Tanti massoni tra i protagonisti del Risorgimento. Dai triumviri del governo provvisorio a Garibaldi
Sua Altezza Francesco Stefano di Lorena, Tommaso Crudeli, Antonio Cocchi, il marchese Piero Torrigiani, i triumviri Giuseppe Montanelli, Giuseppe Mazzoni e Francesco Domenico Guerrazzi, il fornaio rivoluzionario Giuseppe Dolfi, il «Barone di ferro» Bettino Ricasoli, Adriano Lemmi, Giuseppe Garibaldi, Ferdinanzo Zanetti, il chirurgo che gli estrasse la pallottola dalla gamba ferita sull’Aspromonte. E Giuseppe Mazzini. Tutti massoni e un carbonaro (il Mazzini). La storia del Risorgimento, della costruzione dell’unità d’Italia, è fatta anche dalla massoneria, presenza costante in Toscana nel Settecento e nell’Ottocento. Capitale della Fratellanza fu per continuità Livorno, dove gli ebrei dettero un apporto importante alle logge, e l’università pisana fu un altro fulcro delle attività. Ma per importanza il primato di anzianità spetta a Firenze. Fu in riva all’Arno, infatti, che nacque la prima loggia italiana.
È il 1732 e il maestro Sewallis Shirley, inglese, come quasi tutti i massoni dell’epoca, scrive ad Antonio Cocchi, medico, specialista in anatomia: «A tutti i Fratelli dell’Onorabilissima società dei framassoni, saluti. Per mezzo di questi segni e dei simboli vi è richiesta la presenza a Villa di Settignano per le ore dodici, oppure alle ore tredici a Maiano da dove in processione regolare, forniti di guanti, grembiuli e di tutto il resto vorrete marciare fino a Fiesole dove dopo aver esaminato secondo strette regole massoniche gli edifici, i colonnati e le altre nobili vestigia della nostra Arte edificati nell’antichità dai nostri Fratelli, gli antichi romani, voi farete ritorno a Maiano per il rinfresco. Poscia procederete regolarmente alla Villa di Settignano ove si ordina sia tenuta la Loggia» . Cocchi, che ebbe l’onore nel 1736 di essere tra gli scienziati che trasportarono le ossa di Galileo Galilei nel sepolcro in Santa Croce, fu forse il primo italiano ad essere ammesso ad una loggia e poco dopo toccò a Tommaso Crudeli, nato a Poppi. poeta casentinese però pagò carissima sua libertà di pensiero. I tempi erano diventati difficili quando nel 1738 Papa Clemente XII aveva emanato una bolla contro i framassoni e l’anno dopo Crudeli fu arrestato e incarcerato dall’Inquisizione a Santa Croce. Nonostante i tentativi di farlo fuggire, la prigionia, durissima, durò 16 mesi e quando fu liberato nel 1740 dopo la condanna per eresia il suo fisico era ormai minato dalla tubercolosi (Crudeli morì nel 1745 e il suo martirio fu cantato anche da Diderot). Nonostante la pressione della Chiesa e del «partito spagnolo » , la Fratellanza crebbe all’ombra della corte granducale, fino ad arrivare al nuovo secolo quando divenne filo-francese (celebre la Loggia Napoleone a Firenze fondata nel 1807). Nuove logge nacquero a Livorno e a Siena, varando rituali assurdi, guidati in Toscana dal Fratello Terribile, che miravano ad impaurire e confondere i tanti nuovi adepti. «In Italia sono attivi — scrisse in un rapporto Giuseppe Valtancoli, la famigerata ma poco affidabile spia infiltrata tra massoni e carbonari dal Granduca Lorena — 25 gradi di rito antico della Massoneria di Perfezione, 33 gradi del Rito antico accettato, 33 gradi del Rito antico scozzese filosofico, 12 gradi della Riforma del 1802-Massoneria napoleonica, 33 gradi del Rito antico scozzese templare» .
