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giovedì 28 maggio 2009

Giordano Bruno come Galileo e Darwin?


Il prof. Cabibbo, presidente della Pontificia accademia per le scienze: ''Le sue teorie sono ormai dimostrate, il problema rimane la condanna''. Indifferenti gli studiosi del Nolano: ''Non sarà facile battezzare il filosofo, la Chiesa non ha appigli''.


Città del Vaticano, 27 mag. (Adnkronos) - Dopo il caso di Galileo Galilei, affrontato dal Vaticano con una discussione storica e scientifica tesa a riannodare i fili del dialogo fra scienza e fede, forse è arrivato il momento di aprire un nuovo delicato e clamoroso capitolo: quello della riabilitazione di Giordano Bruno, il grande filosofo ex frate domenicano condannato dalla Chiesa per le sue teorie e arso sul rogo il giovedì 17 febbraio 1600 a Campo de’ Fiori, a Roma.

Non c'è ancora nulla di concreto ma la questione è allo studio dei sacri palazzi. A riferirlo è una personalità di primissimo piano del mondo scientifico con un incarico di rilievo nella Curia romana: il professor Nicola Cabibbo, fisico di fama internazionale e Presidente della Pontificia accademia per le scienze per il quale ''le teorie di Giordano Bruno sono ormai dimostrate'' e Il vero problema rimangono ''il processo e la condanna''.

In una intervista rilasciata al settimanale ''Famiglia cristiana'', rispondendo in merito a una possibile riabilitazione del Nolano, il prof. Cabibbo ha risposto che ''forse'' è possibile. ''Ne ho parlato in Vaticano - ha detto - ma per ora segnali non ce ne sono. La teoria di Giordano Bruno oggi è dimostrata dall'esistenza dei pianeti extrasolari, osservati dai telescopi in orbita. Il problema sono il processo e la condanna''. ''Credo - ha aggiunto il Presidente della Pontificia accademia per le scienze - che se ne sappia meno che del processo a Galileo Galilei. E poi non sarà facile riconoscere che non c'era nessuna ragione per metterlo al rogo''.

Indifferenza, scrollata di spalle e in alcuni casi un sorriso che sa di riconoscimento tardivo. E' gelida la reazione degli studiosi di Giordano Bruno all'annuncio del presidente della Pontificia accademia per le Scienze, di una possibile riabilitazione del filosofo di Nola. E' categorico Aldo Masullo, docente emerito di Filosofia Morale presso l'Università di Napoli, che spiega all'ADNKRONOS: ''Oggi ne' a Bruno ne' ai suoi estimatori importa piu' nulla del riconoscimento, da parte della Chiesa, dell'errore 'mortale' fatto nel giudicare il filosofo. Non e' significativo riconoscere gli errori dopo aver bruciato la vita di un uomo''. ''Ognuno prenda atto dell'errore -ribadisce il filosofo de 'Il Tempo e la Grazia'- ma l'importanza del Nolano sta nel fatto che con lui si consuma la rottura con un vecchio mondo. Da quella crepa profonda nasce la modernita', ovvero la stagione in cui si riconosce che la verita' e' il risultato della libera ricerca e non della potenza di chi sostiene una tesi''. ''Il fatto che adesso il Vaticano riconosca questa colpa -taglia corto Masullo- e' solo la confessione della vecchia cultura che si sente superata. Non aggiunge nulla alla vita e alla grandezza del pensatore di Nola''. Non la pensa diversamente Michele Ciliberto, professore di Storia della Filosofia moderna e contemporanea alla Scuola Normale di Pisa e dal 1995 presidente dell'Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento di Firenze. ''Non sara' facile battezzare Bruno'' dice all'ADNKRONOS lo studioso. A giudizio di Ciliberto, che e' anche Accademico dei Lincei, ''Bruno e' il pensatore piu' radicalmente anticristiano del Cinquecento europeo. Per lui Cristo e' un 'tristo mago', come riferirono i compagni del Nolano, un uomo che non e' neanche riuscito a saper morire. Giordano Bruno si sente in contrapposizione a Cristo''. Quando ''sul rogo i confortatori gli propongono l'immagine del Nazareno, lui gira la faccia dall'altra parte, per dire che il Cristo non c'entra nulla''. Come farà il Vaticano a riabilitarlo? ''Mentre per il caso Galilei c'era 'trippa per gatti', per il Nolano non hanno davvero appigli: tutto il suo pensiero è radicalmente anticristiano''.

Non ha dubbi anche Massimo Cacciari, che sorride dell'eventuale iniziativa dei sacri palazzi: ''Riabilitare Bruno? Semplicemente ridicolo - dice il filosofo di Venezia all'ADNKRONOS - Che senso ha? Si possono riconoscere gli errori fatti dalla Chiesa sul caso Galilei e le sue teorie scientifiche, ma il Nolano non parla mica solo di scienza. Il suo pensiero su religione ed etica e' totalmente incompatibile con la Chiesa. Si potra' forse riconoscere che le sue teorie sono fondate, ma come faranno a portarle all'acqua santa?''.

Invita a distinguere i piani anche Nuccio Ordine, professore di Letteratura italiana presso l'Universita' della Calabria. ''Ritengo che il problema di una eventuale riabilitazione di Bruno -spiega lo studioso all'ADNKRONOS- riguardi la storia del Vaticano e il problema dei crimini commessi in passato. Ma la decisione della Chiesa, in quanto studioso di Bruno, mi lascia totalmente indifferente. Di riabilitazioni non ha bisogno lo stesso Nolano, che e' stato 'riabilitato' dalla scienza e dalla filosofia con le cose che lui stesso ha scritto e che hanno fondamento e validita' per il libero pensiero e la ricerca''. Percio', per Ordine ''la riflessione della Chiesa riguarda solo i propri confini. Forse puo' far anche piacere ma non e' un nostro problema dato che la mia opinione di Bruno non e' legata a quanto di lui si dice oltre il Tevere''. Insomma, chiede Ordine: ''In che maniera la riabilitazione di Giordano Bruno puo' incidere nella ricerca scientifica? La risposta e' presto detta: in nessun modo. Il pensiero di Bruno e' stato riconosciuto dagli scenziati e dai filosofi, portato avanti per centinaia di anni dopo quella condanna. Saremmo una manica di pazzi -taglia corto Nuccio Ordine- se oggi facessimo ricerca e scienza leggendo ancora le Scritture o altri testi religiosi''.

Apre invece alla possibilita' di una eventuale riabilitazione Aniello Montano, professore ordinario di Storia della Filosofia all'Universita' di Salerno, per il quale ''la riablitazione di Bruno, anche se tardiva, serve molto. Sulla questione Bruno occorre riflettere senza pregiudizi ma soprattutto, come raccomandava lo stesso Nolano, vanno tenuti ben distinti nel pensatore il filosofo dal teologo. Lui voleva essere giudicato solo come filosofo, e forse questa sarebbe la volta buona. Di sicuro -rimarca Montano- e' la via maestra: andare alla dottrina propria di Bruno''.

Mostra pollice verso sulla riabilitazione, invece, Guido Del Giudice, autore di studi sul pensiero bruniano cui ha dedicato da piu' di un decennio il sito http://www.giordanobruno.info/, che spiega all'ADNKRONOS: ''Non credo alla riabilitazione del Vaticano, e ricordo che gia' nel Duemila, in occasione del quarto centenario del rogo, la lettera del cardinal Sodano fu esplicita: pur concedendo la sproporzione della condanna inflitta al filosofo europeo, la Chiesa ne difendeva ancora storicisticamente la legittimita'''. ''Se proprio la Chiesa vuol farsi perdonare qualcosa su Bruno con un gesto significativo -e' la proposta di Del Giudice- tiri fuori i documenti ancora nascosti. In questo caso -taglia corto lo studioso- non sara' una fiction come per la lettera di Galilei di 'Angeli e Demoni'. Le carte su Giordano Bruno ci sono davvero. Aprire quelle porte alla libera ricerca significherebbe gettare ponti alla verita'''.

Per Gustavo Raffi, studioso del pensiero di Bruno e Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, ''e' bene riconoscere gli errori, ancora meglio sarebbe non commetterli''. E all'ADNKRONOS il numero uno della Massoneria di Palazzo Giustiniani rimarca: ''La storia del Nolano dimostra che l'eresia di oggi puo' essere l'ortodossia di domani. Occorre leggere anche in questa traccia un monito: mai piu' intolleranza e roghi. L'uomo si apra invece alla ragione e alla forza del dialogo. Noi -rimarca Raffi- siamo uomini del dubbio, aperti al confronto, cercatori di pietre di senso. Il problema nasce da chi pensa di avere sempre verita' incrollabili. Per il resto, meglio tardi che mai''.



Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia.
Giordano Bruno.

mercoledì 27 maggio 2009

Domenico Lancianese - I Templari setta esoterica


I Templari furono veramente degli eretici o degli illuminati alla ricerca della salvezza sui perigliosi sentieri della via del guerriero? Mistero, Tradizione e Gnosi sono i cardini di questo viaggio appassionante alla scoperta degli aspetti più intimi e occulti del misterioso e potente Ordine dei Cavalieri Templari. Con una ricerca accurata e rigorosa l’autore tenta di penetrare e svelare le origini, la natura e la spiritualità di questa Istituzione medievale che tanto incise sull’ evoluzione socio-politica dell’Europa. Questo libro, carico di suggestioni, apre sulla questione templare strade straordinariamente interessanti oltre che cariche di intenso fascino «a dispetto di coloro che vorrebbero escludere dalle vicende terrene del glorioso Ordine le categorie del mistero, della Tradizione e della Gnosi».
Domenico Lancianese, laureato in Scienze economiche e commerciali, saggi sta e ricercatore di storia medievale, da oltre un decennio ha rivolto i suoi studi e le sue ricerche al misterioso Ordine dei Cavalieri Templari e alla Massoneria. L’autore collabora con l’Istituto di Storia dell’ Università degli Studi di Urbino, con la Deputazione di Storia Patria per le Marche, con la Fondazione Federico II di Jesi, con l’Accademia Georgica di Treia e dirige la collana editoriale “Templari e Rosacroce” della Casa Editrice Atanòr; ha pubblicato articoli e saggi e tenuto conferenze sia in Italia che all’estero.Tra le sue opere: I Templari e la missione segreta, Nerbini Firenze 2006; Un Templare in America, Maprosti & Lisanti, Roma 2006; Federico II e i Templari, Maprosti & Lisanti, Roma 2006; I Templari e l’interrogatorio di Chinon, Maprosti & Lisanti, Roma 2006; I Templari e la Massoneria, Atanòr, Roma 2007.

Torino 4 Luglio 2009 - Gli Egizi e l'Oriente nella cultura torinese


Torino 4 Luglio 2009 - Gli Egizi e l'Oriente nella cultura torinese
Convegno del Collegio di Piemonte e Valle d'Aosta all'Accademia delle ScienzeTutti sanno delle influenze della cultura egizia e orientale a Torino, ma pochi conoscono la reale entità di questo apporto, soprattutto a cavallo tra Ottocento e Novecento. Una iniziativa culturale della Commissione Cultura del Collegio circoscrizionale di Piemonte e Valle d'Aosta tratterà l'argomento con esperti e responsabili di importanti istituti culturali che spiegheranno quanto e come la cultura del capoluogo piemontese abbia goduto di questi influssi. Compresa la Massoneria.
"Torino, gli Egizi e l'Oriente tra Otto e Novecento" è il tema del convegno in programma il 4 luglio all'Accademia delle Scienze, nella prestigiosa Sala dei Mappamondi, che per una giornata (dalle ore 10 fino alle 17) darà voce allo spirito illuminato della Torino di "fin de siècle" con le sue aperture culturali, sociali ed estetiche, e le nuove conoscenze che ancora prima diedero impulso alla nascita del Museo Egizio e, molto più di recente, a quello d'Arte Orientale.
Numerosi gli interventi previsti. Dopo i saluti del presidente circoscrizionale di Piemonte e Valle d'Aosta Marco Jacobbi e del sindaco di Torino Sergio Chiamparino, interverranno:- Alain Elkann (giornalista, scrittore e presidente della Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino) - L'evoluzione del mondo museale italiano: il caso di Torino.- Gianni Carlo Sciolla (storico dell'arte dell'Università di Torino) - L'influenza dell'Egitto e dell'Oriente sull'Arte a Torino.- Alessandro Roccati (egittologo dell'Università di Torino) - Lo sviluppo in Italia dell'egittologia come disciplina scientifica.- Franco Ricca (direttore del Museo d'Arte Orientale di Torino – MAO) - Un museo che offre alla città nuove aperture sull'Oriente.- Stefano Piano (indologo dell'Università di Torino) - Il sanscrito e la cultura dell'India nell'Università di Torino: la nascita dell'indologia- Antonio Invernizzi (archeologo, professore Emerito dell'Università di Torino e presidente del Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino per il Medio Oriente e l'Asia) - Torino e l'archeologia del vicino e Medio Oriente.- Marco Novarino (storico della Massoneria dell'Università di Torino) - Influenze egizie sulla Massoneria speculativa tra XVII e XVIII secolo.- Cristiano Daglio (curatore scientifico del Comitato per l'Evento celebrativo salgariano, Museo di Scienze Naturali) - L'immaginario popolare dell'Egitto e dell'India nei romanzi salgariani.Al Gran Maestro Gustavo Raffi sono state affidate le conclusioni dei lavori che saranno moderati dal giornalista Rai Nino Battaglia.
Info: mdolla@mafservizi.it

martedì 19 maggio 2009

NON DIMENTICHIAMO L’ABRUZZO


Ognuno di noi è rimasto colpito dalla tragedia del terremoto in Abruzzo, un dramma che, in vario modo, ha mobilitato la comunità internazionale a sostegno delle vittime.

Il Grande Oriente d'Italia partecipa a questa gara di solidarietà e - dopo l'immediato invio di 25 mila euro al fondo stanziato dal "Corriere della Sera", ha aperto una sottoscrizione nazionale che raccoglie le donazioni dei Collegi circoscrizionali, delle logge e di singoli fratelli.
Il 18 maggio si sono contati 128.500 euro.

Di questi, una tranche di 50 mila euro è stata versata ancora nel conto di solidarietà aperto dal principale quotidiano nazionale che destina i soldi raccolti alla Protezione Civile.

Ma in Abruzzo l'emergenza non è finita.

Non ci sono ancora cantieri, le tendopoli sono affollatissime (e non si sa per quanto) e le attività lavorative stentano a riprendere.

Insomma, c' è ancora bisogno del nostro aiuto.

Non dimentichiamo l'Abruzzo!


lunedì 18 maggio 2009

Architettura e Massoneria, l’Esoterismo della Costruzione


Dal 18 al 30 Maggio 2009, presso la Facoltà di Architettura - Valle Giulia, in Via Antonio Gramsci 53 a Roma, si terrà la mostra "Architettura e Massoneria, l’Esoterismo della Costruzione" di Marcello Fagiolo.

“La Mostra intende restituire l’orizzonte in cui si inseriscono le operazioni e le idee massoniche: le opere presentate rientrano pertanto in un milieu culturale influenzato o auto-costruito dal pensiero massonico ovvero discendono da alcune delle matrici esoteriche confluite sia nella massoneria operativa che in quella speculativa.

Ne deriva un viaggio alla ricerca della Architettura Divina, nel segno della ricerca infinita di una spazialità sacrale che discende da modelli di perfezione sovrumana e che coniuga l’archetipo delle fabbriche divine con l’aspirazione di ogni epoca a riproporre il fine di una laica Civitas Dei di fraternità e solidarietà sociale se non anche l’ideale di nuovi Templi e Cattedrali della Umanità.”
Itinerario della mostra:“Vengono in primo luogo passate in rassegna le “divine architetture” ispirate dal Grande Architetto (Tabernacolo, Tempio, Arca) nonché gli archetipi dell’Ars Regia e i tre modelli “naturali” del costruire (la Capanna, la Caverna, la Tenda). In età medievale e moderna la protostoria della Massoneria si esplica sul duplice versante della operatività (cantiere delle Cattedrali) e della architettura “filosofale”.Viene poi riassunto il dibattito sullo “stile” massonico, dalla ricerca di un linguaggio egemonico (come lo “stile romano” propugnato dall’Anderson o il revival egizio) fino alla ricezione di stili diversi, nel segno della tolleranza e del sincretismo culturale.Il panorama sintetico delle regioni “massoniche”, di qua e di là dall’Atlantico, presenta quindi una interessante serie di opere rappresentative delle due grandi stagioni del Sette e Ottocento. In particolare viene dimostrata l’impostazione massonica di Washington, ispirata direttamente dal primo Presidente degli USA, Gran Maestro della Loggia di Alexandria: la nuova Capitale, immagine simbolica dell’unione federale, viene concepita per visualizzare il suo duplice ruolo di erede delle capitali del Vecchio Mondo e di Faro della Civiltà del Mondo Nuovo.

Vengono infine enucleati i simboli e le idee che sembrano avere maggiore incidenza sulla teoria e sulla prassi architettonica: la Squadra e il Compasso, la Pietra cubica, la Luce e le Tenebre, la Torre e la Fortezza, il Teatro della Memoria, la Sfera e la Piramide, la Tomba iniziatica.

Al mito della Cattedrale il pensiero illuminista affianca l’ideale della costruzione del Tempio delle Virtù, mentre il riformismo ottocentesco propone una serie di utopie socio-politiche chiaramente ispirate dall’ideologia massonica. Va aggiunto, per concludere, che la Massoneria - accanto al Rosacrocianesimo e alla Teosofia – rappresenta una matrice fondamentale nella elaborazione teorica delle avanguardie artistiche e architettoniche fra Art Nouveau ed Espressionismo.”

Ciclo di incontri “Il simbolo come dialogo tra le civiltà”


Per il ciclo di incontri “Il simbolo come dialogo tra le civiltà”, il Servizio Biblioteca del Grande Oriente d’Italia è lieto di darvi notizia del prossimo appuntamento, che si terrà Sabato 4 Luglio 2009, alle ore 19:30, al Parco di Villa Il Vascello, in Via di San Pancrazio, 8 a Roma.

Durante la manifestazione si terrà l'INCONTRO CON LA CONFRATERNITA SUFI JERRAHI-HALVETI IN ITALIA e la presentazione del volume "LE LACRIME DI HIRAM. AUTOBIOGRAFIA INCOMPLETA DI UN LIBERO MURATORE. POESIE" di Morris L. Ghezzi.

