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lunedì 27 marzo 2017

LA LETTURA ALLEGORICA ED ESOTERICA DELLA FIABA DI BIANCANEVE

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Dopo la pubblicazione dell’interpretazione di questa favola da parte di Ciro Scotto, abbiamo trovato altri punti di vista. L’intuito è il nostro miglior strumento e sondare quello degli altri attraverso le loro interpretazioni, può essere utile per affinarlo ed utilizzarlo in ogni ambito. La conoscenza insieme all’intuito ci porta a comprendere più profondamente gli archetipi, i simboli e i significati esoterici racchiusi nelle antiche Favole dell’Umanità.

Patrizia di Visione Alchemica
È questo uno degli esempi più significativi. Di fatto la fiaba della nota principessa avvelenata dalla strega-matrigna con una mela pare riprendere alcuni concetti fondamentali delle antiche discipline esoteriche. “Biancaneve e i sette nani” dei Grimm – che, a loro volta, probabilmente, la ricavarono da miti più antichi – , tra i suoi significati ripropone il tema della creazione e della nascita del tempo. Essa fu poi ripresa dal padre dell’animazioone, Walt Disney che, da studioso di esoterismo (pare sia stato un adepto della Massoneria), vi riconobbe la rappresentazione del sistema solare e diede ai nani dei nomi significativi e per nulla casuali. È quanto spiega anche il fisico Vittori Marchi nel suo libro “La scienza dell’Uno”.
Il primo della serie è Dotto, in inglese Doc, che rappresenta il sole, dunque la luce, il giorno del sorgere della vita e della veglia (domenica). Poi c’è Mammolo, in originale Bashful, ovvero il timido, che rispecchia, invece, l’aspetto femminile, quindi la luna e il giorno della settimana del lunedì. Brontolo, Grumphy, l’irritabile, è Marte (martedì), Cucciolo, Dopey, piccolo e giovane, è Mercurio (mercoledì), dio portatore dell’informazione segreta. A questi si aggiungono, Gongolo, Happy, il gioviale, che rappresenta Giove (giovedì), Eolo, Sneezy, custode dei venti per Venere (venerdì) e infine Pisolo, Sleepy, che trova in Saturno – sabato – il giorno del sonno e del riposo.
Biancaneve sarebbe l’ottavo elemento della storia. Otto è il numero della totalità e, nella sua rappresentazione grafica riflette il senso di un tempo che si riproduce in un eterno, ma mai ripetibile, ritorno. Sette degli elementi che fanno parte di questo scenario del mondo appartengono a una dimensione, per così dire, “ordinaria”, l’ottavo a una dimensione “straordinaria”.
I sette nanetti vivono da sempre nel bel mezzo del bosco, simbolo del mondo conosciuto. In esso, prima dell’arrivo di Biancaneve, l’azione, la rappresentazione della vita è ancora inespressa, il tempo ancora non esiste, essendo ogni cosa immersa in un eterno privo di ciclicità. L’arrivo della ragazza dà inizio al tempo trasformando il “C’era una volta” – tempo anteriore al tempo – in tempo storico, e innescando un processo di creazione che movimenta la staticità della ristretta realtà del bosco e porta in atto i sentimenti e con essi l’amore. Con l’innescarsi della vita compare, ovviamente, anche la morte e con essa la rinascita, mentre l’eternità cede il passo al tempo che da lineare si fa circolare. 
La Matrigna non è altro che la Matrix, l’illusione, il simbolo delle forze oscure che si oppongono all’ordine dell’esistenza dell’Universo e che trae in inganno facendo scambiare una minima parte con il Tutto. La Matrigna precipita la protagonista nel torpore del sonno, cioè della non conoscenza, proprio del mondo dell’apparenza, ma Biancaneve riprenderà i sensi, destata dal richiamo della coscienza e trasforma il microcosmo dei nani in una dimensione prodigiosa.
Fonte: http://www.ripensandoci.com/index.php?option=com_content&view=article&id=558%3Afiabaedesoterismo&Itemid=74
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L’INTERPRETAZIONE PSICOLOGICA DI SIBYLLE BIRKHÄUSER-OERI.

