Caro dottor Granzotto, apprendo trasecolato, da una lettera pubblicata in questa pagina, che vige ancora la scomunica lanciata contro i Templari da Papa Clemente V. Dal poco che ho letto sulla storia delle Crociate ho appreso che la persecuzione contro quest’ordine religioso fu architettata dal re Filippo il Bello e dal suo ministro Guglielmo di Nogaret al solo scopo di impadronirsi delle loro ricchezze, persecuzione a cui non seppe opporsi il Papa, asservito alla politica francese e iniziatore della «cattività avignonese». Le chiedo se veramente la Chiesa, che ha chiesto tante scuse per i suoi errori, non abbia fatto autocritica nei confronti dei Templari: odiati dai musulmani, torturati e arsi vivi dai cristiani, meriterebbero un po’ di giustizia.
Forse ha trasecolato inutilmente, caro Garberoglio. La storia dei Templari non è stata ancora scritta fino in fondo, ma grazie alle continue ricerche negli archivi – e in particolare nell’Archivio segreto vaticano – ne sappiamo quanto basta per sfatare alcune delle molte leggende sul Tempio e sui suoi cavalieri. Vero è, comunque, che a volere l’abolizione dell’Ordine fu quella buona lana di Filippo il Bello, il «novo Pilato» per dirla con padre Dante. Lo fece di sicuro anche per incamerare le immense ricchezze dei Templari (come aveva precedentemente incamerato quelle della comunità ebraica e tentato di fare con quelle della Chiesa, con conseguente protesta di Papa Bonifacio, l’invio a Anagni di Guglielmo di Nogaret e Sciarra Colonna «sitibondo di vendetta» e schiaffo finale). Quel che non risponde a verità è che Clemente V – il Papa della cattività avignonese – gli tenesse bordone fino in fondo. Dato il suo limitato potere (era, e si considerava, niente più che il cappellano del Re di Francia), molto non poté fare a favore dei Cavalieri, che sapeva fedeli alla Chiesa «Usque ad sanguinis effusionem». Però, almeno, la bolla di scomunica no, quella non la firmò. Anzi, dalla «pergamena di Chinon» rinvenuta negli archivi vaticani dalla studiosa Barbara Frale, risulta che fosse nell’intenzione di Clemente assolvere il Gran Maestro de Molay e lo stato maggiore templare dall’accusa di eresia e di sospendere, non di sopprimere, l’Ordine. Naturalmente la spuntò Filippo e tutto ciò che ottenne il Papa fu di scomunicare non i Templari, ma chiunque in futuro avesse rifondato l’ordine o vestito l’abito o usato i simboli templari. Ciò non lo escluse dall’anatema lanciato, dalla pira che di lì a poco l’avrebbe arso vivo, da Jacques de Molay: «Papa Clemente, cavaliere Guglielmo di Nogaret, Re Filippo… entro l’anno vi citerò a comparire presso il tribunale di Dio per rispondere della vostra infamia! Maledetti! Maledetti! Siate maledetti fino alla tredicesima generazione!». Bé, Clemente morì di lì a poco per una infezione intestinale, Filippo cadendo da cavallo nel corso di una battuta di caccia al cinghiale mentre il giurista e gran accusatore Nogaret finirà assassinato. A volerla poi raccontare fino in fondo c’è la storia di Charles-Henri Sanson, il boia che s’incaricò di decollare Luigi XVI. Prima di azionare la ghigliottina pare si chinasse sulla vittima sussurrandogli: «Sono un Templare e mi trovo qui per portare a compimento la maledizione di Jacques de Molay».
Poiché questi sono i giorni dell’ostensione della sacra Sindone le voglio ricordare, caro Garberoglio e sempre che lei non lo sappia già, che una delle accuse mosse ai Templari era di idolatrare la riproduzione di un «idolo barbuto», il Baphomet. Dai documenti, recentemente esaminati da Barbara Frale e che enumerano le pratiche di devozione cui era sottoposto il cavaliere che abbracciava l’Ordine, risulta che il sedicente «idolo barbuto» era una figura umana riprodotta su un lungo telo di lino. E si sa che nel corso della quarta Crociata, siamo nel 1204, i cavalieri templari si appropriarono proprio della Sindone, conservata nella cappella degli imperatori bizantini a Costantinopoli.
da Il Giornale del 15 aprile 2010