Il volume di Morris L. Ghezzi è vincitore del primo premio al “Concorso Nazionale di Poesia Mistica e Religiosa”, indetto dalla Confraternita Sufi Jerrahi-Halveti in Italia ed edito dalla stessa nel 2008.

Nella prefazione si legge che “la poesia raggiunge il grado più elevato quando ingloba, oltre al “ritmo e simmetria” e al sentimento, anche il concetto. E quale è il “Concetto” che Morris Ghezzi racchiude in queste sue poesie? Per le genti di animo adatto ad accogliere tutte le vaste espressioni della Ricerca potremmo dire che egli ha percorso il cammino di uno dei più eminenti valori umani; quello raffigurato sulla “Tavola Smeraldina”, vale a dire la Massoneria”.
La Confraternita Sufi Jerrahi-Halveti rappresentata dal suo Vicario generale per l’Italia Gabriele Mandel, che ha contribuito all’edizione del volume di Morris Ghezzi con la prefazione e la realizzazione di dodici illustrazioni alla moda antica sul tema del “compasso”. “Il Sufismo in se stesso non è né una Scuola teologico-giuridica, né uno scisma, né una setta, anche se si pone al di sopra di ogni obbedienza. E' innanzi tutto un metodo islamico di perfezionamento interiore, d'equilibrio, una fonte di fervore profondamente vissuto e gradualmente ascendente.”

Alcuni brani tratti dal volume saranno recitati dall’attore Achille Brugnini e il concerto di musica sufi tenuto dal Maestro Fakhraddin Gafarov offriranno un quadro più intenso del simbolo nei suoi vari aspetti. La musica Sufi e le storie dei Sufi sono artisticamente e psicologicamente multidimensionali: agiscono su molti livelli andando a raggiungere lati nascosti della psiche dell’ascoltatore, penetrano nei suoi blocchi personali e lo invitano a un più elevato livello di consapevolezza e sviluppo delle sue forze creative.

Interverranno MORRIS L. GHEZZI (Università degli studi di Milano), GABRIELE MANDEL (Vicario generale per l’Italia della Confraternita Sufi Jerrahi-Halveti), FAHKRADDIN GAFAROV (concertista che eseguirà brani di musica sufi), DANIELE GUIZZO (Professore di Islamistica presso l'Università di Bologna e di Linguistica iranica e di Storia della lingua persiana presso l'Università Ca' Foscari di Venezia), BERNARDINO FIORAVANTI (Responsabile del Servizio Biblioteca), il Gran Maestro GUSTAVO RAFFI.