Birkhäuser-Oeri tenta un paragone tra lo snodarsi dell’evento fiabesco e i processi dell’inconscio. Una regina, che dopo poco morirà, desidera una figlia bianca come la neve, rossa come il sangue e bruna come l’ebano. Il suo desidero si compie. Ci troviamo di fronte al rinnovamento di qualche cosa di femminile che potrebbe essere l’immagine dell’anima nell’uomo o il modello della vita femminile per la donna. La regina muore e con lei qualche cosa di vecchio, che può essere nell’area del sentimento, o in qualunque altro ambito, e scompare lasciando il posto al nuovo, a Biancaneve, la quale sarà caratterizzata dal numero tre: dai tre colori, bianco, rosso e nero e dalle tre gocce di sangue. Tre sono le figure femminili nella fiaba: la madre di Biancaneve, Biancaneve stessa e la matrigna. Non pare casuale un rimando alle triadi di divinità dell’antichità classica; si pensi a Demetra, Kore ed Ecate, Demetra come dea madre, Kore la figlia ed Ecate, divinità lunare e notturna, presente al ratto di Kore. Anche le dee del destino formano spesso delle triadi, come ad esempio le Moire.
La madre di Biancaneve rappresenta lo stato in cui si è ancora uno con se stessi, senza contrasti e dunque senza dissidi. Da questa oscura incoscienza sorge come una luce Biancaneve che, bianca come l’innocenza, rappresenta il sentimento nella sua originaria purezza, non ancora frammisto a intenzioni egoistiche. Il bianco è il colore degli spiriti dell’ultraterreno, dell’aldilà. Ma Biancaneve è anche nera come l’ebano e rossa come il sangue. Il nero, scrive Birkhäuser- Oeri, indica oscurità, male, il rosso del sangue significa calore, vita, emozione. Questi aspetti si rivelano in lei dall’esterno, nella passionalità della matrigna che non sopporta che Biancaneve sia più bella di lei. Il carattere della matrigna, vanitoso, geloso ed egoista è il contrario di quello di Biancaneve. La lotta tra il bene e il male ha inizio. Il conflitto tra Biancaneve e la regina cattiva potrebbe quindi essere interpretato come la collusione fra due posizioni nettamente contrastanti nella psiche femminile. La gelosia, personificata nella matrigna, è la negazione dell’amore e finirà col distruggere la regina, così come chi non diviene cosciente del proprio egoismo non può maturare e svilupparsi. La fiaba di Biancaneve, secondo Birkhäuser-Oeri, sarebbe l’illustrazione dello sviluppo dei sentimenti, attraverso il quale l’essere umano diviene dolorosamente cosciente delle sue interne contraddizioni.
La regina ha uno specchio che le dice sempre la verità, una sorta di intelligenza superiore. Uno specchio serve a scandagliare se stessi e a ricavarne autoconoscenza. La regina ne abusa per avere informazioni sugli altri e lo mette al servizio della propria gelosia. Ciò significa che il lato buio della donna, l’”anima dell’uomo”, che di per sé è una dote positiva, utilizza qui il dono dell’intuizione per scopi negativi. Il modo in cui lo specchio continua implacabile a dire la verità avrebbe qualcosa di demoniaco. In una variante della fiaba infatti lo specchio è sostituito da uno spirito cattivo. Quando apprende che Biancaneve è più bella di lei, la regina cerca di farla uccidere dal cacciatore, che per mestiere è a stretto contatto con gli animali, i quali a loro volta simboleggiano gli istinti umani. Il cacciatore che si lascia impietosire si può interpretare come quel sano istinto che salva l’essere umano dall’assalto del male. Nel linguaggio psicanalitico il cacciatore personifica il cosiddetto “animus”, espressione con la quale si suole definire il lato maschile della donna. Il cacciatore porta alla regina il fegato i polmoni di un animale al posto di quelli di Biancaneve e lei li divora soddisfatta, rivelandosi figura di madre che annienta, anziché far progredire amorevolmente, i suoi piccoli, e rappresenta coloro che distruggono la Biancaneve che hanno in sé.
