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giovedì 18 gennaio 2018

Gnosi e Alchimia nella Divina Commedia




Ad un poeta che cerca Dio, come Dante, non poteva sfuggire il senso segreto delle cose, riposto in quella ‘Magia Naturale’, così detta da Alberto Magno, che era a quel tempo l’arte della trasmutazione, intesa dai più come l’Arte di trasmutare i metalli, e dagli Adepti come la Scienza della Umana e Spirituale Trasmutazione. L’argomento del lavoro riguarda, particolarmente, lo studio approfondito e in chiave alchemica dell’opera “magna” di Dante e, precisamente la Commedia. Per alcuni questa trattazione potrà sembrare una forzatura, nel senso che bisogna a tutti i costi trovare qualcosa che ci riporta all’ermetismo filosofico ma le coincidenze trovate nella lettura di questa opera immensa ha spinto a scrivere alcune considerazioni. Ciò non è solo frutto solo degli studi dell’autore, ma è il voler seguire il pensiero di personaggi come Trusso, Contro, Angelini e altri che ebbero il merito di aprire nuove vie per una giusta e proficua comprensione della Commedia.
«Gnosi e Alchimia nella Divina Commedia» è l'ultimo lavoro di Rosario Marcello Puglisi, con la prefazione di Tiziano Busca, Sommo Sacerdote del Gran Capitolo dei LLMM del Rito di York...

lunedì 27 novembre 2017

In libreria la Chiesa Gnostica di Krumm-Heller





Questo volume rappresenta una sorta di manifesto ideale di quel fenomeno, in ambito spirituale e occultistico, denominato 'neognosticismo'. Un fenomeno che raccoglieva comunità, scuole filosofiche, liberi pensatori e raramente forme struttura ecclesiastiche fra loro separate per insegnamenti e pratiche. In realtà lo gnosticismo è una sorta di pensiero debole e minimalista, che si innestava su 'narrazioni' esoteriche e religiose autoctone per poi offrire una diversa prospettiva di comprensione delle medesima. La quale era sempre e comunque opponente alla lettura correntemente accettata. In epoca tardiva l’albero dello gnosticismo ha fruttato realtà come il Manicheismo e il Catarismo, le quali hanno caratterizzato lo sviluppo culturale e spirituale di buona parte del mondo antico e medioevale. Echi dello gnosticismo è possibili rinvenirli, non solo in tutto lo scibile esoterico, ma nella stessa Chiesa Cattolica. La quale per contrastarlo ha dovuto fare proprie alcune delle sue tesi.
Vi sono degli elementi comuni nella docetica di queste scuole e sette: considerare per esempio questo mondo espressione di una potenza spirituale inferiore (la quale oscilla fra ignoranza e malevolenza e spesso individuato nel dio dell’antico testamento), l’uomo-gnostico prigioniero di questa manifestazione e il considerare la creazione una sorta di prigione per lo gnostico. Queste scuole, così come altre scuole filosofiche orientali e cinesi, pongono l’attenzione, in ultima analisi, sul concetto di quanto è reale e di quanto è illusione.
Quanto sopra indicato, valevole per lo gnosticismo storico, non si ritrova, nella sua integralità, nel neognosticismo. Il quale ha punto di origine con la nascita della Chiesa Gnostica da parte del visionario Doniel. La Chiesa Gnostica, così come conosciuta, è una struttura similare alla chiesa cattolica per funzioni e liturgie, nata in ambito paramassonico, di orientamento sostanzialmente ermetico, che si esprime con un linguaggio oscillante fra lo gnosticismo e il panteismo. Il tema del reale e dell’illusione e l’opposizione alle cose di questo mondo sono completamente assenti.
A cura di Filippo Goti, Krumm-Heller è pubblicato da Tipheret - Gruppo Editoriale Bonanno.

venerdì 7 luglio 2017

Gli Arconti nello Gnosticismo


di Filippo Goti



1. Introduzione

Il termine Arconte trova la sua origine nel greco arkhonontos ( magistrato, primo magistrato ). La natura della parola è indicativa del ruolo che tale figura svolge nella teogonia e cosmogonia gnostica, essi sono i giudici, i controllori di questo mondo. E' giusto ricordare che lo gnosticismo storico propone un Cosmo ontologicamente e/o fenomenologicamente separato dal mondo divino. In relazione ad una originaria caduta si genera una contrapposizione, apparente o sostanziale, fra questo mondo, dove l'uomo si trova prigioniero, e una divinità superiore e occulta. Nei sistemi gnostici di origine iranica, dove il dualismo è radicale, sussitono due Enti che si affrontano in una vera e propria lotta, attraverso i rispettivi eserciti, mentre nei sistemi gnostici di origine greca-egizia-giudaica, riscontriamo la figura di un Demiurgo ( Piccolo Creatore ) coadiuvato da potenze da lui generate: gli Arconti. La presenza del Demiurgo è caratteristica sia dei sistemi ontologicamente dualistici, sia di quelli dove tale caratteristica è solamente fenomenologica.


2. Arconti

I commenti che trattano della figura degli Arconti, tendono a rappresentare queste potenze come le creatrici del nostro mondo, e dell'uomo stesso. Tale identificazione può portare a facile confusione, se non viene ricordatoche il Cosmo non è concidente che l'Ente Supremo, e che il Dio Occulto oltre ad essere divinità è anche luogo adimensionale e atemporale preesistenze al Cosmo stesso. Dove quest'ultimo rappresenta l'effetto di una crisi accidentale occorsa nel Pleroma stesso. Quindi possiamo meglio inquadrare la funzione degli Arconti come quelle potenze, che in virtù della rimembranza per l'ordine e l'armonia del Pleroma, tendono a ricrearla attraverso la suddivisione e la regolazione dello spazio insito nel Cosmo, attraverso atti di creazione, e di applicazione delle leggi. Dove la suddivisione, la regolazione, e la creazione rispecchiano, seppur in difetto, l'antica realtà del pleroma. Essi quindi tendono a riflettere nel Cosmo accidentale, il ricordo di quello che era, e che non è più. Lasciando trasparire anch'essi una sorta di nostalgia, sublimata nell'atto creativo stesso. Un ricordo che è insito nel loro patrimonio generico, o per meglio dire nella loro medesima matrice spirituale.


3. Arconti e apocrifo di Giovanni

Così l'Apocrifo di Giovanni descrive la nascita del primo arconte: Allorchè essa vide che l'oggetto della sua volontà era di tipo diverso - aveva il tipo di un drago, la faccia di leone dagli occhi di fuoco fulminanti e fiammeggianti, lo allontanò da sé...
La Madre dell' Arconte è Sopia un Eone promanato dal Pleroma, che disubbidendo alla regole che governano il Pleroma stesso, ha generato senza congiungersi al suo naturale compagno, ma unendosi al desiderio che essa provava per l'Ente Supremo.
Da questo breve, ma significativo stralcio, posiamo enucleare tre elementi che devono essere presi in considerazione:
La contrapposizione fra l'immagine della Sopia, e la bestialità del suo frutto
La vergogna della Sofia per il suo frutto
La nascita dell'Arconte tramite atto di esclusiva volontà della Sopia
La natura animalesca del Primo Arconte, che si staglia con la pura essenza pneumatica della Sopia, Jaldabaoth, questo è il suo nome, in niente rende testimonianza alla perfezione della madre. In quanto in virtù del desiderio che lo ha generato, creato da pulsione alla separazione ma anche creante tale separazione, risulta specula negativa e mostruoso della bellezza e armonia che permaneava tutto il Pleroma. Il desiderio è corruzione di ogni pensiero, e il pensiero è la radice di ogni fare. Quindi se il desiderio è incubo del pensiero, e con esso si trova avvinghiato, ineluttabilmente l'azione posta in essere risulterà macchiata, e stravolta. Il lecito Amore che tutto arde di Sophia per il Pleroma come divinità inconoscibile, un Amore di Conoscenza, si è trasmutato in desiderio, e a sua volta in brama. L'ipostasi del pensiero di Sophia, ne è risultata stravolta nella forma e nel contenuto, seppure un seme della sua natura divina, è scivolata in essa.
La Sopia innanzi a questo suo frutto, prova vergogna. In quanto esso è testimonio della sua trasgressione, della sua violazione alle regole divine. Ne prova repulsione, paura e lo nasconde, oltre il mondo degli eoni, nell'Ombra sottostante, dando così inizio alla Creazione del Cosmo. Infatti il Cosmo viene posto in essere, in quanto lei vi ha collocato una realtà indipendente all'unicità nella natura del Pleroma. Una separazione in separando. Non fu la Lussuria la causa, ma effetto del desiderio, che a sua volta generò l'ira, che si cristallizzò in lussuria.
Proseguendo nella lettura dell'apocrifo troviamo che i figli di Jaldabaoth, sono descritti chi con forma di iena, di pecora, di asino, di drago, scimmia e fuoco. Continuando a rimarcare la loro natura perversa e malata. Essi non sono ne immagine ne somiglianza degli eoni che dimorano nei limiti estremi del Pleroma, in quanto queste potenze inferiori essendo ignoranti veicolano tale stato dell'anima, anche nella loro manifestazione. E' infatti giusto ricordare che nello gnosticismo storico la Conoscenza è veicolo e forma di redenzione, come se essa portasse ad un cambiamento intrinseco nella natura dell'essere. Cambiamento non solo animico, ma anche mentale e fisico. Ecco quindi che anche lo stato di ignoranza, intesa come assenza della conoscenza, comporta eguale, seppur inverso, processo plasmante della natura e della forma di ogni essere.


4. Funzione degli Arconti nell'Apocrifo di Giovanni

Jaldabaoth, il Primo Arconte, e i suoi figli, in virtù della sua discendenza da Sopia ha in se la capacità di creare, anche se è limitato in questa arte dalla propria ignoranza, e dalla degradazione generata dalla non discendenza diretta dall'Ente Supremo.
Jaldabaoth ordina il cosmo, i cieli, la terra, e il creato tutto, e pone sul trono dei cieli i suoi figli. Questa opera generativa viene interrotta dalla manifestazione del Metropator, accorso verso Sopia, immagine perfetta del Dio occulto, invisibile, Padre di tutto. Jaldabaoth e i suoi figli, e le potenze da essi generate sono basiti da tale potenza, e tremano dalla consapevolezza della loro limitatezza, a cospetto di cotanto splendore. Decidono quindi di catturare il Dio Padre, attraverso una sua immagine, l'immagine dell'Adam Terreste, specula dell'Adam Celeste: manifestazione del Metropator.
Ma tale creatura, relegata nel Paradiso Terreste, è incapace di alzarsi, e solamente la clemenza del vero Padre, attraverso il soffio di vita, le permetterà di ergersi. Cosa dedurne ? Un vaso d'acqua per essere tale, necessita di acqua.


