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martedì 20 marzo 2018

Buon equinozio di Primavera


di Cesare Marco Delorenzi



Rubando le parole all’astrofisico G. Masi: «Il Sole nel suo moto apparente nel cielo, da Sud verso Nord lungo lo Zodiaco, viene a trovarsi all’incrocio tra equatore celeste ed eclittica, che è la proiezione nel cielo dell’orbita terrestre».
Quest'anno la data del primo giorno di primavera è anticipata, rispetto al nostro consueto sentire, al 20 marzo, la nuova stagione inizierà, astronomicamente, alle 17.15 ora italiana.
Volendo saper di astronomia, gli equinozi (dal Latino 'aequs nox', notte uguale) sono i due 'momenti' della rivoluzione o moto terreste intorno al Sole, in cui quest'ultimo si trova all'incrocio tra l’equatore celeste e l’eclittica, che sarebbe il percorso dell’orbita terreste attorno al sole e i suoi raggi colpiscono il nostro pianeta perpendicolarmente al suo asse di rotazione. Tutto questo provoca il fenomeno unico, ma doppiamente ripetibile durante l’anno orbitale, di un periodo di luce e di buio praticamente uguale e solo e solamento nei due giorni equinoziali di marzo e settembre.
Il nostro calendario gregoriano infatti, introdotto da Papa Gregorio XIII nel 1582, stabilisce la durata dell'anno a 365,25 giorni, rendendo necessario aggiungere un giorno al calendario ogni quattro anni (anno bisestile) per evitare un graduale scostamento tra date e stagioni. Nonostante questo 'aggiustamento' quadriennale, e nonostante l'esclusione degli anni 'centenari' non divisibili per 400 da quelli bisestili, la rivoluzione terrestre non viene misurata con esattezza e gli equinozi astrali non corrispondono a date fisse ogni anno.
Già per molte volte ho scritto sul significato di Equinozi e, correlati, Solstizi. È una continua rincorsa tra i due opposti, Luce e Buio, Vero e Falso o, come meglio siamo abituati a pensare nei Lavori Rituali, all’alternarsi tra gli scacchi bianchi e quelli neri che troviamo formare il pavimento sacro.
Non esiste mai un vero ed assoluto vincitore. Ora pare vincere la Luce ed ora sopravanza la Tenebra o, come al momento equinoziale, c’è un momento di equilibrio, di stallo. Subito dopo questo effimero momento svanisce, l’equilibrio faticosamente composto si dissolve ed uno dei due schieramenti prende lentamente ed inesorabilmenteil sopravvento. Arriverà al culmine, tra tre mesi saremo al solstizio e la Luce prevarrà e soppianterà quasi totalmente il buio. Ma è una vittoria effimera, lentamente perderà terreno e il buio, dopo solo altri tre mesi, risarà in equilibrio con la Luce, eccoci all’equinozio d’Autunno, passati altri tre mesi il buio prevarrà con il Solstizio d’inverno, la Luce sarà ridotta al suo lumicino.
La vita è una ruota o una spirale sempre dinamica e il momento apparente dell’estinzione della Luce sarà il suo momento di trionfo perchè la Luce lentamente, ma inesorabilmente rinascerà e farà arretrare nuovamente il dominio del buio ed in circa tremesi saremo nuovamente all’equilibrio dell’equinozio. Equinozio che sottende l’apparente grande vittoria della Luce sino al suo massimo splendore per il solstizio d’estate o di san Giovanni, caro a tutti i massoni.
Questa titanica battaglia non vedrà mai vinti o vincitori assoluti sinchè la nostra piccola Terra continuerà a percorrere la sua orbita intorno al sole, ci saranno piccole variazioni di giorno, di orario, causa il nostro impreciso sistema di computo del tempo fisica, ma l’alternanza di bianco e nero, luce ed oscurità rimarrà una costante della nostra vita terrena.
Così ho detto oggi 20 marzo 2018 e.v..

giovedì 18 gennaio 2018

Il simbolismo cabalistico del Rito di York. Le cariche di un Capitolo


Re Salomone, con il Profeta Natan e il Gran Sacerdote Zadok

In questi giorni, nei Capitoli del Rito di York, si stanno insediando i nuovi eletti. La Comunità di Israele, cioè la sposa terrestre della divinità, era governata da tre ‘pilastri’. Il Re (maleck), il Gran Sacerdote (cohen ha-gadol) e il Profeta (navì). Sono le uniche persone che venivano ‘unte’. L’unzione, a partire da Esodo (40,1-33), trasforma una cosa profana in una sacra, vale per gli oggetti, ma vale anche e soprattutto per gli uomini. È il momento, per un uomo, di massima trasformazione della sua interiorità. Unto, in ebraico, si dice ‘Messiach’ (e in greco ‘cristos’).
In ebraico una cifra indica anche un numero, non eccendoci i numeri arabi: accade così che ogni parola possa essere un valore numerico e possa essere espressa da un numero, ottenuto sommando i valori dei singoli caratteri. Così Re vale 90, Profeta vale 63 e Gran Sacerdote dà 75. La loro unione dà 228 come il valore numerico della parola ‘etz chaim’ che vuol dire ‘Albero della Vita’.

Anche l’albero della Vita ha tre colonne, basta vederne una qualsiasi rappresentazione. Quella centrale (Kether/Malkuth) è detta ‘Regale’ (Malkuth, la sephirah più bassa è il Regno, Kether è la corona). La colonna di destra è assimilabile all’intuizione e alla sacralità del Gran Sacerdote, quella sinistra può rinviare analogicamente al dottore della legge.

Queste tre figure, questi tre ‘messiach’ li troviamo anche nel Capitolo: c’è un Re (che più propriamente è un ‘Reggente’, visto che era a capo di una comunità senza terra, cioè Zorobabele), un Gran Sacerdote (Giosuè), e un Profeta (Aggeo, il decimo dei profeti minori i cui oracoli sono raccolti nell’omonimo libro della Bibbia). Bisogna anche considerare che, nel Gran Sacerdozio del Rito di York,  il corpo appendant che da qualche mese ha ripreso a funzionare, l’apice dell’iniziazione viene toccato proprio con l’unzione, riservata agli ex GS.

Per queste considerazioni sarebbe opportuno che la comunità York fosse governata da tre figure. Il GS a capo del capitolo, il Profeta sarebbe opportuno fosse l’Illustre Maestro della Criptica, perché un grande che allude alla interiorità, mentre la carica del Reggente dovrebbe essere rivestita dal Commendatore della Commenda, facendo riferimenti alle esteriorità del regno e del dominio (spirituale).
(emmecì)

La spada e il cavaliere


di Antonio Biviano



Impugnata da Re ed Eroi, la Spada rappresenta ancora oggi un oggetto sacro. Proprio di quegli uomini depositari delle più antiche tradizioni, uomini appartenenti a Ordini con carattere iniziatico. Essa esercita l’autorità di una legge superiore, giusta, inflessibile, capace di ripristinare il giusto rapporto tra il bene ed il male.

Per circa duemila anni la spada la si trova al fianco di Cavalieri e Re, considerata il loro più nobile prolungamento, la parte più nobile della loro anima, tanto da meritarsi sempre il nome di una Dama: Brunilde, Excalibur, Brimir, Durlindana..

Attorno ad essa, in passato si sono sviluppati miti valori spirituali, che hanno costituito le basi di vere e proprie filosofie dell’essere, quali ad esempio: il Codice Cavalleresco in occidente, ed il Bushidò in oriente. Filosofie, entrambe legate all’onore di chi la teneva al suo fianco, ed alla purezza di animo che la brandiva, divenendo così un simbolo di casta, che contraddistingueva gli iniziati guerrieri da gli altri combattenti, elevandoli a vera e propria Casta Reale.

Nella simbologia Templare, la Spada è impugnata da colui che combatte innanzitutto una guerra interiore, per il dominio su se stesso e per il raggiungimento di sempre più elevate conquiste spirituali, o livelli superiori di coscienza.
Tutti sappiamo che, nella tradizione Druidica prima, ed in quella Templare dopo, la doppia valenza della spada a doppio filo, ha rappresentato l’agire benefico e l’agire malefico del cavaliere. I due possibili modi di agire, così, in un corpo unico, rappresentando cosi perfettamente la natura dell’Uomo, Guerriero e Sacerdote allo stesso tempo.
Ed ecco perché, San Bernardo nel suo “de laude milites templi”, parlando dei cavalieri templari, spiega della “nuova militia, mai conosciuta prima di ora, che combatte senza tregua nello stesso tempo una duplice battaglia, contro i nemici in carne e sangue, e contro le potenze spirituali del male nello spirito religioso”. Da questo si evince come il dominio del Cavaliere sulla propria Spada, lo porti al controllo sia sulle sue pulsioni che sul nemico, in carne e ossa, alla conquista di un equilibrio fatto di consapevolezza e pace interiore, in armonia con se stesso e con la materia che lo circonda.

 Essi, i Cavalieri, dovevano vincere dapprima la piccola battaglia, contro se stessi, per poi affrontare la grande battaglia, contro il nemico.

Così come in Occidente, anche in Oriente ritroviamo la Katana, la Spada del Samurai. Essa parimenti alla simbologia Occidentale, rappresenta l’anima del Samurai stesso. – detta anche Kami, cioè Dio, la portavano al loro fianco i Guerrieri Samurai, al tempo degli Shogun, i Signori Feudali dell’antico Giappone.