lunedì 11 maggio 2009

Allarme antisemitismo: torna il complotto giudaico-massonico


Il quotidiano “Il Riformista” lancia un allarme: una piccola casa editrice ha ristampato “I protocolli dei Savi Anziani di Sion”, una opera universalmente riconosciuta come un enorme cumulo di menzogne, scritta e pubblicata poco più di un secolo fa per scatenare una azione di odio contro gli ebrei.Oggi questo libro viene utilizzato dalla teocrazia dell’Iran per incitare l’odio contro Israele e per chiedere ad alta voce la sua distruzione. Ma questi “protocolli” noti in Italia attorno al 1938, non furono una invenzione fascista, anche se Benito Mussolini e Giorgio Bocca, firmatario del manifesto antiebraico, se ne sono appropriati, perché proprio in quell’anno la propaganda fascista sbandiera a piena voce la tesi del complotto sionista e massonico, legittimata autorevolmente dal Gran Consiglio del fascismo nel momento in cui si stava per imboccare la strada della discriminazione razziale e la promulgazione dei “Provvedimenti per la difesa della razza”; proprio in quei giorni vengono pubblicati in Italia i “Protocolli dei savi anziani di Sion” che ben giocavano a favore del fascismo nella sua campagna contro gli ebrei e contro la Massoneria.Ma i “Protocolli dei savi anziani di Sion” non sono stati una invenzione fascista: escono in Russia nel 1905 e fu una grossa mistificazione composta di collage di diversi testi abilmente manipolati dalla polizia segreta zarista, in un momento in cui la Massoneria e l’Ebraismo stavano giocando un ruolo culturale di primaria importanza. Da allora, a intervalli regolari, il complotto giudaico-massonico viene sventolato da forze reazionarie, e con particolare accanimento da Mussolini quando per l’Asse la guerra era irrimediabilmente persa; guerra - adopero le parole di Mussolini - “tenacemente voluta dal mondo demoplutocratico giudaico-massonico, ricco di oro e di denaro, contro i popoli nuovi e ricchi di braccia”. Naturalmente i rappresentanti delle potenze demoplutocratiche, giudaico massoniche erano le nazioni definite vecchie e sorpassate, in una parola la Francia, ma soprattutto l’Inghilterra, definita la perfida Albione.Questa azione propagandistica si intensificò dopo l’8 settembre 1943, con punti di massima violenza nei primi mesi del 1944. Infatti il 13 febbraio 1944, il quotidiano “La Repubblica fascista” e il giorno seguente tutti i giornali dell’Italia ancora occupata dai nazi-fascisti, pubblicano a piena pagina un articolo dal titolo: “Il complotto ebraico massonico per minare il fascismo e piegare l’Italia. E come nel caso dei famosi Protocolli di Sion del 1905, vengono pubblicate intere pagine di documenti falsi, questa volta massonici, inventati proprio da Benito Mussolini, perché un attento studioso rileggendo i testi trova proprio lo stile e la penna del duce del fascismo. Fu l’ultimo suo attacco, a mezzo stampa, contro la massoneria e contro gli ebrei. Purtroppo i delitti continuarono fino alla liberazione. Poche settimane prima di questo ultimo forsennato attacco si era conclusa la tragedia del ghetto ebraico di Roma.Ma il complotto giudaico-massonico non è stato - come dicevo all’inizio - una invenzione di Mussolini; Mussolini l’ha solo rispolverato. Come anche i “Protocolli dei savi anziani di Sion”. Le menzogne del complotto giudaico hanno più di 250 anni e a denunciarlo è stato un cappuccino, padre Schuff che nel Duomo di Acquisgrana urlò nel 1751: “Gli ebrei che crocifissero il Salvatore erano massoni. Pilato ed Erode erano i capi di una Loggia. Giuda prima di tradire Gesù si era fatto iniziare massone in una sinagoga e quando consegnò i trenta denari prima di andarsi ad impiccare non aveva fatto altro che pagare la tassa di iniziazione. Da allora “La Civiltà Cattolica” ritorna spesso su questo complotto e anche con mano pesante.In un articolo apparso in data 20 giugno 1885 si parla della Massoneria e dopo un accenno a Satana che l’ha generata, si accusa i giudei di essere il perno cui fanno parte tutte le ruote della grande macchina settaria che si chiama Framassoneria. Nel 1887 la stessa Rivista insiste nel concetto di complotto e nel numero del 1° gennaio, scrive “I giudei reggono la massoneria con un bieco fine. Saranno il bersaglio dell’ira divina fino agli ultimi giorni. Il coltello piantato nel cuore dell’Italia è la massoneria giudaica”. E nel numero del 3 novembre 1888: “I giudei reggono la massoneria, ma gli ingannati dai giudei che, traendoli ai primi gradi, tengono celato il loro bieco fine; e fingono amore della umanità, ardente desiderio di universale progresso, affetto stragrande per il popolo, cultura delle arti e delle scienze, e soprattutto amor di patria, indipendenza e unità nazionale”. E ancora: “Gli ingannati non mostrano di punto avvedersi delle trame giudaiche e pare che nemmeno si accorgano che il vero fine della giustizia ebraica sia quello che dicevamo: la distruzione della religione e cancellare Gesù Cristo dalla mente e dal cuore fra i fini subalterni della Massoneria voluti dalla giudaica massoneria, vi fu l’indipendenza d’Italia, quindi la cosiddetta Unità d’Italia, togliendo soprattutto la sovrana indipendenza al Vicario di Gesù Cristo”.Un altro violento attacco alla “massoneria giudaica è sulla rivista del 20 aprile 1889: “Il Dio della massoneria giudaica è quello che ammettono i panteisti, è la natura, è il mondo. Ma un orbo vede che questo non ha nessun carattere proprio della divinità, dunque il Dio della giudaica massoneria non è Dio e in fatto questa professa l’ateismo”. E ancora, nel numero del 15 febbraio 1890: “La perfida razza dei giudei, che stancò cento volte la pazienza di Dio e fu finalmente reietta perchè crocefisse il Signore, cotesta razza dispersa in esilio per tutta la terra sarà ben presto ridotta all’impotenza...Dio farà così nell’ordine morale, dacché nessun uomo assennato recherà in dubbio che la frase blasfema del Garibaldi, essere il Papa il cancro dell’Italia, e quella stampa qui in Roma testé dal Gran Maestro Adriano Lemmi, cioè che il Papa è il coltello piantato nel cuore dell’Italia, non abbia presto a pronunciare, nel proprio e vero senso, della massoneria: sì la massoneria è il cancro dell’Italia, sì la massoneria è il coltello ch’è piantato in Roma, cuor d’Italia”.Ma la rivista pubblica il 16 agosto 1890, una vera chicca: “Del resto certo è che la massoneria è informata e diretta dallo spirito giudaico e gli obbedisce. Uno di essi, Sisto di Siena, ci attesta che nella edizione del Talmud, leggevansi i seguenti precetti: 1) Ordiniamo che ogni giudeo maledica che volte al giorno il popolo cristiano e preghi Dio che lo stermini con i suoi principi e re; 2) Dio ha ordinato ai giudei di appropriarsi dei beni dei cristiani, sempre che li potranno, sia con la frode, sia con la violenza, ovvero con il furto e l’usura; 3) si comanda a tutti i Giudei di avere i cristiani in conto di bruti animali e di trattarli come tali; 4) Non facciamo né bene né male ai pagani, ma procuriamo con ogni mezzo di tor dal mondo i cristiani; 5) Se un giudeo vede un Cristiano sull’orlo di un precipizio, è tenuto a sospingerlo dentro”. E ancora, nel numero del 19 ottobre 1895, con una recensione del libro “Massoneria sinagoga di Satana” scritto dall’arcivescovo di Port-Luis, Meurin Leone, e pubblicato dalla Biblioteca del clero di Siena: “Secondo noi è una delle più insigni sopra l’argomento e dimostra che la Cabala ebrea è la base filosofica e la chiave della massoneria. Monsignore intende la Cabala corretta di Paganesimo e di satanismo. Cerchiamo e troviamo la storia della massoneria, l’ordine decaduto dei Templari, la Sinagoga cabalistica e finalmente nel tutto, Satana medesimo”.E si potrebbe continuare all’infinito, con citazioni mensili e della stessa violenza. Proprio in questi giorni “furfugnando” fra bancarelle di libri vecchi, ho trovato alcuni numeri de “La Frusta” giornale politico e morale che si pubblicò in Roma a partire dal 1870. nel numero dell’11 gennaio 1871 trovo un articolo di fondo veramente eccezionale. Il titolo è “La generosità dei Papi e la ricompensa degli ebrei”. L’articolo è tutto interessante, ma riporto solo alcuni gioiellini di stile e di “amore”; eccoli: “Fra le molteplici leggi pertanto che sempre più sconvolgono il caos italiano, si ha: Tutti i cittadini sono eguali avanti alla legge. Questa legge a nessun altro è tanto propizia siccome agli Ebrei, perchè essendo la schiatta più avvilita e più abietta del mondo, perchè contrassegnati dal marchio meritato del deicidio, furono giustamente sino ad oggi sfuggiti o non affatto curati. Ma d’ora innanzi ed in forza appunto dall’esser tutti eguali in faccia alla legge, voi li vedete insegnare al Liceo, quando non sanno e non vogliono credete, perchè oggi in società dei fatalisti e degli atei comandano, imperano ancora eminentemente gli ebrei. Giudaismo e rivoluzione sono oggi le parole talmente identiche fra loro, cosicché i rivoluzionari sono tutti ebrei, come tutti gli ebrei sono rivoluzionari. Rivoluzionari sono gente senza testa, senza patria, senza affezione, gli Ebrei non hanno Patria, e sopra l’onore dei congiunti sentono quello dell’oro. Gli ebrei congiurano contro il papa, lo bestemmiano, calunniano, insultano, ancorché l’augusto pontefice Pio Nono li abbia sempre ricolmi di ogni elargizione e favore”. L’esecutore di questo incredibile articolo finge di ignorare la cacciata degli ebrei dalla cattolicissima Spagna, i ghetti della cattolicissima Polonia, il ghetto di Roma annientato solo dalle baionette dei bersaglieri italiani il XX settembre 1870, senza parlare di alcune diecine di migliaia di ebrei assassinati dalla Inquisizione nella sola Spagna.Come risposta a chi ha avuto l’ardire di parlare dei Papi come i generosi e costanti benefattori degli ebrei, ricordiamo: 1) Divieto di matrimonio e di rapporto sessuale fra cristiani ed ebrei (Sinodo di Elvira – anno 306); 2) Divieto di consumo di cibi per ebrei e cristiani (Sinodo di Elvira – Anno 306); 3) Non è permesso agli ebrei di rivestire funzioni pubbliche (Sinodo di Clermont – anno 535); 4) Non è permesso agli ebrei di tenere a servizio serve o schiavi cristiani (3° Sinodo di Orleans – anno 538); 5) Agli ebrei non è permesso di farsi vedere nelle vie durante la settimana santa (3° Sinodo di Orleans – anno 538); 6) Bruciatura del Talmud e di altri scritti ebraici (Sinodo di Toledo – anno 681); 7) È vietato ai cristiani di consultare medici ebrei (Sinodo di Narbonne – anno 1050); 8) Come i cristiani, gli ebrei debbono pagare la decima alla Chiesa (Sinodo di Gerona – anno 1078); 9) Gli ebrei non hanno il diritto di accusare i cristiani (3° Concilio Lateranense – anno 1179); 10) Gli ebrei debbono portare un distintivo sugli abiti (4° Concilio Lateranense – anno 1215); 11) Divieto di costruire sinagoghe (Concilio di Oxford – anno 1222); 12) Gli ebrei hanno il diritto di abitare solo nei quartieri ebraici (Sinodo di Braslavia – anno 1267); 13) La conversione di un cristiano all’ebraismo o di un ritorno di un ebreo battezzato alla sua religione precedente, vanno trattati come una eresia (Sinodo di Mainz – anno 1310). E poi Granada, quando nel 1492 gli ebrei vengono cacciati dalla cattolicissima Spagna, e nacque anche la “Santa” Inquisizione.Perchè il più grande delitto di fronte alla umanità è quello di dimenticare le leggi razziali del fascismo – molto si è scritto su questa infamia. Ma vi è una altra infamia altrettanto criminale verso gli ebrei ed è quella di Stalin che aveva programmato lo sterminio degli ebrei russi nel 1958 e solo la sua morte impedì il massacro. Tutto era già pronto: dai carri bestiame per trasportarli in massa in Siberia. Ma gli ebrei in Russia avevano già avuto molti colpi terribili. Il primo, ma di proporzioni limitate al tempo della collettivizzazione dell’agricoltura contro i piccoli proprietari terrieri che si opponevano; un altro colpo e questa volta terribile gli ebrei russi lo ebbero nel periodo del terrore (dagli anni 30 agli anni 40) con stragi, uccisioni e deportazioni in massa. Negli anni 1937/38 fu aggredita la cultura ebraica con la chiusura delle scuole e delle Accademie ebraiche; ma gli anni dell’ultimo dopoguerra furono per gli ebrei ancora più tristi di quelli degli anni del terrore. Stalin cominciò a pensare a loro come agenti del sionismo americano e complici di una cospirazione giudaica mondiale del capitalismo e del sionismo situata a Wall Street contro la Russia del Soviet. Vennero chiusi tutti i teatri ebraici, vietato l’insegnamento, le sinagoghe lasciate andare in rovina e i giornali aboliti. Nel 1953 la Pravda riportò in prima pagina la notizia dell’arresto di medici ebrei sabotatori e questo dette spunto alla soluzione finale progettata da Stalin.Con la fine del nazifascismo e del comunismo è terminato il “complotto giudaico-massonico? Pensiamo proprio di no. Nel 1970 un noto politico per una crisi di governo che attraversava l’Italia ne dette la responsabilità ad una congiura ebraica e massonica. Anni fa un cardinale inveendo contro gli assassini del giudice Giovanni Falcone dichiarò che era stato ucciso “non da membri della Comunità di Dio, ma dai figli della Sinagoga di Satana” così ha chiamato la mafia. Gli ebrei e tutte le persone per bene sono insorte. Si disse, a mò di scusa, che la frase “Sinagoga di Satana” veniva da una “traduzione infelice” di una citazione dell’apocalisse. Polemiche, discussioni, scuse.E poi il caso “Kurt Waldheim” sul quale pesano gravissime e fondati sospetti di crimini di guerra in Grecia e in Jugoslavia; questo personaggio nel 1987 fu ricevuto da Papa Karol Woityla e nel luglio del 1994 insignito della onorificenza pontificia dell’ordine di Pio IX e quale ironia l’onorificenza gli è stata data per l’impegno da lui dimostrato “per la salvaguardia dei diritti umani”. Dopo la protesta di Israele che ha definito la concessione dell’onorificenza un “insulto all’Olocausto” come ha risposto il Vaticano? Conferendo una onorificenza anche alla moglie di Kurt Waldheim. Articolisti cattolici non hanno perso l’occasione per scrivere che gli ebrei hanno molto forte lo spirito della vendetta, mentre i cattolici hanno la cultura del perdono.Oggi, si dice, che i tempi sono cambiati e che il passato non potrà più tornare; io nutro seri dubbi. Non a caso tempo fa a Roma sono apparse le scritte “Morte ai giudei” intrecciate con altre scritte “morte ai massoni”. Per non parlare della guerra del Golfo di molti anni fa e di quella più recente dell’Iraq, quando si è ripetutamente detto e scritto che la guerra era voluto dalla massoneria e dall’ebraismo mondiale. In tutta l’Europa da mesi si sono intensificate le violenze contro gli ebrei. Non vorrei che un giorno svegliandomi, possa sentire le note di una lugubre canzone, cantata dalle Camicie Brune di Hitler dalla quale ha preso nome l’infame eccidio del 30 giugno 1934: “Affilate i lunghi coltelli sulle pietre del marciapiede/ Fate scivolare i coltelli nella pancia degli ebrei!/ Il sangue deve scorrere in grande quantità / noi cagheremo sulla libertà della repubblica ebrea. / Appena arriva l’ora della vendetta / Noi siamo pronti a qualsiasi massacro / Su, su, gli Hohenzollen ai lampioni! / che i cani penzolino sino a quando cadranno giù! / Il sangue deve scorrere... / Nella Sinagoga appendete un maiale nero. /Nei Parlamenti gettate una bomba a mano! / Il sangue deve scorrere... / Strappate la concubina dal letto principesco / ingrassate la ghigliottina con il grasso dei giudei! / Il sangue deve scorrere....”. È una canzone del 1934: cinque anni prima che scoppiasse il conflitto mondiale…


di Aldo Chiarle

L'Ill.mo e Ven.mo Gran Maestro, Fr. Gustavo Raffi, alla Gran Loggia dello Stato di New York