5. Arcontici

Una setta gnostica del IV secolo diffusa in Palestina ed in Armenia, fondata da un prete palestinese di nome Pietro da Cabarbaricha, il quale, deposto dal sacerdozio, si rifugiò in una comunità ebionita.
Intorno al 360, oramai in età avanzata, P. viveva, in estrema povertà, come un eremita in una caverna vicino a Gerusalemme, dove trasmise le sue dottrine ad un tale Eutatto, che le portò in Armenia.
Successivamente P. venne scomunicato da Sant'Epifanio, vescovo di Salamis (l'attuale Costanzia sull'isola di Cipro), principale fonte di informazione su questa setta.
La dottrina gnostica degli a. era basata su sette cieli, ognuno governato da un principe (in greco archon, da cui il nome della setta), circondato da angeli, carcerieri delle anime, mentre in un ottavo dimorava la Madre Suprema di Luce.
Il re o tiranno del settimo cielo era Sabaoth, il Dio dei Giudei, padre del demonio: quest'ultimo si era ribellato all'autorità del padre e aveva generato, unendosi ad Eva, Abele e Caino e quindi l'intera umanità.
Compito delle anime era di raggiungere la conoscenza (gnosi) in maniera da sfuggire il potere malvagio di Saboath e volare in ciascuno dei cieli fino a raggiungere la Madre Suprema.
Gli a. erano molto ascetici e rigoristi (digiunavano spesso e praticavano la povertà), negavano la resurrezione del corpo (ma non quella dell'anima) e condannavano i Sacri Misteri e il Battesimo, in quanto qualcosa introdotto dal tiranno Sabaoth, per tenere intrappolate le anime.
I loro testi sacri erano alcuni libri apocrifi, denominati Symphonia, Anabatikon e Allogeneis ( tratto da www.eresie.it)


6. Una chiave di lettura

Tornando all'origine greca della parola Arconte, Magistrato, chiediamoci quale sia la funzione di tale figura divina, posta fra l'uomo e il Padre Occulto. L'Arconte è una Potenza che ha plasmato la figura umana, e dato creazione alla sua dimora terreste. Tale speculazione è valevole per ogni contesto cosmogonico e teogonico; dove gli Arconti hanno ruolo, essi sono raffigurati come quelle figure che hanno dato regole al Cosmo e al Tempo, in virtù della loro rimembranza infusa, dell'armonia e dell'ordine del Pleroma.
Nei testi classici oltre ad evidenziare gli arconti nel ruolo di creatori, seppur limitati dalla loro ignoranza e accidentalità, (il Primo Arconte è chiamato Jaldabaoth l'arrogante o Samael il cieco), si sottolinea la funzione di ostacolo che essi esercitano al ritorno dell'uomo verso il Padre Occulto. Una forza di opposizione che si esplicita attraverso il perdurare della soggezione dell'uomo alle regole del Cosmo, e delle altre strutture in esso comprese. Ed essendo la composizione occulta dell'uomo dipendente per gran parte dall'agire degli Arconti, vi è una corrispondenza naturale fra quanto vi è in noi, e quanto vi è fuori di noi. E quindi al costante richiamo che il Pneuma ci invia per spronarci al Grande Ritorno, subiamo anche la continua volontà di fascinazione alle manifestazioni di questo mondo.
Dopo questa rapidissima esposizione, la risposta che mi sono dato, e che vi offro, maturata nei miei studi e nella mia ricerca si pone su di un cardine maestro dal nome non giudizio. E' infatti inutile che l'uomo giudichi la creazione e gli Arconti, in quanto essi in realtà sono i suoi magistrati "naturali". L'uomo non è libero perchè è qui adesso, ma esattamente il contrario: questa verità è determinata dalla stessa e sola presenza dell'uomo nella sua dimora terrestre, così apparentemente lontana dalla dimora divina. È la medesima condizione di stato che è prova del nostro difetto, quindi invece di perdersi in giudizi morali, è utile impegnarci per superare l'ostacolo che ci è posto innanzi. In quanto non a parole, ma con i fatti, rovesceremo individualmente la nostra condizione.

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lunedì 26 giugno 2017

La via della Conoscenza. Massimo Agostini, Mauro Cascio, Domenico Fragata: «Tre secoli di sapienzialità massonica»




La via della Conoscenza. Un momento di confronto tra gli studiosi più rappresentativi della Massoneria e delle sue tante eredità sapienziali. Si è svolto nel comasco ieri. Hanno partecipato, ospite di Alberto Iasi che ha moderato l'incontro, Douglas Swannie, che si è soffermato sulle origini del Rito Scozzese Antico e Accettato, Michele Leone, che ha tentato una definizione condivisa di 'società iniziatica', Massimo Agostini che ha presentato il sistema dei gradi del Rito di York, il più antico e diffuso sistema altograduale del mondo. Michele Fragata ha parlato delle influenze cabalistiche, anche a partire dalle parole di passo della Massoneria simbolica, Mauro Cascio di quelle alchemiche, anche sulla scorta di alcuni libri recentemente pubblicati da Tipheret - Gruppo Editoriale Bonanno, tra cui quello del barone Tschoudy che per la prima volta propone al pubblico italiano i suoi rituali alchemici. Si è parlato anche della Mystica Aeterna di Steiner, un evento anche editoriale dei mesi scorsi sempre per Tipheret che tanto successo ha avuto anche in libreria. Hermeticus ha chiuso i lavori con una lunga chiacchierata sullo Gnosticismo e ribadendo la necessità, per la Massoneria, di essere 'operativa'.

mercoledì 24 maggio 2017

Valentino, il Filosofo Gnostico



di Filippo Goti




La Vita

«Lo Spirito indistruttibile saluta gli indistruttibili! A voi svelo segreti senza nome, ineffabili, sopracelesti, che non possono essere compresi né dalle dominazioni, né dalle potenze, né dagli esseri inferiori, o dalla completa mescolanza, ma sono stati rivelati solo all'Ennoia dell'Immutabile» (Epiph., "Haer." 31, 5, 1 s.)
È avvolta nell'incertezza la data nascita di Valentino, collocabile sicuramente prima del 135 anno in cui abbiamo le prime notizie sulla sua opera di divulgazione, così come non è sicura la sua città natale.
Alcuni la indicano in Cartagine, mentre altri studiosi in Phrebonis sul delta del Nilo. Sicuramente sappiamo che si recò ad Alessandria d'Egitto, dove entrò in contatto con il cristianesimo e la filosofia neoplatonica. La tradizione vuole che in Alessandria studiò presso un caposcuola misterico chiamato Teudas, il quale affermava di essere diretto discepolo di Paolo di Tarso, e di avere appreso da questi gli insegnamenti segreti del Cristo. Questi insegnamenti esoterici o iniziatici compongono gli scritti della scuola valentiniana, come il famoso Vangelo di Filippo attribuito allo stesso Valentino.
Prima della venuta del Cristo, non c'era pane nel mondo, così come nel paradiso, il luogo dov'era Adamo. C'erano molti alberi per il nutrimento degli animali, ma non c'era frumento per il nutrimento dell'uomo. L'uomo si nutriva come gli animali, ma quando venne Cristo, L'Uomo perfetto, portò il pane dal cielo affinché l'uomo potesse nutrirsi con un cibo da uomo. (dal Vangelo di Filippo)
Alessandria d'Egitto rappresentava in quel periodo storico la città culturalmente più feconda del vasto impero romano, dove si incontravano la filosofia greca, i culti misterici, e le religioni tradizionali, dando corpo e voce ad arditi scambi culturali, a feconde commistioni, e a confronti fra gli aderenti delle diverse scuole. Quando parliamo di cristianesimo, dobbiamo ricordarci che questo non ebbe la propria origine a Roma o ad Atene, ma bensì nel Nord Africa ed in Medioriente, fiorendo non solo in un crocevia di civiltà ma anche di culture, ed in un periodo storico dove l'uomo dell'impero che già era oggetto dell'inquietudine di un futuro incerto.
Di questo fermento Valentino è sicuramente figlio, e nel crogiuolo di Alessandria unisce un pensiero filosofico tipicamente ellenico, con i miti, le immagini del cristianesimo. Dando a quest'ultimo non solo una nuova prospettiva, ma anche imponendo la riflessione attorno agli elementi costitutivi dello stesso. Inevitabilmente gli avversari di Valentino, per confutarlo, finiranno per aprire il proprio campo ad idee e concetti, fino a quel momento a loro estranei.
Possiamo e dobbiamo interrogarci quindi se il cristianesimo, o cosa intendiamo con tale termine, ha avuto un'origine eterogenea, oppure se non è il nome o etichetta con cui noi andiamo a delimitare un fenomeno di cui non comprendiamo esattamente la genesi e gli sviluppi.
 
L'attività di Valentino non ha termine ad Alessandria. Terminati i suoi studi, Valentino diviene egli stesso teologo e predicatore fondando una propria scuola, per poi trasferirsi attorno al 140 d.c. nel cuore pulsante dell'impero: a Roma. Nella città eterna assume il ruolo di diacono sotto Papa Igino, a dimostrazione dell'estrema flessibilità dottrinale della Chiesa dei primi tempi, e della benevolenza di certi ambienti nei confronti della filosofia greca e dei misteri egizi. Non va dimenticato come nella Roma imperiale convivessero le divinità di ogni popolo assoggettato, ed è quindi lecito affermare che tale predisposizione al confronto poteva in qualche modo essere presente anche nelle sfere religiose cristiane. Quello che è certo è che Valentino inizia ad assumere un ruolo sempre più rilevante all'interno delle comunità romana cristiana. La tradizione vuole che Valentino ebbe a concorrere come Vescovo di Roma, a quel tempo era la stessa comunità dei fedeli che disegnava il Vescovo, e che a causa della mancata elezione abbandonò la Chiesa per intraprendere decisamente il sentiero dello gnosticismo. Con tutta probabilità, non essendo a quel tempo netto e marcato il confine che separava l'eresia dall'ortodossia, in quanto veniva tracciato dagli orientamenti prevalenti della fazione vincente, Valentino fu semplicemente emarginato, e allontanato da Roma dai suoi avversari.
Secondo Tertulliano la prima scomunica che colpì Valentino risale al 143 da parte di Papa Pio I, a cui altre ne seguiranno, pare addirittura una post mortem nel 175. Sappiamo che attorno al 160 d.c. Valentino lascia Roma, per stabilirsi definitivamente a Cipro circondato dai suoi allievi fino al 165 d.c (secondo altri il 180 d.c.) anno della sua ipotetica morte.


Il Pensiero di Valentino
 
Vedremo adesso alcuni degli elementi principali della scuola valentiniana.
«In verità il Tutto era alla ricerca di Colui dal quale essi provenivano. Ma il Tutto era in Lui, quell'Uno Incomprensibile, Inconcepibile, che è superiore ad ogni pensiero» (E. V. 17, 4-9).
Esiste il Pleroma, un mondo spirituale, che si dispone attorno al Progenitore. Questi è la radice spirituale di ogni cosa, ed attorno a lui esistono gli Eoni, degli esseri spirituali. Il Progenitore, eguale ed immutabile a se stesso, genera un unica volta, e il frutto di questa generazione è l'Unigenito Nous, la Mente. A sua volta questa generazione determina la creazione di altri esseri spirituali, ma di gradazione inferiore alla prima, in quanto solamente il Nous è della stessa sostanza della radice prima, e conosce il Progenitore, che rimane avvolto nel mistero per tutti gli altri Eoni.

