di Maurizio Nicosia su http://www.zen-it.com/
L’abbattimento del muro di Berlino aveva suscitato nel mondo la speranza che si potesse finalmente schiudere una stagione priva di conflitti e steccati ideologici. L’illusione è durata poco: con l’abbattimento del muro di Berlino una miriade di nuovi muri si è fragorosamente abbattuta sull’Occidente e l’intero pianeta. È sufficiente ricordare i conflitti nella sfera ex sovietica, in Africa, in India, l’Islam. Vi sono però inquietanti segnali che non consentono di restringere la lettura del fenomeno solamente alla crisi radicale che attraversa la ex galassia sovietica e la sua sfera d’influenza. Si pensi ai conflitti neri in Sudafrica, al Medio Oriente, alle rivolte nere in America. In Europa dilagano preoccupanti rigurgiti razzisti e antisemiti, mentre molti governi pongono in discussione il progetto d’unità politica europea, e diversi movimenti predicano un ulteriore frazionamento degli stati.Per comprendere come il fenomeno non sia esclusivamente politico, conviene osservare anche la cronaca. Da alcuni anni imperversano nelle città degli Stati Uniti bande che si scontrano non per ragioni politiche o ideologiche, ma per il primato territoriale o anche solo per il colore della «divisa». E in Europa, con il pretesto di bandiere sportive o gonfaloni comunali diversi, si accendono analoghe battaglie. L’epidemia, che nella politica o nella razza o nella fede trova un veicolo di diffusione, ma non l’origine, dilaga ormai su tutto il pianeta.Gli esempî si potrebbero moltiplicare: diverse e quanto mai complesse le ragioni che innescano la contrapposizione, il conflitto, la frammentazione, ma la dinamica è la medesima. All’origine dell’epidemia v’è il dilagare a macchia d’olio di una visione del mondo in bianco e nero, di sapore ‘manicheo’, che elimina tutte le sfumature, profondamente e radicalmente dualista, antinomica e antitetica, che si fonda sulla necessità di trasformare l’«altro» in antagonista, avversario, nemico, per affermare la propria identità.L’origine del fenomeno è nel sistema di pensiero o nell’organizzazione della mente, se si preferisce: ovvero negli schemi che l’immaginario plasma nella psiche dell’uomo odierno, in una regione profonda di cui raramente si ha consapevolezza. Perciò il contagio si diffonde mediante la politica e l’ideologia, o mediante la religione e la cultura, o ancor più semplicemente mediante una qualsiasi differenza.E purtroppo questo sistema di pensiero dualistico, basato sulla contrapposizione con l’altro e sull’affermazione di sé, pregiudizialmente convinto nel campo morale di essere non nel giusto, ma il giusto, ha fatto breccia anche nell’Ordine Massonico. Il caso Di Bernardo è eloquente.Fatto cenno alla generalità di questo fenomeno epidemico che trascende le strutture culturali per radicarsi nell’organizzazione della mente e dell’immaginario che la alimenta, e tratteggiato a sommi capi il funzionamento antitetico di questo sistema di pensiero, è da esaminare la causa che lo diffonde sia nelle società tecnologiche che nei paesi poveri di tecnologia e poco alfabetizzati.Questo sistema di pensiero ha tutte le caratteristiche proprie di una civiltà orale, di una civiltà cioè che non faccia uso della parola scritta. In una cultura orale primaria, priva di scrittura, la conoscenza una volta acquisita deve essere costantemente ripetuta, pena la sua perdita. Ciò comporta la necessità di evitare approfondimenti analitici, impossibili da ricordare nel loro sviluppo, e di pensare per moduli mnemonici di forte contenuto ritmico, strutturati in ripetizioni e, naturalmente, antitesi.Il racconto orale sconosce un personaggio che possa compiere gesta eroiche malgrado la propria vigliaccheria, come accade nel romanzo ottocentesco, culmine di una millenaria cultura scritta. Nel racconto orale l’eroe catalizza tutte le qualità fisiche e spirituali positive: è bello, alto, vigoroso, coraggioso, nobile, generoso; l’antagonista, viceversa, catalizza tutte le stigmate del male.Non potendo articolare pensieri troppo complessi, la cultura orale tende ad avere struttura aggregativa, «sommaria»: somma cioè i depositi linguistici che costituiscono il patrimonio collettivo; proverbi e frasi fatte in una cultura orale non sono