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lunedì 13 luglio 2009

L’ultimo dei Templari di Paolo Negro


di Iannozzi Giuseppe

Impossibile dire quanti libri, più o meno attendibili, siano stati scritti sui Templari nell’ultimo decennio. Ma è fuor di dubbio che il tema è risorto e l’epica dei Templari è tornata di prepotenza a popolare l’immaginazione di un po’ tutti, di scrittori e pubblico. Se Malcom Barber nella sua “Storia dei Templari” ci offre uno spaccato storico, Jan Guillou e Paul Doherty negli ultimi anni ci hanno rimpinzato di storie non poco fantasiose, che di realtà storica contengono poco o nulla, ma che di fatto hanno conquistato subito il pubblico costringendolo a sognare. L’idea che un templare sia sfuggito alla morte, l’idea ancor più balzana che i Templari avessero un tesoro da difendere e che il segreto ad esso legato sia in qualche modo arrivato sino a noi, è così tanto seducente che nel corso degli anni non ha mai mancato di presentarsi sotto varie forme: chi non ricorda ad esempio “Indiana Jones e l’ultima crociata”? o “Indiana Jones e i predatori dell’Arca Perduta”?
Narrativa fantastica, cinema, musica sono decenni che nei Templari, o meglio ancora che nell’epica mistica basata sull’Arca, sul Santo Graal, sulle Crociate trovano terreno fertile per portare nei cuori e negli animi lo spirito dell’avventura. Poi poco importa che i Templari abbiano cessato di esistere nel 1307, quando furono accusati di sodomia, idolatria ed eresia. L’accusa più pesante fu però quello di adorare una divinità pagana, il Bafometto. Sotto tortura nelle carcere del re i Cavalieri Templari furono costretti ad ammettere l’eresia e il 22 novembre 1307, papa Clemente V – uomo che non eccelleva di certo per la forza di carattere – di fronte alle confessioni estorte emise la bolla Pastoralis præminentiæ con la quale si ordinava l’immediato arresto dei Templari in tutta la cristianità. Jacques de Molay fu l’ultimo gran Maestro dell’Ordine dei Templari. A Parigi, sull’isola della Senna detta dei giudei, nei dintorni di Notre Dame, il 18 marzo del 1314, Jacques de Molay venne condannato al rogo. Si dice che prima di bruciare sul rogo l’ultimo gran Maestro abbia invitato Filippo il Bello e papa Clemente V a comparire di fronte al tribunale di Dio. Papa e re morirono entro l’anno 1314: Filippo IV di Francia il 29 novembre 1314, Clemente V, nato Bertrand de Gouth, il 20 aprile 1314. Ciò convinse molti che Jacques de Molay fu vittima d’una grave ingiustizia e per questo Dio punì sia il papa che il re con la morte.Nel 2003 Dan Brown con “Il codice Da Vinci” riporta in auge i Cavalieri templari e i loro presunti misteri; in Italia viene pubblicato nel 2005 ed è subito follia, per quello che è al momento il libro di narrativa popolare più venduto al mondo! Il romanzo ha venduto a tutt’oggi qualcosa come 120 milioni di copie ed è stato tradotto in ben 44 lingue. Mai libro ha venduto tanto, e nonostante le accuse di superficialità, Dan Brown oggi è il re della fiction. Nel 1988 Umberto Eco usciva in libreria con “Il pendolo di Foucault”, romanzo che sollevò un vespaio di polemiche e di dibattiti, difatti, tra le altre cose, si parlava proprio dei Templari. Non sono pochi oggi i critici che hanno visto nel lavoro di Umberto Eco la versione più intellettuale e realistica del celeberrimo romanzo di Dan Brown “Il codice Da Vinci”; eppure la critica d’allora non risparmiò severe critiche al “Pendolo di Foucault”, dicendolo incomprensibile.
Ma prima di Dan Brown, di Umberto Eco, prima di tutto, il sogno che Nikos Kazantzakis ritrasse nella sua ultima tentazione è l’Alfa e l’Omega d’un fortunato filone narrativo che mette sul tavolo oscuri complotti, fedeli invasati e Dio stesso. Con “L’ultima tentazione di Cristo” Kazantzakis incontra fortuna e sfortuna immense. Nel 1954 il Pontefice della Chiesa Cattolica mise “L’ultima tentazione di Cristo” nell’Index dei Libri Vietati; in risposta soltanto una frase telegrafata da Kazantzakis, ripresa dall’apologetico Tertulliano, “Ad tuum, Domine, tribunal appello.” Come dice Luciano Canfora, “la storia del libro è soprattutto la storia della sua distruzione” In questo senso si possono leggere i divieti o i rifiuti di pubblicazione dei suoi scritti, il fatto che per due voti Nikos non entrò nell’Accademia Greca, la perdita del premio Nobel nel ’56, e il gesto della chiesa ortodossa - sintomo di odio, di stupidità -, che