Il costruttore della Katana era sempre un Maestro fabbro, di nobile origine, obbligato a condurre un’esistenza dignitosa, quasi religiosa, astenendosi da qualunque eccesso, egli conduceva una vita più che retta, al fine di poter trasmettere le sue stesse doti alle lame che egli forgiava. La Katana, così, diventava simbolo di una Casta Guerriera. Il Samurai però indossava due spade, di diversa forgia e lunghezza: una più lunga detta Dai, ed una corta detta Sho. La Katana e la Wakizaki, esse rappresentavano rispettivamente, la forza sacra del potere del bene sul male, la prima, ed il suo stesso onore la seconda , la piccola, con la quale il Samurai si dava la morte in caso non fosse riuscito nel suo compito di buon cavaliere o avesse disubbidito o deluso il suo Shogun. Si fa a questo proposito notare che il gesto che eseguiva il Samurai al momento di darsi la morte, equivale al segno dato dal maestro massone in segno di lealtà verso i fratelli maestri in loggia: gesto che prevede che la mano dx tagli il ventre orizzontalmente da sn a dx. La presenza della spada corta al suo fianco, voleva anche rappresentare la caducità della vita del cavaliere, il quale si rappresentava come un fiore di ciliegio, Hanami, il quale può essere spogliato dal ramo ad un semplice alito di vento, così la vita del Samurai poteva essere spezzata in un solo attimo dalla mano del nemico.

 Tornando alla tradizione epica cavalleresca, è previsto che l’Eroe superi sempre una serie di prove, vinca dei duelli, superi le tentazioni della vita, uccida un mostro, ripudi i suoi beni, perda i suoi affetti, subisca delle sconfitte, tutto al fine di poter raggiungere il vero scopo: la trasmutazione che lo porterà dall’Io al Sé. – Traguardo che lo elevi, portandolo più vicino a Dio.
Egli, quindi, divenendo Cavaliere, scopre la sua spada interiore, fatta di equilibrio, tenacia, consapevolezza integrità ed onore.

Per noi Massoni, oggi, la Spada rappresenta uno strumento spirituale per difendersi dalle proprie paure, dalle proprie debolezze, dalle proprie tentazioni, dalle cadute dello spirito.
Pertanto la spada nei nostri rituali si carica di energia propria, di un’anima, di un potere superiore. Essa ha quindi il compito di difenderci dai demoni del nostro inconscio, dalle forze oscure negative che abitano dentro di noi, subito al di là della luce della buona coscienza.

Alla Spada Fiammeggiante, si attribuiscono doti di accumulatore di energia, cosmiche, positive, catalizzatore dell’eggregore dell’intera officina. Trasmettitore del fuoco iniziatico, essa porta la luce ed il calore della speranza, là dove regnano il buio e le tenebre. Usata contro i demoni dello spirito, la sua lama è lucente come la luce che discende dall’Essere Supremo.
Compito del M.V. è di tenerla ben lucida, esattamente per come deve sempre essere la sua stessa anima. Posta sulla cattedra difende tutti i FF dal vizio, dalla viltà e dal male. È usata nelle iniziazioni, dove col suo fiammeggiare brucia l’uomo vecchio in un rogo simbolico, per ri-crearne uno nuovo, iniziato, in un gesto di tale amore da essere poter essere assimilato al gesto compiuto da Dio al momento della Creazione.
Nella Sacra Bibbia, la Spada Fiammeggiante è il simbolo del verbo, del pensiero Attivo, Creatore.

  Concludo col credere che la Spada del Cavaliere è il Cavaliere stesso.
 Essa infatti rappresenta contemporaneamente la sua parte nobile, l’anima pura, ed il corpo stesso del Cavaliere. Il suo Io nell’allegoria tra corpo e anima. Ed ecco come l’Uomo per essere un buon guerriero deve saper conoscere e brandire la spada materiale, la deve saper affilare, la deve saper gestire senza mai ferirsi. Ma solo dopo una iniziazione superiore, egli, armato della Spada Spirituale potrà elevarsi e definirsi Guerriero Sacro, un Cavaliere Sacro.

La Spada è dunque un simbolo di Iniziazione Superiore, la via del sangue, la fusione tra azione e meditazione, come unione tra conoscenza e coscienza, brandita da un braccio pregno di energie superiori, elevate, spirituali. Così egli potrà opporsi alle forze inferiori, materiali.

  Per noi iniziati, la spada è e deve essere essenzialmente uno strumento spirituale, che ci difende innanzitutto dalle proprie debolezze, dalle proprie frustrazioni, dalle tentazioni del mondo profano, dalle cadute di spirito. La Spada è il Simbolo della Volontà Divina e l’Uomo che la riceve espleta un’azione sacra che va al di là del tempo e dello spazio.

L'esoterismo cabalistico della Grande Assemblea




Non lo so se ci siamo mai soffermati a riflettere sul termine ‘Grande Assemblea’ che nella tradizione ebraica è sempre legato al nostro simbolismo. Nei primi anni dopo la costruzione del Secondo Tempio a Gerusalemme, Ezra era ritornato a Babilonia e cercava di riunire il popolo per far sì che si potesse interpretare tutti lo stesso spirito. Eretz Israel e Gerusalemme erano state ridotte in cenere da Nabucodonosor e fu da quelle ceneri che Ezra mise su una nuova comunità. Riunì 120 saggi più grandi del suo tempo. Questo gruppo, che riunì anche gli ultimi profeti, prese il nome di ‘Grande Assemblea’ (Knesseth ha-ghedolà). Il Kaplan ricorda che fu la Grande Assemblea a fissare il canone della Bibbia e a redigere l’Amidà, ancora oggi la preghiera più importante dell’ebreo ortodosso.
(emmecì)

Approfondisci

La Massoneria: una danza dell'anima tra le colonne del Tempio


di Manolo Cacciatori

Anonimo, Riunione in una Loggia massonica a Vienna, 1786


Rinnovare le cariche di una Officina non è soltanto un atto amministrativo dovuto,  significa ben di più: significa dare un futuro alla nostra Istituzione, significa trasmettere quella luce iniziatica cosi come ci è stata consegnata da chi in passato ci ha preceduto, garantendo, grazie a quella ininterrotta catena di unione che lega passato, presente e futuro dei nostri Valori,  che coloro i quali si avvicineranno alla Massoneria, possano trovare questo Simbolico edificio sempre in buon ordine, ricco di Luce e pronto ad accoglierli.

Sento quindi come nostro preciso compito quello di rappresentare dei Tedofori della via iniziatica tradizionale, alternandoci in questa staffetta con forza e vigore a portare quella luce che rischiari le ombre sempre più cupe che vediamo allungarsi sulla morale della nostra società e sul futuro dei nostri figli.
Una via iniziatica tradizionale da percorrere come prescritto dai nostri rituali affinché tutto sia: serietà, senno, benefizio e giubilo.

Un passo del rituale, questo, che mi ha sempre colpito per la sua capacità di indirizzare le tornate: in questo armonico equilibrio tra compiti, ci sta tutto il senso dei nostri lavori di Loggia.

La serietà dell’impegno contratto con il giuramento e perpetrato con la frequenza, lo studio, ed il rigore nell’applicazione della ritmica rituale: serietà è essenzialmente lo stato d'animo con il quale ci si appresta ad iniziare il cammino iniziatico.

Il senno: il senno del dubbio, la saggezza con la quale ci esprimiamo in loggia, con la quale trasformiamo le tensioni in pace ed armonia, con il quale abbandoniamo i metalli fuori dallo stargate delle colonne Boaz e Jachin, rendendoci accoglienti nei confronti dei Fratelli. ll senno del Massone è in qualche modo la capacità di osservare il mondo con gli occhi del dubbio, non accettando mai verità imposte e dogmi ma rispettando al contempo i punti di vista e le idee dei Fratelli e dell’umanità intera.

Il benefizio ci introduce in una dimensione nuova, apparentemente allontanandosi dalla razionalità indicata dai primi due termini; nel suo significato esso indica infatti non un semplice vantaggio ricevuto, ma l’atto del «fare bene», traendone soddisfazione e giovamento. Se per fare bene si intende non solo svolgere bene il proprio lavoro, profano o iniziatico, ma anche fare bene ad altri, donando una parte di sé, allora il concetto di benefizio indica non solo una tappa fondamentale ma anche un vero e proprio salto di qualità nel cammino muratorio: il passaggio dall’io al Noi.

Avvicinare l’uomo al proprio Fratello, svolgere un lavoro proficuo, per sé e per l’intera  Comunità e per l’umanità, applicare la saggezza, essere in grado di rispettare le idee degli altri mantenendo sempre il senno del dubbio, traendone e offrendo Benefizio, può sfociare solo in una grande ricompensa: il Giubilo.
Siamo arrivati quindi, col termine giubilo a quella che a mio parere è la dimensione spirituale dell’esperienza massonica: alla ricompensa impagabile che ci portiamo a casa una volta chiusi i lavori rituali.

Ma perché tutto questo funzioni è necessario mantenere quell’equilibrio dinamico tra di Noi che genera Armonia.
Un’armonia che non è compiacenza.
Un'armonia che è la possibilità di affermare con forza le proprie idee, accettando con amore fraterno quelle, anche contrarie, degli altri.

Armonia significa uscire arricchiti da questa esperienza.

Credo che l'armonia e l’equilibrio passino per la piena consapevolezza comune della nostra identità massonica.

Purtroppo viviamo in una società, dove in questo momento storico non godiamo del credito e del rispetto che meriteremmo.
Eppure è indubbio che proprio questa società che spesso ci diffama avrebbe tanto bisogno dell’impianto morale che i nostri Valori sanno apportare, della nostra modalità di dialogo franca ed aperta, di quella relazione civile ed inclusiva che caratterizza la nostra Cultura, di quel sottile velo di premura, per citare l’indimenticato Fratello Augusto Fornaciai, con il quale siamo abituati a relazionarci.

Come superare o tentare di superare allora questa contraddizione ?

