di Domenico Fragata
Il linguaggio dei simboli si presta a svariate interpretazioni, più ampia e profonda è la nostra visione e più vasto sarà il panorama di significati possibili da cogliere. In questo lavoro mi sono dedicato allo studio del segno di riconoscimento di apprendista che, nella sua semplicità , cela e rivela numerosi significati occulti che coinvolgono diversi aspetti della tradizione massonica. Il segno di riconoscimento non è di certo un banale saluto bensì un simbolo che identifica un gruppo di persone che dovrebbero riconoscersi nel medesimo orizzonte di valori ed ideali.
La Squadra
“Mi sforzerò di vivere con amore e sollecitudine sulla livella per mezzo della squadra”… Incisione ritrovata su una squadra di rame del 1517
Il simbolo massonico sul quale si struttura il significato del segno d’apprendista è la squadra, in latino definita norma che significa regola, modello o esempio.
Il termine stesso trae la sua origine dal tardo latino exquadrare che significa squadrare, rendere quadrato. Nel simbolismo cosmologico la squadra designa lo spazio terrestre, la materia che, a livello numerologico, corrisponde al numero 4, sintesi ordinata degli elementi Fuoco, Terra, Aria e Acqua. La squadra è lo strumento che verifica l’operato del maglietto e dello scalpello, deve consentire all’apprendista di controllare se la sua pietra interiore sta divenendo effettivamente cubica e perfetta. Secondo il manoscritto Graham la scienza di Dio si riassume nella squadra, mentre il manoscritto Dumfries indica che la massoneria è un opera di squadra; il che viene realizzato dall’apprendista in modo gestuale. Ogni gesto rimanda dunque al continuo sforzo che il massone deve fare per giungere agli ideali di integrità e rettitudine.
Motivazioni Simbolico Iniziatiche
Il segno di riconoscimento nel cerimoniale è descritto nel seguente modo:
«Stando all’ordine ritirare la mano destra orizzontalmente dalla gola verso la spalla destra, lasciandola poi cadere verticalmente lungo la gamba, in tal modo nel suo movimento si disegna una squadra».
Questi movimenti oltre a disegnare una squadra rappresentano anche una decapitazione.
La prima volta che osservai questo segno non potei fare a meno di chiedermi quale fosse il nesso fra il simbolo della decapitazione e la Massoneria.
Certamente una prima spiegazione la si può trovare nel rituale d’iniziazione nel quale il massone giura: «Preferirei farmi tagliare la gola piuttosto che rivelare i segreti che mi sono stati confidati».
Nonostante questa argomentazione continuarono a sussistere in me numerosi interrogativi che mi portarono ad un’intuizione e, di conseguenza, ad un’altra domanda: qual è il legame tra la Massoneria e Giovanni Battista (che fra tutti è il decapitato più illustre)?
Dati gli innegabili riferimenti al Battista nella libera muratoria ho deciso di approfondire l’argomento per comprendere quali fossero i rapporti fra il segno di riconoscimento e questa eminente figura del proto-Cristianesimo.
Nel libro “Simbolica Massonica” di Irene Mainguy viene citato un passaggio che recita:
Domanda – A chi è dedicata la vostra Loggia e perché la chiamate Loggia di San Giovanni?
Risposta – È dedicata a San Giovanni e la chiamiamo così perché questo santo fu il primo a praticare la virtù e la carità, e a mostrarci la vera Luce.
Nel rituale è evidente che la richiesta del profano di entrare a far parte della loggia è strettamente legata al simbolo della Luce. Dopo che l’esperto ha bussato alla porta del tempio, molteplici volte e con vigore, il copritore apre la porta e, dopo averla richiusa, si avvicina al primo sorvegliante riferendogli:
«È un profano che chiede la Luce».
Di certo non è un caso che la massoneria celebra nel solstizio d’estate, zenit di massima luce, Giovanni Battista.
Il profano che desidera essere ammesso alla libera muratoria, chiedendo la Luce, viene iniziato sotto la protezione del “santo Iniziatore” che simboleggia lo splendore della Luce.
Tramite questi semplici collegamenti risulta evidente la centralità e l’importanza della figura del Battista nel panorama simbolico della massoneria.