occasionali, ma formano la sostanza stessa del pensiero. La stessa legge è custodita in questo modo. La necessità di ripetere, infine, plasma una mentalità altamente tradizionalista e conservatrice che inibisce la sperimentazione intellettuale e induce un sapere omeostatico, un sapere che elimina memorie senza più rilievo per il presente e che non concepisce l’evoluzione, cioè la progressione storica. Una civiltà orale è dunque fortemente agonista, perché trasferisce il proprio sapere organizzato per antitesi nella dinamica sociale, ed è statica culturalmente e storicamente.Nel caso dell’Europa e dell’Occidente si può individuare un fenomeno non così radicale ma sostanzialmente analogo, detto «oralità di ritorno», generato da due fenomeni concomitanti. Il primo è la straordinaria diffusione di un medium tecnologico essenzialmente orale come la televisione. Il secondo è la reazione di semplificazione psicologica alla complessità.Tipico aspetto che connota la natura linguistica di questo mezzo comunicativo è una paratassi debole, cioè un accostamento di proposizioni non congiunte e fra loro autonome: la frammentazione è il linguaggio televisivo.È la tv il mezzo che ha imposto nuovamente l’oralità con tutti i suoi principali aspetti delineati con efficacia dallo studioso americano Walter Ong. È aggregativa piuttosto che analitica, è ridondante ed è omeostatica: è la tv a eliminare memorie senza più rilievo per il presente. Si pensi all’attuale fortuna del revisionismo storico, teso a ridimensionare o addirittura negare l’olocausto, e all’insofferenza in Italia per i valori risorgimentali e della Resistenza, il cui tratto comune certamente non è l’enfasi della differenza e della contrapposizione, ma la vigorosa tendenza unificatrice.Inoltre dinanzi agli occhi dello spettatore la tv è sempre in diretta, relativizza la progressione temporale ponendo in atto una sorta di eterno presente che contempla anche fenomeni di ’ubiquità’. Ma la principale caratteristica dell’oralità secondaria veicolata dalla tv è nell’organizzazione formulaica, antinomica e antitetica del pensiero, dovuta all’esigenza di memorizzare senza il determinante ausilio della scrittura.Non a caso l’Occidente, che ha progressivamente modellato in un cinquantennio un immaginario collettivo polare e fortemente antinomico, gli ha trovato la logica ubicazione geografica nel muro di Berlino, eretto proprio nell’era televisiva (1961), e gli ha posto un epico suggello con la biblica definizione reaganiana dell’Unione sovietica come «Impero del Male». Oggi, crollata col muro di Berlino l’ipostasi dell’«altro», ciascuno la teme, e la scopre dietro casa. E ciò avviene sia nelle società a tecnologia avanzata, che in quelle con bassa, bassissima o nulla scolarizzazione. I ’muri di Berlino’ si moltiplicano.All’oralità di ritorno contribuisce, oltre la televisione, lo smisurato sviluppo del sapere e della tecnologia in Occidente. Nessuno oggi affermerebbe di conoscere ogni aspetto di tutte le discipline che concorrono a costituire il sapere dell’Occidente, ma nemmeno potrebbe affermare con sicurezza e tranquillità di conoscere ogni aspetto della propria disciplina o del proprio campo d’attività. Spesso, e non per intenzioni socratiche, le massime autorità di una disciplina devono confessare di non potere determinare con esattezza cosa sia l’oggetto del loro studio, come accade ai fisici di fronte alla materia.Una tale ricchezza di sapere, per di più basato sul continuo rinnovamento di ipotesi, esperimenti e modelli, e pertanto privo della stabilità e della durata che distingueva il sapere antico, costituisce la forza dell’Occidente e al contempo il suo anello debole: eccezion fatta per le catastrofi, le civiltà muoiono di troppa complessità. Di fronte a un così smisurato sapere, che impedisce al singolo di sentirsene possessore e che semmai lo fa sentire posseduto, si innesca un inevitabile processo psicologico di semplificazione del sistema di pensiero.La salute psichica dell’individuo esige poche ma inattaccabili certezze. È così che si fa strada, lentamente ma con forza, un sistema di pensiero e di giudizio che abolisce le sfumature e le sostituisce con lo schema del bianco e nero, sistema rudimentale, ma efficace. Basti pensare alla fine