Nella mattinata dello
scorso sabato 19 marzo 2016 un cospicuo gruppo di aderenti a diverse logge
massoniche di Cagliari ha preso parte ad inedite onoranze di Fratelli scomparsi
in tempi relativamente recenti. L’iniziativa è stata assunta dall’Archivio
storico generale della Massoneria sarda, impiantato in città, anni fa, da
Gianfranco Murtas, che ai temi propri della dottrina e della storia
liberomuratoria nella nostra Isola ha dedicato una ventina di libri, animando
anche numerosi dibattiti e incontri di studio. In questo articolo, lo stesso
Murtas ne riferisce proponendo anche i ritratti umani dei massoni celebrati dai
loro “eredi” elettivi in città.
La memoria, la vita, la storia
A sette anni dalla morte di Armando
Corona – Gran Maestro della Massoneria di Palazzo Giustiniani dal 1982 al 1990
–, una rappresentanza dell’arco ampio delle logge massoniche di Cagliari ne ha
onorato la memoria, lo scorso sabato 19 marzo, rendendo visita alla sua modesta
tomba, ad un passo soltanto dalla grande cappella del cimitero civico San
Michele del capoluogo. La bellezza significativa dell’evento, a mio parere –
che è il parere di chi, senza tessera del Grande Oriente d’Italia ma certamente
in piena comunione di idealità con la Libera Muratoria la cui storia si
identifica per larga parte con quella dell’Italia unita, dell’Italia civile e
patriottica, democratica ed umanitaria – è stata nell’aver incluso quella sosta
e quel ricordo nel percorso che numerosi altri illustri (per l’animo, non
importa se anche o no per la notorietà pubblica) ha inteso celebrare. Nel corpo
civico, materiale e morale, di Cagliari e della Sardegna.
L’iniziativa è stata promossa dal mio
Archivio storico generale della Massoneria sarda, alla vigilia dell’uscita in
libreria di uno studio biografico su due delle figure più eminenti della
Fratellanza giustinianea dell’ultimo cinquantennio, vale a dire proprio Armando
Corona e Mario Giglio. L’Archivio in più di quarant’anni ha raccolto (ma
purtroppo non ancora pienamente riordinato) faldoni rilevanti di documenti ed
evidenze pubblicistiche e saggistiche, memorie private scritte e fotografiche,
fascicoli obbedienziali conferiti con liberalità – direi anche con inaspettata
generosità – da dignitari e… semplici militanti (non soltanto del GOI ma anche
di altre Famiglie massoniche radicatesi in Sardegna nell’ultimo secolo e mezzo)
con il solo scopo di evitare dispersioni e perdite irrecuperabili alla memoria
condivisa. Purtroppo infatti non si è fissata ancora nelle sedi liberomuratorie
isolane – almeno questa è l’impressione – una piena sensibilità alle fatiche
(ma anche alle preziosità) delle raccolte e classificazioni archivistiche nelle
quali risiede, per dato fermo, il più della memoria storica di una qualsiasi
complessa corporazione, e di questa corporazione umanistica, iniziatica e
civile.
In altre occasioni mi era stato chiesto
da logge (giustinianee o anche scozzesi/neoferane) di guidare una visita mirata
alle tombe storiche dei massoni cagliaritani del secondo Ottocento e/o del
primo Novecento, fino cioè all’abbrivio dell’età bacareddiana e da questa
all’inizio della esperienza fascista che significò la interruzione di ogni
attività latomistica in Italia (tanto che il vertice del Grande Oriente
d’Italia dovette migrare, così come dovettero diverse altre direzioni
democratiche, non soltanto politiche, a Parigi, patria elettiva
dell’antifascismo e antinazismo e antifalangismo europeo).
Fu, quella compiuta nei viali purtroppo
ancora gravemente accidentati del monumentale di Bonaria, una bella avventura
che riuscì, mi sembra, a saldare nella consapevolezza dei partecipanti il corso
non parallelo bensì incrociato della storia civica e di quella liberomuratoria.
I massoni – cercai allora di dimostrare, e non fu davvero impresa difficile –,
non hanno mai costituito, meno che meno a Cagliari, una “cupola” o una
“consorteria”, una materializzazione di pretese o suggestioni del genere di
quelle tante volte evocate da certa dietrologia chiacchierona («the hands over
the city»), ma una combinazione di offerte civiche e professionali, e anche
amministrative e politiche, saldatesi con la più generale offerta regolata
dagli statuti di albi od ordini, di associazioni ed istituzioni, di chiese ed
aziende liberamente operanti nel campo sociale.
Dai percorsi nel monumentale si ricavò a
suo tempo una pubblicazione purtroppo oggi introvabile, in cui venivano marcati
i profili privato-pubblici e quelli prettamente fraternali di personalità di
spessore della Cagliari postunitaria e, poi, liberal-giolittiana. Valgano i
nomi – dieci, quindici dei possibili trecento – di Ettore Vassallo e Georges
Chapelle, di Angelo Garau ed Eugenio e Romolo Enrico Pernis, di Giuseppe
Castello – con la squadra e il compasso sulla sua lapide – ed Enrico Serpieri –
costituente della gloriosa Repubblica Romana del Mazzini –, di Pasquale Umana,
Mario Mela (che tanto avrebbe lasciato all’Asilo della Marina e Stampace per
sovvenire le sue correnti necessità) ed Efisio Toro, di Nicolò Pugliese e Guido
Algranati, di Stefano Rocca e Felice Mathieu e Domenico Salvago…, Uomini del
commercio e della chirurgia, dell’industria e dell’università, della politica e
dell’amministrazione ospedaliera, della docenza liceale (sfortunata quella di
Algranati) e del mutualismo (il Rocca fondatore della Società degli Operai e
consigliere comunale), del Municipio e dell’Esercito, delle banche e della
Camera di commercio… Nel mezzo, a segnalare il tratto di cosmopolitismo, il
Looman olandese, caduto a Cagliari nell’anno stesso del passaggio all’Oriente
Eterno – fascinosa ricorrente metafora latomistica – di Giuseppe Mazzini, e la
cui tomba, come anche quella di Mathieu, reca incisa la squadra e il compasso.
La maligna e pezzente allegoria del
cappuccio – inesistente di fatto se non nella commedia o, appunto, nella
caricatura del “Borghese piccolo piccolo” (soggetto di Cerami e regia di
Monicelli) o di “Sole a catinelle”del geniale Checco Zalone – non rende
giustizia alla umanità e al merito civico/morale e professionale, se volessimo
soltanto affacciarci alla galleria prima citata, del reduce dalla Repubblica
del 1849 che abolì, prima nel mondo, la pena di morte e statuì il suffragio
universale cento anni prima che nella nostra santa costituzione repubblicana.
Quegli fu Serpieri, accompagnato al camposanto cagliaritano dai labari delle
logge nel novembre 1872 (con tardivo dispetto del nuovo arcivescovo Giovanni
Antonio Balma). Né rende o renderebbe giustizia a un Angelo Garau, il grande chirurgo
che si presentò a Mussolini, allora in visita in Sardegna, con il camice bianco
e non con la camicia nera che gli era stata prescritta e per lui – mazziniano
puro – divisa imbecille dell’imbecille conformismo corrente, e di più continuò
ad operare, prima della evacuazione, nell’ospedale civile a rischio di
bombardamenti nel 1943.
La squadra e il compasso
Ecco qui: la squadra e il compasso, o il
ramo d’acacia, o le lettere B e J delle Colonne del mitico tempio di Salomone
innalzato dagli operai agli ordini dell’architetto Hiram, secondo il racconto
delle suggestive pagine bibliche, nel libro delle Cronache e in quello dei
Re. E’ questo l’accompagnamento simbolico che orna taluna delle tombe
anche nel camposanto di San Michele, inaugurato in tempo ancora di dittatura e
purtroppo già di guerra, pronto ad accogliere i resti martoriati e spesso
irriconoscibili di tanti concittadini rimasti vittime della pioggia d’acciaio.
Non si tratta, evidentemente, di nessuna precettistica: è lasciato alla libera
sensibilità dei Fratelli (che potrebbero averne disposto in tempo) o dei loro
familiari l’adempimento iconografico, il possibile decoro simbolico del
sepolcro in chiave liberomuratoria.
Tale addobbo risulta presente, al
momento, in cinque cippi o lastre marmoree: in accompagno ai nominativi di
Hoder Claro Grassi – noto pittore metafisico e apostolo della causa
esperantista negli anni ’60 – e della sua sposa (incardinata nella loggia
femminile) Swanyld Mulas, del figlio Efrem (anche lui, come il padre, nel piedilista
della cagliaritana loggia Hiram), della figlia Ileana. La mano magistrale di
Franco d’Aspro ha modellato nomi e simboli e cartigli bronzei.
Non è diverso il monumento che celebra i
Bussalai e la loro testimonianza di vita, nel riquadro erboso dirimpetto,
giusto alla base della scalinata che porta alla grande cappella cattolica: un
cumulo di pietre alto quanto una persona, evocazione della pietra
soggetto-oggetto del perfezionamento costituito in missione per l’uomo che
dall’individuale si volge al sociale con forze solidali e insieme efficaci: i
nomi sono quelli del patriarca Francesco, già partigiano e consigliere
regionale di formazione comunista e approdi riformisti, funzionario doganale e
musicista, fondatore e Venerabile della loggia Sigismondo Arquer; di Fides Pilo
sua moglie, per molti anni (quando la sede massonica era ancora a palazzo
Chapelle) animatrice del capitolo Sandalyon dell’Ordine della Stella d’Oriente,
di Giuseppe e Bruno – tecnico comunale il primo, capitano di lungo corso il
secondo –, i figli anch’essi in organico alla medesima loggia (e Giuseppe anche
Venerabile negli anni ‘80).
La squadra e il compasso appaiono incisi
altresì sulle lastre di memoria di altri liberi muratori cagliaritani (di
nascita o di elezione non importa): Alberto Silicani, Paolo Carleo e Giulio
Lecca.
