stessa lingua e nelle loro opere mandano messaggi a coloro che sono in grado di capirli è indubbio che quest’ultimi possiedono la chiave necessaria alla comprensione di questo linguaggio attraverso qualche modalità differente dalla tradizione scritta.
Nessuno può avvicinarsi all’Alchimia e comprenderne il messaggio se non è in qualche modo “chiamato” a seguire il percorso iniziatico.
È bene fare, a questo punto, una doverosa differenza tra il concetto di iniziazione e di vocazione. La vocazione si manifesta con l’immediata comprensione della terminologia ermetica e con l’intuizione dei segreti alchemici, un dono ritenuto divino.
L’iniziazione, invece, ha luogo sotto forma di trasmissione diretta (maestro che insegna all’allievo) o indiretta (l’opera di altri alchimisti). L’iniziazione può avvenire anche attraverso una serie di eventi che tra loro non hanno alcuna correlazione ma che portano la persona poco per volta, attraverso scoperte successive, ad accumulare conoscenze ed esperienze necessarie ad intuire le verità alchemiche.
Risulta, quindi abbastanza evidente perché la maggior parte degli alchimisti non ha ritenuto né utile né necessario esporre con chiarezza i principi e le pratiche alchemiche: solo chi è iniziato o chiamato per via quasi soprannaturale potrà accedere alla scienza segreta, mentre gli altri che non sono ritenuti degni, ne rimarranno esclusi.
L’alchimia, trattata dal punto di vista spirituale ha come fine l’ascesi dell’operatore verso le vette più elevate della conoscenza.
Ascesi spirituale: ossia la capacità di domare il proprio Io egoistico inferiore, e di mettersi totalmente al servizio dei propri simili, unicamente permeati da un possente afflato di Amore; capacità dunque, di trasmutare da quella condizione individuale che è propria di chi vive nel mondo del divenire, in quella superindividuale prima (compimento del Piccolo Magistero) e poi in quella impersonale con cui si perfeziona il Grande Magistero.
Sono queste le tre fasi dell’Opera che gli antichi alchimisti mediante varie allegorie hanno definito fasi al nero, al bianco e al rosso.
L’alchimia viene definita “Arte Reale” ma si può dire anche “Arte Sacra”, perché nelle pratiche che si devono necessariamente seguire per superare queste fasi, vi è qualcosa di sovrumano che sfugge ad ogni definizione e che l’ignoranza di molti interpreta come una serie di procedimenti di magia nera o nella migliore delle ipotesi “esoterismo pericoloso”, non capendo che colui che segue questa via deve sottoporsi ad una serie di privazioni aiutandosi con la preghiera.
L’Alchimia nei suoi più alti aspetti si occupa della rigenerazione spirituale dell’uomo, ed insegna come un “dio” possa svilupparsi da un essere umano o, per esprimermi in maniera più chiara, come stabilire quelle condizioni necessarie allo sviluppo dei poteri divini nell’uomo, in modo che un essere umano divenga un “Dio” per il potere di Dio, nello stesso modo in cui un seme diventa una pianta con l’aiuto dei quattro elementi e l’azione di un invisibile quinto elemento.
La Grande Opera alchemica mira a creare le condizioni per consentire al soggetto di superare i propri limiti, attivando le proprie intrinseche potenzialità spirituali.
L’anima può passare dallo stato caotico grave, rappresentato dal piombo, attraverso una purgatio, al “sole interiore”, la perfezione spirituale della coscienza, la “luce solidificata” rappresentata dall’oro.
La trasformazione della personalità, in quanti si sono realizzati, consente i più alti poteri spirituali e materiali ed è per questo motivo che potremmo chiamarla “Arte Sacra” e che, come tale, richiede un processo iniziatico.
Prima che una persona possa compiere delle meraviglie sul piano fisico, la sua volontà deve prima divenire autocosciente dentro di sé; la luce che brilla dal centro del suo cuore deve divenire vivente onde agire su quelle sostanze che entrano nell’opera di trasmutazione alchemica.
Le qualità ed i poteri di quella luce, o anche la sua esistenza sono ignorate assolutamente dai cultori delle cosiddette “scienze ufficiali”, ma sono descritti, sotto il velame simbolico, nei libri sacri di tutti i popoli.
Nell’esposizione delle fasi della Grande Opera trova inveramento un mito antico e misterioso come quello dell’Androgino.
