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giovedì 24 marzo 2016

Il libro sacro nel grado di Maestro del Marchio


di Marco Galler

Il volume della Legge Sacra

Questo lavoro è dedicato all'approfondimento dei passi e dei riferimenti biblici sui quali il rituale di Maestro del Marchio è fondato; rispetto alle succinte riflessioni esposte al seminario di Almenno San Salvatore, tenterò qui di delinearne un "quadro" più completo e, se mi riuscirà, maggiormente ragionato.

I Lavori del grado si svolgono con il Libro aperto su Matteo XX, che narra la parabola degli operai mandati a lavorare nella vigna; tale passo, recitato per intero dal Venerabilissimo, fa tra l'altro parte integrante del rituale di iniziazione. In esso si racconta del proprietario di una vigna che consegna in tempi diversi, a più operai, il lavoro nel suo campo, concordando con ciascuno una giusta retribuzione; e del malcontento e del reclamo di coloro che più hanno lavorato, quando a fine giornata si accorgono che a tutti viene pagato lo stesso salario. Si deve qui intendere, ovviamente, che il proprietario della vigna è Dio, gli operai siamo noi, e la retribuzione ha carattere spirituale.
Ho sempre pensato a questa parabola nei termini di distanza, abissale, tra la giustizia divina e la giustizia degli uomini (nella cui ottica appare insensato premiare allo stesso modo il maggiore ed il minor lavoro). Una lettura solo un poco più attenta mi ha però condotto ad una "scoperta" sorprendente, che può anche assumere carattere di conferma per colui che ne possa aver già "sentore": essa è che in realtà non esistono due giustizie, diverse, una degli uomini e una di Dio; bensì una, una sola giustizia, la Sua. E se le cose stanno così, la difficoltà degli operai – la nostra, difficoltà - consiste in definitiva nella sola capacità di conoscere, e riconoscere, quest'unica giustizia.
Anche a cercarla, nella parabola non v'è traccia alcuna di ingiustizia. Ciò che illumina è la risposta data dal proprietario della vigna ad uno degli operai, in special modo l'inizio: «Amico mio, io non ti faccio alcun torto; non abbiamo pattuito un denaro? Prendi quello che ti è dovuto e vattene». Le lamentele degli operai non sono causate da inadempienza del datore di lavoro, né parziale né totale, verso alcuno di loro; egli rispetta pienamente l'accordo pattuito con ciascuno. Le lamentele nascono piuttosto dal sentimento di invidia provato da alcuni operai verso altri di loro ritenuti più fortunati, in ragione di un arbitrario confronto operato tra il caso proprio e quello altrui.
Mi pare si possa qui scorgere con discreta evidenza l'espressione di due principi, uno di divisione ed uno di unità: il primo è naturalmente assegnato al mondo degli uomini, caratterizzato com'è dalla tendenza alla separatività, alla difesa di una effimera esistenza, con tutto il bagaglio di illusori diritti che le fanno da contorno; il secondo è quello di Dio, che tratta tutti allo stesso modo, non riconosce superiorità né alterità di sorta, e paga ciascuno con la stessa identica 'moneta'. Nel testo non viene contestata la realtà del molteplice (più operai), né della diversità (il maggiore ed il minor lavoro); solo, vien posto l'invito a superare questo campo di separazione (individuale), per giungere ad appropriarsi di un punto di vista più universale, secondo il quale 'tutto è uno'. Ne dà conferma il rituale, ponendosi come fa nell'ottica del principio divino, laddove chiarisce quale debba essere l'insegnamento da trarre da questo racconto: «Che fra noi regna l'assoluta [sottolineo: 'assoluta'] uguaglianza. Né per anzianità, né per cariche, alcuno di noi ha maggiori diritti o minori doveri».
Se poi ci si sofferma sul "prendi quello che ti è dovuto e vattene", possiamo anche operare un collegamento con uno dei due fondamenti che caratterizzano l'iniziando al grado, il quale si rivela dapprincipio per la sua impostura: mi riferisco alla richiesta di un salario non dovuto (l'altro fondamento, per inciso, consiste nella presentazione di una pietra non lavorata da lui). Le condizioni nei due casi si potranno fors'anche considerare diverse, ma la 'morale', se vogliamo dir così, appare sostanzialmente la medesima: accettare quel che ci vien dato, senza lamentele, e non chiedere nulla che non ci spetti, sembrano molto le due facce di una stessa medaglia.
E per finire con la parabola della vigna, ecco cos'altro aggiunge il proprietario nella sua risposta all'operaio: «Io voglio dare a questi ultimi quanto ho dato a te. Non mi è lecito fare quello che voglio dei miei beni?». Come non riflettere che tutto quel che siamo, tutto quel che abbiamo, sia interamente dovuto alla Volontà del Principio Unico, o, se si vuol dire diversamente, Sua manifestazione? I 'beni', egli dice, sono suoi; se è così, come non compenetrarsi fin nel midollo della prospettiva per cui 'tutto è dono'? Di che lamentarsi, dunque! «O vedi di mal occhio che io sia buono?».

Veniamo ora alle letture veterotestamentarie recitate dal Venerabilissimo durante il compimento da parte del candidato dei quattro viaggi iniziatici. Dal Libro di Ezechiele, XLIV (44):
1° viaggio: «Egli mi fece ritornare per la via della porta esterna del santuario che si trova di fronte all’Oriente. Ma essa era chiusa».
2° viaggio: «Jehova mi ha detto: questa porta resterà chiusa; essa non sarà aperta e nessuno vi entrerà, perché Jehova, Dio d’Israele, vi è entrato. Essa resterà chiusa».
3° viaggio: «Solo il principe eminente potrà sedersi per mangiare il suo pane davanti a Jehova. Egli entrerà dal vestibolo della porta del Tempio ed uscirà per la stessa strada».
4° viaggio: «Jehova mi ha detto: Figliolo dell’Uomo, sforzati, con tutto il tuo cuore [mark well], a vedere con i tuoi occhi e ad ascoltare con le tue orecchie tutto quello che sto per dirti sulle disposizioni della Casa di Jehova e delle sue leggi. Tu farai attenzione con tutto il cuore all’entrata della Casa ed a tutte le uscite del santuario».
Queste letture, insieme ai viaggi cui sono intimamente legate, rese solenni dalla progressione dei colpi di maglietto delle tre Luci (da uno a quattro, numero simbolo del grado), ritengo possano con buona ragione venir considerate il 'cuore' stesso dell'iniziazione a Maestro del Marchio.
Nel rituale, esse si trovano tra due 'momenti' che a mio parere ne evidenziano la centralità. Ciò che precede è la fase di preparazione del candidato: scoperta la sua duplice impostura - come ricordavo: presentazione di una pietra non sua, e richiesta di un salario non dovuto -, egli viene ricondotto alle cave per ricevere istruzione "sulle regole alle quali obbediscono gli operai onesti"; reintrodotto quindi nel Tempio avvolto da quattro spire di una cordicella rossa, gli viene simbolicamente 'aperto' il cuore con altrettanti colpi di scalpello e mazzuolo. Mentre quel che avviene successivamente è la comunicazione dei segreti del grado, ma ancor più e soprattutto, il giuramento prestato all'ara, ginocchia a terra e mani incrociate sul compasso, sulla squadra, e sul Libro Sacro.
E cosa ci dicono queste quattro letture? Proviamo a dare una risposta.
Anzitutto, si potrebbe dire che non noi abbiamo scelto la Massoneria, ma la Massoneria ha scelto noi: «Egli mi fece ritornare per la via della porta esterna del santuario». Poi, che la via da noi intrapresa è, fra tutte, la più ardua e difficile, perché la sua mèta è, fra tutte, la più ardua e difficile (ché anzi: a rigor di termini, essa non ha in realtà comune misura con alcun'altra impresa): «Questa porta resterà chiusa; essa non sarà aperta e nessuno vi entrerà, perché Jehova, Dio d’Israele, vi è entrato». Quindi, che questa chiamata è davvero un'elezione, un dono che il Cielo nasconde alle moltitudini: «Solo il principe eminente potrà sedersi per mangiare il suo pane davanti a Jehova». Infine, che quel 'pane' da mangiare al cospetto di Jehova è nientemeno che 'divina conoscenza', Dio stesso che parla, e squaderna l'intero Universo – la Sua Casa - al nostro intelletto: «Jehova mi ha detto: Figliolo dell’Uomo, sforzati, con tutto il tuo cuore, a vedere con i tuoi occhi e ad ascoltare con le tue orecchie tutto quello che sto per dirti sulle disposizioni della Casa di Jehova e delle sue leggi».