I partecipanti all’incontro itinerante
di sabato 19 marzo hanno voluto ora ascoltare ora dire di ciascuno dei tanti
che, per questa edizione, sono stati scelti quasi in una ordinata
rappresentanza morale delle diverse logge cittadine, lungo una scala temporale
che ormai ha attraversato/collegato l’ultimo settantennio di vita nazionale,
cittadina ed obbedienziale. Guidati essi dall’autorità dei Venerabili della
Alberto Silicani n. 936 (gemmata nel 1976 dalla loggia Risorgimento) e della
Europa n. 1165 (costituitasi nel 2000, raccogliendo le forze liberate dalla
demolita loggia Vittoria), e con il supporto del mio notiziario, le soste hanno
risvegliato e celebrato le memorie, dopo che dei Grassi e dei Bussalai, di Vincenzo
Tuveri, Walter Angioy, Alberto Silicani, Mario Cherchi, Armando Corona,
Vincenzo Delitala, Giuseppe Solinas, Paolo Spissu, Gianfranco Cusino, Paolo
Carleo, Emanuele Zirone ed Eligio Orrù. Per l’iniziativa estemporanea di taluno
si sono aggiunte le soste davanti ai sepolcri di Giorgio Cusino (le cui ceneri
si affiancano a quelle del suo fratello di sangue e Fratello elettivo
Gianfranco), Giulio Lecca, Vindice Gaetano Ribichesu e Leo Ambrosio.
Ragioni estranee alla volontà dei
presenti hanno purtroppo impedito di raggiungere altri siti che erano in
agenda: per onorare Natalrigo Galardi, Luciano Rodriguez, Virgilio Lai, Enrico
Ganga e Salvatore Loi, personalità anch’esse tutte di straordinario rilievo
nell’economia comunionale di Palazzo Giustiniani e di perfetta distinzione nei
settori professionali frequentati. Per Galardi, Rodriguez, Lai, Ganga e Loi
erano già state preparate le schede biografiche (e sono perciò anch’esse, qui
di seguito, riportate).
Testimonianza dell’evento qui richiamato
soltanto per flash, sono i quadri biografici via via proposti, che hanno
offerto efficace rappresentanza, proprio in chiave diacronica, delle diverse
identità delle logge cagliaritane. E quel che più è parso significativo e degno
di nota è stato, a mio parere, il dato di immediatezza dei partecipanti, in
libera supplenza talvolta di dignitari indolenti e comunque in ritardo nella
comprensione profonda del loro stesso ufficio, il che potrebbe dirsi – in
positivo appunto per il riscatto – della Mediterranea n. 1343 o della Tetraktis
n. 1413, della Francesco Ciusa n. 1054 o della Rudyard Kipling n. 1272, della
Lando Conti n. 1056, e in negativo – se mai le logge potessero essere e dirsi
figlie immemori della storia – della Armonia n. 1403, della Concordia n.
1124, della Sardegna n. 981 e così via.
Un quadro diacronico
Un supporto informativo, circa la
stratificazione/ramificazione dell’esperienza massonica cagliaritana, ha
consentito ai singoli partecipanti di meglio inserire ogni tessera nel suo
specifico temporale all’interno del composito arco popolato, nel presente, da
24 officine simboliche – ovviamente al netto di quelle nel frattempo cadute (la
Risorgimento n. 354, la Cavour n. 574, la XX Settembre n. 575, la Libertà n.
599, la Giordano Bruno n. 656, la Jacques De Molay n. 1094, la Vittoria
n. 1134). In altre parole, esso ha plasticamente mostrato le dinamiche interne
alla circoscrizione sarda del Grande Oriente d’Italia e particolarmente al polo
cagliaritano, rivelando anche rallentamenti o accelerazioni in rapporto a più
complesse vicende nazionali (ad esempio la già richiamata titolarità della gran
maestranza al sardo Armando Corona, ma non solo).
Ne è venuta fuori, se così sia possibile
esprimersi, una lezione di storia civico/obbedienziale, sviluppatasi sì per rapidi
cenni ma con focalizzazioni certe e impressionanti.
Il panorama si è perciò, per
semplificare, rappresentato lungo cinque stagioni (tanto da coprire l’intero
settantennio postbellico). Con l’avvertenza che la prima loggia della serie
recuperava elementi operativi fin dal 1944, e taluno già dal prefascismo,
avvalendosi di rinforzi provenienti dal doppio circuito scozzese degli ALAM e
degli AALLAAMM (per dire Antichi Liberi Accettati Muratori), ecco l’elenco dei
titoli distintivi con il numero d’ordine e l’anno di fondazione («innalzamento
delle Colonne»):
logge “storiche”: Nuova Cavour n. 598,
anno 1959; Hiram n. 657, 1966; Sigismondo Arquer n. 709, 1969; Risorgimento n.
770, 1972;
logge dei secondi anni ‘70: Alberto
Silicani n. 936, 1977; Sardegna n. 981, 1979;
logge fondate in costanza di leadership
Corona: Francesco Ciusa n. 1054, 1986; Giorgio Asproni n. 1055, 1986; Lando
Conti n. 1056, 1986; Hur n. 1068, 1988;
logge fondate negli anni ’90: Enrico
Fermi n. 1105, 1991; Concordia n. 1124, 1992; Wolfang Amadeus Mozart n. 1147,
1998; Europa n. 1165, 2000;
logge fondate nell’ultimo quindicennio:
Giordano Bruno n. 1217, 2004; Heredom n. 1224, 2004; Rudyard Kipling n. 1272,
2006, Libertà n. 1341, 2009; Mediterranea n. 1343, 2009; Quatuor Coronati n.
1356, 2010; Athanor n. 1380, 2010; Armonia n. 1403, 2012, Tetraktis n. 1413,
2012; Kilwinning n. 1485, 2015.
Si tratta di formazioni in lista nei
siti internet dell’Obbedienza di riferimento e spesse volte richiamate nei
mesti necrologi pubblicati dai giornali.
Gli ottocento artieri praticanti a
Cagliari, nei Templi di palazzo Sanjust, la ritualità antica e suggestiva e
saggia della Massoneria ed aperti alle discussioni critiche e positive,
composte sempre per insuperata regola che impone l’ascolto come prima (gradevole)
applicazione ed obbligazione, sono distribuiti al momento in tali 24 logge di
cui sarebbe interessante approfondire (ma non lo farò qui) il titolo
distintivo, perché in esso è talvolta celata una sensibilità che s’affaccia e
dà il tono – quantomeno nei primi tempi di vita – all’intera compagine:
colpiscono in questo senso i rimandi alla storia nazionale e alla democrazia
isolana più frequenti in anni in cui anche nel mondo “profano” le scuole del
pensiero politico valevano ancora qualcosa: così ecco affacciarsi, di lato al
titolo di Risorgimento (presente anche a Carbonia), i nomi di Camillo Cavour,
di Giorgio Asproni, di Lando Conti (il sindaco repubblicano di Firenze
trucidato dalle Brigate Rosse), ma anche quelli della tradizione e della
cultura sarda, come Sigismondo Arquer o, di qua nel tempo, Francesco Ciusa
(iniziato e/o frequentante proprio l’antica Sigismondo Arquer di via Barcellona
infine saccheggiata dai fascisti), cui potrebbero sommarsi taluni di quelli
degli altri Orienti isolani, da Gio.Maria Angioy a Sassari a Giuseppe Garibaldi
a Nuoro (e di recente, in recupero però di Ottocento, a La Maddalena), a
Caprera (in quel di Tempio, dove in antico operarono due logge e nel 1908 fu
celebrato il primo e ultimo congresso regionale del libero pensiero).
Negli anni di crescente evanescenza
delle dottrine civili e più ancora politiche (e di invadente penoso adattamento
ex contagio berlusconiano, fortunatamente lontano dall’esser maggioritario con
i suoi portati di utili banalità convenzionali ), le scelte hanno seguito altri
input: certo con le icone del libero pensiero come fra Giordano Bruno
domenicano o con quelle dell’orgogliosa appartenenza come Wolfang Amadeus
Mozart (iniziato nel 1784) o Rudyard Kipling (iniziato nel 1886) o Enrico
Fermi (iniziato nel 1923), o con l’omaggio ora alle virtù (è il caso della
Concordia, della Libertà, della Armonia) ora ai territori del mito e dell’oggi
concreto (Hur, Heredom, Kilwinning, Europa, Mediterranea), ora ai soggetti o
alle arti dell’esoterismo (Quatuor Coronati, Tetraktis).
Chiamati alla costante riflessione circa
la caducità della vita che impone ad ogni uomo un sovrappiù di rigore
nell’adempimento tempestivo e pieno del dovere connesso al proprio stato, i
massoni incontrano nello studio o nell’acquisizione dei cosiddetti
“fondamentali” iniziatici quanto a loro risale dalle secolari elaborazioni
della leggenda di Hiram con i suoi valori di riscatto virtuosamente vitale,
contro ogni mortificazione imposta dalla venalità delle intenzioni, dal
tradimento della parola e dell’azzardo delle (male) opere. E’ questo
insegnamento trova ancora espressione nei rituali che pur nella modernità dei
tempi mantengono una propria permanente attualità.
«immutabile Origine d’ogni trasformazione, fa’ che il nostro Fr. possa
vivere eternamente con te… »
«… Forza infinita, Fuoco venerato, che
tutto ciò che vive fecondi, immutabile Origine d’ogni trasformazione, fa’ che
il nostro Fratello possa vivere eternamente con te, come ha vissuto con noi.
Possa la sua morte insegnarci a morire e la sua venerata memoria mantenerci
costanti nelle vie della onestà e del dovere». E’ l’invocazione che il Maestro Venerabile della
loggia rivolge al Grande Architetto dell’Universo «Forza immensa che regola e muove la natura» nell’occasione dei funerali celebrati
secondo il rito della Libera Muratoria. Un rito che supera i formulari delle
singole religioni e delle Chiese cui pure il singolo Fratello può aver, con
piena legittimità e consolazione, appartenuto (ed ancora appartenga), e di
tutti coglie l’essenza in quel rapporto fra la creatura e la Fonte che l’ha
generato: Fonte di pensiero partecipativo, cioè di intima compromissione detta
d’amore.