Nei nostri Templi, attraverso lo studio dei simboli propri di un linguaggio iniziatico, alleniamo la nostra cultura del dialogo, la capacità di ascolto attivo, di comprensione e di accoglienza delle diversità di pensiero ed opinione che stanno alla base del nostro tendere ad essere uomini sempre migliori.

Bene, come iniziati abbiamo tutti, nessuno escluso, il preciso mandato di esportare queste modalità al di fuori delle nostre officine, iniziando proprio dalle famiglie, dove alle volte distrattamente non ci accorgiamo del bisogno di un dialogo migliore, per continuare sul posto di lavoro, ed in ogni occasione di incontro sociale.
Facciamoci percepire “diversi” nelle nostre modalità di interazione con il prossimo promuovendo cosi, anche senza strombazzi e stendardi, ma con forza e vigore quei valori che perseguiamo nelle nostre logge.

Può forse sembrare una poca cosa, ma citando una piccola grande donna, “importante non è quanto è grande ciò che facciamo, ma quanto impegno mettiamo in ciò che facciamo: bisogna fare piccole cose con grande dedizione”
Solo cosi, credo, possiamo concretamente affermare di concorrere a lavorare per il bene ed il progresso dell’umanità.

Percorriamo allora la Via iniziatica tradizionale con il regolo lungo 24 pollici in mano, a ricordarci di avere a disposizione un impercettibile porzione di eternità per compiere la nostra opera, e con i nostri rituali nell’altra mano, affinché ci indichino la via del simbolo nei momenti di smarrimento.

Percorriamola bene, dunque, la Via affinché la nostra fievole luce sia percepita come la stella più bella e luminosa dell’universo.

Percorriamola attraverso lo studio ed il lavoro dei rituali nei tre gradi, che ci giungono a noi come il distillato di culture sapienziali che nei secoli si sono coagulate in una simbolica mappa capace di indicare una strada, per capire chi siamo e quale sia la testimonianza che siamo chiamati a portare, come tedofori, nelle logge e nel mondo profano.

Negli scorsi tre anni sotto la guida del nostro ex Maestro Venerabile Maurizio, abbiamo proficuamente lavorato sulla simbologia che i costruttori del passato hanno saputo celare negli edifici di culto, probabilmente per trasmettere messaggi agli iniziati del tempo e tramandare antiche tradizioni.

Abbiamo tra l’altro studiato ed analizzato dettagli di chiese della nostra Lucca dove sono nascosti simboli che passano inosservati a chi non ha la sensibilità iniziatica per andare oltre il velo delle apparenze, uscendone accresciuti e affinando al tempo stesso la nostra personale capacità di osservazione critica.

Siamo riusciti perfino ad ideare, costruire e donare un monumento che nei secoli rammenterà alla città la nostra storia ed i nostri Valori.

Adesso lavoreremo su quegli strumenti che la tradizione libero muratoria ci consegna con i rituali, attraverso i quali costruire quotidianamente i nostri sogni possibili.

Ci aspetta quindi in quest’anno un lavoro attento di approfondimento della simbologia delle tre camere e di come i simboli e gli arnesi del mestiere, attraverso il loro messaggio  esoterico, indichino chiaramente quale sia la via da percorrere incessantemente, per la costruzione di quel simbolico edificio a cui tutti tendiamo.
Permettendoci forse un giorno di riconoscere tra le tante pietre scartate nei nostri cantieri, quella dalla forma bizzarra che permetterà di completare la nostra Opera.


Ognuno di noi quindi, attraverso il lavoro coordinato dai Sorveglianti, deve raggiungere la piena consapevolezza del proprio ruolo in Loggia e di quale sia la testimonianza che è chiamato a portare nel mondo profano, indipendentemente da esperienza e colore del grembiule.

Ognuno consapevole che, come in un organismo, ogni cellula con la propria funzione,  è indispensabile a mantenerlo in vita.
Nessuna esclusa.

Per costruire alla gloria del Grande Architetto dell’Universo quella città dello spirito dove la fratellanza sia il vero ed unico cemento tra uomini liberi ed uguali, e tutto sia serietà, senno, benefizio e giubilo !

La massoneria è un idea coraggiosa, possibile e giusta.
Una piccola fiaccola che acceca d’amore l’universo… e se tutti ci impegniamo, nessun vento riuscirà mai a spegnerla.

Il segreto iniziatico nella via del cuore


di Massimo Agostini



Nel mondo iniziatico si sente spesso affermare che la verità non è rivelabile, ed è così: come spiegare le proprie esperienze interiori, come far comprendere agli altri un vissuto che non gli appartiene. Ognuno vive la solitudine del proprio divenire pur condividendo con altri, emozioni, amori, esperienze quotidiane di vita. L’unico amico che ci è concesso di conoscere è infatti lo specchio della nostra essenza con la quale ci troviamo, se osservatori attenti, ad un confronto serrato unico, assoluto, universale.
Nessun essere che è altro da noi, per quanto amato e caro, potrà mai comprendere la nostra sensibilità, i nostri più nascosti pensieri, le nostre emozioni, desideri, conoscenze.
Viviamo con gli altri, ma alla fine ognuno si ritrova solo con se stesso, una solitudine che sembra appartenere a chi ama e fortemente sente l’immensità dell’anima, divenendo buona amica per chi, dotato di sensibilità, cerca di vivere consapevolmente l’esperienza interiore delle proprie emozioni.
Riflettere su se stessi, la pratica del silenzio, il simbolico abbandono dei “metalli”, ovvero del materialismo inteso come inconsapevole vissuto di ogni quotidiano divenire; costituiscono in questo percorso le fasi simboliche di un costante, duro, intimo, lavoro personale, senza limiti e confini, guidato esclusivamente dal proprio solitario rapporto evocativo con gli antichi e misterici insegnamenti, con il simbolismo di un Tempio e, se si è fortunati, con gli stimoli di pochi illuminanti Maestri.
Il viaggio iniziatico è un viaggio di purificazione durante il quale ci si deve liberare delle parti più negative del sé. L’impulso negativo si presenta come forza autonoma sotto le sembianze di un animale terribile. Il neofita deve impegnare una dura lotta con questa forza antagonista che tende ad uccidere la sua anima. Scopo dell’iniziato non è però di uccidere la bestia, ma piuttosto di sottometterla.
L’anima nera spesso spaventa e per questo evitiamo di guardarla nella sua vera essenza e se potessimo vorremmo anche ucciderla.
Antichi rituali parlano di: Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem (Veram Medicinam) e il rettificare corrisponde all’incontro con la propria essenza più negativa (la bestia, l’anima nera) non per ucciderla, ma per conoscerne tutta la sua potenza, e se ci riesce, usandola
per trovare la propria luce più splendente.



Chi percorre le strade della conoscenza iniziatica si ritrova quindi inevitabilmente a “fare i conti” con la natura duale della propria essenza, vivendo il contrasto cromatico tra il bianco ed il nero della propria intima natura, attraverso lo strumento che i massoni indicano come VITRIOL, ovvero in un processo di intima conoscenza del proprio Sé (Visita Interiora Terrae) per comprendere che è possibile divenire osservatore distaccato e padrone della propria natura (Rectificando), allo stesso modo dell’auriga platonico che governa le opposte nature dei suoi due cavalli (espressione del dualismo dell’anima) per raggiungere l’iperuranio, fonte di ogni illuminata realizzazione (Invenies Occultum Lapidem).
Il nostro operare nella vita dovrebbe essere perciò scevro da verità rivelate, presupposto di ogni possibile pregiudizio, ma bensì essere caratterizzato da percorsi, intimi, personali, esclusivi, di consapevolezza; una consapevolezza che non può essere frutto di insegnamenti più o meno dotti o di erudite cognizioni, trovando più sicuro alimento proprio in quell’intima esperienza di analisi, e nel personale confronto con la propria e altrui essenza.
«Se hai dubbi, studia, dopo lo studio medita, formula asserzioni, cerca conferme, dubita ancora», raccomandava ai fratelli uno dei miei più cari Maestri di Alchimia Spirituale, Bernardo Shin, al secolo Giordano Bruno Galli.
L’essenza di un percorso iniziatico impone quindi dubbi e domande continue, alle quali nessuno potrà mai dare risposte nella ricerca della Verità, essendo ogni verità posta nel cuore di ogni uomo “libero e di buoni costumi”. In tutte le tradizioni iniziatiche il cuore è infatti il centro spirituale dell’individuo, ovvero il luogo mistico dell’ascolto e dell’incontro con la propria energia potenziale, fonte primaria di Verità. Giustizia e Amore.



Anche per la Bibbia il cuore è una realtà più ampia, che include tutte le forme della vita intellettiva, tutto il mondo degli affetti e delle emozioni, nonché la sfera dell’inconscio in cui affondano le radici di tutte le attività dello spirito.
Per gli Ebrei, il cuore è considerato la sede del potere insito nella prima lettera dell’alfabeto, Alef, che nella ghimatriah cabalistica ha il valore numerico di trentadue (due lettere Yud contrapposte e in mezzo due lettere Vev) corrispondente alla parola ebraica Lev, che appunto significa cuore.



