Loggia

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mercoledì 29 settembre 2010

176a Tornata di Loggia - Venerdì 1 Ottobre 2010


Carissimo Signore e Fratello,

Sei cordialmente Invitato a Partecipare alla 176a Tornata di questa Loggia che si Terrà presso il Tempio n ° 4 della Casa dei Liberi Muratori di Piazza Indipendenza 1 a Cagliari, il prossimo Venerdì 1 Ottobre 2010, alle ore 19,45 per le ore 20.15.

Durante questa Tornata verrà presentata la Terza Sezione della Seconda Lezione Emulation.

Scarica l'Agenda dei Lavori dall'area Riservata.

Su comando del Maestro Venerabile.

Sinceramente e Fraternamente

Ven. Fr. G.M., Segretario

What is Freemasonry?


Freemasonry is one of the world’s oldest secular fraternal societies. The following information is intended to explain Freemasonry as it is practised under the United Grand Lodge of England, which administers Lodges of Freemasons in England and Wales and in many places overseas.

Freemasonry is a society of men concerned with moral and spiritual values. Its members are taught its precepts (moral lessons and self-knowledge) by a series of ritual dramas - a progression of allegorical two-part plays which are learnt by heart and performed within each Lodge - which follow ancient forms, and use stonemasons’ customs and tools as allegorical guides.

Freemasonry instils in its members a moral and ethical approach to life: it seeks to reinforce thoughtfulness for others, kindness in the community, honesty in business, courtesy in society and fairness in all things. Members are urged to regard the interests of the family as paramount but, importantly, Freemasonry also teaches and practices concern for people, care for the less fortunate and help for those in need.

The Three Great Principles

For many years Freemasons have followed three great principles:

Brotherly Love
Every true Freemason will show tolerance and respect for the opinions of others and behave with kindness and understanding to his fellow creatures.

Relief
Freemasons are taught to practise charity and to care - not only for their own - but also for the community as a whole, both by charitable giving and by voluntary efforts and works as individuals.

Truth
Freemasons strive for truth, requiring high moral standards and aiming to achieve them in their own lives. Freemasons believe that these principles represent a way of achieving higher standards in life.

Charity

From its earliest days, Freemasonry has been concerned with the care of orphans, the sick and the aged. This work continues today.

In addition, large sums are given to national and local charities.

Dichiarazione del Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, Gustavo Raffi


(AdnKronos) 28 SET 2010

"Il Grande Oriente d'Italia non si occupa né di politica, né di religione, osservando i principi fondamentali delle massonerie regolari del mondo. Non è quindi né di destra, né di centro, né di sinistra e, pertanto, non detta linee politiche". E' quanto dichiara il Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, Gustavo Raffi, in riferimento all'articolo apparso su "Il Fatto quotidiano" del 28/9/2010, sotto il titolo 'Silvio il venerabile', sottotitolo "in un libro un capo massone rivela: alla sua loggia ne fanno parte Previti e molti leader Pdl" ed altri articoli a corredo.

"Il Grande Oriente d'Italia -sottolinea Raffi- la cui dirigenza, nelle varie istanze, è pubblica, si è espresso e si esprime esclusivamente sui grandi temi che attengono la liberta' e la dignità dell'Uomo ed in particolare, sulla scuola pubblica, la libertà di ricerca scientifica e sul dialogo, nel rispetto dell'alterità, come si puo' evincere dalle pubbliche manifestazioni e da quanto viene riportato dal proprio sito ufficiale www.grandeoriente.it. Gli Onorevoli Berlusconi, Verdini, Letta e tale Carboni non sono iscritti al Grande Oriente".

Il Grande Oriente "non ha strutture riservate e logge coperte: ha espresso reiteratamente e pubblicamente la condanna senza appello del gellismo e, comunque, della P2. Gli elenchi degli iscritti sono a disposizione dell' Autorità Giudiziaria in qualsiasi momento. Dall'esame degli elenchi degli ultimi 30 anni - prosegue il Gran Maestro di Palazzo Giustiniani - non risulta l'iscrizione dell'On. Previti che, diversamente, a seguito della condanna riportata, sarebbe stato immediatamente prima sospeso poi espulso". Raffi ha già dato mandato ai propri legali di procedere nei confronti de "Il fatto quotidiano", ritenendo "diffamatorio l'accostamento del proprio nome a personaggi che, a torto o a ragione, risultano inquisiti o semplicemente coinvolti nell'inchiesta P3, la c.d. "cricca" . Delle sue dichiarazioni risponderà nelle sedi giudiziarie il sig. Gioele Magaldi, che non ha mai rivestito cariche apicali neppure a livello regionale, essendo stato Maestro Venerabile per un solo anno, in quanto non rieletto"

Firenze 30 ottobre 2010 - Seminario di approfondimento riservato ai Maestri della Comunione massonica del Grande Oriente d'Italia.