«Era un grande prodigio che essi fossero nel Padre senza conoscerlo» (E. V. 22, 27 s.)
 
Gli Eoni desiderano conoscere la radice spirituale di tutte le cose, e questo imponeva un movimento di conoscenza, che desumo dalla speculazione valentiniana doveva essere progressiva, e frutto della composizione o ricomposizione delle parti scisse essendo gli eoni organizzati a coppie, e gerarchicamente disposti. Uno degli Eoni periferici, la Sophia arsa da questo desidero di conoscenza decide di percorrere non tanto una via progressiva e reintegrativa, quanto piuttosto di gettarsi direttamente nel cuore del Pleroma. Questo tentativo viene arrestato, la Sophia è respinta, e il suo preciptare oltre il limitare del Pleroma, da vita così al mondo inferiore. Questo mondo non è frutto dell'Amore e della Conoscenza, come il mondo del Pleroma, ma dell'ignoranza e del desiderio. Rivelandosi quindi essere una copia tremula ed imperfetta del primo, dove gli spiriti degli uomini sono imprigionati nei corpi e nelle anime, e il loro anelito di ritorno al Pleroma si infrange attorno allo natura di opposizione delle cose.
Il desidero della Sophia si cristallizza e viene espulso dalla stessa Sophia, prendendo la forma del Demiurgo, il creatore del mondo inferiore. Il Demiurgo è identificato da Valentino, così come da altri gnostrici, nel Dio del Vecchio Testamento, ed egli crea ed organizza la creazione inferiore in funzione del ricordo ereditato dalla madre del mondo superiore.
Quanto ci viene presentato è una creazione frutto di una serie di emanazioni superiori ed inferiori, dove le prime sono frutto del Logos divino, le seconde a causa dell'Errore della Sophia. Un sistema che non assume i tratti di un netto e radicale dualismo fra il mondo dello Spirito e della Materia, in quanto è completamente assente un principio ontologico del male o dell'ignoranza. Siamo invece alla presenza di un tentativo di ricondurre la frattura, la scissione, ad un movimento completamente interno al Pleroma, e dettato da un'istanza di conoscenza da parte di un Eone, la Sophia, arso dal desiderio di ricongiungersi alla radice di tutte le cose.
 
Nella visione di Valentino il mondo degli uomini è tripartito in funzione di qualità spiritale. Questa qualità spirituale è la conoscenza, unico elemento di salvezza. Ecco quindi gli uomini divisi in Ilici (completamente materiali, ed esclusi da ogni salvezza), Psichici (ignorano un mondo spirituale superiore a quello creato dal Demiurgo) e Penumatici (gli Gnostici, consapevoli dell'esistenza del Pleroma). Gli Ilici torneranno alla terra che gli ha generati, gli Psichici alla morte potranno accedere al paradisio del Demiurgo, e i Pneumatici prenderanno posto all'interno del Pleroma stesso. L'antropologia valentiniana ha come discriminante una conoscenza non solo salvifica, ma antica e precedente alla creazione di questo mondo. Una conoscenza che non è tanto un costrutto intellettuale, ma bensì contenuto, ed elemento costitutivo degli uomini.
I valentiniani si definivano cristiani, e come tali partecipavano alle cerimonie e funzioni religiose. Al termine delle stesse si riunivano fra loro, per commentare in chiave allegorica e simbolica gli insegnamenti del Cristo. Il quale assume caratteristica di
Eone che giunge sulla terra per portare agli uomini la conoscenza del mondo superiore a quello demiurgico. Come ogni essere spirituale esso non è formato di carne, e quindi non può subire i tormenti della crocefissione, e neppure è composto di anima e mente, e quindi non può subire le passioni di questo mondo. Il Cristo di Valentino non soffre in croce, non viene ingannato, ma anzi inganna i signori di questo mondo, illudendoli di subire le loro torture e vessazioni. E' questo il docetismo, cioè negazione della realtà carnale del Cristo. Quanto è superiore e spirituale, non può subire gli effetti di quanto è inferiore e carnale.
 
«Ogni giorno ciascuno di loro inventa qualche cosa di nuovo, e nessuno è considerato perfetto se non è produttivo in tal senso» (I, 18, 5)
La scuola valentiniana si caratterizza come una fucina di maestri gnostici, fra cui Tolomeo e Marco, che una volta lasciato l'insegnamento del maestro a loro volta apriranno altre scuole all'interno dei confini dell'impero romano. Ciò ha portato a conoscere il pensiero di Valentino, non tanto attraverso i suoi scritti, di cui peraltro siamo carenti, quanto piuttosto quelli dei suoi allievi di seconda generazione. Tale prolificità dimostra come il rapporto che sussisteva all'interno di questo particolare ambito, era più simile ad una scuola filosofica greca, piuttosto che a quello di una comunità religiosa. Dove una volta che l'allievo raggiungeva la maturità intellettuale, poteva sentirsi libero a sua volta di tenere rapporti ed insegnare al di fuori dei confini tracciati dal suo formatore.
Sono attribuiti a Valentino i seguenti scritti:
Vangelo della Verità, Preghiera dell'apostolo Paolo, Trattato sulla resurrezione, Trattato tripartito, Vangelo secondo Filippo.
Volendo riassumere il pensiero di Valentino in poche righe, possiamo sicuramente affermare che la Conoscenza assume valore centrale. Essa è forma e veicolo di salvezza, in quanto è attraverso la Conoscenza che l'uomo pneumatico si salva dalle cose di questo mondo, in quanto essa opera una trasformazione nello stesso rendendolo assolutamente altro rispetto al mondo inferiore. La conoscenza del mondo Superiore, è per Valentino profonda, e come tale deve essere ricercata all'interno dell'uomo stesso. Questo è per Valentino l'Uomo Interiore, lo gnostico, che guarda alla sostanza delle cose, e non si fa ingannare dai loro aspetti esteriori. L'ardita catena di Eoni, ipostasi e creazioni, deve essere letta non tanto come un sistema mitologico, quanto alla luce del primo generato il Nous-Mente. Il Progenitore compie un atto di autocoscienza e genera la Mente, che a sua volta le varie coppie di Eoni, che possono essere viste come singoli pensieri-qualità della mente stessa. Dando così vita ad un sistema per cui è la conoscenza di se, la sua degenerazione, o reintegrazione, che determina ogni creazione.

martedì 16 maggio 2017

La forza dissacrante delle Toledòt Yesu


di Antonio M. Abif



Le Toledòt Yesu  sono una serie di racconti non codificati di matrice ebraica su Gesù e sul primo Cristianesimo, una sorta di antivangelo a uso interno, ironico, dissacrante, sarcastico.
I nuclei originali di questi racconti, che inizialmente furono trasmessi in forma orale, sono antichissimi, II secolo, e tra i vari racconti, si legge:
«E Gesù disse: Non è vero che Isaia e Davide, miei antenati, profetarono su di me? Il Signore mi ha detto:tu sei mio figlio, oggi ti ho concepito, ecc. In maniera simile, in un altro punto: Il Signore ha detto al mio Signore, siedi alla mia destra. Ora io ascendo al Padre mio che è in cielo e siederò alla sua destra, come potrete vedere con i vostri occhi. Ma tu, Giuda, non arriverai mai a quell'altezza.
Allora Gesù pronunciò l'alto nome di Dio (IHVH) e continuò a farlo fino a che venne un vento che lo portò in alto fra la terra e il cielo. Anche Giuda pronunciò il nome di Dio e in simil modo fu preso dal vento. In questa maniera entrambi fluttuarono nell'aria fra lo stupore degli astanti. Poi Giuda, pronunciando di nuovo il Nome Divino, prese Gesù e lo spinse in basso verso la terra. Ma Gesù cercò di fare lo stesso a Giuda e così lottarono l'uno contro l'altro.
E quando Giuda vide che non poteva averla vinta sulle arti di Gesù, gli urinò addosso, ed entrambi, divenuti immondi caddero a terra; e nemmeno poterono di nuovo usare il nome Divino fino a che non si furono lavati».

Christian Rosenkreuz e il Vangelo di Giovanni


di Paolo Callari

La Grotta dove san Giovanni ebbe una visione oggi è un Monastero

Una sera, prima della Pasqua, ero seduto al mio tavolo secondo la mia abitudine, mi intrattenevo lungamente col mio Creatore in umile preghiera. Meditavo i grandi segreti che il Padre della Luce, nella sua Maestà, mi aveva lasciato contemplare in gran numero. Mentre volevo preparare nel mio cuore un pane azzimo senza macchia, con l'aiuto del mio amato Agnello pasquale

Christian Rosenkreuz credeva che il vangelo di Giovanni fosse l'unico storicamente accettabile, ed è proprio il pane azzimo e la sua relazione con la Pasqua Ebraica che effettivamente distingue il vangelo di Giovanni dai Vangeli sinottici. Nel secondo capitolo Christian si siede a riposare sotto tre alti alberi di cedro e su uno di essi è fissata una targa che mostra quattro sentieri. È importante notare come nell'allegoria sia Lo sposo (cioè la Bibbia) ad offrire queste quattro diverse vie.

Il primo sentiero conduce in una zona rocciosa, che simboleggia Pietro, "la roccia" come viene ritratto nei vangeli sinottici. Il secondo sentiero del testo è quello esposto nel vangelo di Giovanni, in quanto a Christian viene detto che su questo sentiero non deve girare né a destra né a sinistra e il racconto di Giovanni è l'unico che non menziona i due ladroni crocefissi alla destra e alla sinistra di Gesù. Il terzo sentiero è quello delle lettere di Pietro, Giacomo, Giuda e Giovanni. Nella prima lettera di Giacomo c'è un riferimento alla "via reale" o "legge reale" . Nella lettera di Pietro c'è l'unico riferimento a "uno tra mille". Il quarto sentiero è quello delle lettere di Paolo. E quello dove si trova un riferimento ai morti risorti incorrotti e l'unico dove nel Nuovo testamento compare la parola "logorante".

La storia continua con "Al che tirai fuori il mio pane e ne tagliai una fetta". Non si può non notare che Rosenkreuz taglia il pane. Il ventiquattresimo dei precetti di Pitagora dice di non spezzare mai il pane. Il pane viene spezzato nei vangeli di Marco, Luca e Matteo, ma non viene mai spezzato nel vangelo di Giovanni. Il pane viene spezzato anche nelle lettere di Paolo e negli Atti degli Apostoli, ma mai nelle lettere di Pietro, Giacomo, Giuda e Giovanni.