Affrontando i passi biblici legati ai quattro viaggi, m'è incorso di parlare di centralità, di 'cuore' del rituale iniziatico; ciò nondimeno, non può esser posto in discussione che il senso ultimo della promozione - come viene chiamata - a Maestro del Marchio, debba individuarsi nel ritrovamento di quella pietra né rettangolare né quadrata, dapprima gettata tra gli scarti, eppure destinata a coronare la principale cupola del Tempio: la chiave di volta.
Nel rituale del grado abbiamo due passi della Bibbia che vi si riferiscono; non essendovene poi altri da trattare, m'avvio a concludere così queste riflessioni.

Il primo riferimento alla chiave di volta lo troviamo all'inizio dei lavori, allorché il Venerabilissimo, prima di dichiarare aperta la Loggia, si rivolge ai Compagni con una esortazione che conclude in questo modo: «Nel Libro Sacro sta scritto: "Sappiate che Io ho posto in Sion una preziosa pietra angolare, una solida fondazione; la pietra che non contava nulla per i costruttori diventa la chiave di volta del Tempio"». Il passo biblico riportato si divide in due distinte affermazioni; prendiamole brevemente in esame.
La pietra preziosa di cui si parla, indipendentemente dal riconoscimento degli uomini, è detta essere 'una solida fondazione'; ebbene, come prima cosa possiamo rilevare che tale qualità di 'fondazione', con l'annesso rafforzativo, viene attribuita alla pietra che nella costruzione è destinata ad occupare il punto più elevato. Una fondazione che sta in alto: tale è la chiave di volta. Come non pensare immediatamente al simbolo dell'albero rovesciato, ed alle sue radici celesti?
Vien detto poi dei costruttori, del loro gettar via quel che in seguito si rivela, anche letteralmente, fondamentale. Non è la pietra a mutare di qualità, né funzione: essa è e rimane il termine del Sacro Tempio, il punto focale su cui l'intero edificio poggia, e grazie al quale vive; e ciò, è da intendere, anche quando non venga riconosciuta, e si ritrovi abbandonata tra gli scarti. A cambiare sono invece i costruttori: da ottusi e ciechi, pensano di poter edificare la Casa del Signore soltanto con pietre rettangolari e quadrate, contrassegnate da un marchio conosciuto (ovvero: con le sole forze e capacità umane, individuali); accortisi però che il lavoro così concepito non può bastare, che il Sacro Tempio non potrà in tal modo venir mai ultimato, si mettono alla ricerca, e ri-trovano, quella sola ed unica pietra capace di conferire unità e completezza, e senso, alla costruzione divina (ovvero: non si giunge a Dio, che per mezzo di Dio).

Che la chiave di volta sia una 'pietra celeste', come si è implicitamente inteso, non può quindi già dubitarsi; ne abbiamo ad ogni buon conto ulteriore e definitiva conferma nell'ultimo passo biblico che ci rimane da considerare, inserito nel discorso che il Venerabilissimo rivolge al candidato allorché la pietra, da perduta che era, è ritrovata. In esso si afferma esplicitamente che la chiave di volta viene direttamente da Dio, non solo; è detto anche che essa vivifica e rinnova segretamente l' 'edificio' costruito secondo le regole dell'Arte: «A colui che vincerà, Io darò da mangiare della manna nascosta, Io gli darò una pietra bianca e su questa pietra sarà scritto un nome nuovo, che nessuno conosce, solo colui che la riceverà».
Sarà poi nell'Arco Reale, che la pietra scartata dai costruttori troverà giusta e perfetta collocazione, ma è qui, nel grado di Maestro del Marchio, che avviene il suo ritrovamento. Con essa, riceviamo nutrimento di un insegnamento più nascosto; e una nuova identità, affrancata da ogni ulteriore scarto e abbandono, perché è la – ritrovata - chiave di volta del Tempio.

Tiziano Busca illustra il simbolismo del Marchio in ebraico

mercoledì 23 marzo 2016

L’8 aprile il Grande Oriente d'Italia alla Moschea di Colle Val d’Elsa per parlare di libertà e democrazia


“E’ con la forza della ragione, del dialogo e del confronto che bisogna rispondere ai barbari attacchi come quello che ieri a Bruxelles ha seminato orrore e morte. Ci credono fortemente i Liberi Muratori del Grande Oriente d’Italia che sono convinti che tutte insieme le forze moderate del mondo, portatrici di tolleranza e pace, possano fermare la violenza cieca di questa brutale ondata di terrorismo che ci assedia”.  Lo sottolinea il Gran Maestro Stefano Bisi, annunciando la scelta della Moschea di Colle Val d’Elsa, in Toscana, vicino Siena,  un luogo che è stato a lungo al centro di polemiche – la scrittrice Oriana Fallaci cercò con tutte le forze di impedirne la costruzione-  per tenere il prossimo convegno dedicato ai 70 anni della Repubblica, un anniversario che il Goi  celebrerà con una serie di eventi il primo dei quali si è già  tenuto a Reggio Emilia ed è stato dedicato a Meuccio Ruini, uno dei padri della Costituzione. “La ricchezza della diversità, l’Eguaglianza nella Libertà” è il titolo dell’incontro, al quale parteciperà l’imam Abdel Qader,  in calendario per l’8 aprile alle ore 20.  Un momento che si propone di essere un’occasione per riflettere sulla nostra storia, la storia d’Italia, per raccontare ai giovani come è nata la Repubblica e quanto sia stato alto il prezzo che tanti uomini e donne hanno pagato in nome della libertà e della democrazia, quella libertà e democrazia che oggi dobbiamo continuare a difendere.
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Tiziano Busca sui fatti di Bruxelles: «Non è tempo di mostrare debolezza»




Il Sommo Sacerdote del Gran Capitolo dei Maestri dell’Arco Reale - Rito di York Tiziano Busca è intervenuto in merito agli attacchi terroristici che hanno provocato decine di morti e centinaia  di feriti a Bruxelles.

