Ancora un'occasione per parlare de «Nel nome della Dea» di Massimo Agostini. «Il percorso che conduce al Tempio della Mote non è né facile né immediato, molti scappano, vivendo nell'illusoria realtà serena, trovando rifugio nell'oblio concesso da un ego che alimenta se stesso. Non c'è né peccato né colpa nel cammino segnato da quello che sembra essere il 'Progetto Universale', ma ci deve essere invece responsabilità, perché ogni atto compiuto perpetra la missione del Cristo incarnato come espiazione di un destino segnato. L'unico vero peccato sarebbe di non dare un senso alla propria vita, sprecandone i talenti e privandola di un percorso condotto con consapevolezza.
Il serpente le insegnò la generazione (sporà) della concupiscenza
(epithymia) della contaminazione e della distruzione, poiché
queste cose sono utili (Vangelo Apocrifo di Giovanni)
Nel quotidiano confronto dell'uomo con se stesso e con la natura che lo circonda, a ben vedere, vi è un'inevitabile percorso di crescita individuale e collettiva, alimentato da continue prove e da vivificanti emozioni che possono donare l'anelito verso l'infinita sottile Energia che permea l'Universo».
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