Il cuore, al pari della lettera Alef, è perciò espressione della Luce divina, e strumento di unione tra macrocosmo e microcosmo, tra coscienza umana e divina, tra finito e infinito; tra Sé inferiore e Sé superiore; tra l’essenza caotica e torbida dell’inconscio e il mondo della “coscienza rivelata”.
Quindi la scintilla di verità è nel cuore e il cuore, sede di Verità e Giustizia, rappresenta lo strumento iniziatico per la propria compiutezza.
Per colui che ricerca questa Verità iniziatica è inevitabile incontrare ostacoli e difficoltà, dovendo sperimentare l’incontro con la propria essenza più oscura, quell’anima nera che, come belva vorace, è capace di divorare ogni anelito di realizzazione nella Luce.
Specchiarsi nel proprio Sé più bestiale, prendere coscienza del demone insito nel proprio essere, rappresenta la parte più terrificante e angosciante del sogno iniziatico.
Il bene e il male, nella loro suprema potenza inconscia, emergono in un terrificante contrasto di forze che si materializzano nei peggiori pensieri o nella più luminosa gioia.
La manifestazione è spesso il frutto del nostro pensiero, l’archetipo ha in sé il tutto e sta all’uomo sapersi unire al dolore o alla gioia e scoprire forse che entrambe non esistono se non come frutto del pensiero.
Un cammino che per alcuni può proseguire verso più elevati livelli di giustizia ed equilibrio, attraverso un percorso di consapevolezza interiore, che assume la valenza di una conoscenza superiore, dove forza e bellezza trovano giusta sintesi nella sapienza iniziatica di colui che tutto vede.
Tale processo iniziatico lo ritroviamo simbolicamente espresso in molti simboli del tempio massonico, non solo nel pavimento a scacchi bianchi e neri, ma anche nella Luna (Iside) e nel Sole (Osiride) che, posti ai lati del triangolo divino, e dietro allo scranno del Maestro Venerabile, donando a quest’ultimo l’immagine di colui tutto vede, con un richiamo all’antica sapienza egizia, che indicava nell’occhio di Osiride resuscitato in Horus, il magico connubio degli opposti.



L’uomo che ha in sé equilibrio e giustizia è solo colui che non si fa sopraffare dai demoni del proprio inconscio poiché ha infatti compreso, non solo come domare il drago interiore, ma bensì come sfruttarne la potenza distruttrice per raggiungere le acque cristalline della realizzazione.
In questi passaggi è forte il messaggio che la rivelazione divina è in noi e non fuori di noi. Solo una ricerca attenta della nostra essenza più intima, valicando il velo dell’inconscio, consente all’uomo libero di accedere alle stanze segrete di ogni magica rivelazione.
La conoscenza conduce inevitabilmente a comprendere che l’essenza del viaggio ha in sé il principio della libertà, di un sentire scevro da ogni dogmatica e fideistica interpretazione, e quindi da pregiudizi e condizionamenti, al fine di sottrarre il proprio io al grigiore del volgo pensante, potendo interrompere circonvoluzioni mentali che nulla hanno a che vedere con lo scopo della nostra sacra vita.
Il sentiero iniziatico, nella consapevolezza del saggio, non può che fondarsi nei principi di tolleranza e fratellanza, affinché anche chi è diverso da noi non assuma l’aspetto del selvaggio, ma al contrario diventi ricchezza inesauribile per la nostra realizzazione. [...]

Tratto da



Kipling e il punto di rottura




Rudyard Kipling, nasce a Bombay, da genitori inglesi. Conosce molto bene l’India, l’Europa in cui viaggia come giornalista. Va anche in America. Riceve il premio Nobel a soli 41 anni ( il più giovane scrittore che abbia mai ricevuto questo riconoscimento). Quasi tutti i ragazzi, nell’adolescenza, hanno letto almeno uno dei suoi libri: Il libro della Giungla, Capitani Coraggiosi, Kim.  Appartenne ad una Loggia Massonica in India Tra i vari scritti di impronta massonica ricordo i più conosciuti: “La Loggia Madre” esprime un rimpianto caro per una appartenenza che gli manca quando è lontano dal' India; “Se” racchiude le qualità umane dell’uomo equilibrato, leggesi massone;
"Il Punto di Rottura” esprime l’amarezza di sapere che l’uomo è fallibile e destinato a soccombere anche se “si rialza” più volte nell’arco della vita. L’ha scritta dopo aver perso due figli.

Inno del punto di rottura

Precisi manuali han calcolato
(in guardia costruttori!)
il carico, l'impatto, la pressione
che può reggere ogni materiale.
Così, quando per trave che s'incurva
l'intera campata è frantumata,
la colpa dei danni, o della morte,
sul conto dell'uomo va segnata.
Dell'uomo - non dei materiali!
Ma nel nostro rapporto quotidiano
con pietra e acciaio,
noi vediamo gli Dei non vincolati
a una simile giustizia per gli umani.
Ci forgiano senza prendere misure,
non frequentano un corso su di noi,
alla cieca ci gravano di pesi.
Troppo spietati da sopportare.
Precisi manuali hanno tabelle:
quale stress lacera i bulloni,
quanto traffico logora l'asfalto,
quant'a lungo dura il calcestruzzo.
Ma per noi, poveri figli di Adamo,
non stamparono tali avvertimenti.
Per l'uso in piena sicurezza.
Rapiniamo tutta la Terra
e Tempo e Spazio insieme;
troppo sazi ormai di meraviglie
per stupirci a nuovi miracoli;
finché, nella dolce illusione
d'aver già sottomano il divino,
una multipla confusione assale
ogni cosa compiuta o ideata:
Le opere possenti progettate.
Noi soli nel Creato soffriamo
(più fortunati ponti e rotaie!)
la duplice condanna di fallire
e sapere il proprio fallimento.
Ma un segno, l'unico, svela
che fummo Dei: è la vergogna
di crollare, pur sotto pesi immani.
Gran carico o dure avversità.
Oh Potenza velata di mistero,
di cui invano cerchiamo il sentiero,
assistici nell'ora di pena e rovina.
E per quel segno che Ti manifesta,
noi gli spezzati, proprio perché spezzati,
sorgeremo ancora a costruir di nuovo.
In piedi, a costruire ancora...

Fonte

venerdì 22 dicembre 2017

La Loggia Heredom festeggia il "San Giovanni" il 28 Dicembre a Cagliari



Nella concezione esoterica, due volte l’anno si aprono le porte del cielo, e il Cielo entra in comunicazione con la terra: ciò avviene in occasione del Solstizio d’estate e in quello d’inverno, che coincidono con la celebrazione dei due santi che la Massoneria Universale ha eletto a suoi protettori: San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista.
La Loggia Heredom 1224 di Cagliari, il prossimo 28 dicembre, come ogni anno, organizza una tornata per la celebrazione del San Giovanni d’Inverno e ripropone il tradizionale rituale della Festa della Luce.
“Al Solstizio d’inverno – la Festa delle Luce – il Sole, simbolo visibile dello spirito, si è ritratto nelle caverne del settentrione. Le giornate si sono accorciate e le notti allungate. Il dolore è nelle nostre anime perché il Sole è calore, vita, luce. Noi Fratelli ravvisiamo in questa rituale morte del Sole una fase della perenne lotta tra il bene e il male. Ma il nostro dolore è temperato dalla certezza che il Sole, dopo la sua discesa agli Inferi, risalirà allo zenith della nostra coscienza”.
L’appuntamento è per giovedì 28 dicembre, alle ore 20,00, presso la Casa dei Liberi Muratori di Cagliari, in Piazza Indipendenza 1. È gradita la conferma della partecipazione al recapito: segreteria@heredom1224.it.
L’evento è riservato ai Fratelli del Grande Oriente d'Italia.

giovedì 21 dicembre 2017

Oggi è il solstizio d'inverno


di Cesare Marco Delorenzi




Dicembre è un mese importante e suggestivo. Non solo è l’ultimo mese dell’anno, il mese delle feste, di Natale, del cambio dell’anno, ma è anche il mese del Solstizio d’inverno, ovvero il giorno più corto e la notte più lunga dell’anno.
Se accettate un suggerimento, si potrebbe celebrare il Solstizio con una semplice, ma gravida cerimonia in cui poniamo nella terra i proponimenti del prossimo anno, in forma di semi di melograno, affinché germoglino all'Equinozio di primavera. Io lo farò, sperando che i semi portino amicizie e serenità. Il mio anno è stato funestato da troppe negatività, per cui aggiungerò cinque semi di grano, tenero, sette di grano duro ed un fagiolo, magico.

Il Solstizio d’inverno è il momento in cui il Sole raggiunge la massima distanza angolare rispetto all’equatore, ossia quando l’emisfero Nord riceve il minimo irraggiamento dal sole, è dunque il giorno con meno luce e di conseguenza la notte è la più lunga.

Nel nostro emisfero, ovvero quello boreale, al mezzogiorno locale del solstizio di giugno il Sole raggiunge l'altezza massima possibile sull’orizzonte per quella latitudine, mentre in quello di dicembre raggiunge l'altezza minima

Il solstizio ritarda ogni anno di circa 6 ore rispetto all'anno precedente (più precisamente 5h 48' 46") e si riallinea forzosamente ogni quattro anni in corrispondenza dell’anno bisestile, introdotto proprio per evitare la progressiva divergenza delle stagioni con il calendario. A causa di tali variazioni può capitare che i solstizi cadano il 20 o il 21 giugno oppure il 21 o il 22 dicembre.

Il Solstizio d'inverno 2017 cade il 21 dicembre alle 17:28 ora italiana.

Già ho molto tediato, nelle mie dissertazioni periodiche, sull’importanza che ha sempre avuto nei più svariati contesti socio-storico-culturali questo periodo; pertanto oggi mi limiterò a semplicemente ricordare che il Solstizio d’Inverno sia stata una festività pagana importante nota come Sol Invictus, dal 17 al 23 a Roma erano i Saturnalia, nel neopaganesimo Yule e nel cristianesimo si associa il Natale.