Con la restaurazione seguita alla fine di Napoleone l’attività delle logge cessò quasi completamente, per passare il testimone alla Carboneria. Tra i carbonari c’era un giovane, Giuseppe Mazzini, entrato nell’organizzazione segreta nel 1827. Mazzini nel 1829 collaborò all’Indicatore Livornese, presto soppresso dall’occhiuta polizia lorenese e al ritorno da un viaggio toscano per cercare aderenti alla Carboneria, fu tradito, denunciato alla polizia e arrestato. Nel 1831 il rivoluzionario uscì dalla Carboneria, denunciandone tutti i limiti democratici, per fondare la Giovine Italia ed altri seguirono l’esempio del patriota genovese. I tempi erano cambiati. Più dei complotti in Toscana si preferì la lotta politica: «Alle sette e alle logge, si sostituirono i caffè, i gabinetti di lettura e gli altri ritrovi — ha scritto Fulvio Conti— dove si svolse un intenso dibattito pubblico che preparò il terreno all’epilogo risorgimentale e alla riemersione delle strutture massoniche» . Le logge massoniche non sparirono mai (dopo i moti del 1848 e del 1849 e la fuga del Granduca il triumvirato che resse la Toscana fu formato da Giuseppe Montanelli, Francesco Domenico Guerrazzi e Giuseppe Mazzoni, tutti tre Fratelli, con il pratese Mazzoni che arrivò ad essere Gran Maestro della massoneria italiana) e riemersero col Regno d’Italia. Il più famoso massone fu Giuseppe Garibaldi, amico per la pelle di Giuseppe Dolfi, il fornaio fiorentino e massone. che impastava il pane della corte reale a Palazzo Pitti ma lottava per l’unità italiana. Dolfi, assieme al marchese Ferdinando Bartolommei, fu l’artefice della rivoluzione tranquilla del 27 aprile 1859 che vide la partenza del Granduca Canapone per un esilio che non avrebbe più avuto fine, l’instaurazione del governo provvisorio, e gli assembramenti già disciolti a metà pomeriggio perché «la rivoluzione andò a desinare».
L’apoteosi per il fornaio di Borgo San Lorenzo arrivò con la sua passeggiata in carrozza con Giuseppe Garibaldi in Firenze capitale e una folla di fiorentini applaudenti ed entusiasti (correva l’anno 1866). La rinascita della Libera Muratoria fu tumultuosa, ad iniziare dalla loggia Concordia fondata a Firenze nel 1861, portando ad un pullulare di logge in città— tanto che nel 1867 si arrivò a proporre la nascita di un Liceo Massonico Internazionale in riva all’Arno— molte delle quali filo-garibaldine. Proprio a Firenze Garibaldi fu nominato Gran Maestro e massone. Alle riunioni delle logge fiorentine, ci fu anche Bettino Ricasoli, il barone di Brolio che divenne primo ministro alla morte di Cavour. Protagonista della massoneria e del Risorgimento fu poi Adriano Lemmi, livornese, che dopo aver conosciuto Mazzini a Londra, finanziò la Repubblica Romana nel 1849, la spedizione di Carlo Pisacane nel 1857 ed i Mille (fu detto, non a caso, «il banchiere del Risorgimento» ) e alla fine divenne Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, riuscendo nell’impresa di riunificare tutte le varie obbedienze. Il Lemmi riformò la fratellanza, puntò a soci più ricchi, a professioni come quelle dei medici e dei notabili statali, al reticolo di relazioni personali come strumento di potere, mentre simboli e riti perdevano forza esoterica. Cospirazioni e rivoluzioni erano lontane, ma i Fratelli erano sempre attivi: «Molte e molto buone logge a Livorno, molte e molto buone logge a Firenze, operosissime officine a Viareggio, Pisa, Luca, Pistoja, Volterra, Orbetello, Rio Marina, Prato, ad Arezzo dimostrano come la gentile Toscana sia ancora vivo il sacro fuoco della libertà e di tutte le opere generose» , scriveva nel 1880 la Rivista Massonica Italiana. Con l’Ottocento si chiuse un mondo fatto anche di sette più o meno illuminate e progressiste e la massoneria cambiò ancora volto. Ma la Toscana è rimasta terra di logge e di massoni (a Livorno l’anno garibaldino vede in prima fila il Grande Oriente d’Italia), fiera del contributo che i Fratelli hanno dato all’unità d’Italia.
Mauro Bonciani.