non ha permesso l’esposizione della salma dell’autore ad Atene. In tutta la sua opera, partendo da “Il poverello di Cristo”, passando per l’”Ascetica”, arrivando infine a “L’ultima tentazione di Cristo”, Nikos Kazantzakis ci presenta non un Cristo di dolore, ma il dolore stesso, una felicità che è possibile solo attraverso “il Ciclo che non ha mai termine”: “Scosse la testa e bruscamente si ricordò dove si trovava, chi era e perché soffriva. Una gioia selvaggia e indomabile si impadronì di lui. No, no, non era un vigliacco, disertore, traditore. No, era inchiodato sulla croce, era stato leale fino alla fine, aveva mantenuto la sua parole. Lo spazio di un lampo, nell’attimo in cui aveva gridato: Eli! Eli! E in cui era svenuto, la Tentazione si era impossessata di lui e l’aveva sviato. Menzogne le gioie, i matrimoni, i figli: menzogne i vecchi decrepiti e avviliti che lo avevano trattato da vigliacco, da disertore, da traditore; tutto ciò non era altro che una visione suscitata dal Maligno! I suoi discepoli vivono e prosperano, hanno preso le vie di terra e di mare e annunciano la Buona Novella. Tutto è avvenuto come doveva, sia lodato Iddio! Levò un grido di trionfo: tutto s’è compiuto! E fu come se dicesse: Tutto comincia.”La fantasia che Gesù sia risorto; che sia al centro di un qualche oscuro piano dei suoi Discepoli; che possa non esser stato quello che andava dicendo di essere cioè il figlio di Dio; che in realtà non fosse figlio unico; che avesse un fratello gemello; che abbia avuto dei figli (forse con Maddalena) al pari di tutti gli uomini, tutte queste ipotesi – fantasiose sì, ma che non si possono annullare con un colpo di spugna, perché al momento non se ne può dimostrare la veridicità o la totale falsità – hanno solleticato lo spirito di più di uno scrittore, non da ultimo quello del più eretico José Saramago.
Nel suo romanzo, “L’ultimo dei templari”, Paolo Negro ci racconta di un tesoro, che sarebbe sotto la custodia dell’Ordine templare nonostante questo sia stato sciolto e represso nel sangue, una volta che non servì più agli scopi del Papa e del Re. Goffredo De Lor, fuggito dal mondo e dai suoi intrighi dopo una cocente delusione d’amore, diventato sacerdote, crede sul serio di essersi lasciato il passato alle spalle, anche la donna che invece di amarlo finì nel talamo del padre. Abbandonata la famiglia per abbracciare Cristo, a Querqueville, in Normandia, Goffredo trascorre le sue giornate noiose senza scossoni degni di nota. Poi, una sera d’autunno, nel 1313 dopo Cristo, viene chiamato ad assistere un moribondo. Che gli smozzica una verità tanto folle quanto ferale. Goffredo tace. Tace perché non sa a che santo votarsi, e ben presto si rende conto che a Querqueville, di punto in bianco, anche i muri hanno cominciato ad avere le orecchie. Per Goffredo De Lor inizia quello che si potrebbe definire un vero e proprio calvario, che lo porterà sì sulle orme dei Templari ma anche nei meandri della pazzia, sull’orlo della morte. E come se tutto ciò non bastasse, la donna creduta dimenticata è tornata e si accompagna a un nuovo amante, molto pericoloso. Il mondo che credeva saldo, la Chiesa che immaginava immacolata si rivela invece un ricettacolo di vizi e di segreti che potrebbe gettare in ginocchio l’umanità intera: il tesoro dei Templari è l’ultima verità su il Cristo crocefisso.Una gran bella avventura, fra realtà e finzione, quella che ci propone Paolo Negro: "L'ultimo dei Templari" ci proietta dentro agli intrighi sin dalle prime pagine, senza dar quasi la possibilità di renderci conto che siamo stati sbalzati nel 1300 d.C. Goffredo De Lor appare da subito come un personaggio solitario e tormentato, ma non per questo privo di spina dorsale. Tenebroso quanto basta, Goffredo è il tipico personaggio che si lascia amare da subito. Impossibile non accompagnarlo nelle sue peripezie, fino a svelare quello che dovrebbe essere l'ultimo segreto sui Templari. Su Gesù Cristo.
Paolo Negro, torinese, ha 45 anni ed è giornalista professionista. Ha lavorato per quindici anni nei principali quotidiani italiani (La Stampa-Stampasera, La Repubblica, Il Giornale). Nel 2006 è stato responsabile mass media del Medals Plaza Olimpico dei Giochi olimpici invernali di Torino 2006 e della cerimonia di chiusura delle Paraolimpiadi di Torino 2006. Nell'ottobre 2008 è stato pubblicato da Liberamente editore, il romanzo storico "L'Ultimo dei Templari".