Il Sole si trova nella costellazione dell’Ofiuco fino al 18, quando passerà nella costellazione del Sagittario.
Si ricordi che il 21, alle ore 16:28 UTC (17:28 ora italiana) inizia ufficialmente l’inverno astronomico con il solstizio d’inverno: in questo giorno, il più corto dell’anno, la nostra stella raggiunge la sua massima distanza al di sotto dell’equatore celeste, e l’arco apparente descritto da sudest a sudovest è minimo.

La Luna è in fase di plenilunio il 3, Ultimo Quarto il 10, novilunio il 18 ed infine Primo Quarto il 26. Il 4 raggiungerà il punto più vicino alla Terra lungo la sua orbita, il perigeo (357.495 km), mentre il 18 l’apogeo (406.604 km).

Si può immediatamente notare la concomitanza tra la Luna Piena e il perigeo: il 3 dicembre infatti abbiamo potuto ammirare una suggestiva Superluna. La Luna compie un’orbita ellittica intorno alla Terra, dunque la sua distanza dal nostro pianeta varia sensibilmente nel corso di un mese, dai 356.410 km ai 406.740 km: quando la Luna è più vicina alla Terra (perigeo), appare ai nostri occhi più grande e più luminosa.

La tradizione popolare vuole che il giorno più corto dell’anno sia il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia. Il 13 dicembre è il giorno in cui il sole tramonta prima, ma il 21 l’alba è ritardata. Quindi a conti fatti il 21 dicembre abbiamo meno ore di luce. Da quella data fino ad inizio gennaio il sole sorge più tardi e tramonta più tardi.

Insomma abbiamo delle notti più lunghe in quanto l’alba avviene più tardi e la notte più lunga di tutte sarà quella fra il 20 e il 21 dicembre 2017. Il sole il 20 dicembre andrà a dormire alle 17 e lo rivedremo alle 7.30 del mattino del 21 dicembre. Dal Solstizio d’inverno l’ora del tramonto si allungherà ogni giorno di preziosi minuti, ma l’alba avverrà sempre qualche minuto più tardi, fino ad inizio gennaio quando l’alba inizierà a riacquistare minuti e le notti si faranno quindi più brevi.

In Italia tutti conoscono il detto «Santa Lucia è il giorno più corto che ci sia». Il 13 dicembre viene festeggiato in alcuni luoghi del nostro Paese (Bergamo, per esempio) come il giorno in cui si fanno i regali ai bambini. In Svezia, e in generale nei Paesi nordici, la notte di santa Lucia è accompagnata da tradizioni e cerimonie che celebrano la luce e un sonetto del poeta inglese John Donne canta come «la mezzanotte dell’anno». Eppure non è questo il giorno più breve, quello in cui tra l’alba e il tramonto trascorre il minor numero di ore e dopo il quale le giornate tornano finalmente ad allungarsi: il solstizio cade invece il 21 o il 22 di dicembre (quest’anno il 21). La responsabilità dello sfasamento tra la tradizione e la realtà ricade su Giulio Cesare e sulle conoscenze astronomiche non del tutto precise dei Romani, o meglio dell’astronomo Sosigene di Alessandria. Fu a lui, infatti, che Cesare nel 46 a.C. diede incarico di mettere ordine nel calendario in uso all’epoca, che vedeva continui sfasamenti. Il calendario giuliano fu un deciso passo avanti, grazie all’introduzione del mese bisestile ogni quattro anni. Il giorno in più serviva, come accade ancora oggi, a recuperare la differenza tra i 365 giorni dell’anno segnati normalmente dal calendario e i 365 giorni e 6 ore che rappresentano l’effettiva durata del tragitto che la Terra compie attorno al Sole. Sei ore in più per quattro anni danno appunto la durata di un giorno, che dovrebbe riportare in pari le cose.

Purtroppo, però, le 6 ore usate per il calcolo dell’anno bisestile sono solo una approssimazione della durata esatta dell’anno solare che è di 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi. La differenza è poco più di undici minuti, abbastanza per portare nei secoli ad accumulare un ritardo che a un certo punto era arrivato attorno ai dieci giorni. Nel Medioevo il solstizio era dunque più vicino al giorno di santa Lucia che al 21 dicembre, giustificando pienamente le tradizioni popolari.

 Fu solo nel 1582 che le cose vennero rimesse a posto. Papa Gregorio XIII che, anche lui con l’aiuto degli astronomi e soprattutto del calabrese Luigi Giglio, diede il via al calendario gregoriano e decise di far saltare il mondo dal 4 al 15 ottobre: i giorni in mezzo, quelli dal 5 al 14 ottobre del 1582. Dal 1582 dunque il solstizio si è spostato dove lo conosciamo oggi, anche se non tutti i Paesi adottarono il nuovo calendario nello stesso anno: John Donne scrisse il suo sonetto all’inizio del 1600, cioè dopo la riforma, ma in Inghilterra il calendario gregoriano arrivò solo nel 1750 e quindi per lui il solstizio era ancora attorno al 13 dicembre. L’insurrezione dei bolscevichi a Pietrogrado del 1917 avvenne a ottobre per Lenin e i suoi (in Russia si usava ancora il calendario giuliano) e a novembre per gran parte del resto d’Europa.

Gli appassionati di astronomia segnalano che comunque attorno al 13 dicembre qualcosa nelle nostre giornate succede. È in questi giorni, infatti, che il tramonto del Sole avviene, secondo i nostri orologi, all’ora minima. Dipende da una complicata questione di calcoli dell’ora media, cioè quella che segnano gli orologi, e ora reale, ma fatto sta che da oggi in poi il tramonto si sposta un poco in avanti, dando l’impressione che i giorni siano già tornati ad allungarsi

Santa Lucia: La sua festa liturgica ricorre il 13 dicembre; antecedentemente all'introduzione del calendario gregoriano (1582), la festa cadeva in prossimità del solstizio d’inverno (da cui il detto "santa Lucia il giorno più corto che ci sia"), ma non coincise più con l'adozione del nuovo calendario (differenza di 10 giorni). La celebrazione della festa in un giorno vicino al solstizio d'inverno è probabilmente dovuta alla volontà di sostituire antiche feste popolari che celebrano la luce e si festeggiano nello stesso periodo nell'emisfero nord. Altre tradizioni religiose festeggiano la luce in periodi vicini al solstizio d'inverno come ad esempio la festa di hanukkah ebraica, che dura otto giorni come le celebrazioni per la santa a Siracusa, o la festa di Diwali di celebrata in India. Il culto di santa Lucia inoltre presenta diverse affinità con il culto di Artemide, l'antica divinità greca venerata a Siracusa nell’isola di Ortigia. Ad Artemide, come a santa Lucia, sono sacre la quaglia e l'isola di Ortigia - anche chiamata Delo in onore della dea della caccia. Artemide e Lucia sono entrambe vergini. Artemide è inoltre vista anche come dea della luce mentre stringe in mano due torce accese e fiammeggianti.

Con il Solstizio d’inverno si entra nel Capricorno, ultimo segno di terra: “Colui che compie l’ascesa”. La terra del segno del Capricorno appare arida, spoglia, dura e fredda.

È la terra invernale che non offre frutti, che non abbellisce esteriormente perchè tutte le sue energie sono rivolte all’interno per il lento processo di crescita in seno alla Natura. La morte apparente, che vediamo all’esterno corrisponde al massimo momento spirituale, alla maggiore ingegnosità dell’uomo, libero dagli ordinari lavori stagionali; rappresenta la spoliazione, la concentrazione verso una meta, ma anche è la cima della montagna e la profondità della grotta dove l’individuo, addestrata la la volontà e controllato l’istinto, giunge al dominio del sé e diviene UOMO DIO.

In Gran Bretagna, a Stonehenge, si possono ancora ammirare e studiare imponenti ruderi: due cerchi concentrici di monoliti che raggiungono le 50 tonnellate. L'asse del monumento è orientato astronomicamente, con un viale di accesso al cui centro si erge un macigno detto "pietra del calcagno" (Heel Stone, detta anche Fryar's Heel, cioè "Tallone del frate"). All’alba del Solstizio, il Sole si leva al di sopra della Heel Stone. Stonehenge, insomma, sarebbe non solo un tempio, che le più moderne teorie archeologiche lo vedono come tempio cimiteriale, ma anche come un calendario astronomico.

A Nabta Playa vi è un circolo calendariale, dove due monoliti hanno allineamento Nord-Est in direzione del sorgere del sole il 21 giugno e risulta essere più antico di Stonehenge di almeno mille anni.

Tracce di culti solari s'incontrano in tutto il mondo, dalla Polinesia all’Africa alle Americhe e giungono fino ai nostri giorni: per gli eschimesi il sole è la vita mentre la luna la morte, in Indonesia il sole s'identifica con un uccello e con il potere del volo, tra le popolazioni africane primitive la pioggia è il seme fecondatore del dio Amma, il sole, creatore della terra.

Per gli Inca, la cui massima fioritura si ha intorno al XV secolo, la divinità Inti è il sole, sovrano della terra, figlio di Viracocha, il creatore, e padre della sua personificazione umana, l'imperatore. Attorno a Cuzco, capitale dell'impero, sorgono i Mojones, torri usate come "mire" per stabilire i giorni degli equinozi e dei solstizi. A Macchu Picchu, luogo sacro degli Inca, si può ancora vedere il Torreon, una pietra semicircolare incisa per osservazioni astronomiche, e l'"Intihuatana", un orologio solare ricavato nella roccia.

Per i Maya il sole è il supremo regolatore delle attività umane, sulla base di un calendario nel quale confluiscono credenze religiose e osservazioni astronomiche per quell'epoca notevolmente precise.