« Sono giorni di terrore,di rumore, di paura, di dubbio. Il dubbio, da iniziati, dovrebbe farci sentire anche quello spiffero che vuole diventare vento. Come Maestri dell'Arco Reale dobbiamo trovare, nello spazio della emozione, la via dialogo e da qui ripartire. Noi abbiamo la forza dei nostri valori, e la forza delle nostre tradizioni.  Anche in momenti come questi  il nostro spirito dialogante deve affermarsi nella storia e nella cronaca. Dobbiamo recuperare la nostra anima di viaggiatori e di cercatori e raccogliere lo spirito vero della accoglienza e della multiculturalità. Noi siamo per l’incontro delle differenze, non per la morte delle differenze. Noi siamo per la valorizzazione delle culture e per la esaltazione della tolleranza. Noi siamo per il rispetto della uguaglianza, che non vuol dire essere appiattiti da uniforme grigiore. In questi giorni di terrore e di parole noi dovremmo sentire nei nostri cuori riecheggiare un rimprovero, quello di non essere tolleranti verso l’intolleranza. In questi giorni di terrore e di parole noi dovremmo manifestare la forza di essere guardiani e critici verso culture e azioni che non conoscono il dialogo. I fatti di Bruxelles sono un crimine contro l’umanità, come lo sono stati Londra e Parigi. Mai e in nessun modo dobbiamo dimostrare debolezza contro questi mostri della ragione, ma sappiamo che la soluzione si trova nella stretta via della Saggezza della Forza e della Bellezza»..

Palmi, nuova edizione di ‘Per colloquia aedificare’


Palmi 2
L’aforisma di C. G. Jung nel depliant del programma
Parte a maggio il nuovo ciclo di “Per colloquia aedificare”, la rassegna culturale curata dalla Loggia Pitagora-Ventinove Agosto (1168) di Palmi che nel 2016 ha raggiunto la sedicesima edizione. Sono tre gli appuntamenti in programma che quest’anno sono dedicati al tema “Initium, tra percorsi, sogni e segni”. Intervengono: il 27 maggio, il presidente del Collegio Circoscrizionale della Calabria, Marcello Colloca; il 14 ottobre, il Gran Maestro Onorario Ugo Bellantoni; l’11 novembre il Primo Gran Sorvegliante Antonio Seminario.
Per tutti gli incontri, riservati agli esponenti del Grande Oriente d’Italia, appuntamento alle ore 19 nella casa massonica di Palmi.

ALLEGATI

Il primo passo per ottenere dalla vita le cose che volete è decidere cosa volete



Nella loro apparente ovvietà, queste parole di B. Stein suggeriscono una grande verità: come posso ottenere ciò che voglio se non ho chiaro di cosa si tratta? Ma forse la difficoltà è proprio qui, nell’avere il coraggio di lasciar parlare la nostra Anima e decidere con onestà e franchezza quali sono i nostri veri obiettivi, senza lasciare che la decisione venga presa in base al “ciò che conviene” o al “ciò che gli altri si aspettano da me”. Posso ottenere ciò che voglio davvero soltanto nel momento in cui smetto di volere solo ciò che penso di poter ottenere.

Gli strumenti sono tutti sul tavolo, a nostra disposizione. E a noi, Demiurghi della nostra esistenza, non resta che scegliere cosa realizzare e dare inizio alla Creazione!

«L’uomo che acquisisce la coscienza e la padronanza del proprio desiderare amplia all’infinito il suo potenziale e governa senza sforzo il processo che dalla potenza conduce all’atto».
G. Policardo, Desideriologia. La Scienza della Vita
(in uscita per Spazio Interiore, aprile 2016)

Massoni della Loggia urbinate nell'impresa fiumana



In questo articolo, la vicenda di due membri della R.L. Victor Hugo all'Or. di Urbino che ebbero un ruolo, a diverso titolo, nell'impresa fiumana:

clicca qui per leggere l'articolo

martedì 22 marzo 2016

Auguri di Buona Pasqua dai Fratelli della Loggia Heredom





A nome mio, del Maestro Venerabile, degli Ufficiali e di tutti i Fratelli della Loggia Heredom 1224 di Cagliari, giungano a Voi ed alle Vostre famiglie i migliori auguri di una serena Pasqua.

Su comando del Maestro Venerabile

Sinceramente e Fraternamente

Fr. B.L. Segretario

Il Gran Maestro Stefano Bisi sugli attacchi terroristici a Bruxelles: “Coraggio e Unione a difesa della Libertà e della Grande Patria dell’Umanità”


Il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Stefano Bisi, è intervenuto in merito agli attacchi terroristici che hanno provocato 34 morti e oltre cento feriti stamane all’aeroporto di Zaventem ed alle fermate della metropolitana di Bruxelles.
“L’ignobile e barbaro attacco di Bruxelles è l’ennesimo crimine compiuto da questi bruti oppressori della democrazia e della vita nei confronti dell’Umanità. Questi vili assassini, confusi tra di noi ed in costante agguato, vogliono colpire al cuore l’Europa e seminare distruzione, paura, odio, razzismo. Vogliono colpire al cuore quella Libertà e i valori che essa ha sempre incarnato. I Liberi Muratori del Grande Oriente d’Italia sono vicini ai familiari delle vittime, al governo, al popolo ed ai fratelli del Belgio, ed invitano tutte le nazioni ad avere il necessario coraggio e la più totale unità nel reprimere e respingere questi mostri dell’intolleranza e del fanatismo. Da fratelli e sentinelle della Libertà non possiamo consentire che i confini della grande Patria dell’Umanità siano messi in discussione e in pericolo”.

Un antico rituale massonico giovanile

di Marco Rocchi



Un raro documento: il rituale originale (in inglese) dell'Ordine delle Api (Order of Bees), un ordine massonico giovanile istituito nel 1921.

Il Commentario del Mutus Liber



Il Mutus liber rappresenta un testo enigmatico di alchimia in quanto composto di sole immagini senza alcun commento. Rappresenta il percorso da seguire per compiere la Grande Opera attraverso la “via umida” L’iconografia, da sola, dovrebbe bastare per capire quali sono i procedimenti necessari per arrivare a questo agognato traguardo. Non si potrebbe dare alcuna spiegazione se non si interpretano i simboli in maniera corretta. L’autore di questo commento non pretende di dare una esaustiva esplicazione in quanto, implicitamente, ammetterebbe di aver ottenuto la famosa “pietra filosofale”, cosa in realtà non vera, ma sulla scorta di commenti precedenti da parte di autori che hanno scritto il loro nome nella storia dell’alchimia, mette a disposizione del lettore la sua esperienza evidenziando, non soltanto l’aspetto materiale ma quello animico spirituale ,sperando che questo suo sforzo possa dare animo ad una riflessione sul messaggio che l’autore del Mutus Liber ha inteso inviarci attraverso le varie raffigurazioni. Per Tipheret in uscita questa bella edizione commentata da Rosario Marcello Puglisi.