Il Collegio circoscrizionale toscano ha promosso un seminario riservato ai fratelli maestri della regione e non solo. Si svolgerà il 30 ottobre - dalle ore 15 - all'hotel Mediterraneo di Firenze (Lungarno del Tempio).

Parteciperanno il Gran Segretario Giuseppe Abramo, moderatore dei lavori insieme al vicepresidente circoscrizionale Moreno Milighetti, e il Gran Maestro Gustavo Raffi che chiuderà i lavori del seminario.

Info: Collegio Circoscrizionale della Toscana (055 2340544)


Equinozio di Autunno - XX Settembre 2010


Allocuzione dell'Ill.mo e Ven.mo Gran Maestro Fr. Gustavo Raffi

Un ponte per superare l’incompiuto e pensare una nuova idea di Paese. Questo è per noi il senso profondo del 150° dell’Unità d’Italia. L’immagine che i nostri occhi oggi vedono è quella di un fabbricato allo stato grezzo: ci sono pilastri e strutture portanti, ma l’opera non è terminata. All’orizzonte c’è ancora una sfida: costruire ciò che manca, le infrastrutture materiali e ideali per rendere concreto il sogno dei nostri padri e gli ideali del Risorgimento. Le ‘rifiniture’ sono importanti quanto il progetto e passano per una nuova attenzione al sociale, per una scuola intesa come vera agenzia educativa, educazione al pensiero e non semplice raccolta di nozioni; per uno Stato che onori il ruolo, la dignità (anche sotto il profilo economico) dei docenti. Ma l’edificio della nazione incrocia anche la strada di necessarie risposte da dare sul fronte della lotta alla disoccupazione e alla criminalità. Non sono le città e le regioni ad essere un ‘cancro’ per l’Italia, come è stato affermato nei giorni scorsi con grossolana incompetenza, ma ciò che impedisce a città, comuni e aree territoriali di vivere e di crescere, di esprimersi dando il meglio del proprio vissuto. Tra riflessione storica e nuove ragioni di impegno condiviso, l’anniversario dell’Unità chiede alle coscienze libere di farsi carico di una storia profonda e diffusa, proiettandola sul domani della nostra storia. Gli ideali oggi non hanno grande benzina nei serbatoi. Proprio per questo c’è un rinnovato bisogno di parole vere, di idee forti, di una rivolta delle coscienze che porti, ciascuno nel proprio campo, a lavorare sul tanto che ancora resta da edificare. La Libera Muratoria, forza morale e argine sicuro posto contro la deriva del pensiero unico, intende dare il proprio contributo attivo a questa storia di verità, spingendo le forze sane della società ad andare oltre la nostalgia e la retorica per costruire un nuovo significato di appartenenza. Basta, perciò, con il disfattismo di chi ha la pancia a corte e la testa nelle catacombe: questo è il tempo della responsabilità.
La scommessa è quella che definisco un nuovo Risorgimento della ragione per superare quelle che il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha definito “le incompiutezze dell’opera di edificazione dello Stato unitario, prima, e dello Stato repubblicano disegnato dai Costituenti, dopo”. Sono convinto che questo anniversario possa rappresentare un nuovo innesco capace di metterci in sintonia con i problemi reali di questo Paese, superando il cortile delle polemiche e l’egoismo del particolare. Serve, come sempre, il coraggio di sfidare gli elefanti, ovvero le rendite di posizione di chi non ha intenzione di porsi sul sentiero della ricerca. Bisogna essere capaci di vedere l’unità nella diversità, nella multiculturalità dei nostri giorni, costruire strade al dialogo e al confronto: questo vuol dire far strada all’Italia responsabile. Del resto, è stata questa anche la lezione del Risorgimento, come moto volto a unificare l’intera nazione italiana. E questo fu il pensiero di un grande meridionalista come Giustino Fortunato, che mise bene in guardia da quelle che definì “bestemmie separatiste”.