Tra gli indiani d’America l sole è simbolo della potenza e della provvidenza divine. Presso gli Aztechi è assimilato a un giovane guerriero che muore ogni sera e ogni mattina risorge, sconfiggendo la luna e le stelle: per nutrirlo il popolo azteco gli offriva in sacrificio vittime umane. Leggende analoghe, anche se fortunatamente meno feroci, si trovano ancora tra le popolazioni primitive nostre contemporanee. Gli stessi inuit (eschimesi) ritenevano fino a poco tempo fa che il sole, durante la notte, rotolasse sotto l'orizzonte verso nord e di qui diffondesse la pallida luce delle aurore boreali: convinzione ingenua, ma non del tutto errata, visto che è stato studiato come le aurore polari siano proprio causate da sciami di particelle nucleari proiettate nello spazio ad altissima energia dalle regioni di attività solare. Tutto il culto degli antichi Egizi è dominato dal sole, chiamato Horus o Kheper al mattino quando si leva, Ra quando è nel fulgore del mezzogiorno e Atum quando tramonta. Eliopoli, la città del Sole, era il luogo sacro all'astro del giorno, il tempio di Abu Simbel, fatto costruire da Ramsete II nel XIII secolo a.C., era dedicato al culto del sole.Secondo la cosmologia egizia il Nilo era il tratto meridionale di un grande fiume che circondava la Terra e che, verso nord, scorreva nella valle di Dait, che raffigurava la notte; su esso viaggiava un'imbarcazione che trasportava il Sole (raffigurato come un disco di fuoco e impersonato nella figura del dio Ra) che nasceva ogni mattino, aveva il culmine a mezzogiorno e al tramonto viaggiava su un'altra imbarcazione che lo riportava a est. Si devono agli Egizi alcune delle prime precise osservazioni astronomiche solari, in base alle quali i sacerdoti del faraone prevedevano le piene del Nilo e programmavano i lavori agricoli. Le Piramidi sono disposte secondo orientamenti astronomici, stellari e solari. Gli obelischi erano essenzialmente degli gnomoni, che con la loro ombra scandivano le ore e le stagioni. Gli orologi solari erano ben noti e ne esistevano diversi tipi, alcuni dei quali portatili, a forma di T o di L, chiamati merket: il faraone Thutmosis III, vissuto dal 1501 al 1448 a.C., viaggiava sempre con la sua piccola meridiana, come noi con il nostro orologio da polso. La prima comparsa di Sirio, la stella più luminosa del cielo, all'alba, in estate, era per gli Egizi il punto di riferimento fondamentale del calendario. Il loro anno era di 365 giorni, ma sapevano già che in realtà la sua durata è maggiore di circa sei ore, per cui avevano calcolato che nel corso di 1460 anni la data delle inondazioni del Nilo faceva una completa rotazione del calendario.

Il solstizio d'estate, rappresentando l'inizio dell'omonima stagione, è sempre stato nella storia occasione di feste, come i Litha nel neopaganesimo o la natività cristiana di Giovanni Battista, cosiddetta "Notte di San Giovanni" o "Notte di mezza estate".

Il Solstizio è il momento che segna, per il nostro pianeta, la fine del ciclo annuale. Il Sole si ferma, apparentamente, nel punto più basso rispetto all’equatore e, il terzo giono, riprende a salire, o a rinascere, nella volta del cielo. Simbolicamente è la fine del vecchio e il principio del nuovo. In tutte le religioni, dal culto di Zoroastro a quella di Cristo, segna la nascita dei Grandi esseri che hanno il compito di far progredire l’Umanità, salvandola dal suo stesso inciampare lungo il percorso evolutivo.

Il Natale cristiano prosegue questa tradizione indicando che il salvatore nasce in una grotta lontano dai clamori e dagli sfarzi del mondo per redimere il Karma attraverso l'Amore e stabilire la Fratellanza tra gli Uomini di Buona volontà. La sacralità dell'evento cosmico è, purtroppo, sovrastata dal peso dell'evento consumistico che, nei Paesi opulenti della civiltà occidentale, ne svilisce la forma ma non il significato. Vorremmo invitare tutti gli individui consapevoli a non regalare oggetti ma donare un poco del proprio amore. Sarebbe molto più proficuo per la crescita delle coscienze e la manifestazione del Piano Divino.

La rinascita solare rappresenti il simbolo di una rigenerazione cosmica, in cui il Sole e la Luce sono associati all’idea d’immortalità dell’uomo, che opera la sua seconda nascita spirituale, sviluppando e superando il proprio stato sottile, nella notte del solstizio d’inverno, quando è possibile accedere alla via divina in cui l’uomo, restaurando in sé l’Adamo Primordiale, può intraprendere la strada dello sviluppo sovraindividuale.

Ciò detto, AUGURO A TUTTI un buon Solstizio, Natale ed Epifania ( Il termine deriva dal greco antico, verbo ἐπιφαίνω, epifàino (che significa "mi rendo manifesto"), dal sostantivo femminile ἐπιφάνεια, epifàneia (manifestazione, apparizione, venuta, presenza divina). Sin dai tempi di San Giovanni Crisostomo il termine assunse una valenza ulteriore, associata alla Natività di Gesù Cristo Redentore) e che il NUOVO sia positivo, fecondo e ricco sia materialmente che spiritualmente per ognuno di NOI.

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lunedì 18 dicembre 2017

Torna in libreria Louis-Claude de Saint-Martin




Con questo titolo si completa la proposta della collana Martinista di Tipheret - Gruppo Editoriale Bonanno. Una importante iniziativa culturale che ha avuto centrale il Trattato sulla Reintegrazione degli esseri di Martinez de Pasqually il suo asse centrale (seguito dalla prima edizione italiana del rarissimo Manoscritto di Algeri, e da L'Universo a portata di mano). Curati da Mauro Cascio l'editore catanese ha poi proposto l'opera omnia di Willermoz (L'uomo-Dio. Trattato delle due nature, Le istruzioni di Lione, i Nove Quaderni D., Lettere, I miei pensieri (e quelli degli altri)), del primo Saint-Martin (Il cimitero di Amboise, Istruzioni della Saggezza, Lettera a un amico sulla Rivoluzione Francese, Ecce Homo), di de Maistre (La Massoneria), l'atlante di Prunelle de Lière (Le chiavi operative degli Eletti Cohen). In catalogo anche i Cenni storici sul Martinismo di Jean Bricaud, Martinezismo, willermozismo, martinismo, massoneria di Papus, Martinez de Pasqually e l'Illuminismo cristiano di Papus, Martinez de Pasqually di Constant Chevillon. Mauro Cascio, in questi giorni in libreria con il suo Piazza Dalmazia, aveva dedicato qualche tempo fa un libro a questo affascinante argomento: All'ombra della Riconciliazione.

lunedì 11 dicembre 2017

Il Sommo Sacerdote del Gran Capitolo dell'Arco Reale d'Italia Tiziano Busca: «La Massoneria colora di sacro il nostro agire»

Tiziano Busca. Sullo sfondo il Gran Sacerdote del Capitolo Acacia di Milano Massimo Pica

«La Massoneria è simbolo, un simbolo che guida una riflessione, che orienta una compressione. Un linguaggio che tante volte trascuriamo, perché presi da mille cose e che pure non è un 'accidente' della Massoneria, ma la sua natura. Tutto ci parla, come le pietre parlavano agli antichi costruttori di cattedrali. Adesso abbiamo un Tempio, che è il Tempio di Re Salomone, che è qui a dirci il nostro compito e il nostro destino, come stiamo proponendo nei nostri moduli seminariali. Ma anche il Gabinetto di Riflessione, i viaggi, il pavimento a scacchi sono qui a suggerirci che c'è un messaggio dietro le cose. Non dimentichiamolo mai: non c'è solo la cronaca, la società, c'è anche una struttura che sta prima delle cose e oltre gli eventi. A quella struttura, la si chiami paradiso, la si chiami verità, apparteniamo. E la Massoneria in generale, e il Rito di York in particolare, è qui per questo: per dare un senso sacro al proprio muoversi nel mondo, al proprio agire». Lo ha detto Tiziano Busca, Sommo Sacerdote del Gran Capitolo dei Liberi Muratori dell'Arco Reale, a margine dell'iniziativa seminariale a Milano.

Ascolta tutto l'intervento (registrazione di Giovanni Vinci)

giovedì 7 dicembre 2017

Mosè fu un iniziato?


di Michele de Simone



[...] Trattare la figura di Mosè mi ha richiesto uno studio ed un impegno che sinceramente in qualche momento mi ha creato non poche perplessità. L’ho trovato un personaggio difficile da decifrare per quanto abbia cercato di cogliere tutte le sfumature che sono stato in grado di percepire.
Il metodo che ho usato per tracciare questo lavoro, è stato quello di partire da una sia pur breve ma necessaria ricostruzione della vita di Mosè e degli avvenimenti che sono narrati nella Bibbia, precisamente nell’Esodo; in un secondo momento Vi proporrò alcune considerazioni elaborate dalla lettura di autori del passato che hanno studiato la controversa figura di Mosè.
Nacque da Amron e Jochebed, sposi nomadi che con il loro popolo si erano stabiliti in Egitto vivendo per decenni pacificamente a stretto contatto con il popolo di quel paese.
Il faraone Ekenofi IV si rese conto, forse sarebbe meglio dire decise, che il popolo israelita all’interno dell’Egitto fosse diventato troppo numeroso e potente e pertanto, con il suo esercito, rese schiava la popolazione ebrea obbligandola a lavori pesantissimi e, affinchè non si moltiplicassero, ordinò alle levatrici di uccidere tutti i figli maschi che nascevano.
Sto sintetizzando molto gli eventi di cui parlo che pure potrebbero essere descritti in modo più dettagliato, ma non vorrei tediare[...], certamente queste vicende sono note.
Dicevo delle levatrici le quali, coraggiosamente, non rispettarono tali ordini e con scuse giustificarono il loro comportamento al Faraone.
Al fine di non far correre rischi a loro figlio, Amron e Jochebed decisero di affidarlo, sistemato in una cesta di papiro, alle acque del Nilo presso un folto canneto.
La sorella del Faraone, che era solita recarsi in quelle acque, lo trovò e, pur comprendendo che si trattava del figlio di Ebrei, decise di tenerlo con se adottandolo.