Terni, Comune e Massoneria celebrano la Repubblica


L’articolo del 21 marzo 2016 su lanazione.it

lunedì 21 marzo 2016

l Cristo velato e la favola nera del principe / Il Mattino


La scultura sembrava viva sotto il velo di marmo bianco: cinquecento ducati dal Banco per l’affare della vita (articolo di Vittorio Del Tufo).
Il Cristo Velato nella Cappella di Sansevero a Napoli
Il Cristo Velato nella Cappella di Sansevero a Napoli
Allora era vero, era così che doveva andare: il mio Maestro avrebbe unito per sempre il destino di quel giovane e gracile artista al suo. Allora era vero quello che, da umile servitore, mi ero permesso di sussurrargli un giorno all’orecchio: principe, facciamo nostra l’opera di quel magnifico scalpellista e vedrete, diventeremo immortali Lui, immortale, si era illuso forse di diventarlo davvero, ma la barbarie dei tempi non gli rendeva giustizia: perché erano ancora tempi superstiziosi e cupi quelli in cui viveva il mio Maestro, settimo principe di Sansevero, tra gli effluvi dolciastri di laboratori nei quali cercava di penetrare i segreti del creato e i capolavori senza tempo della cappella che aveva trasformato in un labirinto iniziatico. Lui, immortale, sperava di diventarlo davvero ed è per questo che posò lo sguardo, con cento anni di anticipo rispetto agli uomini del suo tempo, sulla scienza e sulla genetica, sulla meccanica e sulla medicina, sulla fisica e sulla geometria, mentre la Chiesa lo considerava un elemento da Santo Uffizio, e molti si segnavano quando lo incrociavano nel cammino, e solo la monarchia borbonica ne apprezzava l’ingegno. Napoli, anno del Signore 1754, il pomeriggio del 13 febbraio. Non vi erano esalazioni di laboratori alchemici ai piani nobili di Palazzo di Sangro dei principi di Sansevero.
Interno della Cappella di Sansevero
Interno della Cappella di Sansevero
Al civico 9 di piazza San Domenico tre uomini discutevano d’affari; uno di quegli uomini ero io, Giovanni Tibet, il servitore di don Raimondo. Eravamo seduti attorno a un grande tavolo, davanti a noi vi erano alcuni testi alchemici di cui pochissimi erano a conoscenza. Dalla piazza i suoni arrivavano tenui, ovattati; a poca distanza il dio Nilo osservava i minuscoli traffici che si svolgevano all’ombra della sua faccia barbuta. Mai occasione fu più solenne; attendevo quel momento da tempo e con trepidazione. Quel giorno c’era da perfezionare l’acquisto di una grande opera d’arte: la statua di un Cristo disteso sul letto di morte. Il mio Maestro, l’esoterista, il filosofo, lo stregone, l’astronomo, il poeta, lo scrittore, l’accademico, lo scienziato, l’alchimista, Raimondo il Fratello Massone che dopo aver costituito la loggia Rosa d’Ordine Magno (dall’anagramma del suo nome) aveva scalato tutta la gerarchia della Libera Muratoria fino a divenire il Gran Maestro di tutte le logge napoletane, Raimondo il chimico che molti consideravano pazzo, perché correva voce che avesse preparato nel suo laboratorio da stregone una mistura sacrilega in tutto e per tutto simile al sangue di San Gennaro, sfogliava il volume che campeggiava sul tavolo: era una preziosa traduzione dei Voyages de Cyrus di Michel Ramsay ,un classico della letteratura massonica. Ma quel giorno, il pomeriggio del 13 febbraio 1754, non era il sangue del martire Gennaro, e nemmeno quello versato da Hiram Abif, sommo maestro e architetto del Tempio di Salomone, a ossessionare il mio principe. Raimondo di Sangro, il committente dell’opera, stava per mettere le mani su un pezzo unico al mondo. Con noi, attorno al grande tavolo di casa Sansevero, c’era l’artista che aveva realizzato, in appena novanta giorni, quello spettacolo di devozione e superbia: il poco più che trentenne Giuseppe Sanmartino. Un tipo di poche parole, schivo, macilento, che per scolpire il suo Cristo di pietra si era avvalso del bozzetto del grande maestro veneto Antonio Corradini. Ma poi aveva deciso di seguire la sua ispirazione, di percorrere altre strade. A conti fatti, era stata la migliore decisione della sua vita perché lo avrebbe reso immortale. A tarda sera consegnai l’assegno al pallido e taciturno Sanmartino. L’artista lesse il documento controfirmato da Sansevero: «A Giuseppe Sanmartino ducati 500 per la statua scolpita in marmo di nostro signore Gesù Cristo morto, ricoperto da una sindone di velo trasparente dello stesso marmo, da detto Sanmartino lavorata di tutta soddisfazione». Il giovane scultore approvò: l’accordo era concluso. Il mio Maestro lo abbracciò; suggellarono l’accordo con una stretta di mano.
«Di tutta soddisfazione…». Il pìù soddisfatto di tutti, quel giorno, era proprio don Raimondo: il vero capolavoro lo aveva fatto lui. È vero, aveva pagato una fortuna per aggiudicarsi il progetto, ben cinquecento ducati, nessun tagliapietra, prima di allora, gli aveva chiesto tanto; ma era sicuro che ne sarebbe valsa la pena. Perché quel Cristo disteso sul letto di morte non era, il Maestrolo capì subito, come tutti gli altri: era, semplicemente, una delle opere marmoree più straordinarie al mondo. Il lavoro era terminato un anno prima, nel 1753, e Raimondo ne era rimasto estasiato. «Semplicemente perfetto», mi aveva confidato. Ricordo ancora le parole esatte: «Quell’opera è fatta con tale perizia che ingannerà gli occhi de’ più accurati osservatori». La statua del Redentore era avvolta in un sudario di marmo, che aderiva tanto bene alle forme del volto e del corpo del Cristo da mettere in evidenza le ferite del martirio: le mani e i piedi straziati dai chiodi, la ferita al costato. Carne e sudario erano una sola cosa. Nessuno poteva immaginare che l’opera firmata da Sanmartino sarebbe diventata una delle immagini simbolo di Napoli nel mondo. Il mio Maestro sì, lui lo aveva capito subito. Lo avevano dipinto in tutti i modi, il principe, prima di quel giorno, e ogni pennellata era più nera di quella precedente. Raimondo lo stregone. La favola nera di San Domenico. Il genio pazzo che custodiva nel suo palazzo gli oggetti più strambi di questo mondo: una Lampada Perpetua, o Luce Eterna, composta da una miscela di fosfato di calcio e fosforo ad altissima concentrazione in grado di bruciare fino alla notte dei tempi; un reliquiario identico a quello che conteneva il sangue di San Gennaro, grazie al quale Raimondo, utilizzando mercurio e altre misteriose sostanze (quali non lo confiderà nemmeno agli amici) riusciva a riprodurre nel suo Athanor segreto qualcosa di molto simile alla liquefazione del sangue del santo patrono: una reliquia blasfema degna di un Anticristo! Un esoterista fuori controllo che non esitò a pagare 2000 ducati al suo medico di fiducia, Giuseppe Salerno, per realizzare l’orribile teca dove alloggiare le famigerate macchine anatomiche: un’altra diavoleria grazie alla quale il Maestro e l’anatomista erano riusciti a ricostruire le reti venose e arteriose del corpo umano: un’opera talmente perfetta, e nella sua perfezione raccapricciante, che in molti avevano creduto che per realizzarla il principe non si fosse fatto scrupolo di uccidere due servi, un uomo e una donna incinta, sperimentando poi sui cadaveri una sostanza metallizzante di sua invenzione. Quante calunnie. E quanta invidia.
Le macchine anatomiche di Raimondo di Sangro
Le macchine anatomiche di Raimondo di Sangro
Ora che sorrideva davanti al genio timido e quasi impacciato di Sanmartino, il Maestro pensava che l’Arte, solamente l’Arte con il soffio sublime, e le gemme preziose che stava incastonando, pezzo dopo pezzo, opera dopo opera, nella cappella di famiglia trasformata in uno scrigno di capolavori, avrebbe potuto spazzare via quelle stupide maldicenze, e gli avrebbe restituito il posto che gli spettava nell’Olimpo dei Mecenati. Era o non era, Sansevero, il dotto studioso che per 120 ducati aveva acquistato una bibbia poliglotta dal mercante d’arte Antonio Celemente? Era o non era l’innovatore che aveva realizzato una stamperia nel proprio laboratorio sotterraneo, acquistando ben trentamila caratteri mobili dallo stampatore Nicolò Kommarek? Oh, sì, l’Arte gli avrebbe finalmente reso giustizia. Quella scultura, la più straordinaria di tutte, si sarebbe chiamata Cristo Velato: l’aveva realizzata interamente il giovane scultore napoletano, con una tecnica prodigiosa che avrebbe lasciato sbalordite intere generazioni di studiosi. Nessun oscuro sortilegio, insomma, anche se la straordinaria aderenza del velo-sudario al corpo di Cristo avrebbe autorizzato nei secoli le ipotesi più stravaganti, come quella secondo cui lo stesso Sansevero avrebbe insegnato al Sanmartino la tecnica di marmorizzazione alchemica, grazie alla quale il velo, adagiato sulla statua, si sarebbe poi con il tempo solidificato. Quante bugie: se di prodigio si trattò, fu il miracolo di un genio dell’arte. Il drappeggio, la finezza del velo, la sinuosità delle forme: un capolavoro più bello dei capolavori di Michelangelo. Fin qui il racconto di Giovanni Tibet, l’«umile servitore» di don Raimondo. Spirito ardito e genio del suo tempo; ma, per la storia, Principe Pazzo. La cupa le enda che lo perseguitò in vita lo avrebbe accompagnato pure nei secoli a venire, al punto che ancora, in molti, sono convinti che quel «genio perverso» non si fosse fatto scrupolo di far accecare il povero Sanmartino per impedirgli di realizzare, in futuro, opere di uguale bellezza. È grazie al principe, e alla sua fama sinistra, se l’area di piazza San Domenico Maggiore è ancora oggi considerata il cuore esoterico della città, l’epicentro della Napoli dei misteri. Benedetto Croce, che a don Raimondo ha dedicato pagine superbe nelle sue Storie e Leggende, ha contribuito a dipingerne la favola nera, fotografando così l’ultimo istante di vita del principe maledetto: «Quando sentì non lontano la morte, provvide a risorgere, e da uno schiavo moro si lasciò tagliare a pezzi e ben adattare in una cassa, donde sarebbe balzato fuori vivo e sano a tempo prefisso; senonché la famiglia cercò la cassa, la scoperchiò prima del tempo, mentre i pezzi del corpo erano ancora in processo di saldatura, e il principe, come risvegliato nel sonno, fece per sollevarsi, ma ricadde subito, gettando un urlo di dannato». (4- continua)
ALLEGATI