In questa topologia del 150°, intesa come spazio che raccoglie tutte le voci e le storie al di là della barriere cronologiche, stanno assieme il Gran Maestro massone Giuseppe Garibaldi, il pensiero di Mazzini e il dolore di un Sud che è rimasto ancora il primo dovere della politica interna di questo Paese. Sono trascorsi un secolo e mezzo dall’Unità e centoquarant’anni da Porta Pia. Tanti, nella vita di una nazione moderna. Eppure, mai come ora, i cittadini si sentono impauriti dal futuro, sfiduciati, preoccupati: il clima è ben diverso dal 1960, quando il Paese era ancora una giovane democrazia in pieno boom economico. Che cosa ci manca? Il Grande Oriente d’Italia lo dice da tempo: il senso laico del dovere e della responsabilità. Ai livelli alti e bassi della scala sociale. Negli uffici pubblici come nelle attività private. Un egoismo dilagante funge da solvente del legame di comunità, rende la parola “patriottismo” un termine grottesco e obsoleto, degno al più di sarcastica irrisione. Gli italiani hanno bisogno di sapere che esistono persone oneste e disinteressate, in grado di farsi carico degli immani problemi di una nazione in caduta libera. E’ successo altre volte, nella nostra storia. Ci sono stati uomini, durante il Risorgimento, che hanno governato a Roma, tornandosene più poveri di quando vi erano arrivati. Per molti di loro si aprirono poi le porte dell’esilio e di un’esistenza spesso triste e miserevole. Sapevano benissimo cosa li aspettava, eppure continuarono ad agire sorretti dalle loro idee, scommettendo sul futuro. Lo fecero perché, semplicemente, credevano occorresse dare l’esempio. Aveva ragione Giordano Bruno a scrivere nello Spaccio della bestia trionfante: “…dove importa l’onore, l’utilità pubblica, la dignità e perfezione del proprio essere, la cura delle divine leggi e naturali, ivi non ti smuovi per terrori che minacciano morte”.
Per ricomporre un’identità culturale e di vissuto, il Paese ha bisogno di riscoprire questa laica purezza d’intenti: laica, perché determinata dall’esclusivo servizio alla collettività, dal senso del dovere, da una doverosa percezione dei propri limiti, da un uso appassionato della ragione per superare l’incompiuto e stendere ponti all’incontro. Il Grande Oriente d’Italia cerca di raccoglierli, questi eretici necessari, individui apparentemente così estranei al mondo che li circonda, perché sa che essi sono una riserva di energie preziose per la democrazia: si rinnova così la continuità ideale ed etica con il tempo glorioso dell’adolescenza della nazione. D’altronde, non c’è che un modo per ricordare davvero il Risorgimento: mostrarsene degni. La storia che amiamo è quella che è sempre in cammino.
Anche queste celebrazioni, dunque, possono essere occasione di crescita in questa “Penisola lunga, un po’ troppo lunga, come dissero gli arabi”, riprendendo la lezione di uomini che ebbero il coraggio di osare. “Quella minoranza – scrisse Benedetto Croce (Storia d’Italia nel secolo XIX) – fece sempre sentire l’azione sua, non si disperse, non si smarrì e si dimostrò salda e flessibile, e ottenne infine vittoria. Perché era assorta in un ideale e di contro le stava la realtà. Ma quell’ideale, poiché possedeva forza etica, aveva vera realtà”. Solo chi sperimenta nella sua carne il vincolo, può cogliere oltre il cerchio il punto.
E’ proprio quella certa idea di Italia che possiamo e dobbiamo riscoprire in questo 150° anniversario. E’ il racconto di un’Italia che sa pensarsi insieme, che crede nella lotta per un domani da costruire, che combatte con una speranza nel cuore, sapendo che un fuoco di brace può far luce per un’intera notte. Ma, scriveva Predag Matvejvic in Mondo ex, “prima di voltare pagina, bisogna leggerla”. La sfida è lottare la visione gattopardesca di abitare sempre il paese degli accomodamenti. Ma significa anche trovare antidoti etici, modelli e prassi per sconfiggere il virus della decomposizione, che affligge molte terre ed energie. Per una stagione di responsabilità che abbia cura del nostro futuro, non abbiamo bisogno di teatrini, cricche e saltimbanchi: servono idee buone e uomini veri per realizzarle.

