Sono stato invitato a partecipare – e ringrazio chi l’ha fatto soprattutto perché so essere persona degna di rispetto, che rispetto mi ha sempre portato – ad un convegno che si terrà sabato prossimo, il 27 maggio, a partire dalle 15.30, al Palazzo degli Affari di Firenze in Piazza Adua. Da lungo tempo in gestazione, è stato organizzato da tre Logge fiorentine – la “Avvenire”, la Giuseppe Dolfi e la Fedeli d’Amore – del Grande Oriente d’Italia, una delle due branche della Massoneria ufficiale italiana, nota anche come “obbedienza di Palazzo Giustiniani” per distinguerla dall’“obbedienza di Piazza del Gesù”. Il convegno ha per titolo Pregiudizio e chiarezza, gli elenchi dei massoni vent’anni dopo.
Gli elenchi a cui si fa riferimento sono quelli che comparvero nelle edicole della Toscana il 13 ottobre 1993, per la precisione 25 anni fa, in un libercolo di 112 pagine allegato al n. 233 del quotidiano “l’Unità”, il cui colophon precisava: coordinamento di Gabriele Capelli e Daniele Pugliese. Quel libretto conteneva appunto tutti i nomi degli iscritti alle Logge massoniche di Firenze e Prato, venuti all’epoca in possesso della redazione di Firenze del quotidiano fondato da Antonio Gramsci e diretto da Walter Veltroni, di cui allora ero vicecaporedattore ma con la qualifica di caposervizio.
Libretto che, in formato e a corredo di un articolo intitolato Gonnellini toscani, ho ripubblicato il 27 marzo 2010 nel mio blog da poco inaugurato, quand’ancora ero il direttore dell’Agenzia di informazione della Regione Toscana e poco prima che un politico da due soldi mi sbattesse sul lastrico, procurandomi un danno economico di 2.500 euro mensili, per non dir del resto.
Il titolo di quel libretto era La Toscana delle Logge e proprio io fui incaricato da Gabriele Capelli di occuparmene, curandolo ed inserendolo in una collana editoriale nella quale compaiono anche un volume sul Mostro di Firenze, uno raccogliticcio sui diritti dei disabili, 25 guide turistico-culturali della Toscana e dell’Emilia Romagna ed in seguito uno, con prefazione di Giorgio Napolitano, all’epoca ministro dell’Interno, sull’alluvione che nel 1996 colpì Garfagnana e Versilia causando 15 vittime.La copertina di quell’opuscolo è stata scelta proprio come immagine per il convegno, durante il quale, moderati da Francesco Carrassi, a suo tempo direttore del quotidiano fiorentino “La Nazione”, parleranno il Gran Maestro del Grand’Oriente d’Italia Stefano Bisi; il professor Fulvio Conti, docente di Storia contemporanea al Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Firenze, autore di numerosi saggi sulla massoneria, l’universo laico e le associazioni di mutuo soccorso; il vice ministro Riccardo Nencini, segretario nazionale di quanto è rimasto del Partito Socialista Italiano, da tempo dedito al dialogo tra sinistra e schieramenti politici laici sulle istanze della massoneria e per lungo tempo affiancato nel suo lavoro istituzionale da un giornalista il cui nome compariva in quegli elenchi; l’ex senatore del Pci Graziano Cioni, che fu proprio una delle due fonti, la meno significativa, attraverso le quali a “l’Unità” giunsero quegli elenchi; l’avvocato del Foro di Roma Ignazio Fiore, che nel 1993 difese il quotidiano fondato da Gramsci e tutti i giornalisti, me compreso, artefici di quel libro nelle cause per supposta diffamazione intentate dalle Logge e dai Fratelli per ottenere, invano, il sequestro della pubblicazione e il risarcimento dei presunti danni derivanti dalla comparsa dei nomi in quegli elenchi, controversia che si risolse con un convegno di chiarimento e la pubblicazione presso la Mondadori di Berlusconi del volume La massoneria. La storia, gli uomini, le idee a cura di Zeffiro Ciuffoletti e Sergio Moravia, mirato a restituire onore ai valori ispiratori dell’associazione iniziatica e di fratellanza la cui origine risale alla seconda metà del xvii secolo quando gli appartenenti alla professione muratoria iniziarono a riunirsi il logge segrete e perseguitate, in opposizione ai regimi assoluti, per poi aprirsi a professionisti e nobili con scopi di sussidiarietà e assistenza ai meno abbienti.