“Il sogno dei Liberi Muratori è quello di costruire un mondo in cui il compimento pieno dei diritti costituisca il punto di partenza e non quello di arrivo. La Libera Muratoria, nel solco della sua tradizione, si propone ancora una volta come luogo privilegiato di incontro e approfondimento, etico e razionale, sui grandi temi nei quali si dibatte l’umana società, e come barriera contro intolleranza, fanatismo, tirannia, sopraffazione e disprezzo dell’Uomo” ha detto il Gran Maestro Gustavo Raffi nel suo intervento all'annuale Gran Loggia dello Stato di New York che ha anche soggiunto “Oggi siamo pronti ad impegnarci ancora di più per affermare i principi di libertà, solidarietà, tolleranza e fraternità” ed ha concluso “Temiamo che la crisi che la nostra società sta vivendo provochi, come reazione, anche forme di regressione culturale che possono condurre all’irrigidimento dottrinario, ad espressioni reazionarie e alle tentazioni di un dogmatico ritorno al passato”.

venerdì 8 maggio 2009

CONFERENZA INTERNAZIONALE SULLA STORIA DELLA LIBERAMURATORIA


Dal 29 al 31 Maggio 2009 si terrà ad Edimburgo, in Scozia, la Conferenza Internazionale sulla Storia della Libera Muratoria (International Conference on the History of Freemasonry), presso la Freemasons'Hall della Grand Lodge of Scotland, in George Street.


In programma è previsto un intervento di Fabio Venzi, Gran Maestro della Gran Loggia Regolare d'Italia, dal titolo "Julius Evola e la Liberomuratoria: Esoterismo Neopagano nel Regime Fascista".

giovedì 7 maggio 2009

Maghen David, la stella di Israele



La pubblicazione del libro di Gershom Scholem, ventisette anni dopo la morte
dell’autore, ha acceso molte discussioni

di Maria De Falco Marotta


Maghen David, storia d’un simbolo, scritta sessant’anni fa da Gershom Scholem, teologo ebreo tedesco e pubblicata solo adesso, ventisette anni dopo la morte del suo autore, ha acceso ultimamente a Gerusalemme discussioni a non finire se sia o non sia il simbolo dell’ebraismo. La stella a sei punte per il mondo intero è l’emblema di Israele e nessuno mai dimenticherà che sventola sulle due fasce blu del Talled, che fu cucita sui cappotti dei deportati nei campi di concentramento, che spesso viene incenerita da chi la combatte(Iran e soci), anche se è vero che fu «Il congresso di Basilea che sancì una svolta e col sionismo Maghen David assunse da quel momento un ruolo diverso .Ma fu con l’Olocausto che la Stella prese un significato reale. E ricevette un senso spirituale, di pienezza, che fino a quel momento non aveva mai avuto»(Dal libro di Scholem).

Da tempo, Gershom Scholem, con Martin Buber e Franz Rosenzweig, sono i miei più amati filosofi ebrei. Non credo che sarei in grado di capire la loro condotta, senza aver letto i loro libri. E nessuno mi convincerà che i loro scritti oggi non sono apprezzati come si deve. In loro, c’è il “respiro di Dio”. Io lo sento ancora, perciò approfitto del can can suscitato a Gerusalemme per Maghen David, storia di un simbolo, per parlare proprio del suo autore: di :
Gershom Scholem

Egli nacque a Berlino nel 1897 da una famiglia della borghesia ebraica originaria della Slesia, una di quelle famiglie, la maggioranza allora in Germania, che avevano scelto la strada dell’assimilazione nella società tedesca. Era il più piccolo di quattro fratelli, ognuno dei quali aveva compiuto una scelta autonoma e indipendente rispetto alla propria condizione di ebreo: Gershom scelse la via della ricerca delle proprie radici e del sionismo. "Nei primi anni del Novecento", spiega lo stesso Scholem, "solo una minoranza della gioventù ebraica aderì a movimento sionista, la grande maggioranza era assimilazionista e scelse l’autoinganno — cioè: la totale germanizzazione degli ebrei. Un’altra esigua minoranza - che includeva mio fratello Werner - si unì al campo rivoluzionario." (Consigli in Rassegna mensile d’Israel, 1982:193).

Il fratello maggiore divenne un nazionalista di destra, un altro condusse la propria vita al di fuori di qualsiasi coinvolgimento politico, mentre il terzo, Werner, optò per la rivoluzione. La vita di Scholem è permeata da una continua ricerca di se stesso, della propria identità ebraica. Egli cominciò dal primo interesse per la storia che avvenne quando aveva tredici anni, in prossimità della maggiorità religiosa, quello fu il primo impulso all’ebraismo, paradossalmente non ricevuto dalla religione o dalla scuola ebraica. L’insegnante Moses Barol, bibliotecario nell’Istituto per la scienza dell’ebraismo, fu il primo a mostrargli i tre grossi tomi dell’edizione popolare della storia degli ebrei di Heinrich Graetz, incontestabilmente una delle principali opere della storiografia ebraica dalla cui lettura crebbe in lui il desiderio di imparare l’ebraico e, contemporaneamente alla lettura di testi ebraici antichi cominciò nel 1911 a leggere letteratura sionistica tra cui Teodor Herzl, Max Nordau e Nathan Birnbaum. Fra il 1912 e il 1917, egli aderì al circolo "Jung Juda", in cui confluivano, all’insegna della presa di coscienza sempre più approfondita del proprio ebraismo, sia i rampolli delle famiglie assimilate, sia i giovani originari dell’Europa orientale, discendenti dagli Ost Juden che contribuirono non poco alla definizione dell’identità ebraica dell’epoca. Essi erano depositari di un ebraismo rimasto integro, in cui l’identità etnica e quella ebraica erano ancora fuse insieme, come era stato nell’Europa occidentale, sin dai tempi dell’illuminismo ebraico che aveva aperto la via all’assimilazione e al cambiamento dell’identità ebraica, che, da appartenenza a una nazione, con lingua, cultura e tradizioni proprie, era diventata semplice adesione a una confessione. Le sedute erano rivolte a parlare di libri di interesse ebraico, oppure alla lettura di poesie dei grandi narratori ebrei orientali, nell’originale jiddish o in traduzione tedesca, e spesso si svolgevano in un caffè della stazione, dove lo studioso incontrò per la prima volta, Walter Benjamin, che fu per lui uno dei fondamentali punti di riferimento nella vita: i due si confrontavano in quel mondo in crisi, che li ha sempre più uniti nella loro intesa spirituale , testimoniata dalla storia. Sholem è autore di una biografia di Benjamin, pubblicata nel 1975, Walter Benjamin, Storia di un’amicizia, un’opera di alto valore letterario. Nonostante il contrasto con la famiglia, divenne uno dei membri più attivi dei movimenti giovanili sionisti ma contemporaneamente scelse la via dell’approfondimento del proprio ebraismo: nel 1913 frequentò lezioni di Talmud, sebbene prima della prima guerra mondiale la ricca comunità ebraica di Berlino si rifiutasse di permetterne l’insegnamento. L’emozione più grande nella vita di Scholem, come ricorda lui stesso, fu quando imparò a leggere la prima pagina del Talmud nell’originale e, più tardi, sentì la spiegazione dei primi versetti della Genesi data da Rashi, il più grande di tutti i talmudisti ebrei. Alla fine del 1913 egli si aggregò ad una nuova associazione giovanile, "Agudath Israel"; fondata nel 1911, strettamente ortodossa in concorrenza con il sionismo. La tesi del suo programma - "assolvere ai compiti di tutta la comunità ebraica nello spirito della Torah", mettendo in primo piano la Kabbalà e il chassidismo attraverso Martin Buber che diffuse con la sua rivista Der Jude e con il filosofo Franz Rosenzweig che con la sua Stella della redenzione(commovente e affascinante per i collegamenti a Cristo) diede una singolare ed interessante visione della teologia ebraica entusiasmando i giovani sionisti dell’epoca. In Scholem si alternavano all’adesione sionistica lo studio delle origini ebraiche, una complementarità tra i due interessi che risiedeva in un'unica passione, la ricerca della propria identità ebraica. Sion era il suo simbolo, che collegava la sua origine e il suo scopo utopico in un senso piuttosto religioso che geografico. Per lui esisteva una qualche prospettiva di un rinnovamento essenziale in cui l’ebraismo realizzasse il suo intrinseco potenziale, solo là dove l’ebreo avesse incontrato se stesso, il suo popolo e le sue radici. "C’era qualcosa di atmosferico, che penetrava nell’ambiente; qualcosa di cosciente, in cui si intrecciavano dialetticamente il desiderio di rinunciare a se stessi e al tempo stesso quello della dignità umana e fedeltà a se stessi, c’era qualcosa di una rottura cosciente con la tradizione ebraica di cui erano ancora sparsi in giro, i pezzi più diversi e spesso singolari" (Scholem, 1988:25).