Significa anche riscoprire la bellezza di coltivare un progetto per l’Italia, la necessità di una politica seria e di un Parlamento inteso come scuola di libertà. Anche in questo, la lezione di Cavour è importante. Scrivendo alla contessa di Circout, il 29 dicembre 1860, e commentando l’ipotesi di dittatura che circolava nella fase di transizione verso l’Unità, affermava: “Io non mi sono mai sentito debole se non quando le Camere erano chiuse. Sono figlio della libertà: è ad essa che debbo tutto quel che sono. La via parlamentare è più lunga, ma è più sicura”.
Se è vero che ogni epoca interroga il passato con la richiesta di una risposta utile al presente, davanti a noi ci sono questioni che invitano a ripensare la cittadinanza, a modulare stili e prassi di etica condivisa, in una parola: ad avere una idea aperta di Patria. Perché l’Unità, quando non è figlia zoppa del conformismo, è una risorsa e un valore. E’ nomos del soggiorno e del mantenimento di un senso. Ripensare un secolo e mezzo dell’Unità significa allora ricordare uomini, figure e storie, passeggiare nel Pantheon di infiniti pensieri e azioni, ma anche declinare un linguaggio del fare, essere scomodamente inattuali perché si ha il coraggio di rimettere in campo questioni aperte.
Ciò vuol dire anche interrogarsi su quale Paese vogliamo essere e su quale Italia portiamo nel cuore. Riflettendo sul carattere degli italiani, Benedetto Croce scriveva che “il carattere di un popolo è la sua storia, tutta la sua storia, nient’altro che la sua storia”. Dunque bisogna permettere all’esistenza italiana di es-porsi. Questa con-divisione esige il plurale, esige il tra noi, esige gli altri, quelli che non hanno smesso di pensare, quelle coscienze libere che non ci stanno a veder ridurre il confronto a slogan, ricette e sondaggi. Gli uomini del dubbio sanno che Finisterrae è solo il silenzio di fronte alle domande vere.
Ho riletto in questi giorni il commiato di Garibaldi dai suoi volontari nel racconto di Giuseppe Cesare Abba (1860): “Ora odo dire che il Generale parte, che se ne va a Caprera, a vivere come in un altro pianeta; e mi par che cominci a tirar un vento di discordie tremende. Guardo gli amici. Questo vento ci piglierà tutti, ci mulinerà un pezzo come foglie, andremo a cadere ciascuno sulla porta di casa nostra. Fossimo come foglie davvero, ma come quella della Sibilla; portasse ciascuna una parola: potessimo ancora raccoglierci a formar qualcosa che avesse senso, un dì; povera carta… rimani pur bianca…. Finiremo poi’’.
Forse, cari amici, quella ‘povera carta’ che impaginava di vissuto le Noterelle di uno dei Mille, attende anche l’inchiostro del nostro impegno personale, della storia di tutti noi, per un’Italia diversa e vera, una nazione che non abbia paura dell’agorà e dell’aperto. Non l’Italia del pensiero sottratto ma del nomos del cambiamento di mondo. Quello che più ci intriga, quello per cui vale la pena lottare: un Nuovo Risorgimento della ragione. L’augurio più bello che possiamo fare alla nostra Italia è che nel suo seno cresca una generazione di ribelli, di giovani veri che formati da una scuola che sia palestra di vita e non solo una raccolta di nozioni ed espressioni del pensiero unico, possano far propria la speranza e la lotta di Paolo Borsellino quando diceva, a voce alta e ferma: “Un giorno questa terra sarà bellissima”. Lo sarà se tutti noi vi lavoreremo con passione e ragione. Dopo 150 anni: per restare insieme. Noi lo faremo, consapevoli che nel cielo stellato della Patria brilla la luce di uomini liberi che non hanno paura di mettersi in gioco e di portare ogni giorno non lastroni di morte ma pietre di speranza.

Roma, Villa Il Vascello, 18 settembre 2010



Il Tempio Emulation

Il Fratello di Via Panisperna


Esattamente centonove anni fa, il 29 settembre 1901, nasce a Roma Enrico Fermi, figlio di Alberto, funzionario del Ministero dei Trasporti e di Ida De Gattis, maestra. Fino ai tre anni di età risiede in campagna sotto lo stretto controllo di una balia, a sei anni inizia regolarmente la scuola elementare laica (fattore importante, in quanto non ha mai ricevuto educazione religiosa, comportando e supportando quindi l'agnosticismo che lo ha accompagnato per tutta la sua vita).

Profondamente addolorato dalla morte prematura del fratello Giulio, maggiore di un solo anno, con il quale aveva legato particolarmente, getta tutto il suo sconforto nei libri, canalizzando positivamente la rabbia per la perdita, tanto da terminare il liceo ginnasio "Umberto" con un anno di anticipo, avendo tempo anche per concentrarsi su approfonditi studi di matematica e fisica su testi da lui comprati o anche solo sfogliati presso il mercatino delle pulci di Campo de'Fiori.