Biancaneve fugge al di là dei sette monti. Questa fuga rappresenta lo sviluppo personale che ciascuno raggiunge per gradi attraverso il conflitto interiore, passando dalla valle alla vetta e prendendo distacco da sé e dalle proprie passioni. Dopo questo raggiungimento Biancaneve trova protezione presso i nani. Nella mitologia i nani sono esseri operosi, posseggono conoscenze misteriose e saggezza; scavano tesori dal cuore delle montagne, ossia, metaforicamente, valori nascosti nel profondo di ciascuno. Sono minuscoli e personificano le possibilità dell’anima, piccole ma molto efficaci. Nella fiaba sono positivi. Sette piccole luci, tanti piccoli pensieri che soccorrono colui che vuole vincere i propri conflitti. Per poter restare presso di loro Biancaneve deve servirli operosamente, ossia mettersi al servizio della propria spiritualità creatrice. Il mondo dei nani è piccolo, quindi relativo nello spazio, mentre la figura di Biancaneve appartiene ad un’altra dimensione nel tempo, poiché la sua morte non sarà reale. Sembra rappresentare la parte sovratemporale dell’anima. La regina tenta tre volte di uccidere Biancaneve: con i lacci della cintura le toglie il respiro, con il pettine i pensieri inconsci e la fantasia, simboleggiati dai capelli, e con la mela avvelenata interviene nella sfera dei sentimenti. Il veleno è un’arma usata più dalla donna, perché è l’arma del più debole. L’uomo attacca in genere apertamente, solo la sua “anima” è talvolta velenosa. La mela è il simbolo mitologico dell’amore e nel paradiso terrestre lo è della conoscenza morale. Porgendo a Biancaneve la parte rossa avvelenata la regina usa l’eros come simbolo distruttivo e come strumento dell’io privo dell’aspetto divino.

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Tornando a casa i nani trovano Biancaneve morta, e la terza volta non c’è davvero più niente da fare. Per tre giorni la piangono insieme agli animali del bosco, fra i quali una civetta, un corvo e una colomba. Al momento di seppellirla nella terra nera s’avvedono che Biancaneve rimane intatta, allora le fabbricano una bara di cristallo e vi scrivono sopra che contiene una figlia di re, ossia un essere che solo apparentemente soggiace alla morte ed è destinato, grazie al suo valore sovrapersonale a raggiungere la regalità, a uscire dal caos e dal disordine incontro all’amore vero.
La morte di Biancaneve descrive un evento solo in apparenza contraddittorio. Da un lato una grande sventura, dall’altro la condizione per sorgere a nuova vita. Simbolicamente la morte non significa mai uno stato definitivo, bensì una situazione provvisoria che prelude ad una trasformazione. Si pensi ai misteri della morte e della rinascita nella mitologia e nella storia delle religioni, come ad esempio la morte di Attis e di Osiride e il ritorno di Kore nel mito di Demetra. Anche l’essere umano vero deve talvolta passare attraverso una morte simbolica per progredire. In questa fiaba è il principio originario dell’eros che passa per lo stato della morte. È la morte che toglie l’uomo dall’isolamento nel quale si trova durante la sua esistenza corporea nel tempo e nello spazio. La morte è il ritorno alla madre, l’entrata nel grande Amore, la cessazione della solitudine. C’è quindi una morte che non può essere evitata, che è simbolica e trasforma la fanciulla ingenua nella sposa regale. In linguaggio psicologico si può dire che il sentimento, che prima era vero ed innocente per ingenuità, si è sviluppato ed è giunto a maturazione. Biancaneve viene solo apparentemente toccata dal veleno e dalla morte e poiché non si decompone raffigura quel quid eterno che è dell’uomo. La bara di cristallo è un involucro freddo ed invisibile che impedisce la partecipazione attiva alla vita, simbolo anch’esso del principio materno che dà la morte (nell’antico Egitto l’interno del sarcofago veniva dipinto come una figura materna che abbraccia il defunto).
