di Valentina Marelli
Il variegato ed affascinante panorama delle Marche, una regione che regala innumerevoli sorprese storiche ed artistiche a chi decide di visitarla, possiede credo il più alto numero di chiese romaniche pressoché intatte. Un patrimonio culturale che pone questa regione al secondo posto dopo la Francia, in termini di qualità e quantità dei luoghi risalenti al periodo Romanico.
Uno di questi è la piccola chiesa di San Vittore alle Chiuse che si trova a San Vittore Terme nel comune di Genga (provincia di Ancona), in posizione isolata alla confluenza del fiume Sentino nell'Esino e presso la gola e le grotte di Frasassi. È emozionante arrivarci in macchina ripercorrendo la tortuosa strada che costeggia la gola e trovarsela, se pur in lontananza, riprendere di bianco illuminata dal sole che si staglia sullo sfondo delle montagne ricoperte della verde e rigogliosa vegetazione. La prima cosa a cui ho pensato quando l’ho visitata per la prima volta è stato che doveva essere stato un posto di pellegrinaggio estremamente affascinante; chissà che emozione nei secoli passati dovevano aver provato i pellegrini nello scorgerla dopo giorni o mesi di cammino fatto a piedi.
Sorta come chiesa conventuale benedettina di un complesso monastico documentato fin dal 1007 la sua edificazione dovrebbe risalire al periodo 1060-1080. Si tratta di una delle maggiori testimonianze di architettura romanica delle Marche e nonostante pesanti restauri novecenteschi mostra ancora l'articolazione volumetrica originale. All'inizio del XIII secolo il convento raggiunge il periodo di maggiore splendore, esercitando la giurisdizione su 42 chiese e su vasti beni e territori. Dopo una lunga decadenza, nel XV secolo l'abbazia fu soppressa; del complesso monastico rimangono solo pochi ambienti. La sua storia pare sia legata ad un’altra notevole costruzione di cui parleremo in seguito che è in provincia di Macerata, da una leggenda che vedrebbe il Vescovo di San Vittore aver ricevuto in sogno il computo di erigere una Abbazia, come poi ha fatto; ma questa è una leggenda di cui parleremo qui sul blog nei prossimi articoli.
La chiesa, costruita in pietra calcarea, presenta una pianta a croce greca iscritta in un perimetro quasi quadrato, con quattro colonne che dividono la chiesa in nove campate coperte da volte a crociera a parte quella centrale sulla quale si imposta una cupola con tiburio ottagonale, poggiante sulle colonne, tramite arconi e pennacchi a tromba. Sono presenti cinque absidi semicircolari lungo il perimetro: una su ciascun fianco e tre sul lato absidale a oriente. La facciata è caratterizzata da una bassa torre cilindrica e da un alto torrione quadrangolare che probabilmente ha sostituito l'altra torre cilindrica in epoca successiva. Le due torri e la compatta volumetria contribuiscono a dare alla chiesa un aspetto di fortezza.
Ma la caratteristica più peculiare di questa Abbazia resta certamente l’unico fregio simbolico che rappresenta un elemento unico all’interno dell’austera e vuota chiesa. Un simbolo nascosto perché volutamente non messo in bella mostra, scolpito in una pietra accanto ad una finestra: il simbolo che per molti rappresenta L’infinito.
In effetti a ben guardarlo assomiglia moltissimo al numero 8 anche se appena lo vidi la mia mente iniziò a lavorare autonomamente cercando di trovare una connessione tra quel simbolo che mi risultava familiare a qualcosa di nascosto nella mia mente, ed in effetti mi ricordava in Nastro di Moebius, rappresentazione simbolica dell’Infinto appunto che il matematico August Ferdinand Möbius creò tra il 1790 ed il 1868 anni in cui visse.
Simbolo sicuramente legato molto più alle scienze che non alla religiosità resta un elemento da approfondire e studiare in quando estremamente inusuale all’interno di un luogo di culto.
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