«Come l’astro che nasce disperde le
tenebre della notte, così la speranza che il nostro Fratello riposi nel grembo
del Grande Architetto dell’Universo dissipa ogni nostro dolore e cambia in
giubilo il nostro sconforto», è l’auspicio-ammonimento del Primo Sorvegliante, che parla dalla sua
cattedra posta ad Occidente del Tempio ancora parato a lutto.
La morte come docenza di vita per
ciascun uomo. «Che la memoria dell’estinto Fratello ci ritorni alla
mente con dolcissima soavità. In presenza di questi tetri colori e del lugubre
silenzio di morte che qui domina, ricordiamoci, o Fratelli, che dalla
corruzione nascono i profumi e le bellezze della vita: che la morte non è che
l’iniziazione ai misteri di una vita seconda, e che nulla si disperde o si
estingue nella natura», ha appena detto il Maestro Venerabile, invocando dal Grande Architetto
dell’Universo che «la memoria e l’esempio delle virtù è [del
Fratello defunto] parlino all’anima e conducano [i Fratelli superstiti] con
assiduo lavoro alla ricerca della verità e della luce».
La morte come docenza di vita
nell’armonia sociale: «dinanzi a questi simboli della morte,
ogni pensiero egoistico, ogni risentimento deve esser bandito. V’invito dunque
a giurare con me che obliate ogni offesa. La pace e la concordia regnino fra
noi; non si pensi che alla nostra opera e alla grandezza della Massoneria: non
dimentichiamo giammai il fondamentale precetto: non fare ad altri quello che
non vorresti fatto a te stesso, e fa’ agli altri quello che per te medesimo
vorresti».
In occasione dei funebri massonici e
comunque almeno una volta all’anno – se n’è accennato: in Italia, già per la
delibera del Gran Maestro Giuseppe Mazzoni che accoglieva gli auspici della
Loggia genovese il Caffaro, nella data che ricorda la morte di Giuseppe
Mazzini, avvenuta in clandestinità! nella casa Rosselli di Pisa, il 10 marzo
1872 – gli artieri delle logge massoniche si stringono in Catena d’Unione e
volgono, a Chi è oltre ogni visibilità, l’invocazione della pace perenne per il
Fratello involatosi dalla Valle terrena. La Catena che s’era rotta – «uno dei suoi anelli è spezzato e la parola è smarrita» ha avvertito il Secondo Sorvegliante –
presto, con un atto di coscienza e volontà, si ricostituisce nella sua
integrità: «Noi abbiamo compiuto un penoso dovere.
Più fortunati che alla apertura dei nostri lavori, non ci separeremo senza
esserci… scambiati il bacio della fratellanza. Fratelli, unitevi a me e
formiamo intorno al tumulo la Catena d’Unione».
E’ possibile, è probabile, che anche in
diverse delle occasioni di lutto ricordate nelle pagine a seguire, la
Fratellanza massonica cagliaritana abbia tenuto assemblea e invocato, ad una
sola voce, la solidarietà pietosa e gentile del Grande Architetto dell’Universo
per l’artiere migrato nel suo seno. Certo è che in numerose circostanze – tutte
le volte che se ne è data la possibilità – rappresentanti della loggia
d’appartenenza dell’estinto hanno pronunciato in pubblico parole di
testimonianza e di riflessione su un’esistenza consumatasi nella tensione,
com’è per ogni creatura pensosa del senso di missione proprio dell’esistenza,
fra l’essere e il dover essere, fra l’essere e il voler essere, in sempre
maggiori gradi di virtù morale e civica, privata e pubblica.
Da un quarto di secolo ormai funziona a
Cagliari – proprio grazie alla spinta venuta alla Amministrazione civica dalla
Fratellanza massonica attraverso la So.Crem. (suo atto costitutivo del 14
febbraio 1980, primo presidente Gianfranco Porcu) – il forno crematorio che
riconsegna alla natura, in forme diverse dalle tradizionali inumazioni o
tumulazioni, le spoglie umane passate da vita a vita, altra e diversa. Sempre
più frequenti sono i casi in cui i Fratelli – fra essi anche diversi di quelli
sottoelencati – abbiano scelto per sé questa forma di “riconsegna”.
Da sempre, può dirsi, la Massoneria
patrocina una tale prassi, che già nel 1774 venne valorizzata dall’abate
Piattoli, professore di storia ecclesiastica all’Università di Modena. In
Italia la prima cremazione fu, ad opera di Giorgio Byron (col mezzo rudimentale
della pira), quella della salma del poeta inglese Shelley, nel 1822. Ma
soltanto nel 1870 – l’anno di Porta Pia – avvenne un pubblico incenerimento: fu
a Firenze, sulle rive dell’Arno e del Mugnone, con la pratica del rogo.
La prima società di cremazione in Italia
è datata 1876 e ne furono promotori vari dignitari massonici, fra cui Malachia
De Cristoforis. Iniziative analoghe si adottarono, prima della fine del secolo,
in successione a Roma, Cremona, Brescia, Padova, Udine, Varese, Novara,
Firenze, Livorno, Pisa, Asti, Sanremo, Torino, Mantova, Bologna, Modena,
Venezia, Spoleto, Perugia, Pistoia, Bergamo, Monza, Genova, Savona… E
all’inizio del Novecento si proseguì in altre province e regioni, nonostante le
riserve o l’opposizione dichiarate dalla Chiesa cattolica (e da tempo,
comunque, revocate)…
Ad ogni modo, seguendo la pianta
diacronica della Libera Muratoria cagliaritana, i partecipanti hanno firmato
questa prima corale esperienza nella storia, lasciando a me, ad integrazione
del mio, la traccia dei loro interventi. Qui appresso riporto i loro e i miei
testi celebrativi (senza attribuzioni particolari, conferendo anche il
mio nella dimensione del grande abbraccio. Soltanto debbo specificare,
nel novero, quelli riferiti ai gruppi familiari Grassi e Bussalai, introduttivi
della lunga sequenza e donati nel luogo di incontro dei convenuti, perché
costituiscono una sintesi dei profili riportati nel mio “La Catena s’è rotta,
la Parola smarrita…”, il già richiamato quaderno la cui pubblicazione fu
patrocinata dalla loggia Alberto Silicani nel 2006).
Per Hoder Claro Grassi, Swanyld, Efrem e Ileana
Le date dei percorsi di vita: 1905-1967,
1946-1970, 1934-1988, 1912-2000. Inquietudini esistenziali, prove d’arte nella
bontà.
Quando s’invola all’Oriente Eterno, il 6
dicembre 1967, il Fr. Hoder Claro Grassi è Segretario della loggia Hiram,
ultima nata nella Valle del Mannu e del Flumendosa, destinata – anche per il
dinamismo impressole dal primo Venerabile Mario Giglio – a un ruolo di motore
dell’aggiornamento culturale-civile dell’Istituzione muratoria in Sardegna. Ad
officiare il suo funerale, secondo l’antico rituale, al Monumentale, è Alberto
Silicani, vertice dell’Obbedienza sarda. In attesa della costruzione del suo
sepolcro, la salma – vestita dei suoi paramenti di Maestro massone – viene
collocata nella tomba di famiglia, nel camposanto vecchio di Cagliari.
Da qualche tempo egli ha lasciato
«istruzioni tassative» per le sue esequie, che vuole civili ed austere, povere
addirittura. Ha disposto per la bara, per il carro, per l’avello: «io
preferirei essere seppellito in piena terra, possibilmente in campagna, oppure
nel cimitero di Bonaria di fronte a mio padre, nell’orto delle palme, ma, se
mia moglie ci tiene potete acquistare un appezzamento di m. 2 x 2 e costruirvi
un masso di pietra scura di quella della rocca di Calasetta o altra trachite scura…».
Ne dà anche una rappresentazione grafica
– allusiva forse della pietra grezza, soggetto-oggetto del lavoro del libero
muratore: dirozzamento e levigazione per l’offerta ad una più efficace funzione
associativa –, e scrive pure le epigrafi, come in un fumetto, rispettivamente
di dodici e cinque righe, per sé e per l’adorata Swanyld (sposata nel 1934):
proprio quelle che, effettivamente, sono sbalzate sul bronzo e possono leggersi
nel cimitero di San Michele, nel quadrato erboso giusto alla destra dell’inizio
della mega-scalinata: «Hoder Claro Grassi ha chiuso il suo operare in terra ed
è risalito a vivere in fra le stelle», e «Swanyld Grassi così come lui con
lui». Swanyld ha donato, per lunghi anni, un appassionato contributo, dopo
l’iniziazione avvenuta il 13 maggio 1976, alla loggia femminile Libertà, dove è
stata promossa alla Maestria nel 1986, protraendo la sua militanza attiva fino
al 1994, quando ragioni di salute, legate essenzialmente all’età, le hanno
imposto il ritiro…
Certo mai si sarebbe pensato che
nell’arco teso di quel trentennio circa (1967 – 2000), la morte avrebbe bussato
ben altre due volte, per chiamare prima (1970) Efrem, il terzogenito iniziato e
quotizzante nella Hiram, quindi (1988) Ileana, la maggiore dei tre figli…
Nella casa massonica di Cagliari esiste
(esisteva?) un quadro riportante le pagine del testamento di Hoder Claro
Grassi. L’Archivio ne aveva avuto, già più di trent’anni fa, una copia
fotostatica. Eccone il testo completo (incluse le parole tutte al maiuscolo e
quelle sottolineate):
«Istruzioni tassative per il mio FUNERALE
«Niente Messe. Niente
preti-frati-monache et similia. Le spese previste devolverle ai poveri – direttamente ai poveri –, senza intermediazioni di preti, monache od altro, questo se lo vorrete, altrimenti… ciccia.