Con il procedere della storia diventa evidente che Rosenkreutz, con le parole "sono avanzato con la mia bussola, senza deviare di un passo dalla linea del Meridione" intende dire che il sentiero da lui scelto è il secondo, in quanto non gira mai né a destra né a sinistra. Da notare anche come affermi "Presi con pazienza la mia croce e mi misi in cammino": solo nel vangelo di Giovanni Gesù porta la croce, mentre nei sinottici a farlo per lui è Simone di Cirene.

martedì 9 maggio 2017

Mandei, i figli della luce


di Filippo Goti



Letteralmente il termine "Mandeo", la cui origine si perde in un dialetto aramaico, significa  "il battezzato”, ed è in Giovanni il Battista, colui che dispensa il battesimo, che i Mandei riconoscono l'origine della propria tradizione.
Matteo 3:1 In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea,
La religione Mandea è stata definita l'ultima religione gnostica; sopravvivendo a quasi duemila anni di persecuzione da parte di tutte le altre religioni abramitiche, è giunta fino a noi, autentico fossile vivente di una tradizione "gnostica-cristiana" coeva ed alternativa al cattolicesimo. Quasi a ricordare, per coloro che non sanno o che volutamente ignorano, come le origini dello stesso cristianesimo siano ben lontane dall'assumere sembianze di un monolitico e rettilineo sviluppo, bensì trovano iniziale espressione in molteplici comunità, gruppi misterici, iniziatici, che in modo diverso avevano ricevuto il messaggio cristico, e come questo si era innestato nelle loro tradizioni locali.
Del resto Roma è solamente la terza chiesa e ancora oggi nel bacino del mediterraneo, là dove si è coagulato, il fenomeno cristiano trova radice ed espressione nella diversità di riti, di modo di intendere e vivere il messaggio cristico (fino quasi a giungere a veri e proprio riti dal sapore sciamanico) è vario.


1. L'origine dei Mandei

Non è certa l'origine dei mandei; una delle tesi vuole che i Mandei derivino dai Nazorei, una delle tante sette ebraiche che durante la repressione romana fuggirono verso la città di Harran. Altra tesi identifica i Mandei con i Sabei, citati nello stesso Corano. Alcuni studiosi sostengono che i mandei sono originari della Mesopotamia, ed infine c'è chi vede in questa comunità religiosa i discendenti dei fedeli di Giovanni il Battista. L'indeterminazione sull'origine dei Mandei, porta gli studiosi a dividersi attorno all'origine della loro religione. Per alcuni il mandeismo è un'eresia cristiana del secondo secolo, mentre per altri è una religione che raccoglie elementi di cristianesimo e manicheismo. Pare che la più ovvia delle ipotesi e cioè che la religione mandea possa essere il risultato dell'incontro fra elementi zoroastriani e l'insegnamento di Giovanni il Battista, non sia tenuta in gran conto.

Secondo una delle tesi sopra citate, i mandei si rifugiarono ad Harran (Siria) a seguito della distruzione dello Stato di Israele da parte dei romani, ma non è da escludere che fosse in corso una persecuzione religiosa ai loro danni da parte degli ebrei ortodossi. Per alcuni secoli rimasero in quel territorio, ma poi furono soggetti a nuove vessazioni, in quanto malvisti sia dalla comunità cristiana che da quella islamica. A seguito di tali eventi furono costretti a rifugiarsi nelle zone paludose del Marsh in Iraq.

I Mandei sostengono di essere originari della regione di "Tura d'Madau", mai individuata dagli studiosi, e di come la loro religione sia precedente al cristianesimo, e al manicheismo, e non sia stata fondata da Giovanni il Battista. Quest’ultimo rappresenterebbe solamente il più grande dei Profeti, ovvero colui che conclude la rivelazione e pone il sigillo sulla storia dell’uomo.
La lingua mandea deriva da un dialetto aramaico,  ma tale connotazione si sta perdendo a causa sia dell'esiguità del numero dei mandei, sia per le contaminazioni di arabo nella loro lingua. I Mandei, come vedremo più avanti, non godono di nessuna tutela giuridica e religiosa, e il loro patrimonio culturale e umano rischia di scomparire.
Nel seguito considereremo come Mandeo derivi da battezzato, ma è utile ricordare che qualcuno fa risalire questo termine a Conoscenza. Personalmente considerato lo stretto legame per i Mandei fra il Battesimo e la Luce, ritengo che le radici possano entrambe coesistere, acquisendo così nuova sostanza.


2. La Religione Mandea



 I Mandei considerano la loro religione una proto-religione, il cui punto di origine è il Mondo della Luce. Il mandeismo si presenta come una religione monoteista, con forti tratti dualistici dove un Dio Supremo di Luce è circondato da Angeli, di cui il più importante è Manda d-Haiyè (Gnosi della Vita). L'uomo vive al limitare del mondo delle tenebre e del male, dominato da diavoli su cui primeggia Ruha, una sorta di ArciDemone, e la terra è stata generata come conseguenza delle azioni del Mondo della Luce, e del Mondo delle Tenebre. Inizialmente la Terra era frutto del male, ma successivamente, attraverso gli Angeli e i Profeti, il bene si è insinuato nel mondo. Possiamo già notare delle similitudini fra la visione mandea, lo zoroastrismo, la gnosi barbelotiana, e il manicheismo. I testi Mandei riportano come nel terzo secolo d.c. vi furono dei contatti fra le comunità manichee e mandee, e come lo stesso Mani fosse stato influenzato da questa antica religione, suggerendo così (per semplice evidenza storica) come molto dello gnosticismo deve a questa religione-misterica.
Tra le analogie con lo gnosticismo barbelotiano e lo zoroastrismo, emerge con forza la figura di Adam il cui corpo (Pagria di Adam) è stato prodotto dai demoni, al servizio di Ruha e dalle potenze planetarie. La prigionia di Adam è evitata dagli esseri di luce, in quanto generano per lui un compagno dell'animo: Adam (nascosto) interno (kasya del adam) e comunicano a lui i segreti del mondo della luce e delle tenebre. E’ direttamente da Adamo ed Eva (dono del Padre di Luce ad Adam) discendono i Mandei, che hanno dovuto prendere vita in questo mondo di tenebre, ma che incarnano il verbo di salvezza.

Uno dei temi principali della speculazione mandea è la morte; vista non come evento individuale, ma vero e proprio “collasso” cosmico.
L'estinzione di Adam è ritenuta un prototipo dell'estinzione generale. Questo accadimento si staglia al centro della speculazione di questa religione. Dopo la caduta dell'anima nel corpo di Adam, (Dhaii di Manda ) è la conoscenza dell’Universo delle legge, e della natura che riempie e da sostanza alla sua discendenza ( I Mandei). Adam quindi è proiettato sia alla conoscenza che all'estinzione; la quale si connatura nel ritorno felice dell'anima al mondo di luce. Per il Mandeo ogni esperienza in vita, è atto preparatorio a questo “viaggio” verso la dimora perduta; da cui discende come la morte viene vissuta come un passaggio non funesto, ma necessario alla reintegrazione dell’uomo nel suo contesto primordiale e celeste.

L'uomo abbandona il mondo dell'illusione e della sofferenza al momento della morte, attraverso la quale ogni anima passa attraverso degli stadi intermedi fino ad arrivare al Regno della Luce. Così come per altre religioni e scuole gnostiche, il mondo terreno avrà anch'esso una fine. Secondo la tradizione mandea, giungerà un messaggero che traghetterà le anime dal mondo dell'oscurità al Regno della Luce e questo sarà il segnale che è giunto il momento della  fine del mondo delle tenebre. Al termine esisterà solo il Regno della Luce e il tempo della sofferenza si sarà esaurito.
Troviamo identico mito anche nella religione catara, anch'essa monoteista e al contempo dualistica, che prevedeva sia un ciclo di sette ritorni per le anime, sia l'essiccamento del mondo terreno nel momento in cui ogni anima avrà fatto ritorno al mondo superiore.
Interessante notare come tali concetti sono espressi anche nella Cabala, a riprova di quanto lo gnosticismo abbia influenzato le varie tradizioni esoteriche. Del resto la visione cosmogonica mandea, non deve far sorridere il disattento lettore, visto che essa è ben più raffinata del convenzionale Giudizio Finale che troviamo nella Bibbia. L’Apocalisse, attribuita al Giovanni Evangelista, prevede la seconda venuta di Gesù, è sicuramente versione semplificata di un messaggio antico che ci ricorda la fine del tempo dell'uomo, e l'inizio del tempo divino.
Come molto lascia intuire la figura centrale della religione mandea è Giovanni Battista (Drashia d-Yahia), l'ultimo dei Profeti, che con l'introduzione del battesimo permette all'uomo di incamminarsi verso il Regno di Luce. La cerimonia del battesimo (Masbütä) si connatura con una triplice immersione sacra, attraverso cui si viene purificati da ogni iniquità e ci si avvicina al mondo della luce. In ricordo dei battesimi nelle acque del Giordano (ed a maggior simbolismo le acque dei battesimi sono chiamate Giordano), i rituali mandei avvengono presso acque correnti. Non solo quindi viene evidenziato il potere dell'acqua come agente di purificazione, attraverso la triplice ripetizione ( tre è un numero sacro legato alla divinità ), ma anche il simbolismo legato al "correre" delle acque, che rappresenta non solo il flusso del tempo, ma anche il divenire di tutte le cose, e l'eterna corrente vitale che lega il Mandeo a Dio.
  Il battesimo mandeo non avviene solamente al momento dell'ingresso nella comunità, ma ogni domenica (habshaba) ad emblema dell'attenzione che questa fratellanza ripone nella purificazione. Oltre alla triplice immersione, il battezzato è accompagnato da una corona del mirto (la cui essenza nell'antichità veniva utilizzata in pratiche sia di purificazione che evocazione). In seguito la fronte del battezzato viene segnata dal sacerdote con olio consacrato,  e una semplice comunione di pane e di acqua precede la conclusione del rito che avviene con la stretta di mano “della verità" (kushta).
I fedeli mandei partecipano alla cerimonia con un abito composto da sette pezzi e completamente bianco, a differenza dell'abito sacerdotale che è invece composto da nove pezzi. La triplice immersione risulta essere ritmata, quasi a sottolineare con energia il prima e il dopo.
E' interessante notare come i mandei mettono in rapporto il bene spirituale con il bene fisico, ed infatti il rito del battesimo in questa ottica serve a guarire i malanni del corpo. Riti non solamente di purificazione, non esclusivamente legati ad una dimensione di sacra teurgia, ma anche terapeutici, elemento in comune con altre comunità mistiche che si formarono in quel territorio che va dall'Egitto alla Mesopotamia.
Oltre al battesimo hanno enorme importanza per il fedele mandeo anche il funerale e la festa dei morti, in quanto è attraverso la morte che l'anima raggiunge il mondo della Luce, ed è qui  così che la morte diviene seconda vita. La messa per i morti, o piuttosto l'ascesa dell' anima al mondo di luce è  una caratteristica fondamentale della religione Mandea che crede in una seconda vita, o vera vita, dell'anima dopo la morte. I Mandei, così come gli antichi Egizi, dedicano molto tempo ad un ampio numero di cerimonie che garantirà il futuro dell'anima dopo la morte; ecco quindi che un grande numero di rituali di purificazione hanno come obbiettivo quello di garantire l'accesso dell'anima al mondo della luce. Questi rituali non si limitano alle cerimonie religiose, ma includono anche determinati pasti cerimoniali; come i pasti nella memoria del defunto. La messa per i morti ha un valore simbolico relato al "ricordo" dell'anima dopo la morte,  e nel concederle aiuto nel relativo viaggio pericoloso attraverso “i posti di detenzione" o del purgatorio (matarata) prima di giungere al mondo di luce, e sicuramente all'accorto lettore non saranno sfuggite le coincidenza fra la preparazione dell'anima mandea, e quanto prescritto nel Libro dei Morti Egiziano.
 Interessante è notare la grande rilevanza del femminile nella religione Mandea. Eva non nasce da una costola di Adamo, così come nel filone abramitico, ma bensì rappresenta un dono inviato dal Dio della Luce per Adamo. La storia mandea è ricca di donne che hanno esercitato il ruolo di sacerdotesse o di profetesse, dimostrando quindi una sensibilità spirituale non legata a meri orpelli fisici, non corrotta dalla carne, e non limitata dalle apprenze di un corpo in sè e per sè caduco, ed espressione di un transito terreno. I neonati mandei ricevono da oltre 2.000 anni il cognome della madre.
E' difficile dare esatta cronologia alla letteratura sacra mandea, vista la scarsità di elementi storici su questo popolo, comunque alcuni studiosi la collocano fra l'era precristiana e il secondo secolo dell'era cristiana. I Testi Sacri sono:
- Il Ginza (tradotto nel 1925 dallo studioso di religioni Mark Lidzbarski), che significa "Tesoro". Questo testo sacro è composto da due parti, la prima parte è una collezione di diciotto trattati di cosmogonia e mitologia. La parte seconda è dedicata all'anima ed alla relativa ascesa (masiqta) al mondo di luce (è una raccolta di inni per la messa dei morti).
- Il libro di Giovanni (dyahya di drasha) è forse un supplemento al Ginza. Composto da 37 sezioni,  raccoglie elementi di mitologia e insegnamenti del Battista.
- Il libro canonico di preghiera (Qolasta), raccoglie i canti e le preghiere corali per le cerimonie religiose, soprattutto per i battesimi e le messe per i morti.
- Lo Shuiale Trisar, che è  composto di sette parti ed è ad uso soltanto dei sacerdoti.