A conclusione della fiaba il principe salva Biancaneve, ma è un caso fortuito quello che conduce alla sua liberazione; una scossa, causata da un servo che inciampa in uno sterpo è metafora per uno shock a livello psichico che provoca l’eliminazione di ciò che non è essenziale, di ciò che è estraneo, qui il torsolo della mela, e consente il ritorno in se stessi. Secondo Birkhäuser-Oeri ciò che più colpisce nella fiaba è la passività dell’eroina, che cerca di sfuggire alla propria distruzione senza esserne in grado. Deve lasciarsi avvelenare e solo dopo potrà vivere. Le nozze simboleggiano l’unione feconda della parte femminile con la parte spirituale maschile, ossia l’unione della donna con il suo “animus”, che trova naturalmente riscontro nell’unione dell’uomo con la sua “anima”. Interpretando il topos al maschile il principe salvatore è il sé, l’interiore personalità dell’uomo, chiamata a reggerne l’esistenza. Sia che la si legga al femminile, sia che la si legga al maschile la fiaba rappresenta il collegamento fra comprensione spirituale e sentimento vero.
Fin qui giunge l’interpretazione di Sibylle Birkhäuser-Oeri che colpisce per la sua acutezza. Biancaneve sarebbe l’anima dell’essere umano, immagine che già avevamo trovato in Max Lüthi. Il principe è il principio spirituale. Ambedue sono degni di congiungersi solo quando conoscano e comprendano l’amore vero. A quel riconoscimento giungono coloro che, aiutati nella lotta e nel superamento dei propri limiti dalle forze delle qualità personali intrinseche, abbiano saputo sopportare, senza soccombere, l’aspro cammino che conduce alla maturità. La psicologa, autrice di questa interpretazione, osserva acutamente, ma senza spiegarla, la mancanza di volontà nel personaggio principale della fiaba. Ora illustriamo la terza delle interpretazioni annunciate, preparandoci a salire un altro scalino di intensità e di proposito.

L’INTERPRETAZIONE TEOSOFICA DI ARTHUR SCHULT

Non potrebbe esserci rimando più chiaro al valore misterico delle fiabe. La saggezza si trova anche in un rozzo contenitore, ma si può acquisirne conoscenza solo dopo lunga attesa, preziosa ricerca e adeguata preparazione.
I colori bianco, rosso e nero con i quali Biancaneve fa il suo esordio, dice Arthur Schult, erano i colori del ciclo delle tre stagioni nell’età della pietra. In molte antiche culture, presso i popoli germanici, presso gli Ebrei e gli Egiziani l’anno aveva tre stagioni. I luoghi sumerici antichi del culto della virginale madre del dio, il tempio di Tell el Obeid vicino a Ur e l’interno del tempio di Uruk erano adorni di colonne e mosaici in bianco, rosso e nero. Particolarmente belle sono le rosette di Tell el Obeid istoriate di fiori di questi tre colori che caratterizzavano nel triplice corso dell’anno la vita, la morte e la resurrezione del dio dell’anno cosmico. La fanciulla bianca, rossa e nera può essere dunque una rappresentazione dell’essere umano completo. Il bianco della neve simboleggia lo spirito e la saggezza, il rosso l’anima e il sentimento, il nero, colore della terra, sta per il corpo e la volontà. Presso i Germani era sacra la cicogna, l’uccello bianco, rosso e nero, nel quale essi vedevano il simbolo dell’immagine originaria dello spirito. Non per nulla si dice tutt’ora che le cicogne portano i bambini.