Sin dalle più antiche civiltà, il simbolo dell’Androgino appare come schermo ancestrale della coesistenza di tutti gli attributi dell’esistente nella Unità divina ed in quella dell’uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio. L’idea di una divinità androgina è feconda di stimoli cognitivi in quanto ci rimanda al concetto di autosufficienza analogo alla concezione secondo cui tutta l’esistenza proviene da una unica fonte.
Nelle dottrine gnostiche, l’androginia è presentata come lo stato iniziale che deve essere riconquistato. Uno dei principi fondamentali dell’arte alchemica è definito in tre parole: en to pan cioè “nell’uno è il tutto”.
Questa visione unitaria del Tutto, presuppone la fondamentale unità dell’universo e quindi totalità risulta essere sinonimo di completezza o di compiutezza a tutti i livelli.
A livello cosmologico il raggiungimento di questa unità trova la sua espressione nella scoperta che il singolo è parte attiva dell'universo: la relazione armonica che lega l'individuo all'universo è una relazione di interdipendenza e di interazione. A livello umano l'unità del tutto implica che anche psichicamente l'individuo sia un essere umano completo, cioè tanto maschile che femminile, mentre il sesso biologico di ognuno è determinato dalla predominanza di uno dei due principi sull'altro. A livello psicologico la frattura causata dalla divisione del Sé guarisce quando si raggiunge una armoniosa integrazione dialettica degli aspetti maschili e femminili.
Le fasi dell’Opera.
La prima fase, detta al Nero, consiste nell’affrontare e vincere una metaforica battaglia con colui che custodisce la porta del tempio della verità.
Chi è questo “Guardiano della Soglia?”
Il Guardiano della soglia, il drago nel simbolismo medievale, non è altro che il nostro sé inferiore, quella combinazione di principi materiali e semi materiali costituenti l’ego inferiore, che la grande maggioranza degli uomini amorosamente e ciecamente blandisce ed accarezza, a cagione dell’amore di sé. L’uomo non vede le sue vere qualità finchè è attaccato alla sua natura inferiore, se fosse altrimenti ne sarebbe, forse, disgustato: ma quando tenta di penetrare nel recinto del paradiso dell’anima, quando la sua autocoscienza incomincia ad accentrarsi nel suo Sé superiore, allora il Guardiano della Soglia diviene oggettivo per lui, ed egli può essere terrorizzato dalla sua (in verità, la propria) bruttezza e deformità.
La fase al Nero si compie in maniera graduale ed in un periodo di tempo che può essere anche molto lungo poiché le passioni non possono essere eliminate tutte insieme ma poco per volta
In questo stato di ridotta attività di coscienza (ridotta perché abbiamo imposto alle nostre forze mercuriali di non far caso ai messaggi trasmessi dal nostro Corpo Fisico) può accadere di tutto.
In questo stato che potremo definire al limite tra la vita e la morte, in quanto cominciamo a perdere contatto con la realtà materiale e a percepire quella spirituale che, non dimentichiamo è popolata sì da Angeli ed entità benefiche, ma anche da demoni e larve, può succedere che ci prenda una crisi di panico per la perdita di un punto di riferimento al quale eravamo abituati e che ci dava sicurezza; è come se precipitassimo in un vuoto sconosciuto, una paura tale da indurci in tentazione di abbandonare tutto.
Gli antichi alchimisti descrivevano questa “prova del vuoto” dicendo che il Leone Rosso, cioè il selvaggio istinto di conservazione dell’Io animale che credevamo di aver ucciso, si ripresenta riaffermando il suo primitivo potere, altri invece parlano di vortici che risucchiano o di correnti che trascinano per sottrarsi ai quali, il neofita terrorizzato, altro non desidera che riprendere il familiare contatto con l’elemento Terra, riportandosi, in tal modo allo stato iniziale.
È la resa, la rinuncia a progredire oltre, sulla via dell’Arte.
La paura, ogni paura è, per l’Alchimia, il nemico più terribile dell’evoluzione e della vita stessa, per cui combattere la paura che il nostro “guardiano” ci presenta, in ultima analisi significa compiere una scelta di VITA, per la vita.
Questa è la scelta che la Viriditas ci pone di fronte. Scegliere tra le nostre paure e la vita: crogiolarsi come “Dei mai nati” nell’alveo mercuriale acqueo ed uterino che “protegge” le nostre paure dalla loro trasmutazione oppure “trarle fuori” da esso per “nascersi”, trasmutando queste paure in conoscenza di vita.