Il contesto storico
In quel tempo il tetrarca Erode ebbe notizia della fama di Gesù. 2 Egli disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista risuscitato dai morti; per ciò la potenza dei miracoli opera in lui». Erode aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione per causa di Erodìade, moglie di Filippo suo fratello. 4 Giovanni infatti gli diceva: «Non ti è lecito tenerla!». 5 Benché Erode volesse farlo morire, temeva il popolo perché lo considerava un profeta. Mt 14
Studiando la storia e l’origine della massoneria non possiamo non addentrarci nelle vicende dell’ordine templare. Dati gli innegabili legami fra i due ordini credo sia necessario chiedersi che rapporto c’è, o c’è stato, fra la figura di Giovanni Battista e i Cavalieri del Tempio.
La storia narra che Ugo di Payns fondò, insieme ad altri otto cavalieri, l’ordine informale dei Poveri Cavalieri del Cristo e del Tempio di Salomone che venne accolto in terra santa sotto la protezione di re Baldovino secondo. Il re sistemò i nove cavalieri presso l’ala orientale del suo palazzo che confinava con le rovine del tempio di Salomone fatto costruire da Erode.
Secondo lo storico francese Gaetan Delaforge: La missione reale dei cavalieri consisteva nel fare ricerche in quell’area, onde riportare alla luce certi resti e manoscritti che serbavano racchiusa l’essenza delle arcane tradizioni del giudaismo e dell’antico Egitto, alcuni risalenti all’epoca di Mosè.
Al momento, comunque, l’unico dato certo sui rotoli è che uno di questi contiene un diagramma con dei simboli che riportano specificatamente alla misteriosa eresia Giovannita, una corrente di pensiero gnostica per mezzo della quale i Templari potrebbero essere stati iniziati in Terra Santa. Secondo alcuni studiosi il popolo ebraico attendeva due Messia, o Prescelti, che i protocristiani identificarono nelle figure di Giovanni, il Messia Sacerdote, e Gesù, il Re Messia incarnato. In «Iside Svelata», Madame Blavatsky rivela: «Loro [i Cavalieri Templari] all’inizio erano i veri Cavalieri di Giovanni il Battista, che piangeva nel deserto e viveva di miele selvatico e locuste». Il cabalista Eliphas Levi, nel libro «Storia della Magia» spiega: «I Templari avevano due dottrine: una era celata e riservata ai leader, essendo quella del Giovannismo, l’altra era pubblica, essendo la dottrina cattolica romana. Solo i capi conoscevano lo scopo dell’Ordine che i subalterni seguivano senza diffidare». Così, Levi confermò l’affiliazione dei Templari con i Giovanniti gnostici ma andò un passo avanti indicando che erano principalmente i Gran Maestri e i capi dell’Ordine ad essere consapevoli delle attività eretiche dei Cavalieri. Questa nozione è stata corroborata dalle trascrizioni compilate dal Concilio Papale durante la caccia ai Templari mostrando che i capi dell’ordine dei Cavalieri Templari, quando erano interrogati circa uno dei loro più importanti riti Giovanniti, quello dell’adorazione della testa di un idolo chiamata Baphomet, ne erano a conoscenza. Il custode della testa era, all’epoca, Hughes de Peraud, il secondo in comando sotto il Gran Maestro Templare Jacques de Molay, che portò segretamente la testa da una comunità templare all’altra ogni qualvolta c’era un’iniziazione o una cerimonia per cui era richiesta la sua presenza. Secondo alcuni studiosi il Baphomet dei Templari era la testa decapitata di Giovanni il Battista; il “Messia” della tradizione Giovannea. Ma cos’era in realtà il Baphomet? È possibile avere una chiara indicazione del significato reale di questa parola traducendola in codice Atbash. Usando questo metodo, semplice e largamente praticato dall’esegesi ebraica, la parola baphomet può essere tradotta con Sophia. Anche considerando solo questo breve spunto di riflessione è possibile scorgere la matrice gnostica della ritualità templare conservatasi negli alti gradi dei riti massonici. Quasi sicuramente le derivazioni gnostiche del culto giovannita, praticato dai templari, confluirono in massoneria e ne strutturarono a tal punto la ritualità e la gestualità da generare un segno di riconoscimento che ne facesse esplicito riferimento.