3. I Mandei e Gesù Cristo

I Mandei come altri gnostici separavano la figura di Gesù da quella del Cristo (docetismo), non potendo riconoscere ad un essere spirituale, inviato dal Padre della Luce, la possibilità di morire per mezzo degli uomini e delle tenebre. Per i mandei il Gesù terreno ( Ishu Mshiha) non è il Salvatore, ma un servo dei demoni. Il suo martirio è un inganno da parte del mondo delle tenebre; mentre il Cristo Spirituale è rappresentato da Anosh Uthrà ( l'ultimo termine significa angelo ), che altro non è che Manda d-Haiye inviato come messaggero di luce sulla terra.

È interessante come i Mandei attribuiscano a Giovanni il Battista tutti gli elementi caratteristici, che un cattolico attribuirebbe a Gesù Cristo. I Mandei raccontano come la nascita di Giovanni fu annunciata da un Angelo a sua Madre, e come suo padre Zaccaria fosse un uomo molto anziano (Come S.Giuseppe). Inoltre, sempre nel racconto mandeo, una stella rimase sospesa sul luogo dove doveva nascere Giovanni, e come egli fu perseguitato dagli ebrei ortodossi, e costretto alla fuga per una ventina di anni, quando tornò nel mondo Giovanni era profeta e guaritore, e prese ad insegnare e battezzare.

Giovanni era chiamato sia il buon pastore, sia il pescatore di anime, titoli identici a quelli di Gesù, e sempre per i Mandei Giovanni prese come suo discepolo lo stesso Gesù.

Matteo 3:13 In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui.

I testi mandei sostengono che Gesù travisò gli insegnamenti di Giovanni, carpendone con l'astuzia i segreti, e traghettando nell'inganno gli uomini. Gesù si presentò a Giovanni per essere battezzato, e, vincendo le iniziali perplessità del Battista, riuscì a farsi ammettere nella comunità, ma durante il battesimo , Gesù fu investito dalla potenza di Ruah (l’Arcidemone), e non degli angeli della Luce.

Certo è interessante notare come i Mandei abbiano sofferto persecuzioni sia da ebrei, che islamici, che cattolici, in virtù della loro diversità nell’approccio alla figura del Cristo, e malgrado ciò hanno mantenuto inalterato nel tempo la loro visione su di un Gesù falso profeta e servo delle forze del male. Una simile connotazione di Gesù, e al contempo l'indicazione di un Cristo inteso come Angelo o Potenza Spirituale, è combaciante con quella di comunità e scuole gnostiche, creando un’interessante solco religioso e misterico.
Non possiamo non ricordare come gli stessi Dositeo e Simon Mago, asserissero di essere discepoli di Giovanni il Battista, e il loro essere contemporanei a Gesù apre una serie di fondati interrogativi attorno alle origini stesse del messaggio racchiuso nel cristianesimo; che potrebbe trovare non solo radice diversa da quello dell’ebraismo, ma dello stesso Gesù.


4. I Mandei oggi

Oggi le comunità mandee sono sparse fra Iran ed Iraq, oltre a qualche migliaia di fedeli in Europa ed in Canada, in un numero inferiore ai 50.000 individui che vivono nelle zone più impervie e povere. Gli aderenti alla fede mandea possono essere trovati nei villaggi nelle terre impervie comprese fra il basso Tigri e il basso Eufrate, i fiumi che circondano lo Shatt-al-Arab e nella provincia iraniana adiacente di Khuzistan.
Le comunità mandee nei paesi musulmani sono al limite dell'estinzione, a causa delle barbarie a cui sono sottoposte. I Mandei non sono inclusi nelle  religioni del Libro, e quindi non godono di nessuna tutela. Ovviamente tali comunità non hanno neppure l'appoggio da parte dei cattolici, ponendosi come storica evidenza di religione cristiana a loro alternativa. Un problema non solo giuridico e religioso, che determina un'autentica pulizia etnica a cui i mandei sono sottoposti, a causa del loro scarso peso politico sullo scenario internazionale.

Riporto quanto segue tratto da http://www.gfbv.it/3dossier/me/mandaeer-it.html

Dopo l'ascesa al potere di Saddam Hussein nel 1979 aumentarono gli atteggiamenti ostili verso i Mandei. Tre il 1991 e il 1993 i Mandei che vivevano nella zona del Marsh (zona paludosa nell'Iraq meridionale) furono vittime di una vera e propria campagna di eliminazione. Il regime si scagliò con tutta la violenza possibile contro le popolazioni delle paludi tra Bassora, Samara e Nassiriya. La violenza del regime colpì particolarmente gli Arabi del Marsh che da oltre 5.000 anni vivevano in quella zona. Dopo le ribellioni sciite seguite alla seconda guerra del Golfo del 1991 moltissimi ribelli e disertori si rifugiarono nella poco accessibile zona delle paludi, vasta 150.000 km2, e Saddam Hussein colse l'occasione per bonificare tutta l'area. Il provvedimento colpì anche la comunità mandea che diminuì da 5.000-7.000 persone a 1.000-2.000 credenti. Inoltre furono distrutti tutti i centri di culto. I Mandei persero la loro patria nella quale avevano vissuto fin dal 5. secolo dopo Cristo. I sopravvissuti fuggirono nelle maggiori città dell'Iraq.
Dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003 la situazione dei Mandei è ulteriormente peggiorata. Dal 2003 sono aumentati gli omicidi di credenti mandei, gli stupri a danno di donne e ragazze mandee, le umiliazioni pubbliche, i rapimenti e le conversioni forzate. Trattandosi di una miscredente, lo stupro di una donna mandea resta impunito e contemporaneamente aumentano le discriminazioni nei confronti dei Mandei in generale: licenziamenti ingiustificati, espropri, arresti ed esclusione da incarichi pubblici. Le donne sono costrette a portare il capo coperto e durante l'ultima guerra irachena, i giovani sono stati costretti a prestare servizio militare nonostante la loro religione proibisca loro categoricamente di uccidere. Nel frattempo i Mandei si trovano spesso costretti a negare il proprio credo e le proprie tradizioni, il che costituisce per loro uno dei peggiori peccati. Essi si convertono "volontariamente" all'Islam e per paura delle persecuzioni e delle umiliazioni assumono nomi musulmani. Nel 2003 il leader sciita e giurista Al-Hakeem diffondeva sulla sua homepage la convinzione che i Mandei dovevano o essere uccisi o essere costretti a convertirsi all'Islam. Centinaia di famiglie mandee sono fuggite in Siria o in Giordania, dove vivono in condizioni disperate.. "


In questo estratto datato 8 AGOSTO 2007
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=4476


si parla dei Mandei e delle loro persecuzioni da parte dell'Iran, intento a creare una zona sciita sotto il suo controllo in Iraq.
"Intervista di Willi Langthaler con al-Kubaysi
Abduljabbar al-Kubaysi, influente leader politico della Resistenza irachena e segretario generale dell'Alleanza Patriottica Irachena (API), risponde alle domande di Willi Langthaler sulla situazione che si va delineando in Iraq. Parigi, luglio 2007
Domanda: In quest'ultimo periodo i media europei, nel trattare dell'Iraq, ci hanno parlato esclusivamente di una guerra civile  interconfessionale. Che cose succede in realtà?


Risposta: In realtà, sono gli occupanti statunitensi e il governo da  essi imposto a spingere in direzione di questa guerra civile interconfessionale. Anche gli Iraniani, poi, vi hanno il loro interesse, poiché anch'essi auspicano una federazione nel Sud: stanno tentando di fare in modo che sunniti, cristiani e mandei [piccola comunità religiosa di tipo gnostico-dualista dalle antichissime origini che vive nella provincia di Bassora e nello Shatt el-Arab iraniano, NdT] se ne vadano per ottenere una zona puramente sciita. In condizioni di guerra queste spinte settaristiche hanno un effetto immediato.
I Mandei furono rispettati come credenti dai mussulmani fino a quando furono identificati come i misteriosi Sabei, antica religione di cui poco sappiamo, citata nel Corano. Nel momento in cui questa identificazione è venuta meno, i mandei hanno perso qualsiasi tutela religiosa e giuridica, condannati a subire stupri, violenze e confische, portando così un'antica religione sull'orlo dell'estinzione.