Gran Loggia 2016, libri in rassegna. L’incontro con gli autori del Sevizio Biblioteca


Servizio BibliotecaAnche quest’anno per la Gran Loggia 2016, il Servizio Biblioteca presenta una ricca rassegna di libri di interesse massonico. Il tradizionale ‘Incontro con gli autori’ propone al Palacongressi di Rimini, per due giorni, ben undici pubblicazioni, spaziando dalla storia alla sociologia, dal simbolismo all’antropologia, con il contributo di firme conosciutissime.  Si parte dal pomeriggio del primo giorno di lavori nella Biblioteca del Vascello per l’occasione in trasferta in Romagna.
Venerdì 1 aprile ● Ore 14:15
BonvecchioIL MITO DELLA PASQUA presentato dall’autore Claudio Bonvecchio, Grande Oratore del Grande Oriente d’Italia, (AlboVersorio). La ricorrenza della Pasqua è intesa non solo come l’annuncio dell’arrivo della Primavera e la celebrazione di eventi religiosi ma anche come una gioiosa festività conviviale: una abitudine gradita che segna e consolida i rapporti famigliari e amicali. Per affinità la sua celebrazione può essere assimilata agli antichi festeggiamenti pagani che segnavano, simbolicamente e ritualmente, l’arrivo della bella stagione e perciò della Primavera. Com’è facile dedurre, la Pasqua, in questo senso, amplia il proprio significato e diventa qualcosa di ben più antico e ancestrale: un significato che attiene, strettamente e come si è accennato, al pensiero mitico. Claudio Bonvecchioè professore ordinario di Filosofia delle Scienze Sociali, coordinatore del dottorato in Filosofia delle Scienze Sociali e Comunicazione Simbolica all’Università degli Studi dell’Insubria di Varese e membro di numerosi comitati scientifici e di prestigiosi istituti di ricerca italiani e stranieri. È autore di numerosissimi saggi, articoli e pubblicazioni scientifiche sul tema della Tradizione esoterica, della simbologia, della mitologia e della mitologia politica. Citiamo: Il sacro e la cavalleria (2005), Esoterismo e massoneria(2007), I viaggi dei filosofi (2008), La magia e il sacro (2010).
Venerdì 1 aprile ● Ore 14:45
Bonvecchio 2PASSI SULLA VIA INIZIATICA di Emilio Servadio presentato da Claudio Bonvecchio, Grande Oratore del Grande Oriente d’Italia, (Mediterranee). L’attuale confusione tra sacro e profano può essere riconosciuta come uno di quei “segni dei tempi” anticipati da René Guénon e da altri lungimiranti autori. Tale contaminazione di livelli viene non solo attuata, ma a essa si cercano capziose quanto inconsistenti giustificazioni. Inoltre, spesso si compiono inaccettabili mescolanze di discipline traendone impossibili paragoni, e scambiando, non di rado, le cause con gli effetti. Questo volume dimostra come sia possibile, malgrado tutto, operare distinzioni nette tra scienza sacra e scienza profana. Servadio, che ha approfondito studi in diverse discipline (psicoanalisi, parapsicologia e sessuologia) ritiene, sulla base delle sue lunghe esperienze, che esistano piani dell’essere che nessuno strumento scientifico può far attingere o manifestare e che vanno posti sotto l’insegna del “sacro”. L’uomo può compiere esperienze su tali piani mediante l’uso di tecniche rivelate dalle religioni e dalla tradizione. L’autore ha qui raccolto le sue conoscenze in materia e offre spunti di riflessione sul cammino impegnativo della via iniziatica. Emilio Servadio è soprattutto noto come psicoanalista e parapsicologo. Tanto la Società Psicoanalitica Italiana, quanto la Società Italiana di Parapsicologia, lo hanno avuto tra i fondatori. I suoi libri, i suoi molti saggi scientifici, i suoi numerosissimi articoli divulgativi, gli hanno dato larga fama in tutto il mondo. Ma Servadio è stato anche un rigoroso cultore di discipline esoteriche. A Roma, dal 1929 al 1938, fece parte di un ristretto gruppo di studiosi di tali discipline. Un soggiorno di sette anni in Oriente gli consentì di avvicinare esponenti della più pura tradizione indiana, e di fruire del loro insegnamento. Tornato in Italia, ha continuato nel proprio iter, insieme con altri «compagni di strada». Alcuni frutti di tale esperienza – più riservata e intima – di Servadio, sono gli articoli contenuti in questo volume, con il quale l’Autore ha voluto (fra l’altro) manifestare la sua decisa opposizione a tutto ciò che in quest’epoca è abbassamento e profanizzazione di valori. I tempi richiedono che chi sa e può si annunzi e «si comprometta». Il libro Passi sulla via iniziatica è una chiara, anche se contenuta, risposta a tale appello.
Venerdì 1 aprile ● Ore 15:15
MoscaIvan Mosca. L’Uomo, l’Artista, l’Iniziato di autori vari con prefazioni del Gran Maestro Stefano Bisi e del Grande Oratore Claudio Bonvecchio (Mimesis), presentato Francesco Indraccolo. Parmense di nascita, milanese di formazione, romano di adozione, Giovanni “Ivan” Mosca (1915-2005) era un “nobile viaggiatore”, animato da due passioni: l’arte della pittura, che lo ha fatto apprezzare in tutto il mondo, e la ricerca esoterica. Profondo osservatore della Natura, fin da bambino, s’incantava davanti a foglie, fiori, coccinelle, farfalle, mosche, scarabei e – con pochi tratti di carboncino – sapeva tratteggiarne le forme o trasfigurarle, cogliendone l’essenza su “altri” piani della manifestazione. Ivan Mosca aveva il “dono” del colore: gli bastava un attimo per ottenere l’esatta tonalità di ciò che vedeva o di ciò che aveva “intravisto” in quello che lui chiamava “stato di mag”, a metà strada tra magia e contemplazione. Ivan aveva ricevuto la luce massonica il 23 maggio 1947 e, da quel giorno, sembrò non avere pace nello sviscerare – tra Roma, Parigi e Madrid – le discipline della Tradizione occidentale. Dopo aver fondato nel 1969 la Loggia “Monte Sion-Har Tzion” (705) di Roma, svolse per 30 anni i “seminari” d’istruzione seguiti da migliaia di massoni in Italia, Francia e Spagna. I suoi “Quaderni di Simbologia Muratoria”, editi a cura del Grande Oriente d’Italia fra il 1977 e il 1981, sono – ancora  oggi – fonte di spunti e approfondimenti sapienziali. Gran Maestro Aggiunto nella Giunta di Ennio Battelli (1978-’82), e poi Gran Maestro Onorario, Ivan Mosca, 33° e membro effettivo “ad vitam” del Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico e Accettato, è stato a lungo Ispettore Regionale per il Lazio. Francesco Indraccolo è nato a Lecce nel 1943, ma è vissuto a lungo a Milano, dove ha ricevuto la luce massonica nel 1970 e ha conosciuto il Maestro Ivan Mosca nel 1971, e poi si è trasferito a Roma dal 1977 al 1993. Redattore editoriale giornalista, Indraccolo ha lavorato come corrispondente da Città del Messico, Caracas, Buenos Aires, Ginevra e Atene. Studioso di simbologia, ha collaborato alla rivista “Hiram” e ai siti “Monte Sion” e “La Fiammella”.