1.
Ricordo che siamo nell’ambito di leggende, di fatti narrati in un certo modo anche per compiacere alle aspettative del popolo, però non paia strano quanto detto, perché la religione egizia premiava le buone azioni e le donne egizie avevano raggiunto una discreta parità di diritti con gli uomini al punto di poter anche adottare un figlio.
Le antiche scritture ci dicono che la sorella di Mosè, Miriam, con uno stratagemma, fece in modo di far allattare Mosè alla vera madre che potè in questa maniera trasferire al ragazzo una sia pur minima conoscenza del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe.
Fu questo un primo iniziale incipit del giovane Mosè, il quale vivendo a corte, figlio della sorella del Faraone, fu istruito in tutta la saggezza degli Egiziani, come dice la Bibbia (7,22). Accadde un episodio che modificò l’esistenza di Mosè, sino ad allora apprezzato uomo inserito nella società egiziana.
Assistette al linciaggio di un israelita da parte di un egiziano ed ebbe una reazione drastica: uccise l’egiziano e nascose il cadavere. Tale reazione non fu quella di un uomo impulsivo come pure si è ipotizzato, ma fu probabilmente un gesto che evidenziava la fede di Mosè circa la promessa liberazione di Israele dall’Egitto.
Forse pensava che tale gesto avrebbe sollecitato il popolo a ribellarsi.
Non fu così, e quando la notizia giunse al Faraone, Mosè per salvarsi, fuggì a Madian dove sposò Zippora.
Qui visse 40 anni come pastore sino a quando, conducendo le greggi del suocero al pascolo, gli apparve l’Angelo di Geova in un roveto ardente, un rovo di acacia, che bruciava senza consumarsi mai; l’Angelo gli comandò di recarsi dal Faraone perché facesse uscire il popolo di Israele dall’Egitto.
Mosè, scosso da tale apparizione, superò i dubbi e le paure e decise di recarsi dal Faraone convinto di avere al proprio fianco il vero Dio; la tradizione cristiana ci racconta dei tanti tentativi fatti da Mosè per convincere il Faraone a lasciare andare il popolo ebraico; sappiamo che per dare forza alla richiesta di Mosè Iddio lo dotò anche di poteri soprannaturali che solo un essere superiore gli avrebbe potuto attribuire.
Mosè avvisò il Faraone che se non avesse fatto uscire il popolo di Dio dall’Egitto si sarebbero abbattute su quest’ultimo molti disastri, le famose dieci piaghe d’Egitto, la cui ultima culminava nell’uccisione da parte del Dio degli Israeliti di tutti i primogeniti degli egiziani.
Il Faraone non ascoltò ragioni, al contrario peggiorò le condizioni di vita degli schiavi ebrei.

2.
Arrivò dunque sull’Egitto anche l’ultima piaga minacciata dal Signore della quale l’Esodo ci fa un resoconto dettagliato e particolareggiato: la morte dei primogeniti egiziani fece alzare, in piena notte, un grido così grande ed atroce che mai vi era stato in Egitto e mai più si sarebbe udito.
Il popolo di Israele partì, sollecitato a farlo dagli egiziani che temevano di essere messi a morte anche loro dal Dio degli schiavi.
Mosè seguiva gli insegnamenti del suo Maestro e come sappiamo attraversò il Mar Rosso che invece inghiottì gli inseguitori egiziani; il popolo vide la grande potenza dell’Eterno, ne ebbe paura e credette in Lui e nel suo servo Mosè (così in Esodo 1-14).
Brevemente, ma necessariamente, devo continuare in questa mia narrazione di quanto è scritto nell’Esodo; serve a tratteggiare la figura di Mosè che superato l’ostacolo del Mar Rosso fece giungere il popolo a Mara dove non potè bere perché l’acqua era amara; il popolo si lamentò con Mosè, avevano sete.
Egli allora invocò il Signore che gli indicò un pezzo di legno da gettare in acqua; così fece e l’acqua immediatamente divenne dolce. In quel luogo il Signore diede al popolo un insegnamento, la Bibbia ci dice più esattamente, una legge ed una prescrizione: cito testualmente:
«Se tu popolo ascolti attentamente la voce del Signore io non ti infliggerò nessuna punizione come ho inflitto agli egizi, perché io sono il Signore, colui che ti guarisce».
Il viaggio del popolo guidato da Mosè continua poi verso il Monte Sinai, ma essendo gli Israeliti un popolo “dal collo duro”, come viene detto più volte nella Bibbia, ed essendosi lamentati per la fame, il Signore interviene ancora rassicurandoli che avrebbero mangiato a sazietà carne alla sera e pane al mattino, per come gli sarebbe stato indicato di fare.
Il cammino della comunità guidata da Mosè con le continue indicazioni del Signore, fu lungo e pieno di ostacoli anche a causa del carattere del popolo che ad ogni difficoltà dubitava della presenza del Signore.
Giunti nel deserto del Sinai Dio disse a Mosè di allertare il popolo perché si sarebbe presentato loro sul Monte Sinai. Mosè così fece e dopo tre giorni un forte suono di tromba avvisò che qualcosa stava accadendo; il popolo uscì dall’accampamento e, condotto da Mosè, si fermò ai piedi del monte dal quale il Signore era sceso in mezzo al fuoco.
Dio chiamò Mosè che salì sul Sinai dove ricevette gli ordini da impartire al popolo ed ai Sacerdoti; nessuno poteva fare irruzione verso il Signore per guardarlo pena la morte, ed i Sacerdoti che pure potevano avvicinarsi di più, dovevano essere puri.

3.
Dio diede a Mosè, ai Sacerdoti ed al popolo dei comandi, ed ordinò loro di non adorare altri dei e di non costruire simulacri di oro e di argento, ma solo un altare dove offrire i sacrifici di ringraziamento.
Poi il Signore indicò a Mosè una serie di regole circa i rapporti tra le persone e lo chiamò sul Monte Sinai per consegnargli le tavole con le sue leggi scritte.
Mosè obbedì e gli fu rivelato come il popolo ebraico dovesse adorare Dio, delle offerte che questi dovevano fare e di come dovessero essere fatte; poi consegnò a Mosè le due tavole con le Leggi Divine, I Dieci Comandamenti.
Mosè comunicò al popolo di Israele le istruzioni che aveva ricevute dal Signore circa la costruzione del Tabernacolo, che nella tradizione ebraica significa “luogo della casa di Dio presso gli uomini”; inizialmente era trasportabile e veniva eretto nel deserto per adempiere ai riti sacri; comunicò loro quali fossero le offerte dei materiali che dovevano essere effettuate ed i nomi di coloro che il Signore aveva dotato di particolare intelletto per lo svolgimento di tali lavori, Bezaleel, Ooliab ed altri uomini abili che realizzarono quanto il Signore aveva ordinato.
[...] Non è mio costume scrivere molto, prediligo la sintesi, ma l’argomento di questa sera non mi è stato facile da sintetizzare e dunque perdonatemi se mi soffermo un momento ancora sulla descrizione che la Bibbia fa del Tabernacolo, penso sia utile;
era costituito da una recinzione rettangolare fatta da teli mantenuti da colonne e ricoperto da una tenda realizzata con pelli di animali; si accedeva attraverso due colonne che costituivano l’ingresso ed all’interno vi era un telo che divideva lo spazio in due luoghi; uno era detto Luogo Santo, dove potevano accedere sia i leviti, i sorveglianti del Tabernacolo, sia i Sacerdoti per svolgere i vari servizi previsti; l’altro era detto Luogo Santissimo al cui interno era conservata l’Arca dell’Alleanza che custodiva i Dieci Comandamenti, la verga di acacia di Aaronne e la manna; nel Luogo Santissimo si accedeva attraverso il Luogo Santo e poteva accedervi solo il Sommo Sacerdote che veniva scelto una volta all’anno.
Credo che si possano cogliere affinità, ovviamente considerando i millenni trascorsi, con il Tempio della nostra Istituzione e con quanto avviene nei nostri lavori.
[...]

4.
Il Signore comandò a Mosè quando avrebbe dovuto erigere il Tabernacolo, indicandogli tutti i rituali previsti; Mosè li rispettò: le colonne innalzate, l’altare all’ingresso del Tabernacolo, bruciò l’incenso ed offrì le oblazioni previste, pose la conca con l’acqua affinchè potessero lavarsi le mani ed i piedi prima di avvicinarsi all’altare, così come gli era stato ordinato.
Poi gli ebrei vagarono per molti anni nel deserto e giunti dalle steppe di MOAB sul Monte NEBO il Signore mostrò a Mosè tutto il paese: le terre di GALAAD, NEFTALI, il paese di Giuda sino al Mar Mediterraneo, il NEGHEB, il distretto della Valle di GERICO e le città delle palme sino a ZOAR; Mosè vide la terra promessa ma non vi entrò, morì in quel luogo, nel paese di MOAB, come il Signore aveva deciso per lui.
Fu sepolto nella valle ma sino ad oggi nessuno sa dove sia la sua tomba; aveva 120 anni.
[...] Questo è quanto ci narra la tradizione cristiana, o meglio quanto ho colto dalle letture fatte per affrontare questo lavoro; non faccio conclusioni circa la domanda che mi è stata posta ma credo che ognuno di noi possa trarre qualche convincimento.
Desidero adesso condividere con voi una serie di spunti che spero siano utili a chiarire, prima di tutti a me stesso, una figura tanto complessa ed importante per la storia della cristianità e della quale, sinceramente, mi sono oscure ancora molte cose.
La figura di Mosè è controversa, come detto, e la domanda che molti studiosi si sono posti è: Mosè è una figura della storia o è una figura della memoria?
Non ci sono prove certe della sua esistenza terrena, tutto ci è tramandato senza alcuna prova documentale; alcuni studiosi affermano di una sovrapposizione tra le figure di Ekhnaton (così si faceva chiamare il Faraone Amenofi IV di cui vi ho detto) e Mosè; il primo, il Faraone della cacciata degli Ebrei, fu artefice dello sviluppo in Egitto di una religione monoteista, dunque una contro religione rispetto agli innumerevoli dei che erano adorati all’epoca; non fu un cambiamento duraturo perché alla sua morte tutto ritornò come prima e di lui si cancellò quasi ogni traccia; il secondo, Mosè, anche lui, impose al popolo ebraico di adorare un solo Dio, del quale non si conosceva alcuna sembianza e del quale mai nessun fedele avrebbe potuto costruire immagini.