«CASSA di legno di pino bianco della
qualità peggiore, potrete farla costruire dal falegname che ha fatto le
porte per la vigna (Salvatore Puxeddu lo sa) = semplice, senza croci né anelli,
né altri fronzoli.
«CARRO FUNEBRE di III classe ripeto
senza preti: dall’ospedale o da casa direttamente al cimitero nelle prime ore
del mattino.
«TOMBA io preferirei esser
seppellito in piena terra, possibilmente in campagna, oppure nel cimitero di
Bonaria di fronte a mio padre, nell’orto delle palme, ma. se mia moglie ci
tiene potrete acquistare un appezzamento di m. 2×2 e costruirvi un masso di
pietra scura, di quella zona di Calasetta o altra trachite scura (due-tre massi
grandi che raggiungono l’altezza consentita dal Comune).
«Tutto qui.
«NIENTE LUTTI. NIENTE MESSE.
«VI STRINGO FORTE FORTE AL MIO CUORE che
ha sempre palpitato per voi con tanto amore.
«Non disturbate nessuno. Non
pubblicate annunci mortuari. Pregate Giglio e gli altri di fare altrettanto. Non mandate partecipazioni.
«Lasciate ch’io vada in silenzio.
«Dite a Giglio, o chi per esso, di
devolvere al primo poveraccio i soldi che dovrebbero regalare all’Unione
Sarda».
Hoder Claro, armiere in quanto a
professione, nel quartiere della Marina, pittore metafisico per vocazione….
Metafisico. La morte incombe nei suoi quadri e s’affaccia pure nei suoi versi.
Forse il lutto patito da bambino ne ha segnato per sempre l’animo e sconterà
quell’angoscia vivendo e dipingendo. E, appunto, poetando. “Inverno” è titolata
la descrizione d’una natura che sposa la storia in un’unione di morte:
«I fiumi diventano strade, / L’acqua
scorre sotto il ghiaccio / E ci fa sentire una musica, / Triste come il suono
di un carillon / Chiuso dentro una bara.
«Canti rochi, canti di Morte, gridi /
Provengono da una capanna lontana, / Nel deserto squallido, bianco, / Dove le
vecchie strade storte / Sono cancellate dalla neve.
«Sulle cime d’un cipresso secco / Stride
un uccello scheletrico: / E’ uno sparviero tramortito / Dalla lunga fame / Che
grida il suo canto di Morte.
«Quei canti che entrano nei timpani /
Vuoti come tombe antiche, / Che spingono nel cervello stanco / Le note gelide
di ghiaccio, / Che si ripercuotono nel cuore / Gonfio di malinconia / E negli
occhi gonfi di pianto».
Nell’insondabile mistero del rapporto
tra figlio e padre si consuma la breve esistenza di Efrem, che apre gli occhi
alla Luce massonica il 13 giugno 1967, fra le Colonne dello stesso Tempio
frequentato dal Fr. Hoder Claro. Il Venerabile che officia il rito
d’iniziazione è Mario Giglio, assistito da Franco d’Aspro Primo Sorvegliante.
L’Oratore che gli dà il benvenuto è Sabino Jusco, gli Esperti Gianni Ferrara e
Vincenzo Delitala (entrambi a piedilista della Nuova Cavour che è solita
lavorare in abbinata con la Hiram, con presidenza alternata). Al banco del
Segretario, a verbalizzare l’evento, proprio lui, Hoder Claro, il
padre-Fratello adesso. Potrà, questo rigore paritario, placare, fino a
risolverla, la contrapposizione, rispettosa ma netta, continua ed anche amara,
tra un giovane di neppure ventuno anni e suo padre che appartiene ad una
generazione tanto diversa? Saprà o potrà riassorbire, questa parentela
massonica i termini e i toni d’una opposizione tenace che investe i
comportamenti anche se mai travalica i limiti imposti dai ruoli (mediati, nella
dialettica domestica, dalla finezza di Swanyld e dal misurato buonsenso di
Ileana e Rossana)?
Non avranno tempo che poche settimane,
Hoder Claro ed Efrem, per risolvere massonicamente il contenzioso di caratteri,
valori e voleri, aspettative e programmi. L’Apprendista a dicembre perde per
sempre la sua guida, che s’invola improvvisamente… Mediterà sull’esempio
paterno, ma la sua inquietudine esistenziale non troverà risposte. Tre anni
soltanto, neppure tre anni, e lui pure, Efrem, risalirà «a vivere in fra le
stelle»…
Il 4 maggio 1967 Efrem ha dato un
nipotino a suo padre. L’ha voluto chiamare come lui, omaggio simbolico al suo
“grande” di casa, un segno di amore per un genitore ch’egli sa capace di ogni
tenerezza ma che, non di meno, si preclude ogni slancio in sua direzione, come
a punirlo di scelte che non comprende o non apprezza. Ultima quella dei parà.
Ecco, una settimana più tardi, il 13
maggio, egli ha deciso per l’avventura (che, per necessità, è un po’
clandestina). E’ l’ora del primo volo. Scrive: «Stasera, alle ore 19 circa,
partirò per Alghero. Ad Alghero ci sarà un lancio di paracadutisti, fra i quali
ci sarò anch’io. Dovrebbe andare tutto bene, ma sfortuna non voglia, qualcosa
non dovesse andare come previsto, le mie volontà sono queste…».
Al centro di tutto è il bambino, il
piccolo nella culla, al quale vorrebbe lasciare una guida sicura, forte, più
sicura e più forte di quella che lui avrebbe potuto, per evidenza di cose,
rappresentare: «La cosa più importante: Affido mio figlio Hoder, per ricevere
una buona educazione e condurre una vita migliore di quella mia, a mio padre
Hoder Claro Grassi».
Salda due generazioni non successive,
Efrem, con questa disposizione testamentaria formulata immaginando la sua
improvvisa fuoriuscita da questo mondo. Sottolinea alcune parole: «La cosa più
importante», «a mio padre Hoder Claro Grassi». Marca la sottolineatura
sull’aggettivo «importante», ripassa tre volte la penna sul comparativo «più»…
Nel piccolo s’identifica lui stesso, bisognoso di guida sicura e forte: una
guida che riconosce apertamente, per levatura morale, per sapienza, all’ormai
anziano suo genitore. Auspica però che quella levatura morale, quella sapienza
di vita siano come attraversate da un dubbio e corrette, “umanate” da una presa
di coscienza: «…raccomandandogli [a mio padre] di tener conto dell’esperienza
fatta con me e di non commettere gli stessi errori, anche se pochi, che ha
commesso con me»…
Sospeso con il pensiero e con
l’ardimento fra cielo e terra («Arrivederci a tutti in una vita migliore
speriamo!», sono le ultime parole del documento), egli sembra qui marcare la
propria consapevolezza dei doveri da compiere… Adora suo padre. E’
rimasto nella memoria familiare il suo grido di dolore, di disperazione,
davanti alla salma del genitore appena composta in una saletta del Policlinico
del viale Fra Ignazio. Il padre e la morte, il padre e il tempo, il padre e i
silenzi e i “no” irremovibili e sovente non motivati altro che con l’autorità
della fonte, e dunque non accettati ma subiti. Il padre così definitivo nel suo
autocontrollo, nella sua severità, nella coerente disciplina delle sue azioni.
E dall’altra parte lui che rivendica la propria autonomia, la libertà di
scegliere anche quel che pare fuori dagli schemi, e ampi spazi di responsabilità
da amministrare con i furori dei diciotto o dei vent’anni…
Scava esistenzialmente in se stesso,
Efrem, adesso, davanti a quel padre che non gli oppone più i suoi dinieghi; il
suo linguaggio spirituale si fisserà nei versi d’una poesia-confessione, che
non a caso intitola “Lo specchio”:
«Nel silenzio della notte, in attesa che
Morfeo mi porti nel suo regno, / il mio sguardo ricade sempre su uno stesso
punto, / in quel punto, su quell’oggetto freddo, silenzioso: lo specchio! / un
piccolo specchio appeso al muro di fronte a me.
«I miei pensieri corrono, / tanti
pensieri, problemi, domande, molte senza risposta. / E lui è là, col suo
aspetto ghignante, / come se gioisse delle mie sventure, delle mie tristezze.
«Distolgo lo sguardo da lui, ma poi
ecco! / E’ di nuovo davanti ai miei occhi. / Lo guardo a lungo, come per
interrogarlo, / come per chiedergli una risposta alle mie domande, / una parola
di conforto, no!
«Anche lui mi guarda, sempre col suo
aspetto ghignante, / freddo, silenzioso, morto. E non risponde. / Ti odio
specchio! Ti odio! E Morfeo ancora non arriva»…
Vive la sua perenne adolescenza, Efrem,
negli anni del boom economico, all’interno del ciclo consumistico che segna
l’emancipazione del Paese dall’austerità postbellica, nei consumi privati così
come in quelli collettivi. Vive la stagione nuova che lo fa insieme più grande
e più piccolo di un suo coetaneo d’altra epoca neppure remota. Hoder Claro ha
colto nel figlio soprattutto lo scarto “negativo” rispetto al modello che egli
sentiva di aver potuto legittimamente rappresentare, e di aver rappresentato,
per lui. Ma questa è un’epoca dialogica, che smonta o almeno interroga, con
riserva o sospetto, le autorità, incluse quelle familiari. E in quante case di
un’Italia in rapida trasformazione modernista si recita lo stesso soggetto!…
La frequentazione della loggia lo sprona
a un recupero di speranza, lo aiuta ad interiorizzare il programma della Libera
Muratoria: «essere all’altezza dei doveri del proprio stato», «fare agli altri
il bene che vorresti fosse fatto a te»… Ma la febbre dell’inquietudine
esistenziale non lo abbandona.
Chiude la sua giornata terrena in una
strada di Torino, in piena notte. Causa la velocità, l’ardimento… A 24 anni, il
7 ottobre 1970, reincontra, nel mistero del non-tempo, suo padre.