5. Mani e i Mandei

Spinto ad approfondire alcuni argomenti laterali al cristianesimo delle origini, in virtù di un piccolo ciclo di conferenze; mi sono imbattuto in un elemento di sicuro interesse per una visione alternativa dello stesso cristianesimo.
La questione riguarda Mani il fondatore del manicheismo, una religione universale(1) (come quella cattolica ) che si diffuse dal bacino del mediterraneo, in Grecia, fino in India ed in Cina. Religione che raccoglieva elementi di Zoroastrismo, Buddismo, e Cristianesimo, apparentemente sicretistica nel metodo, ma non nell'essenzialità del messaggio (un mondo del divino duale e in perenne lotta ).
Durante gli approfondimenti è emerso come la famiglia di Mani, con ogni probabilità fosse di religione mandea, o di una realtà da essa derivata. E ciò spiega la poesia liturgica e mitologia manichea, e come nell'esposizione religiosa di Mani non sia assolutamente presente la componente profetica e in generale quella ebraica.

Se pensiamo a come il Manicheismo, con uno dei suoi rami derivati ha attraversato l'europa balcanica, e come da esso siamo giunti poi ai Catari, e ancora alla Chiesa Giovannita; non possiamo che prefigurare anche un'alternatività cristiana a quando fino adesso ufficialmente riconosciuto.



6. Conclusioni

Non è stato facile parlare dell'origine dei Mandei, in quanto le prove storiche sono assolutamente scarse, anche se bisognerebbe chiederci se la migliore prova non sia l'esistenza stessa di questo popolo e di quanto viene tramandato dalla loro tradizione (che come minimo copre oltre 2.000 anni di storia). I Mandei hanno idee molto precise sulla loro origine, credono che la loro religione deriva direttamente dal Mondo della Luce, e che sia più antica  del cristianesimo, del manicheismo, dell'ebraismo ed infine dello zoroastrismo. Non solo la religione mandea precederebbe le altre religione monoteiste, ma in misura diversa le avrebbe influenzate, dando quindi un senso rettilineare, seppur carsico, alla tradizione in esse, variamente, incarnata. Come abbiamo visto la religione Mandea si propone come un particolare monoteismo, che non trova radice nel ceppo abramitico da cui sono scaturiti, seppur con diversa gradazione, ebraismo, cattolicesimo (cristianesimo) e islamismo. Tale "diversità" appare sia nel ruolo sacerdotale e profetico, non limitato solamente agli uomini,e  nei riti dove il popolo dei fedeli è parte attiva, ma anche nel particolare binomio fede-conoscenza che viene proposto. Dove l'una (la fede) è premessa dell'altra (la conoscenza),  e non sono proposte come inconciliabili mete spirituali; poste l’’una  agli antipodi dell’altra. Il rito del battesimo ripetuto, la triplice immersione, il considerare cosa unica il benessere spirituale e il benessere fisico, la morte vista come rito di passaggio verso mondi superiori, il continuo richiamo a luce e tenebra, rendono il mandeismo una religione "anche" di conoscenza, e non solo di fede (Il mandeo crede e sa che durante il battesimo il Mondo di Luce è presente in lui). Una religione che dovrebbe far molto riflettere per l'intensità misterica dei riti, molto simili a veri e propri rituali di iniziazione.
Seppur non ci sono certezze storiche attorno all'orgine dei Mandei, è rilevante il loro sostenere collocarsi prima allo stesso Giovanni Battista, lasciando così intuire come il punto di origine del cristianesimo, o almeno del messaggio in esso contenuto, sia ancora avvolto dalla nebbia del mistero e del simbolismo, malgrado la comune convinzione che lo vuole legato all’ebraismo e a Gesù. Del resto queste tematiche, oggi relegate ad ambienti accademici o esoterici, sono state dibattute, anche con violenza, nei primi anni dell’era cristiana, per poi essere soffocate nella repressione religiosa e culturale.
Non sarà sfuggito come la religione Mandea presenta molti tratti in comune con lo Zoroastrismo, un'antica religione della Persia preislamica, che si fonda in un conflitto fra Ahura Mazda (Dio della Luce), e Angra Mainyu (il Dio delle Tenebre). A questo conflitto partecipano, in base alla loro propensione e al prevalere della componente di luce o della componente di tenebra, tutti gli esseri viventi; in una sorta di guerra cosmica fra conoscenza ed ignoranza, luce e tenbre, bene e male.  Un tema quello del dualismo fra luce e tenebre fortemente presente anche nello gnosticismo, seppur in una forma maggiormente legata all'individuo; tale argomento non è il solo che sembra ricondurre il mandeismo fra le religioni gnostiche  assieme al Manicheismo e al Catarismo.
Troppi i gruppi (Terapeuti, Esseni, Mandei, ecc..), troppi i profeti e i mistici (Giovanni il Battista, Dositeo, Simon Mago, ...), che sembrano costellare la terra compresa fra Egitto e Mesopatania 2.000 anni fa, per lasciar credere che semplicemente il Cristianesimo è il frutto dell'insegnamento del Cristo, o lasciare il monoteismo perennemente ancorato alla radice ebraica. Così come vuole una certa tradizione, che spesso sembra vacillare innanzi ai colpi della storia e della libera ricerca.
Fino ad aprire la mente al dubbio dei dubbi: e se la stessa figura di Gesù altro non fosse che la trasposizione di Giovanni il Battista, il cui insegnamento oltre ad essere custodito dai Mandei, attraverso comunità mistiche e gnostiche è giunto fino in Francia incarnandosi della religione Catara?

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lunedì 8 maggio 2017

La Bibbia: formazione e contenuto



di Leonardo Casorio




La Bibbia, Libro Sacro della Massoneria

In Massoneria, il “Libro della Sacra Legge” – che nella Comunione italiana identifichiamo come “Bibbia” – ha una connotazione essenziale che trova la sua legittimazione fra i Principi, Finalità, e Metodi nella Costituzione del Grande Oriente d’Italia. Nel suo articolo 5 (tra l’altro) leggiamo che il G⸫ O⸫ I⸫ “Apre il libro della Sacra Legge sull’Ara del Tempio e vi sovrappone la Squadra e il Compasso”.
Nel Rito di York, in particolare durante i lavori in grado di “Ex Maestro Venerabile (o Maestro Installato), vi è un passaggio significativo allorquando si stabilisce che l’ordine è ristabilito solo quando il Libro Sacro viene “prontamente rimesso al suo posto” a seguito di una grande confusione creatasi nel Tempio a causa di un momento di disorientamento del Candidato quando si trova sullo scranno di Maestro Venerabile. Questo fa dire in modo solenne al Venerabilissimo Maestro che “La Libera Muratoria prende gli uomini per mano e, conducendoli al suo altare innanzi alla Bibbia, li spinge a dirigere con sicurezza il cammino della loro vita, nella Luce che da essa promana… questa Luce che da secoli è stata la legge e la guida di tutti i Maestri… Perciò voi, Maestro Venerabile, difendete questo Sacro Libro, come difendereste la vostra vita; come difendereste la bandiera del vostro Paese”.
Parole simili fanno presupporre che chi le pronuncia conosca bene il contenuto di questo Libro Sacro
o che lo abbia letto almeno una volta.


Perché oggi parliamo di Bibbia

Scopo di questo nostro scritto non è quello di ripetere o riassumere i contenuti biblici, né tantomeno quello di addentrarci in esegesi che cerchino di interpretare cosa o chi avrebbe consegnato all’umanità una simile preziosità. Né vorremmo scimmiottare atteggiamenti che rischierebbero di santificare un “oggetto” al punto da considerarlo un talismano che conduce alla felicità. Ma desideriamo focalizzare la nostra attenzione particolare su come, a grandi linee, questo Libro si è costituito ed è venuto a rappresentare nel divenire dei tempi, un punto di riferimento per molti, per quanto attiene alla sapienza, alla saggezza, all’elevazione morale e spirituale ed anche a norme per un giusto e dignitoso modo di convivenza fra i popoli in generale e fra gli uomini in particolare.
Siamo consapevoli che un discorso sulla conoscenza della Bibbia non si può esaurire in una manciata di minuti. Molti, in tutte le latitudini e in tante lingue hanno scritto su di essa. Quando si parla della Bibbia è frequente sentir citare strabilianti statistiche sul numero di copie vendute nel mondo, sulle lingue in cui è stata tradotta. Ma anche in Italia diminuisce ogni anno il numero di famiglie che ancora non posseggono il libro dei libri. Ma vi è un rovescio della medaglia: la Bibbia, in realtà, è il “best-seller meno letto del mondo”, è l’opera illustrata da biblioteca, un libro cui si è sempre disposti a tributare un culto superficiale, ma il cui spirito rimane sostanzialmente estraneo alla nostra generazione. Anche chi ne affronta la lettura con le migliori intenzioni si arena quasi sempre alle prime difficoltà.


Riferimenti biblici in molti luoghi comuni della nostra cultura.

Per molti, la Bibbia è certamente ancora un oggetto di venerazione, ma più spesso di sospetto, un’entità sulla quale si accumulano luoghi comuni, pregiudizi e fantasie popolari. Certo, la Bibbia è radicata nella nostra cultura e ben presente nel linguaggio quotidiano, come un’eredità antica, ma quasi dimenticata. Quanti saprebbero indicare l’origine biblica di parole che adoperiamo tutti i giorni come: geremiadi, esodo e giudizio salomonico, o espressioni come “vendere qualcosa per un piatto di lenticchie”, “fare da capro espiatorio”, “essere il beniamino di qualcuno”, “essere un lavoratore dell’ultima ora”? Quanti potrebbero citare l’origine di detti proverbiali come: “non c’è niente di nuovo sotto il sole”, “chi semina vento raccoglie tempesta”, “occhio per occhio dente per dente”? L’elenco continua: si pensi ancora all’ “ira di Dio”, a “per amor del Cielo”, ai “segni dei tempi”, “basta ad ogni giorno il suo affanno”, “essere la pietra dello scandalo”, “scagliare la prima pietra”, “gettare le perle ai porci”, “seminare zizzanie”, “lavarsene le mani”, ecc. ecc.
L’ultimo motivo di confusione, anch’esso recente, è che, in un contesto culturale italiano che conosce poco la Bibbia, capita che il termine stesso “Bibbia” venga inteso per indicare le sole antiche Scritture ebraiche, ovvero l’Antico Testamento e non l’insieme delle scritture cristiane e cioè l’Antico e il Nuovo Testamento.


Cos’è la Bibbia?

Fisicamente la Bibbia è un libro di oltre mille pagine, fitto di stampa.
La parola “Bibbia” deriva dal latino biblia, che deriva a sua volta dal greco tà biblìa che significa “i libri”. Essa è una raccolta di libri di autori diversi i quali hanno scritto nello spazio di tempo che va dall’anno 1.300 circa prima di Cristo (epoca di Mosè) fino all’anno 100 dopo Cristo.
Nella Bibbia sono narrati molti fatti, molte cose, talora facili e talora difficili da capire. Ciò che in essa ci è narrato vuol farci sapere questa sola cosa necessaria: Dio ci ama; e per la cultura degli uomini del tempo cui si riferiva di oltre 2000 anni fa, nella narrazione dei fatti, la Bibbia comprendeva tutto il tempo: dal principio in cui Dio creò i cieli e la terra (Genesi 1:1) alla fine di tute le cose ed alla venuta del Regno di Dio (Apocalisse 21).
Per una semplificazione di una presentazione, proviamo a paragonarla ad un ambiente, ad un luogo d’incontro accogliente, come ad uno chalet con due stanze unite da un breve corridoio.