Venerdì 1 aprile ● Ore 15:45
ScanlanLA LIBERA MURATORIA E IL MISTERO DELL’ACCETTAZIONE di Matthew D.J. Scanlan (Harmonia Mundi), presentato da Fabrizio Forno. È noto che le origini della Massoneria moderna sono avvolte dal mistero. Apparentemente vi sono poche prove dell’esistenza di questo movimento prima della formazione della Grand Lodge of London and Westminster, il 24 giugno 1717, fatto salvo per la notevole eccezione di Elias Ashmole, che fu «fatto Libero Muratore» una settantina di anni prima, a Warrington nel Cheshire. Con poche informazioni sugli altri membri di una sua loggia, per molto tempo si è ritenuto che si trattasse di una forma precoce di loggia «speculativa», anche se il primo impiego di questo termine si ebbe solo dopo quasi quarant’anni dalla nascita della Grand Lodge of London. L’espressione originale utilizzata dalle prime Constitutions massoniche del 1723 era «Libero e Accettato»; tuttavia, quest’espressione è stata ripetutamente mal compresa. Molti ricercatori hanno congegnato elaborate teorie delle origini basate sull’interpretazione di questi termini, senza darne prima una definizione accurata. Nel secolo XX, Knoop e Jones hanno rilevato che ciò era in gran parte dovuto al fatto che una parte prevalente di autori considerava la libera-muratoria «come qualcosa d’interamente a margine della storia ordinaria», un argomento estraneo alla corrente dominante della ricerca storica. Di conseguenza, si è scritto molto senza una direzione metodologica precisa. Se si vogliono comprendere meglio le origini del movimento e la sua influenza, è d’importanza centrale operare un’analisi scientifica della terminologia utilizzata dalla Massoneria moderna negli anni della sua formazione. Scanlan si è proposto di studiare l’etimologia dei termini «Libero e Accettato» mettendo in rilievo una pecca fatale su cui riposa una parte rilevante della letteratura massonica e che ha alterato il modo in cui gli storiografi hanno abitualmente interpretato le radici del movimento. Matthew D. J. Scanlan, è uno storico della libera-muratoria, collaboratore di autorevoli riviste massoniche e membro del Centro de Estudios Históricos de la Masoneria Española. È stato Deputy Editor della prestigiosa “Freemason Today” (organo della Gran Loggia Unita d’Inghilterra), in cui ha pubblicato oltre quaranta articoli, Conference Organiser al Canonbury Masonic Research Centre e Assistant Curator presso The Library and Museum of Freemasons’ Hall. I suoi lavori sono apparsi in Europa e Nord America con Brill Publishers, Honoré Champion, Walter de Gruyter e Columbia University Press. Fabrizio Forno ricercatore e saggista, attraverso lo pseudonimo Fabrizio Alfieri ha pubblicato su “Hiram”, “La Lettera G”, “Vers la Tradition” e con Luni Editrice. È l’ideatore, fondatore e direttore del progetto ‘Harmonia Mundi’ di Torino, volto alla diffusione dei princìpi massonici e al supporto di attività filantropiche.
Venerdì 1 aprile ● Ore 16:15
MasiniLIBERTÉ CHERIE. UNA LOGGIA MASSONICA NEL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI ESTERWEGEN (1943-1944) di autori vari (Bastogi), presentato dal curatore Claudio Masini. Germania (1943 – 1944). Nel campo di concentramento di Esterwegen transitano per lo più oppositori del regime nazista in attesa di trasferimento definitivo verso campi di sterminio. Sono tutti gestiti dal Decreto “Notte e Nebbia”: non si dovrà conoscere più nulla del loro destino, nemmeno i loro familiari. Nella Baracca n° 6 si trovano in numero sufficiente per fondare una loggia massonica, cui è dato il nome Liberté Chérie, desunto dai versi del canto di lavoro dei prigionieri. Un’incredibile esperienza di spirito massonico, che per quei Fratelli costituì una coerente iniziativa con il dovere di essere Massoni. Alcuni detenuti superstiti, testimoni di quella vicenda, varcheranno la porta di Templi Massonici dopo la fine della seconda guerra mondiale. Oltre ai documenti storici sulla Loggia Liberté Chérie, è presentata la testimonianza del belga Franz Bridoux, classe 1924, l’unico sopravvissuto massone ancora in vita: un dovere verso quella loggia che è un simbolo di libertà e di sfida a ogni dittatura, che si riverbera nel nostro presente XXI secolo, dove esistono altre Esterwegen nel mondo, la cui presenza non ci consente di abbassare la guardia mai, perché il messaggio che ci è trasmesso è che la Massoneria è azione concreta, malgrado le privazioni e le sofferenze. Franz Bridoux classe 1924, è l’unico sopravvissuto Massone della Loggia Liberté Cherie ancora in vita. Nel luglio del 1943 entra nell’Armata dei Partigiani; viene arrestato il 3 agosto in un rastrellamento della  polizia tedesca. Il 15 novembre 1943 arriva al campo di concentramento di Esterwegen. L’anno dopo viene trasferito a Ichtershausen  da dove riesce a fuggire il 12 aprile 1945, 3 giorni prima della liberazione da parte delle truppe americane. Claudio Masini ha pubblicato con altri un volume sulla storia della Loggia Dante Alighieri (108) di Ravenna. Autore di alcuni studi sulla prima Massoneria riminese, sono stati pubblicati sul numero unico del volume per le celebrazioni del 150esimo dell’Unità d’Italia (2011), stampato dall’editore Luisé per il Comitato Provinciale di Rimini dell’Istituto per il Risorgimento Italiano.
Venerdì 1 aprile ● Ore 16:45
ValeriIL GENERALE NERO. DOMENICO MONDELLI, BERSAGLIERE, AVIATORE ARDITO presentato dall’autore Mauro Valeri (ODRADEK) Domenico Mondelli è stato a livello mondiale, il primo aviatore militare ad avere la pelle nera. Un primato che l’Italia non ha mai rivendicato, forse per non dover anche ricordare che, proprio questo giovane ufficiale, dopo aver combattuto in Libia e nella Grande Guerra, era stato discriminato dal fascismo che non accettava l’idea che un militare italiano nero potesse comandare un militare italiano bianco. E a nulla erano valse le due medaglie d’argento e le due medaglie di bronzo ottenute combattendo come aviatore, bersagliere e comandante di reparti d’assalto arrivando al grado di tenente colonnello. Di sicuro, Domenico Mondelli non è stato l’unico ufficiale italiano nero o meticcio a essere discriminato dopo aver combattuto nella Grande Guerra. Ma, a differenza di Gabrù Zachè, Workneh Sengal e Michele Carchidio, è stato l’unico a provare a opporsi alle misure anti-neri adottate dal fascismo, nulla potendo, però, contro la legislazione razziale. Solo  dopo  la seconda guerra  mondiale è riuscito a riprendere  in quella  carriera che il