Per Francesco Bussalai, Fides, Giuseppe e Bruno
Le date dei percorsi di vita: 1913-1972,
1932-1997, 1912-2000, La lunga traversata verso la democrazia.
Un’altra grande pietra che, nell’area erbosa alla sinistra della base del solenne scalone cimiteriale,
s’alza in verticale ad indicare la sepoltura di Francesco e Fides Bussalai,
reca anch’essa gli strumenti per eccellenza dell’arte muratoria: squadra e
compasso. E con essi, pure in bronzo, sono le targhe con i nomi in corsivo –
«Francesco Bussalai» e «Fides» – ed una pianta d’acacia, che spunta da terra
per piegarsi alludendo a funzioni protettive. Poi i figli.
Fondatore e fra i primi Maestri
Venerabili della nuova Sigismondo Arquer – tale è quando s’invola, il 5
novembre 1972, nonché Oratore del Collegio Circoscrizionale della Sardegna e
Gran Sacerdote del Capitolo Ichnusa dell’Arco Reale – Francesco Bussalai,
classe 1913 è nativo di Nuoro. Musicista per studi e soprattutto per gusto e
passione sempre coltivata è stato a lungo funzionario delle Dogane ed impegnato
in politica. Dopo una breve detenzione a Regina Coeli, nel 1943, ha partecipato
alla resistenza antinazifascista e militato fino alla metà degli anni ‘50 nel
PCI, di cui è stato anche consigliere regionale della Sardegna nella prima legislatura
autonomistica. Successivamente ha aderito alla socialdemocrazia.
In Massoneria è stato accolto nel 1966,
nella romana P2. Ha quindi impiantato a Cagliari una sorta di filiazione di
quell’officina centenaria e singolare, senza rituali, all’obbedienza personale
del Gran Maestro, che nel 1969 è stata regolarizzata in una loggia ordinaria.
La sua è stata una militanza, tutto sommato, di breve periodo – il soffio d’un
lustro appena – ma tanto è bastato a rivelarlo come personalità eminente nelle
sue intuizioni. La sua visione massonica, forse minoritaria, era quella di un
massonismo protagonista civile.
Il giorno in cui, all’età di soli 59
anni, egli migra all’Oriente Eterno è in svolgimento, proprio nella sua città,
un importante convegno dei giustinianei con il Gran Maestro Lino Salvini, l’ex
Giordano Gamberini ed altri Grandi Dignitari. La notizia giunge dal Centro
Tumori di Milano, nel quale il Fr. Bussalai, colpito da un male che soltanto
troppo tardi si è rivelato, ha accettato di farsi ricoverare.
Un disturbo all’inizio apparentemente
banale, poi riconosciuto serio, serissimo, è stato l’avvisaglia di quel che
sarebbe presto accaduto. Un’analisi disposta dal prof. Andrea Foddai, direttore
del Centro Antitubercolare e Fratello di loggia, per venire a capo di una
febbre insistente ed inspiegabile, ha messo a fuoco la causa della malattia. Un
polmone già fuori uso, l’altro gravemente compromesso da un cancro devastante.
Una corsa a Milano, più per legittimare ai suoi occhi una terapia avanzata per
debellare la forma… virale, che non per combatterla. Troppo tardi. La salma
viene imbarcata al porto di Genova e giunge a Cagliari mercoledì 8.
Tutte le logge ed i corpi rituali
s’uniscono in Catena proclamando in forma pubblica il proprio lutto: le Stelle
d’Oriente del Capitolo cagliaritano, i Fratelli della Valle del Mannu e del
Flumendosa distribuiti fra i Templi della Nuova Cavour, della Hiram, della
nuova Risorgimento, quelli della Gio.Maria Angioy nella Valle del Turritano e
del Bunnari, quelli della Giuseppe Garibaldi nella Valle del Cedrino e del
Marreri, quelli della Giovanni Mori e della Risorgimento nella Valle del
Cixerri e del Palmas, quelli della esordiente Ovidio Addis nella Valle del
Tirso, i Dignitari tutti del Collegio circoscrizionale, e quelli del Capitolo
Nazionale Italiano dei Liberi Muratori dell’Arco Reale. Oltre naturalmente ai
Fratelli della Sigismondo Arquer n. 709 all’Oriente di Cagliari, l’officina che
ha esordito giusto mille giorni prima.
Il cordoglio è generale: investe la
politica – fra quelli che lo ricordano radicato nell’istanza socialista sono i
FF. Rinaldo Botticini e Giuseppe Tocco («carissimo compagno e fraterno amico»),
il prof. Sebastiano Dessanay (a lui legato da «vincoli di fraterna amicizia
maturati attraverso le lotte combattute insieme in difesa della classe
operaia») – ed investe il mondo teatrale, musicale e turistico, che lo
ricorda presidente del Comitato per il teatro regionale di Sardegna,
consigliere d’amministrazione dell’Istituto dei Concerti e del Teatro Lirico G.
Pierluigi da Palestrina, sindaco dell’ESIT… Le note di stampa ne richiamano le
esperienze più forti: combattente antifascista decorato al valor militare
partigiano, legislatore regionale al debutto dell’autonomia speciale, il
militante nel socialismo riformista…
Nel pomeriggio dell’8 novembre i
funerali, con semplice rito civile al cimitero di San Michele. Alla presenza di
parenti ed amici, i Fratelli si stringono tutti in una intensa Catena d’Unione
davanti alla bara del Maestro. Presiede i lavori funebri dell’interloggia il
Fr. Mario Giglio, la Tavola di commemorazione è tracciata dal Fr. Umberto
Genovesi.
Improntata alla stessa religiosità laica
è l’addio a Fides Pilo, oltre tre decenni dopo. Di un anno più anziana di lui,
Fides è stata – fin dall’adolescenza – la compagna di vita di Francesco, così
nei percorsi privati (segnati dal matrimonio nel 1930 e dalla nascita di cinque
figli) come in quelli pubblici della politica e delle associazioni. E’ stata
anche lei comunista e poi socialista nel filone saragattiano.
Nei primi anni ’70 ha partecipato in
prima persona all’avventura del Capitolo Sandalyon U.D. – la compagine rituale
mista d’influsso americano che a Cagliari fa capo alla Stella d’Oriente (Gran
Maestra Franca Bettoja). Allo scioglimento dell’organizzazione, nel 1975, ha
impiegato il suo talento di leader nata dando vita alla loggia femminile
Libertà, di cui è stata eletta Maestra Venerabile ad vitam. Soltanto
«dopo aver completato la squadratura della pietra» è avvenuto il suo passaggio
all’Oriente Eterno, l’11 dicembre 2004.
In più occasioni si è richiamata la
vicenda di vita di questo esemplare collettivo familiare. Nel richiamo, anche
qualche tratto che riporta agli anni crudi della ultima guerra mondiale.
«Chiedo perdono a mia moglie ed ai miei piccoli figli Turi – Pino – Irene –
Bruno – Anita di quanto posso averle arrecato di danno. Desidero che vengano su
retti – liberi da ogni pregiudizio – vero nemico dell’evoluzione umana –
animati di buona volontà verso il prossimo – e sopra tutti nemici di ogni forma
di tirannia – sopruso – arbitrio. Considerino il prossimo come se stessi:
rifuggano da ogni forma di sfruttamento… Queste povere creature mi perdonino se
non ho potuto lasciare loro di che sostentarsi in mia mancanza. Credano nel
mondo nuovo – nella Giustizia – nell’equità – nella fratellanza degli uomini
così come ho creduto io. Ricordino che per questi ideali mi sono sacrificato e
questo sacrificio mi auguro cancelli qualche mia colpa dovuta, credo, alle
circostanze ed all’ambiente corrotto esterno. Riconosco in mia moglie la
migliore delle compagne dotata di uno spirito di abnegazione e di sacrificio
non comuni…».
E’ lo stralcio di una lettera datata da
Roma il 5 ottobre 1943. Riempie quattro facciate numerate da lui stesso, in
alto a sinistra: 93 righe di scrittura ora fitta ora larga, con le disposizioni
testamentarie rivolte alla famiglia, con gli ammonimenti morali e il consuntivo
di vita, il tutto «nell’imminenza di avvenimenti nei quali – scrive Francesco
Bussalai – potrei incontrare morte violenta». Lasciato il servizio a Milano per
sfuggire alle rappresaglie nazi-fasciste incrudelitesi all’indomani
dell’armistizio, egli s’è rifugiato a Roma, dove è braccato e prossimo a
cadere nella rete, prossimo anche a condividere il carcere con uomini come
Sandro Pertini e Giuseppe Saragat.
Ma c’è pure un’altra lettera, non meno
significativa, precedente soltanto di qualche settimana quella romana: questa è
partita da Milano il 25 luglio, giorno del golpe ordito dal Gran Consiglio. Ed
è indirizzata all’adorata compagna della sua vita.
«Mia cara, ti scrivo con le lagrime agli
occhi e con un nodo alla gola dalla gioia. Come ti vorrei avere con me in
questo momento! Da ieri notte Milano è insorta. L’ora della tanto agognata
liberazione finalmente è suonata. Il fascismo è morto! Milano ha un grande
cuore ed è degna delle Cinque Giornate… Abbiamo occupato e distrutto il “popolo
d’italia” di quel sudicio, il guf, i sindacati. Di tedeschi neanche l’ombra;
così pure della milizia. Si cominciano ad organizzare i partiti d’azione
social-democratica. Gli aderenti sono innumerevoli, il Popolo di Milano l’è un
gran bel popolo. Ma superiori ad ogni elogio sono le donne: pensa che hanno
avuto il coraggio di affrontare le mitragliatrici fasciste: sono stupende, degne
compagne degli uomini. Abbiamo anche liberato i prigionieri politici.
Piangevamo tutti! Stamane in ufficio ho fatto piazza pulita di tutti i quadri.
Molti vigliacchi mi facevano i sorrisini. Abbi fiducia in me. Fra poco ci
riabbracceremo. Infiniti abbracci a Marianna, ai miei piccini ed in particolare
a te. Tonino. (Ritira Brunetto da Nuoro)».
