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lunedì 27 novembre 2017

Inchiesta Cordova, il 3 luglio del 2000 la sentenza di archiviazione


Roma 3 luglio 2000. Porta questa data il decreto di archiviazione della maxi-inchiesta sulla Massoneria avviata nel 1992 da Agostino Cordova, all’epoca procuratore della Repubblica di Palmi. La notizia venne riportata sette mesi dopo all’agenzia di stampa Agi e fu ripresa da alcuni giornali ma non dalle maggiori testate nazionali, nonostante il vastissimo clamore che aveva accompagnato la vicenda in tutti quegli anni con pesantissime ripercussioni per tanti iscritti del Grande Oriente d’Italia. Le carte che furono sequestrate su disposizione del procuratore Cordova sono state formalmente restituite al Vascello lo scorso aprile su autorizzazione del pm Lina Cusano che, insieme al collega Nello Rossi (poi consigliere del Csm) aveva richiesto, a suo tempo, l’archiviazione dell’inchiesta Cordova, richiesta poi accolta dal gip Augusta Iannini. che la firmò il 3 luglio del 2000.  Ecco il Decreto archiviazione inchiesta Palmi 3 luglio 2000

In sintesi le motivazioni sulla base delle quali il Gip Iannini archiviò l’inchiesta
«Non può essere taciuto che in questo procedimento penale ‘l’indagine conoscitiva ha vissuto momenti di inusuale ampiezza», scriveva il gip Augusta Iannini, che annunciava   il non «doversi promuovere l’azione penale» nei confronti dei 64 massoni che erano stati indagati.  Secondo il giudice nel corso della maxi indagine conoscitiva avviata dal procuratore Agostino Cordova, fatta eccezione di uno stralcio relativo alle attività imprenditoriali su Licio Gelli, non sarebbe stata rilevata alcuna illecita attività compiuta dalla massoneria.  «Da uno sguardo d’insieme del ponderoso materiale acquisito e raccolto in circa 800 faldoni – scrive il gip-  – e in un numero imprecisato di scatoloni contenente materiale sequestrato, si può trarre la certezza che è stata compiuta, in tutto il territorio nazionale, una massiccia e generalizzata attività di perquisizione e sequestro che le iniziali dichiarazioni del notaio Pietro Marrapodi (da cui è nata l’indagine, ndr), certamente non consentivano, quanto meno a livello nazionale». «Da questi racconti – prosegue il gip di Roma – a contenuto generalissimo, ma conformi all’immaginario collettivo sul tema ‘gruppi di potere, il pm di Palmi ha tratto lo spunto per acquisire una massa enorme di dati (prevalentemente elenchi di massoni) che poi è stata informatizzata e che costituisce una vera e propria banca dati sulla cui utilizzazione è fondato avanzare dubbi di legittimità, tanto più che l’indagine si sta concludendo con una generalizzata richiesta di archiviazione». Per il gip Augusta Iannini «in questo procedimento, infatti, l’articolo 330 cpp è stato interpretato come potere del pm e della polizia giudiziaria di acquisire notizie e non, come si dovrebbe, notizie di reato». Secondo il giudice romano «era infatti chiaro che l’acquisizione di elenchi di associazioni, anche e non solo massoniche, costituiva una mera notizia e non certamente una notizia di reato. Lo studio del materiale, una volta messo a disposizione di questo ufficio, è stato reso particolarmente difficoltoso dall’assenza di indici ragionati e dalla collocazione del materiale cartaceo, custodito in uno scantinato dei locali di piazza Adriana, privo di luce, di una scrivania e di qualsiasi attrezzatura che consentisse una consultazione dignitosa degli atti». Per il gip Augusta Iannini che ha accolto la richiesta di archiviazione sollecitata dai pm di Roma Lina Cusano e Nello Rossi (poi diventato consigliere del Csm) «all’eccezionale ampiezza del raggio delle indagini ed alla conseguente accumulazione di un’amplissima documentazione sul fenomeno massoneria non ha corrisposto un’altrettanto ampia localizzazione delle investigazioni in direzione delle specifiche attività di interferenza in ambiti istituzionali ricollegabili alle realtà organizzative individuate». «La riprova più eloquente dello stato delle indagini sin qui descritto – scrive il gip di Roma – proviene dalla stessa procura di Palmi», che «dopo investigazioni iniziate il 16 marzo 1993» decise autonomamente di trasferire l’inchiesta alla procura di Roma che poi, dopo aver inquisito, chiesto ed ottenuto il rinvio a giudizio di Licio Gelli per il crack del gruppo di Nepi, aveva concluso l’indagine con una richiesta di archiviazione. Gli stessi pm nel sollecitare la chiusura della vicenda hanno sottolineato come «la trasmissione degli atti del presente procedimento da Palmi a Roma è avvenuta su esclusiva iniziativa dell’ufficio del pubblico ministero di Palmi e con i tempi da questo ufficio voluti senza che vi sia stata alcuna rivendicazione di competenza o richiesta di trasmissione da parte dell’ufficio del pubblico ministero di Roma».