Biancaneve, la fanciulla dai tre colori, simbolo dell’essere umano cosmico totale, nasce da una madre ultraterrena nell’atmosfera invernale della neve che cade in larghi fiocchi di cristallo che, quali forze celesti a forma d’esagono e quindi di stelle a sei punte, avvolgono la terra. Presso i popoli celtici e germanici la sacra notte, madre dell’anno, era casa natale ed insieme tomba del figlio del sole, caverna e fonte di vita. È qui che l’essere umano sperimenta la discesa nel regno delle Madri e a mezzanotte gli è concesso sollevare il velo dell’originaria madre del tutto. La madre terra nel solstizio d’inverno partorisce nella notte oscura il luminoso figlio del sole. Procopio ne La guerra Gotica racconta che presso i popoli scandinavi il solstizio d’inverno era la festa più alta per gli abitanti di Tule. La regina buona, anima materna collegata al divino, muore e al suo posto subentra la matrigna che simboleggia la materia, ossia ciò che nell’essere umano è strettamene aderente al mondo concreto, la natura umana materiale che inizia la contesa con lo spirito. Lo specchio conduce la regina cattiva non solo alla conoscenza di sé, ma anche alla conoscenza del mondo; simboleggia quindi la ratio, la mente concreta, la conoscenza terrena che, dopo il paradiso terrestre, ha perduto la luce del divino ed è divenuta cieca al suo splendore. Un altro simbolo della mente concreta è il cacciatore presso il quale le forze della conoscenza uccidono le forze della vita, come egli uccide gli animali. Sia lo specchio, sia il cacciatore sono in potere della regina cattiva. Ma da Biancaneve emanano amore, innocenza, purezza e luminosità tali, che il cacciatore non riesce ad ucciderla. Biancaneve è più forte di lui e supera il potere mortale della fredda ragione. Né le forze mentali, simboleggiate nel cacciatore, né le forze emotive del mondo sensitivo, raffigurate negli animali, possono nulla contro Biancaneve, che rimane pura in anima e spirito.
Poi Biancaneve fugge e trova rifugio nella casetta dei sette nani, al di là dei sette monti. Per giungere nel regno dei nani, i quali altro non sono che spiriti elementari della terra, come le fate, le silfidi e gli elfi lo sono dell’aria, le ondine dell’acqua e le salamandre lo sono del fuoco, Biancaneve ha superato la soglia ed è giunta in un altro mondo, in un’altra dimensione. In questo viaggio verso l’interiorità dell’essere i sette monti sono il crinale che separa il mondo degli istinti da quello delle forze vitali. Se è difficile dominare l’ira e l’invidia, la gioia e il dolore ed altre emozioni, sulle forze della vita l’uomo ha ancora minore potere e non si può avvicinare a loro alla coscienza del giorno. Gli animali che Biancaneve incontra sono l’espressione delle forze passionali in parte cattive e non decantate, mentre il mondo degli spiriti elementari è descritto qui come un regno puro ed innocente nel quale l’essere umano viene accolto solo quando, dopo aver purificato i propri istinti, tende alla conquista della purezza dell’anima. La matrigna, che può entrare nel regno degli elementali, o forze elementari, solo sotto mentite spoglie, tenta di operare in modo distruttivo in quel mondo con i mezzi della magia nera.