Tonino. Il diminutivo del secondo nome è
entrato nelle abitudini di casa fin dall’inizio, reso necessario per mettere
rimedio agli effetti della… distrazione paterna. All’ufficiale dell’anagrafe di
Nuoro, quel certo giorno dell’agosto 1913, il signor Salvatore ha denunciato la
nascita del piccolo Francesco Antonio, ed ha replicato la scena – facendo
registrare un’altra Francesca – pochi anni più tardi…
La madre, una Quesada, è la terza moglie
di Salvatore Bussalai, rimasto vedovo due volte. Dal primo matrimonio è nato
Salvatore jr., impiegato postale, antifascista penalizzato nella carriera, i
cui figli muteranno negli anni avvenire il cognome in un più corto Bussa (ed è
il filone nel quale si riconosce il noto attore Ubaldo Lay, che così recupera
in arte… la frazione perduta).
Del secondo matrimonio sono le sorelle
Marianna e Ignazia, pasionarie del sardismo invise al regime. Ed infine ecco la
terza unione, appunto quella con Giuseppina Quesada, da cui nascono in
successione Francesco, Francesca (Cicita: che si laureerà in medicina e sposerà
il vice prefetto Giorgio Flagiello), ed Assuntina (che andrà a nozze con
Antonio Sanna, veterinario e direttore del mercato comunale a Nuoro, prossimo
Fratello).
Appaltatore dell’Ufficio postale nel
capoluogo barbaricino, Salvatore Bussalai entra nei ruoli statali all’atto
della costituzione della Provincia di Nuoro, nel 1927. Deve allora trasferirsi
nella vacante sede di Porto Torres, comune presso cui la famiglia prende
residenza per diversi anni.
Francesco studia a Sassari, ginnasio e
poi liceo (all’Azuni): non prenderà però la licenza, distolto e coinvolto da
altri e più forti interessi, e soprattutto dalla musica. Segue la banda civica
ovunque si posizioni per i suoi pubblici concerti, ed ancora ragazzo si cimenta
in un’orchestrina che, nel cinema del capoluogo turritano, accompagna con un
gradevole sottofondo la proiezione delle pellicole mute… Frequenterà anche un
corso triennale organizzato, nella capitale, dall’Accademia di Santa Cecilia,
acquisendo un patentino che lo accredita come musicista di un certo livello.
D’estate suona nell’orchestrina che si esibisce allo chalet Lo scoglio lungo, a
Porto Torres…
Intanto prorompe nella sua vita di
adolescente superattivo una coetanea, studentessa all’Istituto Tecnico, Fides.
Si conoscono a Porto Torres. Amore veloce e contrastato, a casa Pilo… La
“fuitina”, la famiglia capitola…
A casa del funzionario comunale i
ragazzi conoscono un anziano impiegato, celibe e solitario, espulso
dall’Amministrazione civica per palese, ancorché non declamato, antifascismo. A
Francesco e Fides il signor Carta tiene lezioni clandestine di marxismo. Così
sarà, con qualche assiduità, per alcuni anni, almeno fino a quando – siamo
ormai nel 1933 – il giovanissimo capofamiglia, cui la moglie ha già dato i
primi bambini (Salvatore e Giuseppe), non vince un pubblico concorso presso
l’Amministrazione doganale, ottenendo l’assegnazione alla sede di Reggio Calabria…
Apostoli del comunismo, nelle catacombe
imposte dalla dittatura. Al porto di Reggio Calabria, negli anni fra il 1935 e
il 1936, la coppia assiste all’imbarco di tanti volontari, che per il soldo
s’intruppano alla volta dell’Abissinia. E fa opera di sobillazione, cerca di
contagiare almeno un dubbio nella mente dei tanti che s’affollano entusiasti
sui moli: non è una festa, ve ne accorgerete…
Nel 1937 arriva il trasferimento a
Livorno. La famigliola, ormai sempre più numerosa – a Reggio è nata anche Irene
e in Toscana vedranno la luce pure Bruno ed Anita –, prende casa proprio
dirimpetto al cantiere navale: una posizione ideale per la semina del verbo
rivoluzionario, perché facilita l’incontro con gli operai, semplifica la pur
guardinga distribuzione dei manifestini di propaganda. Si può contare inoltre
su un alleato interno al cantiere, un Jean Valjean – questo è il suo soprannome
– che funziona da staffetta.
Anche Fides tiene accesa, in proprio,
una miccia… La mattina presto, già alle quattro, si mette in fila con i
popolani che, tessera alla mano, attendono il turno davanti alle botteghe. Sa
di accantonamenti di merci e viveri, per l’utilità dei privilegiati del regime…
Sobilla la gente, alimenta lo scontento, diffonde i suoi consigli che scontano
una conoscenza esperta della psicologia popolare. I gerarchi della milizia la
richiamano all’ordine più volte. Lei ha sempre la risposta pronta: mandatemi
pure al confino, mi farete un piacere, ho cinque figli da mantenere!
Si avvicinano i giorni della guerra mondiale.
Francesco è richiamato e spedito a Cividale del Friuli, dove è inizialmente
incaricato della direzione dello spaccio nonché di quella, più gradita, della
banda musicale.
A proposito di bande ed orchestre.
Nell’anno scolastico 1942-43 egli ha finalmente acquisito, come privatista, il
diploma di “licenza e magistero” di flauto presso l’Istituto Musicale
pareggiato G. Pacini di Lucca. Ha sostenuto ben cinque prove nelle materie
principali (concertino di Chanimade, studio n. 5 op. 60 e studio n. 12 op. 5 di
Andersen, interpretazione dell’andante op. 20 di Porzio, lettura e trasporto,
cultura), riportando la media dell’8,30 decimi. Bene anche nelle materie
complementari tecniche.
La guerra. I comandi vorrebbero inviarlo
al fronte: lui è però abile nel defilarsi, accusando un inoppugnabile carico di
famiglia il quale, infatti, gli vale l’esonero dal servizio…
Mentre anche Livorno, come Cagliari e
mezza altra Italia, entra nei piani di bombardamento dell’aviazione alleata,
Fides e i bambini riparano prima a Sora, in provincia di Frosinone, dove vivono
alcuni parenti dei Pilo, e successivamente in Sardegna. Sarà allora necessario
addirittura un lasciapassare del prefetto di Livorno, dato che l’emergenza
bellica impone lo stop ai traghettamenti di civili, attraverso un mare che è
cosparso di mine esplodenti. I bombardamenti a Livorno sono rovinosi nei loro
effetti di lutto e distruzione materiale. Francesco e Fides perdono tutto fra
le macerie della città.
1943. Francesco Bussalai è mandato dalla
Dogana in missione d’ufficio a Milano. Ha giusto trent’anni e già, però, un
consuntivo di vita notevole: tanti figli, un lavoro impegnativo, residenze in
varie città d’Italia, un hobby che vale una professione, una robusta fede
politica e un fervoroso apostolato clandestino… Ora può aggiungere un nuovo
capitolo: l’antifascismo attivo e l’azione partigiana.
La delazione di qualcuno ne causa
l’arresto, con quanto l’accompagna: sono sevizie. Dopo due mesi di detenzione,
a metà gennaio 1944, evade dal carcere di Regina Coeli, braccio tedesco, e
partecipa a varie azioni di sabotaggio contro il nemico, comandando il 1° GAP
della VI zona del PC. A febbraio parte da Roma per raggiungere i partigiani
dell’Abruzzo, dove guida un distaccamento di patrioti attivo nel circondario di
Avezzano e fa parte della divisione Marsica. Gli sarà concessa la medaglia di
bronzo al valor militare sul campo.
Il 12 giugno – una settimana dopo la
liberazione della capitale – torna a Roma: non ha mezzi, non ha neppure un capo
di vestiario per il cambio. La puntata è poi ad Orani, dove brilla la stella di
Marianna Bussalai, la sorella poetessa. Si ricongiunge a Fides ed ai bambini e
con loro si trasferisce a Porto Torres dove è distaccato dall’Amministrazione
doganale.
Con Fides – ancora e sempre inseparabile
compagna di vita e di lotta – fonda la locale sezione del Partito Comunista
Italiano, mentre lei diventa la responsabile del settore femminile (così sarà a
Cagliari, quando la famiglia dovrà trasferirvisi). Ricopre incarichi importanti
nell’ambito della Federazione provinciale che contribuisce a strutturare.
Prende parte ai primi congressi del partito, assumendo la corresponsabilità
dell’organizzazione nell’ambito del Comitato federale di Sassari, dopo l’assise
del marzo 1945.
A Porto Torres organizza lo sciopero
degli scaricatori del porto. Partecipa anche, con Fides, all’occupazione delle
terre da parte dei contadini. Si inizia nelle aree incolte del largo Baratz,
nella zona di Fertilia, nella Nurra (si dorme nei capannoni liberati dei loro
lucchetti)… La polizia interroga, ferma, porta in caserma. Per Fides arriverà
una condanna a otto mesi con la condizionale. Contesta: siete peggio dei
tedeschi!, e si prende un’altra condanna per oltraggio. In carcere compie una
esperienza politicamente, oltre che umanamente, straordinaria.
Con la polizia tutta la famiglia avrà a
che fare nel 1948, nei giorni dell’attentato a Togliatti. Un altoparlante è
posizionato fuori dalla Camera del Lavoro per un comizio. Gli agenti
intervengono prontamente per disarmare l’apparecchio. In Tribunale verrà
un’assoluzione. Ma solo per… insufficienza di prove.
L’8 maggio 1949 Francesco Bussalai viene
eletto, per il collegio di Nuoro, al primo Consiglio regionale della Sardegna,
insieme con altri dodici compagni. Non è ricandidato dal partito nel 1953 alla
seconda legislatura. E’ già inviso, infatti, a taluno di quelli che contano ed
hanno la forza di tirare le fila nel partito: Girolamo Sotgiu, il più
stalinista di tutti, lo accuserà perfino di autopropaganda; c’è poi
l’imputazione d’esser titoista, ecc.