La Bibbia è una biblioteca

In queste due stanze illuminate vi sono finestre, divani, tavoli, sedie che ne fanno un luogo piacevole di incontro, con scaffali lungo le pareti dove sono depositati i singoli scritti, o “libri” che la compongono: insomma, come si dice comunemente, la Bibbia è una Biblioteca, ma è soprattutto una sala di lettura dove ci si incontra in amicizia, studio, preghiera.


Edizioni ebraiche

La prima stanza è la più grande, con tre scaffali, dove sono custoditi 39 rotoli in lingua ebraica (alcune pagine sono in aramaico, ma siccome la scrittura è la stessa, chi non legge l’ebraico non se ne accorge). È la stanza delle antiche Scritture ebraiche, ovvero l’Antico Testamento. Come ordinare i libri sullo scaffale è un problema di ogni biblioteca, e quindi anche di questa. Però qui vi è un problema supplementare, in quanto in realtà i bibliotecari sono due, in cortese dissenso tra loro: i libri sono, più o meno, gli stessi, ma sono schedati con criteri diversi, e ciascuno difende le sue buone ragioni.
Il bibliotecario antico, quello delle scritture ebraiche, ha messo al centro lo scaffale più importante e lo ha chiamato “Torah”: che si traduce in modo approssimativo con “Legge”. E’ lo scaffale dei fondamenti: la creazione, il patto, la liberazione, la santità e comprende i primi cinque libri: la Genesi, l’Esodo, il Levitico, i Numeri e il Deuteronomio, e si copre tradizionalmente con l’autorità di Mosè. Gli altri due scaffali sono quelli dei Profeti e degli Scritti.
Sullo scaffale dei Profeti sono conservati i testi che narrano le parole e gli atti di Dio nella storia del popolo, con tutti i guai e le sofferenze di una vicenda storica di ribellioni e di liberazioni e con una prospettiva di speranza per il futuro. Sono i libri di Giosuè, dei Giudici, di Samuele, dei Re (detti i “Profeti anteriori”) e, di seguito gli archivi dei tre grandi profeti “scrittori”: Isaia, Geremia ed Ezechiele, e dei dodici profeti detti minori (“Profeti posteriori”).
Nel terzo scaffale sono ordinati gli Scritti, che sono i libri di preghiera, di lettura e di sapienza che accompagnavano il popolo nel presente, compresi i “Cinque rotoli” da leggere nella celebrazione delle feste. Sono i libri dei Salmi, di Giobbe e dei Proverbi. I Cinque rotoli sono Rut, il Cantico dei cantici, l’Ecclesiaste (detto anche Qoelet), le Lamentazioni ed Ester. Infine, Daniele, Esdra e Nehemia e le Cronache. Questo era l’ordine che il primo bibliotecario ebreo aveva dato ai libri.


Edizioni greche

Avvenne però che in seguito, quando gli ebrei si sparsero per il mondo greco ellenistico, si adattarono, in parte, alle loro concezioni e ne utilizzarono la lingua: delle antiche scritture fu fatta un’edizione greca, e i libri furono riordinati in modo diverso da un bibliotecario ebreo di lingua greca. Ovviamente, alcuni libri cambiarono posizione nello scaffale.
Nella Bibbia greca dei Giudei di Alessandria in Egitto si trovano dunque, i seguenti libri che non figurano nel canone ebraico: 1° Esdra, Tobia, Giuditta, Aggiunte ad Ester, Sapienza di Salomone, Sapienza di Gesù figlio di Sirach o Ecclesiastico, Baruc, Epistola di Geremia, Aggiunte a Daniele, 1° e 2° Maccabei, 3° e 4° Maccabei. In tutto: 13 libri.
Sul secondo scaffale furono collocati gli Scritti (una collezione aperta, che si arricchiva via via di nuovi testi) e sul terzo furono messe le opere dei singoli profeti, detti i “Profeti posteriori”. Questa fu la Bibbia greca, detta anche “dei Settanta”. (Una tradizione leggendaria dice che 70 traduttori, rinchiusi in 70 celle separate avrebbero, in 70 giorni fatto 70 traduzioni dell’Antico Testamento perfettamente identiche l’una all’altra. Da ciò il nome di “La settanta” dato alla traduzione greca dell’Antico Testamento). Sono quei libri che rispecchiano la fede e le esperienze storiche dei secoli in cui l’ebraismo era immerso nella cultura greca e che non furono da tutti considerati parte della Bibbia vera e propria. Questo fu l’ordinamento dato dall’ebraismo di lingua greca, che rimase poi alla base della Bibbia in uso fra i cristiani.
I due bibliotecari si sono oggi messi più o meno d’accordo, dal momento che quello che contava erano i libri e non l’ordine con cui erano conservati nella biblioteca. Le attuali edizioni a stampa della Bibbia preferiscono ora l’uno ora l’altro ordinamento.
La seconda stanza, più piccola, accoglie gli scritti del Nuovo Testamento, e qui non vi sono problemi di contenuto o di ordinamento. La lista dei libri, detta “canone”, cioè elenco ufficiale, comprende 27 libri, tutti scritti nell’ambito della comunità dei discepoli di Gesù e da tutti riconosciuti come testi affidabili ed autorevoli.
Anche qui vi sono tre scaffali, catalogati secondo il genere letterario: i quattro evangeli (Matteo, Marco Luca e Giovanni), che pongono i fondamenti della fede in Gesù, seguiti dagli Atti degli Apostoli; poi le epistole, o lettere, che contengono le lettere circolari e le esortazioni di origine apostolica, di Paolo e di altri autori, ed un libro di tipo profetico, l’Apocalisse. E’ un ordine analogo a quello che il secondo bibliotecario ha dato all’Antico Testamento: prima le origini, poi la vita di preghiera e sapienza, infine l’apertura al futuro.
La Bibbia dunque è un libro, ma non solo un libro. Una biblioteca. Una biblioteca viva ed abitata, una sala di lettura dove i libri sono consultati e letti individualmente. Ed è soprattutto un luogo d’incontro.

Criteri di conservazione

Provocatoriamente proviamo ad interrogarci e proviamo a porci alcuni interrogativi:
Che tipo di biblioteca? Con quale prospettiva, e con quali intenzioni?
In negativo possiamo dire che la Bibbia NON è una biblioteca storica: pur contenendo racconti storici e documenti, non ha l’interesse propriamente storico di narrare i fatti per amore dei fatti.
Non è neppure una biblioteca letteraria anche se contiene pezzi di alta letteratura.
Non è infine una biblioteca religiosa, nel senso che intendiamo oggi, perché accanto alle preghiere e liturgie e leggi, vi troviamo pagine di sapienza laica e persino poesie d’amore, mentre sono poco presenti temi o riflessioni esplicite sulla religione o la spiritualità.
In positivo, quello che fa l’unità e l’interesse della Bibbia è il suo discorso costante su Dio, su quel Dio che è nominato il “Signore” (perché il suo vero nome è segreto e chi lo conosce non può pronunciarlo) e che è un Dio potente e attivo, davanti al quale, come interlocutore, sta l’uomo, l’essere umano.
Questa è l’intenzione ed il criterio sul quale la Bibbia è stata costruita e conservata, con una selezione strettissima di testi e di tradizioni. In essa sono stati accolti, per acquisizioni successive, quei racconti e testimonianze e predicazioni (e soltanto queste) che servivano a conservare e a tramandare le opere e le parole di Dio per il suo popolo. Il resto, in genere, è stato scartato e cestinato.


Versioni

La Bibbia scritta originariamente in ebraico, è stata tradotta in diverse lingue. Anzitutto essa venne tradotta in lingua greca.

Abbiamo le seguenti versioni:

1) La versione Alessandrina o la Settanta (metà del 3° secolo avanti Cristo)
2) La versione di Aquila (prima metà del 2° secolo)
3) La versione di Teodozione (seconda metà del 2° secolo)
4) La versione di Simmaco (?)
5) La Bibbia sestupla di Origene) (seconda metà del 3° secolo dopo Cristo).

Furono poi fatte versioni della Bibbia in lingua semitica:

1) I Targumin (traduzioni) – 2° secolo avanti Cristo
2) La Pescitto (semplice)  - secondo secolo avanti Cristo)
3) Versione araba – 10° secolo dopo Cristo
4) Versione samaritana – 4° - 6° secolo dopo Cristo.

La Bibbia fu inoltre tradotta in lingua latina: abbiamo le seguenti versioni:

1) Antica versione latina (tradotta dal greco – dai LXX – al principio del 3° secolo dopo Cristo
2) La vulgata di Girolamo (tradotta da Girolamo dall’ebraico: anno 300 – 405 dopo Cristo).
La Vulgata fu adottata come la Bibbia ufficiale per la Chiesa Romana al Concilio di Trento, nel 1546.

Infine, la Bibbia venne tradotta nelle nuove lingue parlate dai popoli moderni. Sappiamo che Pietro Valdo, verso la fine del 12° secolo fece tradurre in lingua lionese alcune parti dell’Antico e3 del Nuovo Testamento.
In Germania, nella prima metà del secolo 16°, il Riformatore Martin Lutero tradusse la Bibbia intera dall’ebraico e dal greco in tedesco. Tale traduzione è ancora oggi in uso nelle Chiese Evangeliche Tedesche.
Poi la Bibbia fu, poco per volta, tradotta nelle altre principali lingue, affinché la gente potesse leggerla. Oggi la si stampa in più di 900 lingue e dialetti, specialmente per opera di molte Società Bibliche. In Italia dalla Società Biblica Britannica e Forestiera con sede a Roma.


Alcune considerazioni e fondamenti storici

Vi sono varie ipotesi sulla determinazione, la raccolta e conservazione di vari testi. La realtà storica è molto complessa, ma resta il fatto accertato che in quel tempo (cioè in terra d’esilio, dopo il 587 a.C.) cominciò a costituirsi quella raccolta di scritti che furono poi messi insieme, copiati, organizzati e adattati al presente, e che dette vita ad una primissima cultura del libro, con i suoi lettori, le scuole per imparare a leggere, con scribi, copisti, lettori pubblici autorizzati, ed un numero crescente di lettori privati, che leggevano, recitavano e riflettevano e “ruminavano” sul testo con la medesima intensità e partecipazione con cui i loro padri avevano frequentato il Tempio a Gerusalemme ed offerto sacrifici.
Che la Bibbia sia un unico volume stampato è per noi talmente ovvio da ritenere che sia stato sempre così. Invece la cosa è relativamente recente, e risale sostanzialmente all’invenzione della stampa. Per lungo tempo la Bibbia fu veramente una raccolta di pezzi indipendenti, rotoli o codici (cioè fogli cuciti insieme come i nostri libri) da custodire insieme, nello stesso luogo, controllando che ci fossero tutti. L’elenco si chiamava “canone” cioè norma, o elenco normativo, fissato da una autorità riconosciuta o definito da una traduzione universale.