Il solitario e silenzioso mondo dei nani viene descritto minuziosamente in forza del numero sette. Entrando in casa i nani pongono ognuno una domanda che contiene un riferimento a ciascuno dei corrispondenti sette pianeti. La seggiolina è il simbolo di Saturno, il piatto, la ciotola stanno per la Luna; il pane veniva fatto rotondo ad indicare il Sole; il verde è il colore di Venere; la forchetta è il simbolo di Giove; coltello, così come spada e pugnale appartengono a Marte: la coppa è il simbolo di Mercurio. I nani aiutano Biancaneve. Essi sono spiriti nei quali la capacità di conoscenza passa attraverso la testa sproporzionata, senza mediazione intellettuale; in qualità di forze elementari, essi sono attivi, durante il giorno, alle radici delle piante e nel cuore della terra sono a contatto con i cristalli e i metalli. Di notte invece escono dal loro elemento, così come le forze spirituali dell’uomo, attive di giorno nella mente, si staccano nel tempo notturno dai legami della corporeità. La matrigna ha come unico intento quello di imporsi e di dominare. I suoi tentativi di annientamento nei confronti di Biancaneve si rivolgono al sentimento utilizzando la cintura, che toglie il respiro, al pensiero avvelenando col pettine la coscienza, alla volontà con la mela che toglie la vita. I nani riescono a sventare solo i primi due. Il terzo è al di là del loro potere. Ma Biancaneve, pur avendo mangiato la mela avvelenata, simbolo della morte spirituale nell’Eden e del potere umano, rimane la fanciulla bianca, rossa e nera. Le forze della decomposizione non contaminano il figlio del sole e della luce che permane vittorioso in ogni contesa degradante e distruttrice. E gli animali giungono e piangono: la civetta, l’uccello di Atena, vede nella notte, ed è simbolo della conoscenza superiore, il corvo, l’uccello di Wotan, indica quanto di più oscuro lega l’uomo alla terra, la colomba, simbolo dello spirito, è espressione della forza dell’amore dell’anima purificata. I tre uccelli sono anche rappresentativi delle tre religioni: la greca, la germanica, la cristiana. Tutti gli animali poi indicano la partecipazione della natura alla morte di Biancaneve
Alla fine compare il figlio di re. Vede la fanciulla nei suoi tre colori e in lui s’accende l’amore; poiché i nani non venderanno mai la bara di cristallo, egli chiede ed ottiene che essa gli venga donata. Il figlio di re rappresenta la forza più potente nell’uomo e nel cosmo, l’Amore, il cui inno risuona nel Cantico dei cantici e che, per Dionigi l’Aeropagita, è il nome più consono alla divinità originaria. Nel figlio di re si manifesta la forza divina superumana e trascendente che sconfigge la morte. Le nozze sono la festa della sacra comunanza di coloro che si amano, immagine, simbolo e promessa delle nozze eterne fra l’essere superiore spirituale e l’umanità. La matrigna giunge alle nozze, spinta dalla curiosità; riconosce Biancaneve e la paura e il terrore la paralizzano. Potrebbe fuggire, nessuno la costringe dall’esterno; è lei a compiere in una macabra danza rovente di invidia e gelosia la sua morte di fuoco. Per Arthur Schult Biancaneve diviene parabola trasparente che esplicita il mistero del viaggio che l’essere umano spirituale compie per raggiungere la perfezione.
Le tre interpretazioni proposte si muovono su tre piani diversi, ma contengono un’immagine in comune; appena accennata dallo storico, scandagliata dalla psicologa e usata con disinvolta ovvietà dal teosofo: Biancaneve rappresenterebbe l’anima umana in cammino dalle tenebre verso la luce, dal dolore verso la gioia, dalla disperazione verso la serenità. Trasmetterebbe quindi un messaggio che fortifica la psiche e la rassicura, aiutandola ad uscire dalle panie dell’angoscia verso la certezza della definitiva realizzazione del Sé. Nel compiere questo viaggio quotidianamente vissuto con lenta e buia fatica dall’essere umano alla ricerca di sé, l’anima incontra ostacoli di ogni genere, subisce sconfitte, si rialza, dispera, giunge all’orlo del precipizio, quasi muore, poi si riscuote, riconosce la durezza ma anche la positività della lotta necessaria, si rinfranca, comprende che non può lasciarsi sopraffare dalle forze negative e che deve combattere e vincere. In fondo al cammino irto di spine e di dolore c’è l’unione spirituale, c’è l’autorealizzazione.