5.
Anche circa la sua origine ci sono più ipotesi, forse fantasiose o per qualcuno giustamente inverosimili che ritengo valga la pena condividere; il nome di Mosè è sicuramente di origine egizia e significa bambino; ce lo conferma anche Freud, che avventuratosi sul terreno controverso della storia biblica, si chiede per quale ragione nessuno abbia considerato la possibilità che il nostro fosse egizio.
A tale proposito fa delle ipotesi; può essere che un bambino di origine nobile (forse frutto non desiderato di qualche principessa dell’epoca) sia stato collocato in una cesta sul fiume, e qui trovato da un’umile famiglia che lo alleva. Se così fosse avremmo avuto, nelle storie che ci sono tramandate, una “inversione narrativa”; la famiglia è di umili origini mentre chi trova il bambino è una principessa. Quale poteva essere la ragione di questa inversione narrativa? La spiegazione fornita dall’autore, Sigmund Freud, è che tale storia servisse non a glorificare un eroe ma a giudaizzare un egizio. Di tale osservazione vi è riscontro nel racconto biblico dell’Esodo relativamente alla cacciata dall’Egitto; vi è prova infatti di un prolungato soggiorno di Semiti provenienti dalla Palestina in Egitto, gli Hyksos, che ivi regnarono per circa due secoli e furono poi cacciati dagli Egiziani che riconquistarono il potere; con l’inversione narrativa questi avvenimenti, per Freud, divennero una storia di schiavi che Dio liberò facendone il suo popolo eletto.
Teniamo presente, come detto precedentemente, che solo a pochi poteva essere elargita la conoscenza vera; al popolo dovevano essere diffuse storie facili, comprensibili e spaventevoli, affinchè fossero timorosi e rispettosi delle autorità costituite. Per altri autori la storia è diversa ancora; Ecateo ci dice che a causa di una improvvisa epidemia, che gli egiziani ritennero essersi diffusa per la numerosa presenza sul loro territorio di stranieri dediti a culti e costumi differenti dai loro, decisero di cacciarli. Mosè si mise alla guida degli Israeliti portandoli in Palestina, proibendo loro il culto degli dei ed inculcando il principio che “Dio non ha sembianza umana; solo il cielo che circonda la terra è Dio e Signore del Tutto”. Questo per dire come lo stesso personaggio sia visto e raccontato in maniera differente da molti studiosi. Ma torniamo ad una lettura più tradizionale del nostro uomo; tutto il viaggio raccontato nell’Esodo è un insegnamento che Dio fa a Mosè e che questi deve riversare, traducendolo in termini comprensibili, sul popolo di Israele. È un percorso di conoscenza per il protagonista, è una via iniziatica che Mosè percorre pur senza mai vedere il volto del suo Maestro.

6.
Nel suo insegnamento religioso Mosè utilizza molte delle cerimonie che presso gli Egizi costituivano i Misteri Minori (leggi rituali e cerimonie); ma fa ciò con astuzia, perché di fatto predisponeva una nuova scrittura delle leggi rituali in modo da far dimenticare la vecchia e portare gli Ebrei a compiere, in onore di Dio, tutti i riti che avevano svolto sino ad allora per gli idoli.
Perché Dio avrebbe scelto un uomo vissuto alla corte del Faraone per guidare il suo popolo se la dottrina egiziana non avesse incontrato il suo favore? Per tale ragione Dio condusse il suo popolo in Egitto inviandogli poi, per la salvezza, una guida iniziata ai misteri Egizi, una guida che avrebbe dovuto far percorrere ad un intero popolo un percorso di conoscenza e purificazione. Dio scelse Mosè perché era un uomo che aveva conoscenza della letteratura geroglifica egizia, laddove per geroglifici si intendono tutti quei segni simbolici di cui l’Egitto erudito era la patria e volle che scrivesse, occultandole sotto il velo di simboli e segni, alcune delle verità più sacre. Dunque molte di queste scritture contengono due livelli di significato: quelle che agli uomini semplici appaiono come semplici prescrizioni contengono, per i saggi, materie ed argomenti su cui riflettere. Mosè ordinò al popolo di rispettare i riti che erano contenuti nelle leggi, ma pretese anche che gli altri, il cui spirito e la cui comprensione erano superiori, si abituassero a vedere in profondità, a penetrare il significato più nascosto delle leggi.
Esisteva quindi una dottrina essoterica per il popolo ed una esoterica per la popolazione più erudita, i Sacerdoti.
Che compito arduo fu dato a Mosè: annunciare agli Ebrei una divinità senza nome e senza volto ed iniziarli al nuovo culto, all’adorazione di un Dio di cui nessun mortale aveva svelato il segreto; un’impresa impossibile, una doppia enorme fatica quella di far comprendere il concetto di “Io sono tutto” e la logica conseguenza di non far adorare tutti gli altri dei già noti al popolo, un popolo che ad ogni occasione scivolava nel politeismo.
A tale proposito noto similitudini tra le asserzioni della religione egizia ed il contenuto che Dio da disse nell’Esodo (3/14): “IO SONO COLUI CHE E’ ”; a Sais, località Egizia sul Nilo, la statua di Iside reca incisa la seguente epigrafe: “IO SONO TUTTO CIO’ CHE E’ STATO, CHE E’ E SARA’, NESSUN MORTALE HA MAI SCOPERTO IL MIO VELO”.

7.
C’è molta sovrapposizione tra le due affermazioni e nel caso degli egizi certamente si può fare riferimento al segreto della divinità senza nome del periodo di Ekhnaton nota solo a quella parte di uomini che potevano comprenderla, una parte degli eletti. Dunque al popolo una religione politeista, con tanti dei, tante raffigurazioni, tante immagini, tanti pretesi tributi e sacrifici diversi, agli iniziati la comprensione del concetto di Dio UNO-TUTTO, la rivelazione della verità ma anche lo smascheramento della finzione. Ancora qualche osservazione circa il differente livello di conoscenza riservato al popolo ed ai destinati alle cariche pubbliche, i Sacerdoti; [...] ai primi i misteri minori, costituiti da enigmi e simboli che servono ad introdurre gradualmente l’iniziando ai principi della religione: condotta di vita retta, dottrina delle punizioni e delle ricompense divine e tante altre semplici verità che venivano dispensate; ai secondi, i prescelti, la conoscenza dei misteri maggiori che vertono su due elementi: la disillusione (dell’iniziando al quale viene svelato il carattere ingannevole della religione a lui nota e della maggior parte di quanto contenuto nei misteri minori); ed il confronto con la verità (che non può essere insegnata o appresa ma solo contemplata ed acquisita mediante la ragione).
Quanto ci appartengono queste considerazioni! Mi avvio alla conclusione [...], ma consentitemi di dire ancora qualcosa sui simboli, quelli che abbiamo sotto gli occhi nella nostra Loggia; le due colonne del Tempio di Salomone, le frange del velo del Tempio, il pavimento a Mosaico ed il candelabro a sei bracci, le nostre parole sacre e di passo ed in particolare la parola perduta di cui in Massoneria si fa un uso misterioso. La nostra prima iniziazione all’Ordine è, nelle sue cerimonie principali, sovrapponibile all’iniziazione degli Israeliti a popolo di Dio ed al loro arrivo nella terra promessa; come loro, non abbiamo anche noi tutti patito una lunga e terribile sosta in un luogo deserto per prepararci? non abbiamo subito un passaggio attraverso il fuoco e l’acqua ed un viaggio faticoso e pieno di pericoli prima di raggiungere i luoghi sacri?

8.
[...]Io non so se ho risposto alla domanda che mi è stata posta: “Mosè fu un iniziato ?” personalmente ritengo non solo che lo fosse ma che sia stato poi anche un grande Maestro, capace di tutto quanto ci è stato tramandato dalle Sacre Scritture e dagli studi di tanti egittologi, uno per tutti il vescovo anglicano William Warburton il cui studio sulla missione divina di Mosè, diviso in tre volumi per un totale di nove libri, rappresenta uno dei testi di storia della religione e della cultura più significativi dell’Illuminismo europeo, per cui quanto da me elaborato, è veramente una umile tavola di un umile Maestro Apprendista. Or bene, le mie conoscenze limitate non mi consentono di andare oltre ma credo di poter dire che le dottrine degli ebrei possono essere o anche non essere legate a quelle massoniche, però ricordiamoci che in innumerevoli scritti massonici si fa riferimento a queste conoscenze ritenute di fonte divina, e ci basti sapere che vengono praticate nel nostro Ordine..