Come si evidenzia, quindi, la via da percorrere è costellata da ostacoli ma soprattutto è importante che chi si presenta alla soglia del “Tempio” deve essere in condizioni di perfetto equilibrio psico- fisico in quanto questo percorso comporta al neofita impreparato una serie di scompensi mentali irreversibili.
Riassumendo, occorrerà sostituire con estrema gradualità quelle quantità di egoismo e di preoccupazione materiali che man mano vengono lavate via, con corrispondenti quantitativi di desiderio di ascesi e di brama di Dio; e man mano che queste gocce di rugiada celeste penetreranno nella nostra Terra saturandone i pori, rendendola sempre più coerente e compatta, noi diverremo sempre più forti. Tutto sta nel tenere a freno il Leone Rosso (Io egoistico) stancarlo, fino a ridurlo in uno stato di debolezza: allora avremmo vinto e la prova del vuoto non ci farà più paura. Per riuscire ad uscire vittorioso nella prova del volo del Drago, secondo un vecchio assioma ermetico occorre “uccidere allo stesso tempo che farsi uccidere” il che significa che mentre si uccide il Corpo (mentre lo si mortifica con la Fase al Nero) occorre anche uccidere lo Spirito, e cioè fissarlo affinchè non sfugga dalla prigione del Corpo.
È questa la fissazione filosofica del Mercurio.
Si apre così il passaggio dalla nigredo all’albedo.
Sulla porta ermetica di Piazza Vittorio a Roma è scritto: “Quando in tua domo nigri corvi parturient albas columbas, tunc vocaberis sapiens. (Quando nella tua casa i neri corvi partoriranno le bianche colombe, allora ti chiamerai sapiente).
Non c’è religione o mitologia che non abbia parlato diffusamente di questa prima trasmutazione, del miracolo di una componente fisica, materiale, che, assoggettata al fuoco di una pura e forte Volontà giunge a sublimarsi fino a formare un tutt’uno con quel flusso di Amore che permea l’intero Universo.
Dal punto di vista psicologico, l’albedo indica la condizione di veglia perenne, l’estasi attiva, come chi dormendo non dorme. In questa dimensione bisogna coinvolgere anche la corporeità, in modo che anch’essa venga trasfigurata dal nuovo stato di luce.
Occorre riconvertire (solve) il corpo in spirito; e corporizzare lo spirito (coagula). A questo punto si sono verificate le condizioni per l’immortalità. Non c’è più la prevalente dipendenza dalla fisicità, ma un armonico equilibrio psicosomatico che ha come centro l’energia vitale.
Albedo è la scoperta della natura androgina dell’uomo.
Quando l’uomo discese nel mondo fisico, entrò un mondo di dualità. A livello fisico ciò si manifesta attraverso la differenziazione dei sessi. Ma il suo spirito è ancora androgino, contiene la dualità nell’unità. La sua unità non è legata allo spazio, al tempo o alla materia. La dualità è una caratteristica del nostro mondo fisico. È transitoria e infine cesserà di esistere. Quando maschio e femmina saranno di nuovo uniti si avrà l’esperienza del vero Sé. Il conscio e l’inconscio saranno completamente uniti.
Il raggiungimento della consapevolezza, dell’autocoscienza, implica la scoperta della propria androginia. Consapevolezza ed androginia sono le due qualità essenziali delle divinità. Inoltre, dato che consapevolezza ed androginia implicano perfezione, la divinità è anche immortale. La divinità è immortale perché androgina, è immortale perché l’immortalità è attributo della perfezione e la perfezione, a sua volta, implica una personalità in-divisa. La persona che ignora la propria duplice natura funziona con una sola metà del suo essere, la sua personalità è scissa ed egli vive in uno stato di miseria spirituale. Al contrario, chi prende coscienza della propria personalità duale condivide le qualità del divino
L’albedo avviene quando il sole sorge a mezzanotte. È un’espressione simbolica che rappresenta il sorgere del sole nel profondo del buio della nostra coscienza. È la nascita di Cristo nel cuore dell’inverno. Nel profondo di una crisi psicologica, avviene un cambiamento positivo.
Nella fase al Bianco l’uomo si trova libero dal peso di ogni impurità terrestre; si trova in uno stato di purificazione passivo, femminile, lunare o argenteo che dir si voglia.