È possibile anche definire Biancaneve fiaba di Alchimia. In essa sono reperibili alcuni capisaldi dell’arte dei filosofi ermetici, che è opera di trasmutazione, la quale si attua tramite le fasi attraverso le quali passa la materia per trasformarsi da piombo in oro. Esse sono un massimo di dodici. A volte se ne contano sette, una per pianeta, ma la consuetudine le riduce a quattro. Esse vengono denominate: nigredo, albedo, citrinitas o viriditas e rubedo. Biancaneve, oltre a rappresentare la materia stessa che deve passare attraverso le operazioni di trasmutazione, porta in sé tre dei colori dell’opera: il nero della prima fase, il bianco della seconda e il rosso della quarta. A ciascuna fase presiede un pianeta col metallo corrispondente: al nero corrispondono Saturno col piombo, al bianco la Luna con l’argento, al rosso il Sole con l’oro. Al colore della terza fase, la più perigliosa, o fase al giallo/verde, anche chiamata coda del pavone presiede Venere col rame. A fornire all’opera alchemica di trasmutazione il colore della terza fase provvede dunque la matrigna della quale la fiaba dice esplicitamente che divenne verde e gialla d’invidia. È evidente che il ruolo della regina cattiva è essenziale nello svolgimento degli eventi e causa la trasformazione di Biancaneve da bimba indifesa in sposa regale. La fiaba infatti si conclude con nozze che coniugano i due principii, il femminile e il maschile, ora pronti per la congiunzione e ad esprimere nell’unione reciproca lo splendore dell’oro.
Ripercorrendo ancora una volta questa fiaba che ha molte ragioni, oltre a quelle proppiane, per essere definita fiaba di magia, alcuni altri particolari colpiscono la comune sensibilità. Si riassumono in cinque parole: solitudine, paura, morte, volontà, dono. Dopo essere stata abbandonata nel bosco dal cacciatore Biancaneve è completamente sola e ha tanta paura che si guarda anche dalle foglie degli alberi. La casetta dei nani è deserta quando lei vi giunge, e di giorno la fanciulla vi trascorrerà tutto il tempo in solitudine. Ciò potrebbe significare che l’anima alla ricerca di sé percorre un sentiero sottile, aspro e accidentato dove corre il rischio di perdersi e come compagna ha la paura dai mille tentacoli. Paura del futuro, dell’ignoto, della sofferenza, delle privazioni, paura della vita e paura della morte. Biancaneve viene accolta dai nani, ma anche presso di loro è sola e in quella casetta supera la paura. È nella solitudine che, per assurdo, va vinta la paura. Nella solitudine l’anima entra in contatto con se stessa e attraverso maldestri tentativi e ripetuti errori giunge a trovarsi. È nella solitudine che fiorisce l’arte, che la natura parla, che la voce interiore si fa strada, che la lampada della visione s’illumina. La morte può essere letta come sventura, come simbolo, come resurrezione, come superamento in forza dell’amore. Biancaneve giace a lungo nella bara e sembra dormire. La sua morte in effetti non esiste, è solo un lungo periodo di assenza dall’attività fisica, un passaggio da uno stato di coscienza ad un altro, più ampio e completo, nel quale diviene possibile il primo atto di libera volontà, descritto così in breve e con tale discrezione da passare inosservato. Il principe chiede a Biancaneve di seguirlo nel castello di suo padre e di divenire la sua sposa e lei acconsente e va con lui. Non c’è adesione a un credo, a un rito, ad un evento sacro se non con l’espressione della libera volontà esente da qualunque costrizione ambientale, sociale, psicologica ed emotiva. La precedente passività dell’eroina si spiega con l’inesperienza dell’anima nel conoscere la propria entità e le forze misteriose che in essa albergano. È con il lungo viaggio delle ripetute esperienze che Biancaneve conquista una maturità tale da poter esprimere liberamente l’aspetto della volontà insito in lei e sbarrato prima d’allora alla coscienza. È attraverso l’amore che l’anima acquisisce l’ulteriore capacità di esprimersi. Vi è un ultimo particolare, eclatante nella sua semplicità simbolica. Il principe chiede ai nani la bara e offre in compenso tutto ciò che essi possano volere. Ma essi non sono disposti a cederla neppure per tutto l’oro del mondo. Allora il principe chiede che gliela regalino. E così accade. L’amore non si compera, perché non è in vendita. Lo si può solo dare e ricevere gratuitamente in dono. Non c’è conoscenza, non c’è coscienza, non c’è avanzamento nel cammino verso la luce senza il dono, senza la dimenticanza del proprio personale egoismo, senza la libera scelta della rinuncia, senza lo spontaneo non esigibile moto del cuore che dà senza chiedere e miracolosamente riceve quando ha cessato di sperare.