FU ANCHE MASSONE
Sepolto a Poggioreale, la sua biografia pare un romanzo alla
Dan Brown. Ce la racconta il figlio Gabrieledi Rosa Lella
NAPOLI - Tra le rovine del cimitero di Poggioreale può accadere d’imbattersi in reliquie inedite del patrimonio culturale. Sepolte dal tempo e provate dall’incuria, il corso della storia le ha nascoste in qualche mezzobusto del famedio, il cimitero degli uomini illustri. Uno di questi ha rotto il patto di omertà con le altre statue svelando i propri segreti. È lo scrittore Jusuf Roberto Mandel, raffigurato nella statua posta tra quelle di Benedetto Croce e di Vincenzo Gemito. Di discendenza turco-afghana, nacque a Treviso nel 1895 e morì a Napoli nel 1963. Esponente del sufismo, corrente mistica dell’Islam, fu autore de Il Cantico dei cieli, primo poema sufi scritto in italiano. A svelarci nuovi particolari sulla sua vita e sul suo legame con Napoli è il figlio Gabriele Mandel, maestro della Confraternita sufi Jerrahi-Halveti. Il suo racconto è un intreccio di vicende straordinarie su massoneria e sufismo che include personaggi come Gabriele D’Annunzio, il generale Pietro Badoglio e Benito Mussolini.
«Mio padre», dice Gabriele Mandel, «per gran parte della sua vita, dopo la seconda guerra mondiale, ha vissuto sei mesi l’anno a Parigi e gli altri sei a Napoli poiché considerava le due città le più grandi capitali della cultura europea. A Napoli il suo appartamento si trovava nella Galleria Umberto I, al numero 27».
Proprio lì, dunque, sotto la cupola di vetro della Galleria Umberto, la storia di Roberto Mandel s’infittisce di dettagli intriganti. Indirizzo alla mano, ripercorriamo le tracce della narrazione del figlio: allo stesso numero civico troviamo la sede regionale del Grande Oriente d’Italia, sotto il nome dell’associazione culturale Circolo Darwin. Coincidenza degna delle catene d’indizi del Codice Da Vinci di Dan Brown. E infatti Gabriele Mandel rivela: «Oltre che un maestro spirituale dell’Islam, mio padre era un massone. Fu il generale Badoglio a farlo entrare in massoneria, nel Grande Oriente d’Italia, quando lo assunse, ancora ragazzo, come suo aiutante di campo durante la prima guerra mondiale».
Roberto Mandel fa poi carriera. E i vantaggi del successo militare si riflettono nella sua produzione letteraria. Diventa capitano addetto al Comando Supremo e riesce ad accedere agli archivi segreti delle Forze Armate. Con quelle informazioni scrive la Storia popolare illustrata della Grande Guerra, in sei volumi. All’ombra della Grande Guerra, tra esercito e letteratura, la storia di questa statua del famedio incrocia quella del poeta Gabriele D’Annunzio. «Si conobbero », racconta Gabriele Mandel, «per un solo giorno al Comando Supremo di Badoglio. Fu una conoscenza superficiale. Successivamente D’Annunzio lo invitò a partecipare alla Marcia di Ronchi del 1919 e a vivere la vicenda di Fiume. L’amicizia più profonda iniziò allora. La passione comune per la poesia fece il resto».
Dopo l’esperienza militare i due intellettuali diventano amici intimi. Lo testimonia il nome stesso di Gabriele Mandel: «Mi chiamo come D’Annunzio perché mio padre lo scelse come mio padrino di battesimo». Non solo poesia e armi. Mandel e D’Annunzio condividevano qualcos’altro: le idee dell’ordine massonico. Stesse idee, accesso diverso. «Mentre per mio padre il tramite fu Badoglio, D’Annunzio giunse alla massoneria per altre vie cui non era estraneo Adolfo De Carolis», ovvero il pittore liberty autore di molte xilografie che illustrano i romanzi di D'Annunzio. Col passare degli anni il fervore dell’esperienza militare si trasforma in passione politica. Mandel e D’Annunzio diventano sostenitori del fascismo. Partecipano alla Marcia su Roma. Credono nel regime di Mussolini. Ma solo fino all’alleanza con la Germania di Hitler.
«D’Annunzio, come mio padre, era fortemente contrario all’alleanza con la Germania nazista. Per questo Hitler mandò da lui una cameriera tedesca: per avvelenarlo. Mio padre invece fu costretto da Mussolini a lasciare l’Italia e a trasferirsi a Parigi». Massoneria e potere: binomio frequente nell’immaginario collettivo. Ma Mandel figlio chiarisce: «Il significato originario della vera massoneria è legato alla tradizione esoterica, che introduce a un percorso evolutivo dell’uomo attraverso un lavoro su se stesso».
Sia nella tradizione sufi che nella massoneria questo percorso spirituale è simboleggiato dall’immagine della pietra grezza che diventa levigata e squadrata. Un passaggio riprodotto anche sul pavimento a scacchi bianco e nero (simboli del bene e del male) nel Tempio della Casa Massonica di Napoli. Ai piedi dell’altare, davanti al trono del Gran Maestro, ci sono infatti due pietre, a circa mezzo metro di distanza l’una dall’altra. Una grezza, l’altra levigata. Lì, nella Galleria Umberto, dove un tempo visse il maestro sufi Jusuf Roberto Mandel.