fascismo aveva bloccato, arrivando fino al grado di Generale di Corpo d’Armata-Ruolo d’Onore. Mondelli riprese anche l’attività massonica iniziata poco prima della Grande Guerra e interrotta durante la dittatura, a causa del regime antidemocratico, confermando una vera passione e una nota distintiva per gli ambienti dell’epoca. Entrato in Massoneria nel 1912 nella Loggia Stretta Osservanza di Palermo, nel 1919 raggiunse il grado di Maestro Libero Muratore. Nel secondo dopoguerra lo ritroviamo iscritto in una loggia di Roma, la “Spartaco” sempre del Grande Oriente d’Italia. Mondelli riprese le attività massoniche nel 1944, dopo la caduta del regime mussoliniano. Nel 1956 fu insignito del 33esimo grado del Rito Scozzese Antico Accetto al quale aveva aderito prima dell’ascesa fascista. Ovaldi Selassi, questo è il suo nome originario, nacque nel 1886 ad Asmara e arrivò nel 1891 in Italia con il colonnello parmense Attilio Mondelli che lo adottò. La storia di Domenico Mondelli è completamente inedita e ha qualcosa di straordinario perché racconta le radici multietniche e multirazziali del nostro paese, come già Mauro Valeri, l’autore del libro, ha fatto scrivendo le storie di altri che nessuno ha mai considerato forse per non riflettere abbastanza sulle discriminazioni che cittadini italiani, neri e meticci, hanno subito. “Il Generale nero” è un libro di grande attualità che ci mette a confronto con il nostro passato e che ci offre l’occasione di fare una lettura critica del presente per declinare al meglio il futuro della nostra società. Mauro Valeri, sociologo e psicoterapeuta, ha diretto l’Osservatorio nazionale sulla xenofobia dal 1992 al 1996, e dal 2005 è responsabile dell’Osservatorio su razzismo e antirazzismo nel calcio. Ha insegnato per diversi anni Sociologia delle Relazioni Etniche all’Università “La Sapienza” di Roma. Sul tema degli italiani neri e meticci ha pubblicato, tra l’altro: “Black Italians. Atleti neri in maglia azzurra” (2006); “Nero di Roma. Storia di Leone Jacovacci, l’invincibile mulatto italico” (2008); “Mario Balotelli. Vincitore nel pallone” (2014). Per Odradek ha pubblicato “Negro, Ebreo, Comunista. Alessandro Sinigaglia, venti anni in lotta contro il fascismo” (2010); “Stare ai giochi. Olimpiadi tra discriminazioni ed inclusioni” (2012).
Sabato 2 aprile ● Ore 14:00
ComolliGRAMMATICA DELL’ASCOLTO. PER ACCOGLIERE UN RACCONTO DI FEDE di Giampiero Comolli (Edizioni Messaggero Padova), presentato da Anna Foa e Marco Politi. Come comprendere chi è portatore di una fede diversa dalla nostra o anche chi attribuisce altri significati, altri valori alla nostra stessa fede? Occorre adottare una particolare  grammatica dell’ascolto”, vale a dire un approccio adeguato e rispettoso, che ci permetta di porre le domande giuste, di ricevere risposte sincere e di accogliere senza distorsioni il nucleo di verità che ci viene offerto dalla biografia spirituale, dal racconto di fede che noi stessi, grazie alle nostre domande, abbiamo sollecitato. Di questa grammatica, regola prima è la disponibilità a entrare in una dimensione di silenzio, per mettere a tacere i nostri pregiudizi, il nostro ininterrotto discorso interiore, e aprirsi così a ricevere in modo ospitale la parola dell’altro. Una buona scuola, quella del silenzio e dell’ascolto, che è premessa fondamentale per il dialogo, per l’incontro e la riconciliazione con chi la pensa diversamente da noi. Ma se il metodo da seguire è arduo e rischioso, in compenso potremo scoprire quanto sia coinvolgente confrontarci con la religiosità del nostro interlocutore, con le motivazioni più intime della sua fede o, più in generale, della sua spiritualità. Il libro “Grammatica dell’ascolto” è stato presentato l’11 febbraio dal Servizio Biblioteca del Grande Oriente d’Italia in collaborazione con la Facoltà Valdese di Teologia di Roma che ha ospitato l’incontro. Erano presenti il Gran Maestro Stefano Bisi e il moderatore della Tavola Valdese Eugenio Bernardini. Giampiero Comolli, scrittore e giornalista, ha condotto varie inchieste sui fenomeni religiosi contemporanei, i cui risultati sono stati pubblicati in: Buddisti d’Italia. Viaggio tra i nuovi movimenti spirituali (Theoria, 1995); I pellegrini dell’Assoluto. Storie di fede e spiritualità raccolte tra Oriente e Occidente (Baldini Castoldi Dalai, 2002); Pregare, viaggiare, meditare. Percorsi interreligiosi tra cristianesimo, buddhismo e nuove forme di spiritualità (Claudiana, 2010); Una luminosa quiete. La ricerca del silenzio nelle pratiche di meditazione (Mimesis, 2012); La senti questa voce? Corpo, ascolto, respiro nella meditazione biblica (Claudiana, 2014). Collabora a “Riforma”, settimanale delle Chiese evangeliche battiste, metodiste, valdesi. E’ presidente del Centro Culturale Protestante di Milano, e membro dell’Accademia del Silenzio, presso la quale tiene seminari di meditazione.
Sabato 2 aprile ● Ore 14:30
PolitiFRANCESCO TRA I LUPI. IL SEGRETO DI UNA RIVOLUZIONE presentato dall’autore Marco Politi (Laterza) non conosce barriere tra credenti e non credenti, nessun pontefice europeo ha vissuto come lui la miseria degli emarginati, è vicino alle angosce di uomini e donne di ogni credo. È immerso nella modernità, pratica la tenerezza e la compassione. ma in Vaticano crescono le resistenze ai suoi audaci programmi di rifondazione della Chiesa come la partecipazione dei vescovi al governo ecclesiale, l’inserimento di donne ai vertici decisionali, l’approccio nuovo a divorziati e omosessuali. Ripulire lo Ior e le finanze vaticane è una fatica immane. L’episcopato italiano è un problema per il papa argentino. La rivoluzione è agli inizi: l’esito è incerto e il tempo non è molto. Francesco tra i lupi è la storia, mai raccontata prima, delle sfide nascoste alla rivoluzione di Bergoglio e dell’opposizione al papa più popolare dei nostri tempi, con particolari inediti sulla sua elezione. Marco Politi è a livello internazionale uno dei maggiori esperti di questioni vaticane. Editorialista de “Il Fatto Quotidiano”, vaticanista de “La Repubblica” per quasi un ventennio, collabora con Abc, Cnn, Bbc, Rai, Zdf, France 2. Con Carl Bernstein ha scritto il best seller mondiale “His Holiness/Sua Santità” su Giovanni Paolo II. Nel 2004 con la sua intervista al cardinale Ratzinger lo ha indicato come candidato al papato. Tra i suoi libri: “Papa Wojtyla. L’addio” (2007) per Morcelliana; “Il ritorno di Dio” (2004), “Io, prete gay” (2006) e “La Chiesa del no” (2009) per Mondadori. Nel volume “Joseph Ratzinger”. Crisi di un papato (2013) ha previsto le dimissioni di Benedetto XVI.