Ma è nel 1956 – all’indomani
dell’invasione dei carri armati sovietici a Budapest – che egli decide di
alzare la bandiera della libertà: adesso contro il conformismo e l’arrogante
faziosità della dirigenza comunista, non solo locale. E’ una svolta di vita.
Insegna musica alle scuole medie, a
Maracalagonis, a Burcei, a Settimo San Pietro. Rinuncia a suonare perché non ha
più tempo per esercitarsi, per far prove. Dopo la pensione, nei primi anni ’60,
dà vita a un comitato di promozione teatrale con personalità importanti della
vita cagliaritana come Dario Ferrari – direttore del liceo musicale – e il
direttore de “L’Unione Sarda” Fabio Maria Crivelli (e diversi altri: da Botticini a
Rodriguez, da Molè a Giua, da Zizi a Duce, da Rizzu a Tocco). Entra anche
nel Consiglio d’amministrazione dell’Istituzione dei Concerti e Teatro
Lirico, e nel Collegio sindacale dell’Ente Turistico.
Ad introdurlo in Massoneria è un
parente, Livio, figlio del suo fratello maggiore (quel Salvatore che l’ospitava
nelle puntate romane durante gli studi all’Accademia di Santa Cecilia). Livio,
medico, è massone iscritto alla Loggia Propaganda 2 ed è lì, nella capitale,
che per la prima volta egli mette piede nell’ambiente. E’ il 1966. Il brevetto
di Apprendista porta la data del 26 giugno 1966 (registrato dal Grande Oriente
d’Italia al n. 18079/32). Nell’ambito della stessa officina ottiene, unificati
nella stessa giornata – il 19 giugno 1967 – i due aumenti di salario ai gradi
di Compagno d’Arte e di Maestro…
Porta a Cagliari una filiazione di
quella loggia (che avrà altro insediamento a Nuoro, promosso dal Fratello – e
suo cognato – Antonio Sanna). Si appoggia, logisticamente, all’Associazione dei
partigiani non comunisti. L’esperienza non è gradita alle officine giustinianee
e dura soltanto due anni. Alla fine del 1969 il Grande Oriente impone, infatti,
la regolarizzazione: la loggia riservata deve scoprirsi, ristrutturarsi in un
ensemble ordinario. Nasce la nuova Sigismondo Arquer e lui – Francesco Bussalai
– ne è l’effettivo Magister, anche se il primo Maglietto è appannaggio del Fr.
Pargentino. A Roma Lino Salvini, che lo considera uno dei più intraprendenti
fra i suoi referenti sardi, ha intanto raccolto il testimone passatogli da
Giordano Gamberini.
Il proselitismo che l’Arquer sviluppa,
fin da subito, ne distingue il tratto e anche gli obiettivi. Nel novero di
quelli che, già nei primi tempi, bussano alla Porta d’Occidente è anche
Giuseppe (Pino) Bussalai, il secondogenito di Francesco e Fides, accolto nel
Tempio nel 1972.
Nato a Sassari nel 1932 (25 marzo), Pino
ha seguito – soprattutto con il fratello maggiore Salvatore e già da bambino –
tutte le attività pubbliche, ideologiche e di relazione, dei genitori ancora
protagonisti, negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto
mondiale e per oltre un lustro, delle attività del PCI. In quel contesto,
proprio agli inizi del nuovo decennio, si collocano – come già accennato – le
grandi lotte del bracciantato agricolo, con l’occupazione delle terre da parte
dei lavoratori. E il carcere non sarà soltanto per gli adulti, ma anche per i
minori, Pino incluso…
Ha studiato all’Istituto Nautico, ha
frequentato un certo numero di corsi professionali (disegno, edilizia…).
Lavorerà per diverso tempo, negli anni a cavallo fra ’50 e ’60, nei cantieri
regionali, come assistente dei direttori dei lavori; nel 1963 passerà nei
ranghi dell’Amministrazione comunale di Cagliari, assegnato presto all’Ufficio
Tecnico, dove si svolgerà larga parte della sua carriera. Parallelamente si
compirà, anche per lui come per entrambi i genitori, quel percorso ideale dal
comunismo alla socialdemocrazia, per stabilizzarsi poi, dopo l’unificazione
socialista del 1966, nel PSI.
La sua militanza – sempre fedele, mai
troppo austera, temperata anzi da una certa bonomia ed indulgenza alla cionfra
tipica sassarese, quasi come omaggio alla sua città natale – vivrà stagioni
anche di speciale impegno, come quando a lui la Loggia chiederà di reggere il
Maglietto…
Una lunga malattia ai reni, che lo
costringe per anni alla dialisi, ne limita per forza di cose, progressivamente,
le attività. Ma non smette mai di essere ottimista, così come ha imparato dai
suoi… Sarà il 18 marzo 1997 il giorno del suo passaggio all’Oriente Eterno.
Uomo di mare, capitano di lungo, è stato
Bruno Bussalai, uno dei figli più giovani,venuto al mondo a Livorno nel 1937,
passato all’Oriente Eterno da Cagliari il 29 dicembre 2006. Di lui, accolto
nella stessa loggia del padre e del fratello, eccelle, fra i ricordi, quella
cordialità spontanea che gli nasceva, potrebbe dirsi, dai rilanci del cuore
propri di chi, trascorrendo gran parte delle sue giornate e settimane, e
talvolta perfino dei lunghi mesi, lontano dalla terraferma, al rientro aveva
necessità assoluta di dilatare nella dimensione sociale il corpo unico
rassodato col suo equipaggio. Anche per questo, forse soprattutto per questo, i
suoi ritorni rapsodici in loggia – nella Sigismondo Arquer – erano
particolarmente calorosi. era come un ricongiungere l’umanità che aveva
spaziato per meridiani e paralleli al punto fermo, geografico, geometrico,
geodetico, della sua identità muratoria condivisa. Chiamava i residenti sulla
terraferma i “terrazzani”, e non si vergognava di dichiarare però, nonostante
tutto e sempre, più forte l’amore al mare, il suo specchio.
Rimane, legato al suo nome, un
bellissimo dvd dedicatogli dal suo grande amico Paolo Baggiani per i testi e da
Giorgio Baggiani per la regia e l’accompagnamento musicale: una raccolta di
foto, immagini e suoni raccolti a bordo della nave “Giuseppe Lembo” – la sua
preferita – lungo un anno intero, dal novembre 2005 all’ottobre 2006, quando
già il male s’era affacciato, e lui s’era però impegnato nella rotta
dall’Europa del nord alla Colombia sudAmericana per tre volte di seguito…
E’ stata una intuizione magnifica quella
di onorare Bruno con i versi di Charles Baudelaire del 1857, quelli intitolati
proprio a “L’uomo e il mare”. Eccoli:
«Uomo libero, tu amerai sempre il mare!
«Il mare è il tuo specchio; contempli la tua anima
«Nello svolgersi infinito della sua onda,
«E il tuo spirito non è un abisso meno amaro.
«Ti piace tuffarti nel seno della tua immagine;
«L’accarezzi con gli occhi e con le braccia e il tuo cuore
«Si distrae a volte dal suo battito
«Al rumore di questa distesa indomita e selvaggia.
«Siete entrambi tenebrosi e discreti:
«Uomo, nulla ha mai sondato il fondo dei tuoi abissi,
«O mare, nulla conosce le tue intime ricchezze
«Tanto siete gelosi di conservare i vostri segreti!
«E tuttavia ecco che da innumerevoli secoli
«Vi combattete senza pietà né rimorsi,
«Talmente amate la carneficina e la morte,
«O eterni rivali, o fratelli implacabili!».
«Il mare è il tuo specchio; contempli la tua anima
«Nello svolgersi infinito della sua onda,
«E il tuo spirito non è un abisso meno amaro.
«Ti piace tuffarti nel seno della tua immagine;
«L’accarezzi con gli occhi e con le braccia e il tuo cuore
«Si distrae a volte dal suo battito
«Al rumore di questa distesa indomita e selvaggia.
«Siete entrambi tenebrosi e discreti:
«Uomo, nulla ha mai sondato il fondo dei tuoi abissi,
«O mare, nulla conosce le tue intime ricchezze
«Tanto siete gelosi di conservare i vostri segreti!
«E tuttavia ecco che da innumerevoli secoli
«Vi combattete senza pietà né rimorsi,
«Talmente amate la carneficina e la morte,
«O eterni rivali, o fratelli implacabili!».
Per Vincenzo Tuveri
Il carissimo Fr. Vincenzo Tuveri fu
membro onorario della mia loggia, la Rudyard Kipling n. 1272 all’Oriente di Cagliari;
incardinato originariamente nella R. L. Hiram, fu a piè di lista per diversi
anni nella R. L. Wolfang Amadeus Mozart e poi nella R. L. Ugolino all’Oriente
di Iglesias.
Di lui potrebbe dirsi – date le unanimi
testimonianze raccolte – che fece della Libera Muratoria il massimo dei suoi
interessi civili, per ben 27 anni, dal 1985 – quando fu iniziato nella loggia
Hiram – al 2012, quando dalla R. L. Ugolino passò all’Oriente Eterno.
Cagliaritano, nacque in un anno di
guerra, il 1941. Ci ha lasciato 71enne.
Rappresentante di commercio nel settore
dell’abbigliamento, indirizzò questa sua attività professionale anche in luoghi
attivi di solidarietà, ad esempio sostenendo il programma del suo club
rotariano, quello di Cagliari est, concordato anche con il comando militare
della Sardegna, a favore dei sinistrati afgani.
Il suo ufficio, ai piedi del colle San
Michele, divenne progressivamente una specie di centrale massonica, sia per le
relazioni di fratellanza sia per la raccolta di materiali documentari che mostrava
a tutti con orgoglio.
Nel febbraio 1998 fu nella ventina di
Fratelli che, con gli ex Venn. Racugno, Angioi e Marrone, innalzarono le
Colonne della Mozart n. 1147.