Un collega del padre, l'ingegnere Adolfo Amidei, avendo a cuore il ragazzo, gli suggerisce di non iscriversi all'Università di Roma, bensì all'Università di Pisa, in particolare alla scuola Normale, presentandosi al concorso annuale che si tiene per potervi accedere: il tema "Caratteri distintivi dei suoni" viene affrontato da lui con estrema maestria, permettendogli di classificarsi primo in graduatoria.
Inizia quindi nel 1918 la frequentazione a Pisa, della durata di quattro anni: si laurea il 7 luglio del 1922, dimostrando anche una conoscenza linguistica non comune (oltre al latino e il greco, conosce infatti l'inglese, il francese ed il tedesco), che gli permette dopo poco di partire alla volta di Gottigen, alla scuola di Max Born, per migliorare le conoscenze di fisica quantistica.

Nel 1923 viene iniziato Massone nella Loggia Lemmi di Roma, allora all'obbedienza di Piazza del Gesù. Nel 1925, con pochi rimpianti, si sposta a Leida, in Olanda, ove ha modo di incontrare Albert Einstein, anche lui Massone e Premio Nobel per la Fisica nel 1921.

A Roma ottiene per primo la cattedra di Fisica Teorica, creata per lui dal Prof. Orso Mario Corbino, direttore dell'Istituto di Fisica, il quale contemporaneamente compone un gruppo di studio ribattezzato in seguito "i ragazzi di Via Panisperna" (dalla sede dell'istituto), composto da Rasetti, Segrè, Amaldi, Majorana, Trabacchi e Pontecorvo.

I ragazzi di Via Panisperna: da sinistra Oscar D'Agostino, Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Franco Rasetti ed Enrico Fermi.

Le argomentazioni principali degli studi sono inerenti alla spettroscopia, ottenendo risultati eccellenti, ma quasi tutti i membri di questo gruppo si sentono sempre più attratti dalla fisica nucleare, spostandosi sempre più frequentemente all'estero a studiare nei laboratori più innovativi. Fermi si concentra sullo studio del nucleo atomico, arrivando a formulare la teoria del decadimento beta, secondo la quale l'emissione di un fotone è data dalla transizione di un neutrone in un protone con la creazione di un elettrone e di un neutrino.
Questa teoria, introdotta al termine del 1933, trova subito conferma nella scoperta della radioattività da parte di Curie e Joliot, esposta nei primi mesi del 1934. Sulla base di questa scoperta, Fermi formula una nuova idea: utilizzare i neutroni come proiettili per evitare la repulsione coulombiana per poter produrre radioattività artificiale. Dopo alcuni tentativi infruttuosi, ottengono risultati positivi per 37 specie sulle 60 testate, scoprendo altresì che in caso di urti successivi, i neutroni prodotti da urti rallentati hanno un tasso di efficacia molto più elevata nella generazione di specie radioattive.

Tra il 1935 e il 1937 il gruppo si separa di nuovo per diverse assegnazioni di cattedre, a Roma rimangono solo Fermi e Amaldi: Nel 1938 ad Enrico Fermi viene conferito il premio Nobel, ma questa è l'unica nota felice dell'anno. Majorana scompare infatti in circostanze più o meno misteriose e a causa delle leggi razziali emanate dal regime fascista, il fisico romano è costretto ad emigrare, visto che sua moglie Laura è ebrea.

Fermi accetta la cattedra alla Columbia University, mentre il suo amico Segrè, scoprendo di essere stato licenziato a Roma, accetta la cattedra di fisica a Berkeley. Dopo l'arrivo alla Columbia, inizia a concentrarsi sugli esperimenti iniziali di Hahn e Strassman sulla fissione nucleare, e con l'aiuto di Dunning e Booth e progetta un primo piano per la costruzione della prima pila nucleare, ovvero il primo dispositivo ove produrre in modo controllato la reazione a catena. Enrico Fermi vede la realizzazione dei suoi sforzi il 2 dicembre del 1942, con l'entrata in funzione della prima centrale nucleare a Chicago; l'energia nucleare diviene così fonte di vita, ma allo stesso tempo anche uno strumento di guerra: il fisico aderisce infatti al progetto Manhattan allo scopo di creare il primo ordigno nucleare.

Dopo la guerra si dedica allo studio sulle particelle elementari e ad acceleratori di particelle, concentrandosi principalmente sui pioni e le sue interazioni con i protoni. Durante un suo periodo di permanenza in Italia, nell'estate del 1954, iniziano a manifestarsi i primi drammatici sintomi del cancro allo stomaco: questa malattia, allora ancora pressochè sconosciuta, lo debilita rapidamente portandolo alla morte il 29 novembre dello stesso anno a Chicago, negli Stati Uniti.


Ci sono soltanto due possibili conclusioni. Se il risultato conferma le ipotesi, allora hai appena fatto una misura. Se il risultato è contrario alle ipotesi, allora hai fatto una scoperta. Enrico Fermi