Sabato 2 aprile ● Ore 15:00
FoaGIORDANO BRUNO presentato dall’autrice Anna Foa (Il Mulino) Nell’anno santo 1600, Giordano Bruno, filosofo di fama europea, venne arso come eretico in Campo de’ Fiori. Per più di un secolo la sua memoria appartenne a pochi, fino all’Ottocento, quando Bruno fu riscoperto dall’Italia risorgimentale e trasformato in un santo martire dell’oscurantismo religioso, simbolo della libertà di pensiero e della tolleranza. L’immagine che la cultura italiana si è costruita di lui, subito dopo l’Unità, è un tassello significativo della costruzione dell’identità italiana. Il libro ripercorre a ritroso la storia della trasformazione in simbolo di Giordano Bruno, dalla combattuta inaugurazione del monumento in Campo de’ Fiori nel 1889 fino al processo e al rogo, con un’opera di scavo che ci restituisce un personaggio enigmatico, capace di grandezze e miserie, di utopie politiche e di condotte spregiudicate, dedito alla arti magiche e insieme precursore del pensiero filosofico moderno. Anna Foa, è una studiosa dell’età moderna che ha da poco lasciato l’insegnamento presso la Facoltà di Lettere della Sapienza di Roma. Specialista di  storia della cultura, storia della mentalità e storia ebraica, ha  dedicato lavori significativi agli eretici nello Stato della Chiesa, alla figura di Giordano Bruno e alle vicende degli ebrei europei dal Trecento all’Ottocento. Quest’ultimo filone d’indagine ha portato Foa a inoltrarsi ancor più nell’età contemporanea con una storia “globale” degli ebrei tra la fine dell’Ottocento e gli anni Settanta del secolo scorso (Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento, Laterza, Roma-Bari 2009). È infine co-autrice, insieme ad Anna Bravo e Lucetta Scaraffia, di un manuale di storia per le scuole superiori (I nuovi fili della memoria. Uomini e donne della storia, Laterza, Roma-Bari 2003).
Sabato 2 aprile ● Ore 15:30
ManentiMASSONERIA E IRREDENTISMO. GEOGRAFIA DELL’ASSOCIAZIONISMO PATRIOTTICO IN ITALIA TRA OTTOCENTO E NOVECENTO di Luca G. Manenti (Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia) presentato da Carlo Ricotti. Sulla scorta di una grande quantità di fonti recuperate nei principali archivi della penisola, questo studio offre un’esauriente mappatura del movimento irredentista tra Otto e Novecento, soffermandosi in particolare sui nessi allacciati dai patrioti con il Grande Oriente d’Italia. L’analisi del Circolo Garibaldi di Trieste restituisce la complessa rete di rapporti tra logge, comitati di reduci, leghe lavorative, società ginniche e di cremazione che strutturò lo spazio associativo del Regno. L’obiettivo di completare il Risorgimento con la conquista di Trento e Trieste fu collante ideologico per gruppi eterogenei e individui di diversi orientamenti politici, cui la massoneria fornì basi logistiche, aiuti economici e una piattaforma valoriale di condivisione. Italiani e fuorusciti giuliani costituirono le tessere di questo intricato mosaico, scrupolosamente ricostruito nei suoi aspetti sociali, politici e culturali. Luca G. Manenti ha conseguito il dottorato in Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Trieste. Svolge attività di ricerca sui temi dell’associazionismo, della massoneria e del nazionalismo nel contesto dell’Italia moderna. Tra le sue pubblicazioni si segnalano: Tra azione politica e cultura esoterica. “Massoneria e società segrete nell’Italia dell’800”, in “Prometeo”, n. 127, 2014, pp. 92-101; “Massoneria e società occulte a Trieste tra XVIII e XX secolo”, in “All’Oriente d’Italia. Le fondamenta segrete del rapporto fra Stato e Massoneria”, a cura di M. Rizzardini, A. Vento (Rubbettino, Soveria Mannelli, 2013), pp. 227-257; “Massoneria italiana, ebraismo e movimento dei Giovani Turchi”, in “Rassegna Mensile di Israel”, n. 3, 2012, pp. 161-175. Carlo Ricotti, storico e professore all’Università LUISS Guido Carli di Roma. Tra le sue pubblicazioni: “La codificazione commerciale pontificia. Il progetto Bartolucci-Vergani (1804-1806)” (1984), “Il codice di procedura civile del 1865 in Il Parlamento Italiano. Storia parlamentare e politica dell’Italia. 1861-1988” volume II (1989), “Anglomania costituzionalismo settecentesco” (1998), “Il costituzionalismo britannico nel Mediterraneo (1794-1818)” (2005), “La Carta del Carnaro. Dannunziana, massonica, autonomista” (2015).
Sabato 2 aprile ● Ore 16:00
NeriIN CERCA DI IPAZIA presentato dall’autore Moreno Neri. È bene che si torni a parlare dell’alessandrina Ipazia, la prima donna filosofa e matematica di cui abbiamo documentazione, scomparsa l’8 marzo 415 d.c. e divenuta simbolo della libertà di pensiero e di altri numerosi valori, come è ufficio del simbolo. Protagonista del film Agora(2009) di Alejandro Amenábar e oggetto di un libro del 2010 della bizantinista Silvia Ronchey, inaspettato best seller, la sua vicenda è qui riletta a partire dalla sua riscoperta da parte del proto-massone John Toland (1669-1722). Testimone e vittima, erede e messaggera della tradizione pitagorico-platonica (il modo in cui in Occidente si è manifestata la Tradizione unica) questa linea limpida e robusta, libera e responsabile, si è presto incardinata nella Libera Muratoria attraverso l’opera del Fratelli Voltaire e Gibbon. Fatta a pezzi da fanatici cristiani, il suo sacrificio usque ad sanguinem è ancora una macchia indelebile e un tema per molti aspetti troppo conturbante. Rivolta all’armonia cosmica, la vita e la morte di Ipazia rappresentano una differente visione sacrale dell’universo e della vita, incluso il genio femminile, che ancora oggi si vuole sopprimere con mezzi più subdoli e sottili. Moreno Neri, è discepolo della Tradizione unica e universale, specialmente di quella occidentale, classica e umanistica che dall’antichità giunge fino al Rinascimento. Dal 2000 si è dedicato alla scrittura, curando, commentando e traducendo (dall’inglese, dal francese e dal greco antico)  opere su Pletone, sul Tempio Malatestiano e su Sigismondo Pandolfo Malatesta, uno dei patroni della rinascenza neoplatonica. Nel 2006 è stato scoperto da Giovanni Reale che gli ha affidato il compito dell’edizione completa delle opere del bizantino Pletone, “principe dei filosofi del suo tempo”. Per le collane filosofiche dirette da Reale ha pubblicato “Macrobio / Commento al sogno di Scipione” (2007), “Giorgio Gemisto Pletone / Trattato delle virtù” (2010) e “Gotthold Ephraim Lessing – Johann Gottfried Herder / Dialoghi per Massoni” (2014). È caporedattore de “L’Acacia”, rivista di studi esoterici, e membro del Comitato Scientifico di nuovo Hiram, rivista del Grande Oriente d’Italia.