Canone

Ad un certo punto della storia, gli scritti che comprendevano la Bibbia furono definiti per sempre, e come si disse, il canone fu chiuso; la Bibbia divenne un libro chiuso, quasi un codice di leggi immutabili e indiscutibili. Chiusa fra due pesanti copertine di legno, immobile nel suo testo scritto, fu vista come un codice di verità sull’origine dell’universo, sulla storia antica, sulle regole etiche, da leggere alla lettera. Così avvenne per molti secoli nella chiesa cattolica, che sembrò temere la Bibbia e la sua lettura come potenziale critica al suo modo di intendere la fede cristiana. Furono però preoccupazioni inutili, perché la Bibbia continuò a vivere ed a richiamare uomini e donne a viverla e a metterla in atto. Visse perché in molte sue pagine rimaneva il libro che interroga e che ci interpella, in cui il lettore si può riconoscere e dire: è di me che parla.
La Bibbia, così, nel tempo, continuò a muovere il mondo. Mosse i grandi teologi del IV - V secolo e mosse San Francesco per una nuova sequela del Cristo. Mosse Valdo di Lione e Lutero, e i missionari e gli interpreti dell’evangelo nel tempo moderno, fino a Dietrich Bonhoeffer e Martin Luther King. Mosse e muove molti, cristiani, ebrei e non credenti, animati dalla figura di Gesù, dalle preghiere dei Salmi, dalle visioni dei profeti.
Alcune edizioni seguono il canone ebraico, altre il canone cristiano della tradizione greca (chiese ortodosse e chiesa cattolica romana), mentre per i protestanti la Bibbia comprende i libri del canone ebraico nell’ordine della Bibbia greca, e naturalmente il Nuovo Testamento. Occorre tener presente queste differenze, che non toccano tuttavia il contenuto.
In passato, certo, vi furono dure polemiche confessionali: da parte protestante si dichiararono “apocrifi”, cioè nascosti e implicitamente falsi, i libri del canone greco-alessandrino, che per cattolici ed ortodossi godevano invece di pari autorità. I cattolici da parte loro replicavano che le Bibbie protestanti erano mutilate, e le mettevano all’Indice dei libri proibiti.
I Padri delle chiese orientali ed anche di alcuni delle chiese occidentali ebbero un atteggiamento moderato. Lutero mise questi libri deuterocanonici nell’appendice della sua traduzione della Bibbia come libri “non canonici”, ma tuttavia “utili e buoni a leggere”. Così successe per le altre Bibbie protestanti fino alla fine del secolo XVIII.
La Chiesa Romana, dopo molte discussioni e controversie - in contrapposizione alle tesi di Martin Lutero - stabilì col Concilio di Trento (1546, 8 aprile), la lista dei libri dell’A.T., in cui i libri deuterocanonici non sono per nulla distinti dai libri canonici. Così fece pure la Chiesa Greca (1672).
Oggi le polemiche si sono spente e la Traduzione interconfessionale della Bibbia in lingua corrente (TILC), fatta insieme da cattolici e protestanti, conferma che esiste una sola Bibbia. Del resto, quei libri controversi, chiamati deuterocanonici (di un “secondo canone”), o apocrifi, sono utili e interessanti, in quanto riempiono un vuoto storico fra gli ultimi libri del canone ebraico e i tempi del Nuovo Testamento.
Alcuni sono ancora persuasi che esistano Bibbie cattoliche e Bibbie protestanti.

Il contenuto della Bibbia 
(Antico Testamento - Canone ebraico e protestante)

Aprendo una Bibbia, fisicamente troviamo che si presenta come un volume compatto, o più volumi, che si divide in due parti diseguali. La prima comprende i libri dell’Antico Testamento, cioè la Bibbia ebraica. Sono complessivamente 39 “libri”, divisi in quattro sezioni: il Pentateuco, o legge, i libri storici, quelli poetici e sapienziali e quelli profetici.
La Legge, o torah, è la raccolta più antica e, nella tradizione ebraica, la più autorevole: comprende i libri della Genesi (origini), Esodo (uscita dall’Egitto), Levitico (prescrizioni rituali), Numeri (censimenti ed altri episodi) e Deuteronomio (rinnovamento della legge).
La seconda sezione, dei libri storici, narra la storia di Israele, nei libri di Giosuè, dei Giudici e di Rut, seguiti dai due libri di Samuele (le storie di Davide) e dai due Re (da Salomone alla caduta di Gerusalemme). Le storie dei re si intrecciano con quelle dei profeti, i cui scritti si trovano però nella quarta sezione. Seguono i due libri delle Cronache, che riscrivono la storia dei re, da Davide in poi, in una prospettiva sacerdotale, ed alcuni episodi del ritorno e della ricostruzione dopo l’esilio in Babilonia, nei libri di Esdra e Nehemia; a conclusione, la storia di Ester.
La terza sezione, dei libri poetici e sapienziali, comprende cinque libri: Giobbe (una meditazione sapienziale sulla sofferenza senza Dio e con Dio), i Salmi (i canti di Israele, liturgici o individuali), i Proverbi (la Sapienza), il Qoelet, detto anche Ecclesiaste (meditazione sapienziale sulla vita).
I libri profetici portano i nomi dei profeti di cui riferiscono le parole: Isaia, Geremia, con le Lamentazioni (canti di lutto nazionale), Ezechiele e Daniele. L’Antico Testamento si conclude con il libro dei Dodici profeti detti “minori” (minori nel senso di più brevi) e cioè: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia.


Libri deuterocanonici
(Antico Testamento - Canone alessandrino ed edizioni cattoliche)

Una parola va dedicata ai libri cosiddetti “deuterocanonici”, assenti nelle edizioni protestanti moderne e quindi anche nella Nuova Riveduta e presenti in quelle cattoliche e nella Traduzione interconfessionale in lingua corrente (TILC). Alcuni sono di genere narrativo-novellistico (Giuditta e Tobia), o narrativo-storico (I e II Maccabei); altri di genere sapienziale (la Sapienza e il Siracide, detto anche l’Ecclesiastico, da non confondere con l’Ecclesiaste/Qoelet già citato). Vi sono inoltre alcuni episodi o capitoli aggiuntivi ai testi ebraici di Geremia e Daniele, e una redazione greca del libro di Ester.


Il Nuovo Testamento

Il Nuovo Testamento è più breve, circa un quarto dell’intera Bibbia: 27 libri, divisi in tre parti: i racconti fondanti (o libri “storici”), le lettere o epistole, e una profezia: ovvero i quattro Vangeli (Matteo, Marco, Luca e Giovanni) con il Libro degli Atti degli apostoli (la prima missione dei discepoli di Gesù); le lettere apostoliche di Paolo alle comunità della diaspora e di altri, e l’Apocalisse.


I libri apocrifi

Il termine apocrifi (nascosti) è usato per indicare un certo numero di libri e scritti i quali si trovano nella versione greca dei Settanta (LXX) e nella versione latina della Vulgata, ma non nel Canone ebraico. La Chiesa Romana li chiama anziché “apocrifi”, Deuterocanonici.
La parola “apocrifo” indicò sin dai primi tempi un libro non adoperato nel culto pubblico, sottratto all’uso ordinario della Chiesa in contrapposizione ai libri ufficiali destinati all’insegnamento di tutti i fedeli.
Li divideremo in tre gruppi:

A) La aggiunte ai libri canonici

1) Aggiunte al libro di Esther: frammenti aggiunti qua e là al libro di Esther.
2) Aggiunte al libro di Daniele: Sono le seguenti:
a) La preghiera di Azaria ed il cantico dei tre giovani ebrei nella fornace ardente.
b) Lla storia di Susanna.
c) L’impostura dei sacerdoti di Bel.
d) La storia del Dragone.
3) La preghiera di Manasse: sarebbe la preghiera di pentimento del re Manasse di cui si parla in 2° Cronache 33: 11-13. Questa aggiunta non si trova nella versione dei LXX.
4) Il terzo libro di Esdra: nella LXX è incluso solo il nome di “1° libro di Esdra”.
5) La Epistola di Geremia: Sarebbe una lettera scritta dal profeta agli ebrei prigionieri in Babilonia (cfr. Geremia 10: 1-16).
6) Il libro di Baruk: tre scritti diversi, posteriori alla seconda distruzione di Gerusalemme dell’anno 70 d.C.

B) I libri narrativi

1) Il 1° libro dei Maccabei
2) Il 2° libro dei Maccabei
3) Il 3° libro dei Maccabei: raccontano la storia delle persecuzioni cui fu sottoposto il popolo d’Israele dal 175 a.C.
4) Il libro di Tobia: è la storia di Tobia che viene guarito dalla sua cecità, e di suo figlio Tobia che riesce a cacciare il demonio dalla sua sposa Sara.
5) Il libro di Giuditta: E’ la storia della giovane giudea che salva Israele tagliando la testa di Oloferne, il generale di Nebucadnetsar re di Assiria. Non ha alcun valore storico.

C) I libri sapienziali

1) L’Ecclesiastico o Sapienza di Gesù figlio di Sirach (raccolta di proverbi)
2) La sapienza di Salomone.

D) Gli pseudoepigragi

Con questo nome si indica un certo numero di scritti di autore sconosciuto, presentati sotto il nome di un grande personaggio del passato e che ebbero una grande diffusione nel giudaismo del 2° secolo a. C. al 3° secolo d.C.
Tali scritti, molto popolari nel Cristianesimo primitivo, rimasero però esclusi dalle raccolte canoniche. Ecco i più importanti:

Genere sedicente storico:

1) Il martirio di Isaia
2) Il libro dei giubilei
3) La lettera di Aristea

Genere filosofico:

1) Il 4° libro dei Maccabei


Genere apocalittico:

1) Il libro di Enoch
2) I Testamenti dei 12 Patriarchi
3) L’Assunzione di Mosé
4) Il 4° libro di Esdra
5) Le due apocalissi di Baruch
6) I libri sibillini

Genere poetico:

1) I 18 Salmi di Salomone
2) Le 40 odi di Salomone.








Bibliografia:
- Costituzione del Grande Oriente d’Italia (GOI), Palazzo Giustiniani, Roma 2016
- Rituale del Grado di Maestro Installato, Gran Capitolo Liberi Muratori, Rito di York, 2016
- Introduzione all’Antico Testamento, di J. Alberto Soggin, Ediz. Paideia Brescia 1979
- Introduzione al Nuovo Testamento, di Bruno Corsani, Ediz. Claudiana Torino 1972
- La Bibbia, Giorgio Girardet, Ediz. Claudiana Torino 2001
- Pane al Pane…! Sinodo Riformato olandese – ediz. Claudiana, Torino 1972
- “Sta scritto”, Introduzione allo studio della Bibbia di Edoardo Aime – Ediz. Claudiana 1946.
- Informatutto biblico storico, A.A. Hugon ed altri, Ediz. Claudiana Torino 1983
- La Bibbia aveva ragione I e II, di Werner Keller, Ediz. Garzanti Milano 1977

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