Di quelle 112 pagine, 53 contenevano, «laddove questi dati compaiono negli elenchi», nomi, cognomi, data e luogo di nascita, professione «di 2.038 iscritti, nelle province di Firenze e Prato, alle logge massoniche del Grande Oriente d’Italia, di Piazza del Gesù e della Gran Loggia Regolare d’Italia». Elenchi che Giorgio Sgherri, indimenticabile cronista di nera de “l’Unità”, pazientemente scovò, quasi certamente con l’aiuto di un magistrato che collaborava all’inchiesta aperta l’anno prima dal Pubblico Ministero di Palmi, Agostino Cordova, il quale ipotizzava uno scambio di voti che avrebbe coinvolto 64 massoni, in parte presenti nella Loggia P2, quest’ultima scoperta il 17 marzo 1981 nella fabbrica “La Giole” di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi in provincia di Arezzo, nell’ambito delle indagini sul presunto rapimento di Michele Sindona.
Se l’inchiesta sulla P2 portò la Commissione parlamentare d’inchiesta, appositamente istituita e presieduta da Tina Anselmi, a giungere alla conclusione che essa, di cui faceva parte anche Berlusconi, era una vera e propria “organizzazione criminale eversiva”, tanto che fu sciolta con la legge n. 17 del 25 gennaio 1982 e lo stesso Grande Oriente d’Italia, a cui era affiliata, ne espulse il 31 ottobre 1981 il capo, l’inchiesta Cordova fu archiviata il 3 luglio 2000 dal giudice per le indagini preliminari di Roma Augusta Iannini, la quale dichiarò, con una sentenza che ancora fa discutere, di non «doversi promuovere l’azione penale» nei confronti degli indagati.
Ad ogni modo le altre 59 pagine del libro che curai per “l’Unità”, dopo una decisione collegiale che persuase Gabriele Capelli a procedere in quel senso e convinse Veltroni a darci il beneplacito, contenevano un’intervista di Luca Martinelli a Zeffiro Ciuffoletti, docente di storia del Risorgimento all’Università di Firenze per ricostruire origini e storia della Massoneria; un articolo sulla presenza delle logge nelle inchieste giudiziarie della magistratura toscana a firma di Giorgio Sgherri; un’intervista di Piero Benassai a quello che all’epoca era il Gran Maestro del GOI; un’altra intervista ad Alberto Cecchi che è stato un politico di gran razza ed un fine intellettuale, ed in quel periodo era vicepresidente della commissione parlamentare d’indagine sulla P2. E ancora, entrambi a firma di Renzo Cassigoli, un articolo sui rapporti fra Gelli e il quotidiano fiorentino “La Nazione” ed una intervista all’editorialista del “Corriere della Sera” Gianfranco Piazzesi, precedentemente rimosso dall’incarico di direttore de “La Nazione” proprio dopo aver condotto un’inchiesta su Licio Gelli e la P2 e sospeso un redattore che ad essa era affiliato. Poi un articolo che ricostruiva i rapporti fra massoneria, banche e finanza, sempre scritto da Piero Benassai, ed un’intervista, condotta da Giorgio Sgherri e Giulia Baldi a Pier Luigi Vigna che all’epoca era Procuratore della Repubblica a Firenze ed è ragionevole pensare collaborasse con l’inchiesta di Cordova. C’era infine una bibliografia sull’argomento, il testo di legge presentato in parlamento per vietare ai dipendenti pubblici l’appartenenza ad associazioni «operanti in modo occulto o clandestino», brevi schede sul rito di iniziazione, i doveri del “libero muratore”, i 33 gradi della gerarchia massonica, la figura del gran burattinaio.
Il tutto, come detto, in sole 112 pagine che confezionai seguendole fino a che non furono in tipografia, stampate una prima volta, andate a ruba e riproposte, qualche settimana dopo, nuovamente in edicola per soddisfare l’interesse di quanti volevano sapere di più su quell’associazione segreta della quale erano note, in molti casi, le influenze sui concorsi universitari, gli incarichi medici, le gerarchie in molti settori della pubblica amministrazione, magistratura compresa, le redazioni dei giornali e talvolta anche in affari loschi, cioè storie di tangenti, corruzione, favori illeciti, atti di terrorismo e tentativi di sovvertimento dell’ordine democratico della Repubblica; e la curiosità di quanti volevano verificare se anche il proprio nome fosse comparso lì dentro, sperando ciò non fosse avvenuto.