della civiltà ellenica o dell’impero romano: quella che i Greci chiamavano barbarie era un’organizzazione mentale certamente rudimentale, ma efficace nell’imporsi sulla poliedrica, esausta complessità raggiunta dall’antica civiltà. Il pensiero antinomico e antitetico segna l’alba di una civiltà, e il suo tramonto.All’avanzare dell’antitesi quale può essere la risposta della sintesi, cioè della Massoneria? La risposta credo non possa che proporsi finalità etiche e puntare a due scenarî strettamente complementari: lo scenario geopolitico internazionale e quello altrettanto complesso della coscienza individuale.Il primo scenario, che ha visto il crollo del duumvirato USA-URSS, attraversa una fase estremamente fluida. Mi sembra però probabile che al primo duopolio se ne sostituisca un secondo, in parte conflittuale come il primo, in parte invece fondato sulla complementarità. I poli che lo costituiranno saranno ancora una volta gli Stati Uniti da un lato, e dall’altro l’Oriente, i primi forti della supremazia politica e militare, il secondo a un passo dalla supremazia industriale e commerciale. Non è difficile pronosticare che, nel protrarsi delle incertezze politiche ed economiche della Comunità europea, l’Europa si riduca a rappresentare lo sbocco commerciale e politico di questo nuovo duumvirato: a svolgere il ruolo di suddito. Si pensi a quanto l’Europa sia indietro nello sviluppo dell’informatica che, è il caso di sottolineare, rappresenta il futuro delle comunicazioni mondiali: come se nel Sette e Ottocento le macchine l’Europa le avesse dovute importare, invece d’inventarle, costruirle e venderle.Un terzo polo sarebbe necessario: darebbe maggiore equilibrio al pianeta, liberandolo dal dualismo geopolitico che ancora tende a riproporsi malgrado il crollo sovietico, ed è ora che l’Europa metta da parte i complessi di colpa per il recente, bellicoso passato e torni a prospettarsi un futuro: ma non è un’opzione, è un imperativo che le impongono la demografia e la crisi dell’Occidente di cui è storicamente cardine.La prospettiva di costruzione d’un terzo polo con un baricentro europeo, di lungo ma non lunghissimo termine, può e dovrebbe vedere la Massoneria protagonista, dovrebbe convogliare le sue migliori energie in questa direzione. Pungolare il governo italiano ad adottare una simile politica comunitaria e a promuoverla in Europa, stimolandolo con dibattiti e progetti umanitarî sul problema, gioverebbe alla riconquista d’una autorevolezza oggi appannata, e mostrerebbe con i fatti quali siano i principî e gl’intenti che la animano.Un simile orientamento internazionale andrebbe affiancato anche da progetti per l’altro scenario, quello della coscienza individuale. Oltre il rigoroso e formativo lavoro nei nostri templi su noi stessi, sarebbe utile convogliare le energie che si disperdono in molteplici atti di beneficenza, nella costruzione d’un’università o d’un’istituzione formativa, ispirata ai principî universali d’umanità -dunque una vera università- che accolga i più meritevoli d’ogni ceto sociale, razza, cultura e religione, finanziando quando occora i loro studî, e sia quindi palestra di dialogo e tolleranza: un esempio concreto, tangibile della visione del mondo a cui ci ispiriamo nelle nostre azioni. Se una direzione deve segnare il cammino dell’Ordine massonico, è il raggiungimento di una duratura Autorevolezza.E sia il lavoro nei templî, sia l’università -o un centro studî- dovrebbero porre in primo piano le scienze delle comunicazioni, argomento negletto, troppo negletto dalla Massoneria. È superfluo ricordare quale ruolo abbiano oggi queste discipline. Mi si perdoni il calembour, ma si direbbe che proprio sul piano essoterico la parola sia perduta. Non avviene altrettanto nelle università dei Gesuiti o dell’Opus Dei, dove le scienze delle comunicazioni occupano da sempre un ruolo protagonista. Sarà forse anche perciò che in Italia le recenti campagne di stampa antimassoniche hanno ottenuto un discreto successo?Molto, moltissimo ancora ci sarebbe da dire sull’argomento. Mi fermo qui: mi premeva solamente suscitare una riflessione al proposito. Del resto molto, moltissimo c’è da fare: non v’è che da rimboccarsi le maniche. Meglio: non v’è che da indossare il grembiule da lavoro.