In quel periodo Martin Buber con la sua storia della religione come esperienza Erlebniz e amplificazione dell’interiorità, con le sue disquisizioni sullo spirito dell’Oriente, il suo pensiero dialogico dell’Io-Tu, con il sionismo appassionato affascinava l’intera gioventù sionista riscuotendo una vastissima eco non solo a Berlino, ma anche in Francia e in Italia. Buber avvicinò Scholem alla "casa del popolo ebraico" creata da giovani berlinesi che nutrivano un forte interesse ebraico e sociale; essi erano sionisti che - sotto l’influsso delle idee dei populisti russi convinti della necessità di "andare al popolo" - volevano intraprendere il loro lavoro, da cui si ripromettevano reciproco aiuto e alimento. Quell’adesione non durò a lungo, per Scholem, a causa di contrasti con il leader Siegfried Lehmann, che si compiaceva di interpretare le interpretazioni buberiane del chassidismo senza sapere nulla della storia dell’ebraismo. Buber in un primo momento impressionò profondamente Scholem, ma in seguito ne rimase deluso in parecchie occasioni. I contrasti, infatti, con Martin Buber lo hanno visto contro per certi aspetti già nel 1915, quando uscì sulla "Judische Rundschau" un articolo intitolato Noi e la guerra, che sosteneva un perfetto "buberismo" e culminava con la frase: "Avvenne così che noi partissimo per la guerra, non già sebbene noi fossimo ebrei, ma perché eravamo sionisti" (Scholem, 1988:80).

Scholem rispose protestando violentemente contro la rivista che esaltava la guerra, che i sionisti per lui non dovevano incitare. Nonostante le critiche, Sholem descrive Buber come il primo pensatore ebreo che abbia visto nel misticismo una forza basilare dell’ebraismo e una tendenza in esso al rinnovamento. Contemporaneamente allo studio della Torà viveva in Scholem un grande interesse per la matematica specialmente per la teoria dei numeri, l’algebra e la teoria delle funzioni e questo, come disse lui, creò un conflitto tra le sue due anime, quella matematica e quella ebraica. Ma la direzione della sua vita era già determinata inequivocabilmente, poiché "mi ero proposto di, legare la mia esistenza alla costruzione di una nuova esistenza ebraica nel paese d’Israele" (Scholem, 1988:66).

Il sionismo si incarnava nel suo interesse per la Kabbalà, il misticismo ebraico, che aveva le radici nella sua anima, nel grande bisogno di comprendere il mistero della storia ebraica, attraverso la lettura di Graetz sulla "Storia degli ebrei", la lotta del popolo ebraico rivolta a mantenere viva, pur tra le avversità, la purezza della fede monoteista e il suo slancio etico che l’autore presentò in termini vivi e drammatici. La Kabbalà rappresentava per Scholem l’elemento vivificante dell’ebraismo, il quid che gli aveva consentito di sopravvivere spiritualmente nonostante le condizioni artificiose della vita della diaspora, dando una propria risposta ai problemi via via posti dalla storia, sulla scia delle istanze di adeguamento ai parametri tedeschi, che nella sostanza più intima rispondevano ad uno spirito protestante, che doveva "depurare" l’ebraismo da tutte le sue espressioni peculiari. Da qui prendeva origine l’idea del "monoteismo etico" (Scholem, 1998:12) come caratteristica essenziale per la definizione della religione ebraica, una volta che le aspirazioni alla dimensione nazionale si erano rilevate illusorie o piuttosto, come avrebbe notato Scholem, erano state censurate in nome dell’adeguamento al concetto germanico di nazionalità, secondo il quale era impossibile ammettere nello stato tedesco gli appartenenti a una nazione autonoma, come era stata quella ebraica prima dell’emancipazione.

Il sionismo così diventò il principale ostacolo all’integrazione in seno al mondo tedesco e, come tale dovette essere combattuto tenacemente dalla borghesia ebraica. Da qui la polemica contro la Wissenschaft des Judentums, di cui Scholem faceva parte, che dal canto suo aveva contribuito in misura notevole sia al formarsi della nuova identità ebraico- tedesca, sia alla sua fossilizzazione anacronistica, che egli ha più volte messo in luce con accenti fortemente polemici. Riconsiderare le origini dell’ebraismo attraverso i documenti letterari e storici di tutta la diaspora adattandoli in una chiave moderna, ai problemi dell’assimilazione, come tentativo illusorio di adeguarsi ai parametri culturali, che comunque, non erano adatti a comprendere la specificità ebraica, era una vera e propria "miopia culturale" (Scholem, 1998:11).

Egli descriveva questo fenomeno brutale come "Autoinganno"; l’incapacità di giudicare tutto ciò che concernesse se stessi, che caratterizzava la maggior parte degli ebrei, fu uno degli aspetti più importanti e tristi dei rapporti fra i tedeschi e gli ebrei. Scholem viveva questo conflitto culturale emerso dalle due realtà, quella ebraica e quella tedesca spesso in contrasto, come un "dramma" (Turner, 1986:49). La sovrapposizione, l’inter- referenzialità tra le due culture generava un conflitto determinato dalla volontà di allontanare un mondo per recuperarne un altro. Egli riuscì a superare la rottura emersa dal rifiuto di porre le proprie armi simboliche, in mani tedesche tra cui, sistemi rituali, sempre più invasive della vita ebraica, perché egli intravedeva proprio in questo "dramma" l’origine di una trasformazione generata dal potere della comunicazione mediante simboli recuperati attraverso lo studio della Kabbalà. Quello che i padri fondatori della Wissenschaft consideravano irrilevante, rispetto alla concezione dell’ebraismo che si proponevano di valorizzare, diventa centrale per Scholem: egli si poneva all’opera con maggiore consapevolezza della complessità implicita nel concetto di obiettività scientifica che non è possibile isolare artificiosamente dall’elemento ideologico, sotteso a ogni operazione culturale del tipo di quella messa in atto in qualsiasi rilettura dell’ebraismo. La conoscenza di una verità non era quella dei suoi predecessori che vedevano nell’ebraismo un avvicinamento a una "decorosa sepoltura", come disse Getthold Weil ad una conferenza tenuta all’istituto Leo Baeck di Londra, Scholem, seppure fedele alla Wissenschaft ma per certi aspetti critico, era animato da uno spirito di ricerca che prendeva le mosse dal significato che assumeva per lui la dialettica, come dinamica vitale che si rileva all’occhio attento a cogliere il valore dei particolari, attraverso "la Kabbalà come corpus simbolicum che si traduce in forme temporali che celano attraverso apparenze nebulose e transeunti un nucleo di verità" (Consigli in Rassegna mensile d’Israel, 1982:2069).

Egli aveva cominciato a scandagliare le fonti del patrimonio ebraico, giungendo alla mistica, l’esame spassionato delle fonti condotto con il massimo rigore filologico, l’ideale di ricerca che ha perseguito in tutta la sua lunga carriera da studioso, lo muoveva la convinzione che, riportare i fatti alla luce nella loro obiettività fosse il primo passo per giungere alla verità. L’ansia che emerge dalla rottura del passato si fa continua con la prospettiva del futuro. Non a caso ricercare un significato profondo nelle parole della Torà, servendosi della numerologia, racchiude il simbolo espresso da un "ponte di passaggio" tra passato e futuro, per arrivare alla conoscenza e chiarezza di un futuro che diventa identità.

L’esplicita attività politica forte nella sua convinzione lo ha reso più sensibile di fronte all’obiettivo della sua vita, quello finalmente di giungere in Israele, realizzato nel 1923, dove trovò a Gerusalemme un posto di lavoro come professore di matematica all’Istituto di formazione degli insegnanti. Diventò un forte sostenitore del movimento di sinistra dei pionieri halutzim e fece parte del Brit Shalom, l’organizzazione che si batté fin dagli anni venti per il dialogo tra arabi ed ebrei. All’inizio di quegli anni, Israele rappresentava un culmine del movimento sionistico, lì vivevano meno di centomila ebrei eppure c’era una grande spinta, uno slancio di questa gioventù che si era data alla causa del sionismo, possedendo una coscienza storica nella quale era concentrata la dialettica di continuità e di rivolta. Egli spiega che nessuno avrebbe potuto rinnegare la storia del popolo d’Israele, ma la patria era una realtà concreta per fissare le proprie radici. Le sue si basavano sulla realizzazione di un progetto per la fondazione dell’università per gli Studi ebraici che ebbe luogo alla fine del 1924, con a seguito l’apertura nel 1925 dell’università ebraica. Si cercavano scienziati che potessero abbellire una facoltà intesa all’indagine di tutti gli aspetti dell’ebraismo e della sua storia: Scholem fu scelto per insegnare la Kabbalà. Da qui nascono i primi studi dell’autore: Bibliliographia Kabbalistica nel 1927 e Capitoli nella storia della letteratura cabbalistica nel 1930. Dopo la guerra appare nel 1949 Le grandi correnti della mistica ebraica nel 1957 Shabbetai Zevì, nel 1960 La Kabbalà e il suo simbolismo, Judaica nel 1963. Questi lavori consistono nell’aver attribuito un autonomo valore storico alla Kabbalà, liberandola dal pesante giudizio del positivismo ebraico ottocentesco, che la considerava come un’ingombrante farragine di stranezze e di aberrazioni. Egli dovette affrontare l’ostilità dei circoli tradizionali e dell’ortodossia rabbinica per riportare chiarezza scientifica nelle paternità e nelle datazioni, sconfessando numerose attribuzioni sancite da una consuetudine secolare e abbassando molte date.
«Maghen David, storia d’un simbolo» è uno studio che Scholem aveva compiuto con un minuzioso esame sulle decorazioni di molti edifici asiatici dove al simbolo, conosciuto come il Sigillo di Re Salomone, venivano attribuiti poteri magici, di guarigione e di cacciata delle sventure. Testimonianze della Stella si trovano in edifici di tremila anni fa, a volte affiancate al simbolo indiano della svastica. Secondo Scholem, il sigillo entrò per la prima volta nella storia del misticismo ebraico durante il VI secolo d.C., su un talismano che lo racchiudeva fra due leoni, ma per molto tempo fu raffigurato ora a sei, ora a cinque punte. Lo Zoroastrismo e altre religioni lo rappresentavano, considerandolo utile anche per combattere malattie sconosciute. Fu solo nell’Ottocento, nel ghetto di Praga, che il simbolo cominciò a essere chiamato Maghen David e a diventare comune sulle copertine dei libri, nelle sinagoghe, sulle lapidi. Finché,nell’ anno 1897, il primo congresso sionista di Basilea non decise di farne una bandiera.