Mandando alle stampe quel libretto e – prima ancora, nelle settimane precedenti – pubblicando a puntate sul giornale quegli elenchi, avevamo lo scrupolo di verificare quanto più possibile che non ci fossero casi di omonimia, e ci siamo costantemente posti interrogativi di natura etica su quanto stavamo facendo. Abbiamo, lo ricordo bene, dato puntualmente facoltà a tutti di precisare il proprio vero ruolo, di dichiarare cioè se si trattasse effettivamente delle persone citate ed anche di definirsi “in sonno”, vale a dire “sospesi” o “autosospesi” dalla Fratellanza. Di più: sapevamo, e lo affermavamo esplicitamente, che non tutti quei nomi avevano a che fare con il lato sporco di quella faccenda, la quale ha minato, in gran parte del dopo guerra, la tenuta democratica del Paese. Non era, insomma, un atto di accusa o di generalizzata discriminazione, ma di trasparenza, di voglia di verità, di fastidio per la segretezza, il silenzio, l’omertà.
Quell’operazione giornalistica – che mi è capitato di dire non sono certo rifarei – ebbe a mio giudizio più di un merito ed ovviamente, come la maggior parte delle cose in questo mondo, anche il suo lato negativo.
Quest’ultimo è quello a cui, mi par di capire, tenterà di dare risposta il convegno di sabato prossimo, al quale, se le mie condizioni di salute lo permetteranno, parteciperò per curiosità ed interesse – due cose senza le quali non si fa il giornalista, ed io quello ho fatto nella mia vita – e per riconoscenza e stima verso la persona che mi ha invitato.
Perché il convegno, per quel che mi è stato spiegato, intende affermare – ed io condivido in toto tal postulato – che le discriminazioni, verso chiunque, qualunque sia il motivo, non vanno mai bene. E se dopo la pubblicazione di quegli elenchi ci sono state persone in qualche maniera additate o guardate in cagnesco per il solo fatto d’aver fatto voto al compasso, al gonnellino e all’associazione che affascinò Mozart, è doveroso portar loro rispetto, come ho fatto io con un amico che, perso per strada per avermi tradito molti anni fa, mi tradì una seconda volta quando scoprii appunto che il suo nome fosse tra quelli da me pubblicati. Ora credo di aver compreso le ragioni della sua scelta, che non condivido, ma rispetto e non escludo sia “un amico ritrovato”.
Purché il “mutuo sostegno” non si trasformi, come spesso invece è avvenuto e avviene, in un favoritismo sleale ed immotivato, quando si premia l’“obbedienza”, anziché il merito.Se in altre parole la distanza, il non gradimento, anche qualche sospetto, dovessero trasformarsi in una Inimica vis – questo è il titolo di un volume pubblicato nel 2010 da Laterza che porta come sottotitolo La sindrome antimassonica in tre secoli di scritti e di testimonianze da me acquistato quando si tenne una mostra sul tema – farei un passo indietro e sarei pronto a battermi per il riconoscimento di quel diritto alla propria scelta interiore.
Ma, come sostenevo, quel libretto ha avuto dei meriti: innanzitutto quello di mettere in chiaro, fino a giungere a leggi che lo hanno affermato nero su bianco, che la segretezza in democrazia è un disvalore: ha senso, come l’ha avuto per i partigiani, durante l’occupazione nazista e la repressione da parte del regime, non fintanto che esistono le urne nelle quali lasciare il proprio anche minoritario o protestatario voto.
E poi il merito di aprire un dibattito, un confronto, un guardarsi in faccia senza travisarsi il volto come ai balli in maschera, che va bene a una festa di goliardi, non in uno Stato civile.
Purtroppo ancora non è pienamente così e le cronache dei giornali ne danno testimonianza. Ne dà testimonianza anche la mia esperienza diretta, per esempio con un massone ebreo il quale mi ha costretto a ricordarmi di non confondere la discendenza da mamma semitica o la frequentazione del tempio con la patente d’onestà: i farabutti esistono ovunque, tra gli arabi come tra i cattolici, come anche tra quelli che come hanno militato nel Partito comunista o tra chi ha avuto antenati vittima della Shoah. Bisogna saperli riconoscere ed impedire loro di portar zizzania in terra.