Questo ancora non è sufficiente bisogna procedere oltre, salire ancora un gradino fino a conquistare la gloria della purificazione attiva, solare, maschile fino a tracciare l’intero segno della Croce, aggiungendo il tratto verticale maschile al precedente tratto orizzontale femminile.
Il successivo passaggio porta alla rubedo, allo splendore del Sole allo Zenith, il fuoco cosmico, l’amore universale che abbraccia nutre e riscalda la coppia sacra.
Qualcuno potrebbe domandarsi: come sono possibili tutte queste trasmutazioni, come può il corpo fisico pesante, materiale, essere reso uguale prima allo spirito e poi all’anima?
Il segreto è tutto in quel Dogma dell’Unità che dice Omnia ab Uno et in Unum omnia (tutte le cose provengono dall’Uno e all’Uno tendono). La Materia è una e trina nella sua essenza e trina nella forma (Sale, Mercurio e Zolfo). E una nel suo amore verso Dio, trina nella sua manifestazione.
Ognuno di noi è uno in sé e per sé; ma, se non ha la forza di conoscersi, di scendere dentro se stesso per liberarsi da tutte le impurità, se preferisce, perché è più comodo, ricercarsi sul volto degli altri, allora non sarà più uno, ma una molteplicità: tanti quanti sono gli altri in cui si riflette.
Anche la fase al rosso ha le sue difficoltà, la così detta Prova del Fuoco che consiste nell’uccidere (calcinare) totalmente il nostro Io egoistico, sopprimendone le minime pulsioni, forgiare un nuovo Io, totalmente puro, solare capace di agire unicamente nell’interesse degli altri; ed è proprio questo totale annientamento di se stessi, questo riconoscersi unicamente in ciò che si è donato, che costituisce la gloria ed il trionfo dell’Opera.
Eccoci giunti alla riconquista della condizione edenica primordiale, il buon luogo (eu-topos) che però, nel mondo profano non c’è: (ou-topos – luogo che non c’è), ossia l’utopia da realizzare, dove il bene si compie: l’utopia ermetica.
È il buon luogo dove il microcosmo è l’immagine del macrocosmo, ove l’uomo (sviluppa in atto) la sua potenziale originaria androginia, la sua genetica somiglianza a Dio.
La ierogamia si è compiuta. i due Principi, uniti e fusi, non conservano più niente della propria vecchia sostanza e identità, ma la perdono e la trasmutano, “perdendosi” nell’altro, diventando Unità, manifestando il Tre. La perfezione divina.
Ma quale dovrebbe essere il prodotto di questo Matrimonio Sacro?
La Cristificazione del Corpo, la spiritualizzazione di quel Corpo che, attraverso la materializzazione dello Spirito, diventerà e, soprattutto, trasfigurerà in Corpo di Luce!
Le forze magnetiche polari, durante tutto il processo operativo, “lottano” interagendo continuamente tra loro, alternando nel corpo dell’operante il flusso elettrico, da carica positiva a negativa e viceversa.
Da stato ricettivo ad intuitivo e da intuitivo a ricettivo.
Nello “scontro-amplesso” di queste forze magnetiche di natura psico-fisica si genera una corrente energetica e spiraliforme che risveglia il Serpente di Fuoco Kundalini posto alla base della colonna vertebrale, attraendolo verso l’alto, attraverso l’albero della Vita a cui si attorciglierà e che lo condurrà, verso il luogo di quel giardino originale al cui albero ricollocherà il “frutto”, trasformandosi nel serpente alato, dispensatore di vita e di verità!
Ecco attivata la Croce Cosmica e il canale, Axis Mundi, tra Malkuth (il regno - la decima sefirot dell’albero cabalistico) e Kether (la corona – prima sefirot ), che squarcia il velo del Tempio del Corpo dell’Uomo aprendo la porta segreta dell’Ain Soph, dove dimora la Maestà Divina.
Tale processo, provocherà all’interno della volta celeste, della calotta cranica, una tempesta magnetica che genererà il “fulmine” che metterà in relazione i due lobi cerebrali, destro (femminile) e sinistro (maschile), attivandoli reciprocamente e rendendoli un tutt’Uno.
In questo modo le due parti del cielo saranno nuovamente riunite e da esse, dopo il fulmine si genererà il Tuono sotto forma di Verbo.
È così che, allora, il Logos discenderà nel Tempio del corpo e dal “cielo” farà piovere la Shekinah divina, irrorando tutto il corpo con la Luce della Sorgente Universale..