Oggi Maghen David è una stella che suscita polemiche non solo nel mondo arabo: non vi si riconoscono alcune frange d’ultraortodossi, per esempio, che non ne tollerano proprio i legami con la tradizione dell’occultismo. Ma non è accettata nemmeno da diversi haredi, religiosi estremi, che vi vedono il simbolo del sionismo e d’uno Stato che non considerano necessari, preferendo restare legati all’antico emblema della Menorah, il candelabro a sette bracci. I giornali e i blog sono bersagliati di messaggi, il dibattito è aperto: «Certo, si tratta d’un simbolo pagano. Tanto che una volta stava pure sulla bandiera del Marocco» (Russel, Tel Aviv); «l’ho visto anche in molte chiese cattoliche d’Europa» (ghostq); «e adesso preparatevi all’odio cieco e ai rifiuti» (Chaim); «l’autore evidentemente non ha fatto ricerche sufficienti: Maghen David compare fin dai tempi di Adamo ed Eva» (Bear, Zefat); «non sarà un simbolo ebraico, neanche la Menorah lo è, ma che cambia? È un simbolo della storia ebraica» (Zionist Forever)… Infatti chi scinde gli ebrei dalla loro bandiera dove troneggia la stella di Davide?
Forse è un po’ troppo, ma scriviamolo lo stesso:
Lo Scudo di David o anche sigillo di Salomone, è la stella a sei punte, comunemente chiamata Stella di David.
Insieme con la Menorah rappresenta la civiltà e la religiosità ebraica.

Diventata simbolo del sionismo fin dal primo congresso di Basilea (1898), è presente nella bandiera dello Stato di Israele (insieme alle fasce blu del Talled) a partire dal 1948, quando la bandiera sionista diviene quella ufficiale dello Stato di Israele.

La "stella a sei punte" è anche un simbolo molto diffuso nella cabala e nell'occultismo più in generale. La forma della stella è un esempio dell'esagramma, un simbolo significativo anche per altre religioni. L'esagramma è da datarsi anteriormente all'utilizzo degli ebrei. Fuori dal sistema giudaico viene utilizzato prevalentemente nell'occultismo.

L'esagramma è un antico simbolo Mandala trovato su antichi templi Indiani costruiti migliaia di anni fa. Simboleggiava il Nara-Narayana, o il perfetto stato meditativo dell'equilibrio tra l'Uomo e Dio, e, se mantenuto, avrebbe portato nel "Moksha," o "Nirvāṇa" (liberazione dai limiti del mondo terreno e le sue trappole materialistiche). Alcuni ricercatori hanno anche teorizzato che la Stella di David rappresenti la situazione astrale al momento della nascita di David o della sua incoronazione come re. La stella di Davide è altresì conosciuta come la Stella del re nei circoli astrologici e fu pure un simbolo astrologico nello Zoroastrismo.

In antichi papiri, i pentagrammi, insieme a stelle ed altri simboli, era spesso reperibile su amuleti con il nome ebraico di Dio, e veniva usato per proteggere dalla febbre e da altre malattie. Quindi, con tutta probabilità non fu il sincretismo delle influenze ellenistica, ebraica e copta a originare il simbolo. E possibile che sia stata la Kabbalah a far derivare il simbolo dai Templari. La "Pratica" della Kabbalah fa uso di questo simbolo ordinando le dieci Sephiroth, sul simbolo e mettendolo sugli amuleti. Comunque, il simbolo non si trova sui classici testi kabbalistici come lo Zohar, gli scritti del rabbino Isaac Luria e altri similari. Pertanto si può dire che questo utilizzo nel diagramma sefirotico non è nulla più di una reinterpretazione di simboli magici preesistenti.

Un'etimologia popolare sarebbe quella secondo cui la Stella di David venne letteralmente tratta dallo scudo del giovane guerriero Davide (che poi sarebbe diventato il re David). Per risparmiare metallo, lo scudo sarebbe stato fatto con un supporto metallico di due triangoli incrociati con una copertura in pelle. Leggende ebraiche fanno collegare il simbolo al Sigillo di Salomone, il magico anello con sigillo usato dal re Salomone per controllare i demoni e gli spiriti. Le leggende ebraiche collegano il simbolo anche ad uno scudo magico teoricamente posseduto dal re Davide che lo avrebbe protetto dai nemici.

Gli studiosi hanno proposto anche che possa essere una reliquia delle pratiche religiose dell'Antico Egitto, adottato dagli israeliti che avevano a che fare con l'occultismo e il sincretismo non prima del periodo del re Salomone. La prima citazione della letteratura ebraica dello Scudo di Davide è l'Eshkol ha-Kofer del Karaita Giuda Hadassi (metà del XII secolo EV) ed afferma nel capitolo 242: «Sette nomi di angeli precedono la mezuzah: Michele, Gabriele, ecc. ...

Tetragramma li protegge tutti! E anche il simbolo chiamato 'Scudo di David' è posto a lato del nome di ogni angelo.»

Era quindi anche questa volta un simbolo su di un amuleto. Un manoscritto del Tanakh datato 1307 e appartenuto al rabbino Giuseppe bar Yehuda ben Marvas di Toledo, in Spagna, venne decorato con una Stella di David. Nelle sinagoghe, forse, prese il posto della mezuzah, e il nome "stella di Davide" potrebbe essergli stato dato in virtù dei suoi presunti poteri protettivi. L'esagramma potrebbe essere stato utilizzato all'inizio anche come ornamento delle sinagoghe, com'è successo, per esempio, anche nelle cattedrali di Brandeburgo e Stendal, sul Marktkirche ad Hannover e sul sagrato del duomo di Vigevano. Un pentagramma in questa forma è stato ritrovato anche sull'antica sinagoga di Tell Hum.

Scudo con le stelle

Nel 1354, il Re di Boemia, Carlo IV prescrisse per gli ebrei di Praga una bandiera rossa con sia lo scudo di Davide che il sigillo di Salomone, mentre la bandiera rossa con la quale gli israeliti incontrarono il Re Mattia di Ungheria nel XV secolo aveva due pentagrammi con due stelle d'oro (Schwandtner, Scriptores Rerum Hungaricarum, ii. 148). Il pentagramma, perciò, era evidentemente in uso anche tra gli Ebrei. Si può vedere in un manoscritto già dall'anno 1073 . Nel primo libro di preghiere in ebraico, stampato a Praga nel 1512, un grande Scudo di David appariva sulla copertina. Nel colofone del libro venne scritto: «Ogni uomo sotto la sua bandiera concorda con la casa dei suoi padri... e merita di conferire un dono benigno su ognuno che porta lo Scudo di Davide». Nel 1592, a Mordechai Maizel venne dato il permesso di esporre «una bandiera del re David simile a quella della Sinagoga Principale» nella sua sinagoga a Praga. Nel 1648 ai giudei di Praga venne di nuovo dato il permesso di esporre una bandiera come ricompensa per aver partecipato in difendere la città contro gli Svedesi. Su uno sfondo rosso compariva uno Scudo di David in giallo al centro del quale stava una stella svedese. Successivamente, la Stella di David può essere trovata sulle lapidi degli ebrei religiosi fin da centinaia di anni fa in Europa, ed è universalmente accettata come simbolo del popolo ebraico. A conseguenza dell'emancipazione giudea dopo la Rivoluzione francese, le comunità ebraiche scelsero la Stella di David per rappresentarsi. Nella contemporaneità, diverse sinagoghe degli ortodossi moderni, e anche numerose sinagoghe di altri movimenti ebrei, espongono comunque la bandiera di Israele con la Stella di David in evidenza di fronte alle sinagoghe e vicino all'arca contenente i rotoli della Torah.

Vi risparmio, per stavolta, l’uso della stella di David nelle altre religioni. Non svenite, per favore!


Maria De Falco Marotta

lunedì 4 maggio 2009

"L'EREDITA' DEI TEMPLARI" IL NUOVO LIBRO DI FRANCESCO ANASETTI



Un thriller storico ambientato nella Narni medievale con indicazioni storiche e
geografiche


Sarà presentato sabato 2 maggio alle 16 alla "Sala del Camino" di Palazzo Eroli il nuovo libro di Francesco Anasetti "L'eredità dei templari".

