Il 27 febbraio 2002 Silvia Ronchey pubblica sul quotidiano La Stampa una sua bella intervista a Elémire Zolla, scrittore, storico delle religioni, conoscitore di dottrine esoteriche e di mistica occidentale e orientale. Fu una delle ultime uscite dello studioso che ci lasciò pochi mesi dopo. In questo scambio Zolla parla di Pinocchio con profondità, definendo l’opera di Collodi la storia di un’iniziazione, accostandola per affinità alle Metamorfosi di Apuleio.
Riproduciamo quell’articolo che stimola molte riflessioni.
Il burattino framassone
Zolla: la storia di un’iniziazione ispirata a Apuleio
di Silvia Ronchey
“Il Pinocchio di Collodi è un miracolo letterario dalla profondità esoterica quasi intollerabile”. Elémire Zolla, l’intellettuale italiano più introdotto nei segreti di Pinocchio (si veda il suo Uscite dal mondo pubblicato da Adelphi), risponde da iniziato, scegliendo le parole con cautela quasi sacrale e lasciando al fondo un che di enigmatico, un’eco di mistero. “Un bambino che legga con tutto il cuore questo libro ne esce trasformato. Diventa un’altra persona di cui non è lecito parlare”.
Che genere di altra persona? “Una persona con una mentalità da martire. In quale altro libro si insegna al bambino a diffidare di tutte le autorità terrene? E chi altro può vivere disdegnando quasi completamente la giustizia umana?”.
Forse lei dice «bambino» nell’accezione sacra per cui è «puer» il non iniziato. “Ovviamente Pinocchio è la storia di un’iniziazione. Come le Metamorfosi di Apuleio. Ha presente le pagine finali? Il latino del grande retore diventa una lingua infantile quando narra l’epifania di Iside, la madre universale, colei che compare nei sogni se si sogna rettamente… Che poi in Collodi è la fata dai capelli turchini”.
Un momento. Chi è la fata dai capelli turchini? “È la prefigurazione della capra sullo scoglio nel mare in tempesta, che compare nel libro molto più tardi, e che pure ha il pelo azzurro”.
Perché Collodi rappresenterebbe Iside come capra, oltre che come fata? “Iside, nel mondo pagano, è la grande mediatrice, rappresentante di tutto il mondo animale, o meglio dell’indistinzione tra animale e umano”.
In effetti in Apuleio il protagonista è trasformato in asino. Non vorrà dire che anche le orecchie d’asino di Pinocchio vengono di lì? “Certo. Il che significa semplicemente che provengono dalla cultura di base della cerchia massonica cui Collodi apparteneva. Vede, una loggia di Firenze, al tempo di Collodi, non era luogo di modesta cultura. Certe letture erano comuni, elementari addirittura. La massoneria ferveva di una rinascita del pitagorismo antico, culminata poi in Arturo Reghini, grande scrittore e matematico in lite con Mussolini e con Evola”.
Vuol dire che la letteratura antica era un codice? “Era linguaggio elettivo per comunicare all’interno dell’ambiente massonico. E lì le cose su cui si posavano gli occhi si trasmutavano. C’è un passo di Marco Aurelio: Ricordati che colui che tira i fili è questo Essere celato in noi, è Lui che suscita la nostra parola, la vita nostra, è Lui l’Uomo… Cosa ben più divina delle passioni che ci rendono simili a marionette e nient’altro. Si attaglia alla storia del burattino, ne è la chiave”.
Ma allora «Pinocchio» è un libro per bambini o una parabola massonica?“Entrambe le cose, è questo il miracolo. La semplicità della lingua toscana in Pinocchio nasce dal fatto che Collodi sta trasmettendo una verità esoterica è non può che esprimerla così, come la narrerebbe a un bambino. È il ritegno di chi sta parlando di cose indicibili che produce questo particolare linguaggio, in Collodi come in Apuleio”.
In questa chiave esoterica, che significa il nome Pinocchio? e Lucignolo? e il Gatto e la Volpe? “In latino pinocolus significa pezzetto di pino. Per un pagano è l’albero sempreverde che sfida la morte invernale. Lucignolo è un Lucifero miserello, a misura di puer, cioè di pre-iniziato, e il Gatto e la Volpe sono Legbà e Shù, grandi personaggi della mitologia africana che si ritrovano anche nel Vudù. Allora si leggeva, e di libri sul Vudù l’America di fine Ottocento era piena. Qualche massone d’oltreoceano poteva avere informato Collodi. La vita di loggia è molto strana, è segreta e piena di incontri”.
Vuol dire che «Pinocchio» non può comprendersi del tutto senza conoscere la massoneria? “No, voglio dire che Pinocchio continua un’antichissima tradizione sotterranea della letteratura italiana. In rapporto ai rituali massonici si chiarisce il significato della poesia medievale – Federico II, Dante e Cavalcanti – così come l’esoterismo della Rinascenza in tutti quei grandi che vissero l’integrazione di Bisanzio nella cultura occidentale ai tempi del concilio di Ferrara e Firenze e intorno a Enea Silvio Piccolomini, un grande gnostico: pensi alla lettera veramente esoterica che scrisse al sultano ottomano, al neopaganesimo di Pienza… Tutti, anche gli alti prelati sanno che dal culto di Iside deriva la Madonna, che la leggenda dei magi testimonia come l’atto fondante della cristianità sia l’innesto dello zoroastrismo, come può vedersi, proprio vicino a Pienza, nei rilievi della pieve di Corsignano!”.
La prego, torni a «Pinocchio». “Pinocchio, come dicevo, continua la lignée esoterica, gnostica, isiaca e neopagana, nel senso più spirituale, che è al centro della nostra letteratura”.
Il che varrebbe a dire che la grande letteratura italiana è essenzialmente massonica? “Varrebbe a dire che spesso noi italiani ci lamentiamo di non avere una letteratura all’altezza, ad esempio, di quella inglese o tedesca. Ma il fatto è che la nostra migliore letteratura, quella laica, è sotterranea e segreta, perché a differenza degli inglesi e dei tedeschi ha dovuto sottrarsi alla censura dell’ala meno illuminata e elitaria della cultura cattolica”.
(La Stampa, 27 febbraio 2002)