Un thriller storico immerso nella Narni medievale con indicazioni storiche e geografiche corrispondenti alla realtà, colpi discena ed enigmi la cui risoluzione sveleranno il rapporto dei Templari con la Narnia medievale. All'evento organizzato dall'Associazione Culturale Subterranea, interverranno Roberto Nini, archeologo, presidente dell'Associazione Culturale Subterranea ed il professor Giulio Cesare Proietti. Introduce il dibattito l'Assessore alla Cultura del Comune di Narni, Francesco De Rebotti.
Sinossi
Narni. Un'orrenda tragedia sconvolge la tranquilla cittadina umbra durante i festeggiamenti del Santo patrono. Padre Gaetano Merisi, ad un passo dallo scoprire dov'è nascosto il Santo Graal, nel tentativo di proteggere il prezioso frutto di tanto lavoro dalle mani avide dei cospiratori, perde tragicamente la vita.
A indagare sull'oscuro delitto si troveranno, loro malgrado, l'affascinante paleografa Rosa Martinori e il suo amico Davide Contra, il cui prezioso contributo si rivelerà fondamentale per districarsi tra i meandri dell' impenetrabile mondo della simbologia templare. Quale misterioso disegno si cela dietro l'omicidio dell'anziano sacerdote? Per sciogliere l'enigma, i due giovani protagonisti cominceranno a indagare in quei luoghi in cui l'inquisizione perpetrò i propri orrori e le proprie atrocità, negli inquietanti sotterranei di una città antica e misteriosa, cercando di decifrare quello che da tutti è riconosciuto come il testamento dell'ultimo Templare.
Dopo una lunga serie di vicissitudini vissute al cardiopalma e dopo aver risolto un'altrettanto lunga serie di enigmi machiavellicamente congegnati, giungeranno in possesso delle tre "Chiavi dei Priori" con cui apriranno il "Sacro Congegno". Esso gli rivelerà un preziosissimo manoscritto che nasconde inquietanti segreti; una storia nella storia che li trascinerà indietro nel tempo di mille anni ai tempi delle crociate e dove troveranno ulteriori enigmi da risolvere per proseguire la loro avventura. E tra colpi di scena, oscuri intrighi e personaggi insospettabili, riusciranno a ricostruire la trama di una congiura che arriverà a coinvolgere alcune alte cariche del Vaticano.
Una vicenda ricca di suspense che li porterà a scoprire dove si trova il simbolo più alto di tutta la cristianità: il Graal. Un romanzo robusto, ampio e ben articolato, che unisce i temi propri al giallo di carattere storico a quelli della narrativa fantasy. Caratterizzato da un solido registro narrativo e da uno stile accattivante, appassiona anche per la specificità territoriale. Un racconto avvincente basato su straordinarie implicazioni storiche e geografiche assolutamente rispondenti alla realtà, che collocano la cittadina umbra al centro di quella "Geometria Sacra" ben nota alle antiche maestranze cistercensi. Un libro che abbraccia le vicende dei Templari, narrate seguendo una fedele ricostruzione ambientale.

Finalmente è on-line la Biblioteca Mondiale dell'Unesco


Nella World Digital Library si possono ammirare gratuitamente tutti i grandi tesori letterari e culturali mondiali, conservati nelle più famose biblioteche: manoscritti, lettere, libri rari, film, registrazioni sonore, illustrazioni, immagini.


Dai documenti e articoli di giornale della Biblioteca nazionale della Cina, a manoscritti scientifici della Biblioteca nazionale e degli Archivi d'Egitto, fino alle fotografie di paesaggi brasiliani provenienti dalla Biblioteca nazionale del Brasile.


Il gigantesco portale offre funzioni di ricerca in sette lingue, il materiale è consultabile grazie a diversi parametri e l'elemento trovato lo si può analizzare nel minimo dettaglio:

Angeli, demoni e i no del Vaticano

Il kolossal hollywoodiano ha già scatenato polemiche. Il regista Ron Howard
polemico: "Ci hanno negato i permessi per girare". Come già successo per 'Il
codice da Vinci' la Chiesa insorge contro Dan Brown

Alla morte del Papa, l’antica confraternita segreta degli Illuminati rapisce i “preferiti”, i quattro cardinali dati per favoriti nella successione al trono di Pietro. Annuncia che ne ucciderà uno all’ora e, alla fine, farà saltare in aria San Pietro e l’intera Città del Vaticano. Chi sono gli Illuminati e come fermarli? Alla Guardia svizzera non resta che rivolgersi a una persona che detesta, ma che è forse l’unica in grado di scongiurare la tragedia: l’esperto di religioni, Robert Landgdon. Il personaggio interpretato da Tom Hanks e reso celebre dal Codice da Vinci, torna in Angeli e demoni, il nuovo film diretto, come il precedente, dal regista premio Oscar, Ron Howard.

Sequel del film che nel 2006 ha incassato complessivamente 758 milioni di dollari, anche Angeli e demoni è tratto da un romanzo di Dan Brown che lo ha, in realtà, scritto prima del Codice da Vinci. Anteprima mondiale a Roma, questa sera, per questo thriller che sparge simboli, cadaveri e macabre scoperte all’ombra di San Pietro. Con Hanks, Ron Howard e Dan Brown, a Roma per presentare il film a duecento giornalisti giunti da tutto il mondo, anche Ewan McGregor (il camerlengo, ovvero il prelato che gestisce l’interregno tra un Papa e l’altro), l’attrice israeliana Ayelet Zurer (una scienziata che affianca Langdon) e Pierfrancesco Favino, che impersona l’ispettore della Gendarmeria Ernesto Olivetti. Il film uscirà in Italia il 13 maggio e due giorni dopo negli Stati Uniti.

Racconta Dan Brown che l’idea di questo romanzo gli è venuta visitando Roma con la moglie. «Stavamo facendo un giro dalle parti di San Pietro e percorrendo il “passetto” - ricorda lo scrittore - la guida ci ha spiegato che quel camminamento che collega Castel Sant’Angelo con il Vaticano veniva usato dal Papa per sfuggire ai suoi nemici. Quali?, mi sono subito chiesto. Così ho cominciato a pensare a Galileo e ad altri scienziati messi a tacere dalla Chiesa, alle loro trame e fughe messe in atto nei sotterranei e nelle catacombe». Ma chi sono gli Illuminati? «Il romanzo è fatto di realtà e finzione e sta al lettore, e ora allo spettatore al cinema, distinguere cos’è vero e cosa è frutto di fantasia», risponde laconico Dan Brown. Del resto non tutto nel film è vero, Illuminati compresi. Anche chiese e monumenti di Roma che si vedono in Angeli e demoni sono perlopiù copie realizzate a Los Angeles e poi rielaborate al computer, mentre per gli interni del Vaticano è stata usata la Reggia di Caserta. «E’ stato frustrante, ma ce lo aspettavamo di non poter girare nelle chiese. Anche per Il codice da Vinci mi era stato proibito di girare nelle chiese in Scozia, Inghilterra e Irlanda. Quello che non mi aspettavo, invece, era di non ricevere alcuna collaborazione anche per girare in città. Ci hanno spiegato che era dovuto alle pressioni fatte dal Vaticano. Avremmo potuto contestare questi divieti, ma abbiamo preferito trovare altre soluzioni», spiega Howard che nel Codice da Vinci parlava anche di un figlio avuto da Gesù con la Maddalena, e il Vaticano non aveva davvero gradito. E pure Angeli e demoni è già stato denunciato da un vescovo, il 103enne monsignor Antonio Rosario Mennonna per «il contenuto altamente denigratorio, diffamatorio e offensivo per i valori della Chiesa». Insomma, l’ostilità del Vaticano permane. «Noi abbiamo dato l’opportunità di vedere il film a rappresentanti del clero, ma hanno rifiutato. Le critiche che abbiamo ricevuto finora sono venute tutte da persone che non hanno visto il film», dice Howard. E, quasi provocatorio, aggiunge: «In ogni caso, se qualcuno pensa di poter essere offeso dal mio film, non vada a vederlo». Nel film sono state tolte o modificate diverse cose rispetto al romanzo. Per non dispiacere ulteriormente la Chiesa? Niente affatto, rispondono autore e regista. «Non c’è nulla che abbia cambiato pensando alle reazioni della Chiesa», assicura Howard.

Al suo quarto film con Ron Howard (Splash, una sirena a Manhattan, Apollo 13, oltre ai due dai romanzi di Dan Brown), Tom Hanks spiega: «Ci sono attori che non amano lavorare più volte con lo stesso regista. Io, invece, mi trovo benissimo perché ci si conosce e, quindi, ci si capisce al volo». Dan Brown sta scrivendo un romanzo, Il simbolo perduto, che arriverà nelle librerie in Inghilterra e negli Stati Uniti il 15 settembre. Lo scrittore non vuole anticipare nulla, ma si sa che è ambientato soprattutto a Washington ed è incentrato sulla massoneria. La saga di Langdon, dunque, tra scienza, fede e misteri, continua? Howard e Hanks si dicono pronti e Dan Brown afferma: «Non posso dire molto, soltanto che si svolge nell’arco di dodici ore. Ma credo che quando finirà nelle mani di Howard diventerà grandioso».


di Beatrice Bertuccioli