Di essa divenne egli stesso Venerabile,
dopo i FF. Sanna e Biggio e prima del Fr. Nurchi, nel triennio 2001-2003. In
quel periodo e anche dopo fu un motore di iniziative, ad esempio promuovendo
una tavola rotonda pubblica e poi un premio scolastico sui problemi dell’AIDS,
nonché un convegno sull’Alzheimer (alla Fiera, insieme con le logge Asproni e
Conti), animando diverse edizioni di monumenti aperti a palazzo Sanjust,
accogliendo gli studenti dell’istituto iglesiente Asproni che interrogavano su
natura e fini della Libera Muratoria e, prima ancora, premiandoli per un
concorso sulla figura di Giordano Bruno, ristampando un libro sulla nostra
istituzione che era uscito nel 1944 (alla caduta della dittatura) e che egli
aveva trovato malconcio in una bancarella del mercatino domenicale,
partecipando al convegno asproniano di Bitti nel 2008, ecc.
Nel 2002 consegnò la pergamena del 33°
grado del R.S.A.A. al Fr. Racugno, che l’anno successivo sarebbe stato chiamato
alla dignità di Gran Maestro onorario.
Egli fu un ponte di collaborazione con
l’intera Fratellanza cagliaritana e sarda, e non solo: cooperò per molti anni
agli incontri nazionali delle logge intitolate a Wolfang Amadeus Mozart,
collaborò con molti scritti per un decennio e più ai volumi stampati dalla
Quatuor Coronati di Perugia (uno di questi: “Pensieri sulla Morte”).
Tesoriere del Collegio, presidente del
Consiglio dei Maestri Venerabili di Cagliari, membro delle commissioni
elettorali, sia della Circoscrizione che Nazionale, garante d’Amicizia.
Da noi fu presentissimo alle tornate
rituali ed agli incontri conviviali delle officine che ricambiarono
associandolo come Fratello onorario: così fu nel 2006 da parte della Kipling, a
maggio dello stesso anno dalla Conti, a giugno dalla Hiram e poi dalla Giordano
Bruno. Nel 2009 fu chiamato onorario anche dalla loggia Rinascita di Sassari.
Per Walter Angioi
Il Fr. Walter Angioi ebbe una presenza
nella vita pubblica sarda sia come esponente politico, nelle file del Partito
Liberale, che come professionista. Fu avvocato di nome nel foro di Cagliari.
Classe 1921, completò gli studi al
ritorno dalla guerra; fu, giovane venticinquenne, fra quei reduci che
faticarono nel 1945 a riprendere il loro posto nella società civile. E’ memoria
ancora inedita quella consegnata in una intervista (acquisita
dall’Archivio) su quel periodo di vita che lo vide da subito anche proiettato
nell’impegno politico, all’inizio nelle file del Fronte dell’Uomo Qualunque,
che a Cagliari ebbe un grosso risultato elettorale, con 6 consiglieri nel primo
Consiglio comunale dopo vent’anni di dittatura. E Walter fu eletto consigliere
comunale con più di 700 preferenze.
La confluenza dell’Uomo Qualunque nel
Partito Liberale, avvenuta nel 1948, lo fece liberale e nel PLI sviluppò una
carriera importante, fino alla segreteria regionale. Fu anche consigliere
regionale della Sardegna nella V legislatura (1965-69), subentrando all’on.
Sanna Randaccio.
In Massoneria fu iniziato, nel 1978, fra
le Colonne della Hiram.
Gli toccò di fare il Venerabile in una
stagione triste: dopo la fuga del Gran Maestro Di Bernardo e il riassesto con
la gran maestranza Gaito, si pose il problema di come regolare la posizione del
Gran Maestro emerito Corona, che per ragioni regolamentari si orientò per
l’assonnamento. E’ documentato lo scambio doloroso di lettere fra il Ven.
Angioi e il Gran Maestro Gaito, quando si formalizzò la sorprendente decisione
del Fr. Corona.
Eletto giudice supplente del Tribunale
circoscrizionale nel 1996, due anni dopo partecipò con molti altri Fratelli
della Hiram alla gemmazione e all’innalzamento delle Colonne della loggia
Mozart.
Lo abbiamo perso nel 2004.
Per Alberto Silicani
In quanto Venerabile della loggia che ne
porta il nome nel titolo distintivo, desidero ricordare il Pot.mo Fr. Alberto
Silicani così come lo presentò nel 25° del passaggio all’Oriente Eterno il Fr.
Marchi, con una Tavola contenuta nel libro “il giusto come fine” di Gianfranco
Murtas (2001). Ecco la vivida, efficace Tavola Architettonica tracciata in suo
onore:
«Il ricordo dell’attività del Car,mo
Ven.mo Maestro Alberto Silicani mi conferma continuamente il Magistero nella
Tradizione Massonica.
«Attuali e validi: Antichi Doveri,
Simboli, il Lavoro dei FF. in Loggia vanno letti, riletti, meditati,
rimeditati, perché non giacciano passivi nella nostra memoria (superficiale),
ma approfondendosi rinascano continuamente e con solide radici nutrano ed
elevino dritto-verticale l’albero fruttifero della nostra individualità, con
una scelta di comportamento secondo una deontologia illuminata: il dovere
d’operare per il Bene ed il progresso dell’Umanità.
«Così fece il Car.mo Ven.mo Fratello
Alberto Silicani. Uomo vero, inflessibile, coerente costruì secondo le Tre
Luci, con esatto uso degli Strumenti Muratori. Grande e modesto, sempre attivo,
operante, forte di Virtus, rigido con se stesso, tollerante e prodigo con il
prossimo, visse da Maestro Perfetto ogni attimo del suo tempo nella Stretta
Osservanza a Gloria del Grande Architetto dell’Universo.
«In Lui pensiero ed azione, Verità e
Realtà rimasero coerenti, inscindibili, la sua parola diventava opera concreta,
costruì tutto il suo possibile nella L.U.F. con Squadra e Compasso sotto il
Delta Vigile.
«Ancora è presente in noi che lo
conoscemmo, non ci ha lasciati, rimane senza soluzione di continuità una
traccia, un debito, una riconoscenza, una viva eredità d’affetti stimolanti e
fecondi.
«Se… per la materia profana nulla si
crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, a maggior ragione, la necessità
in noi verso l’intelligenza della Suprema Architettura dell’Universo; la
ricerca, l’intuizione ineffabile verso l’anello mancante tra le due nature
umane, l’io non s’annullerà con la vita, col corpo materiale, sono indotto a
credere sia atemporale, come viene insegnato dall’esoterica Catena d’Unione nei
nostri Rituali Lavori: comunione – continuità.
«Appena all’inizio della Liberazione i
pochi FF. rimasti uniti, e primo fra questi sempre il più tenace ed attivo il
Car.mo Ven.mo Fratello Alberto Silicani, elevarono le solide Colonne
ricostruendo la prima Loggia di Cagliari, sulle basi indistruttibili celate
nelle loro menti e nei loro cuori. Per cui questo luogo contempera le due
accezioni di Tempio ed Officina, ovvero conoscenza iniziatica per operare
rettamente nell’Umanità.
«I Lavori interrotti ripresero forza e
vigore. Rimane un periodo luminoso illuminante nella storia della Muratoria
Sarda».
Per Mario Cherchi
Ogliastrino di Ierzu – compaesano dunque
del nostro Gran Maestro onorario Vincenzo Racugno – classe 1926, il Fr. Mario
Cherchi era un militare, giunto al grado di colonnello di fanteria.
Prestò servizio per conto dell’ONU in
Palestina dal 1968 al 1970, ottenendo la medaglia commemorativa delle Nazioni
Unite, cui si sommarono nel tempo altre decorazioni: la croce d’oro per
anzianità di comando e la medaglia di lungo comando, il cavalierato dell’ordine
al merito della Repubblica.
Nel suo curriculum si segnalano anche il
comando del 152° battaglione fanteria “Sassari”, e la direzione dell’ufficio
Personale e Benessere del Comando Militare della Sardegna.
Fu iniziato nel 1973, fra le Colonne
della Sigismondo Arquer. Era allora maggiore capo ufficio Forze in congedo e
mobilitazione del Distretto militare di Cagliari.
Nel 1985 partecipò, con altri 18
Fratelli, alla gemmazione che dette vita alla Giorgio Asproni n. 1055,
insediatasi nel marzo 1986. Della nuova officina assunse da subito la dignità
di Oratore, essendo Venerabile il Fr. Galardi.
In quel rodaggio che impegnò le logge
nel cruciale 1986 – perché allora presero corpo, nel giro di pochi mesi, ben
tre nuove officine – si ricordano molti lavori svolti in raccordo, come a voler
recuperare in positivo quello che, per certi aspetti, sembrò, con le gemmazioni
non sempre pacifiche, uno sfilacciamento.
Così il 4 novembre, in una tornata
dedicata dalla loggia Ciusa alla figura di Giorgio Asproni, e cui parteciparono
in massa i Fratelli proprio della Asproni, toccò al Fr. Cherchi di tracciare la
Tavola forte, che fu quella riferita all’affascinante tema dell’esoterismo
islamico.
Dal 1989 al 1991 resse, il Fr. Cherchi,
il Maglietto della loggia Asproni, ceduto poi ai Venn. Orrù e Cuzzeri.
Accanto alla militanza di loggia merita
citare quella di Compagno del Capitolo del Rito di York.
Lo abbiamo perso al termine di un
doloroso ricovero all’ospedale Binaghi.
Per Armando Corona
Passò all’Oriente Eterno nel giorno di
vigilia del suo 88° compleanno, nel 2009, lui classe 1921, nativo di
Villaputzu, con radici paterne e materne ogliastrine.
Medico specializzatosi in ginecologia,
titolare di condotte dapprima, dal 1947, a Senis quindi, dal 1955, ad Ales,
direttore sanitario e amministratore della casa di cura Villa Verde, nel viale
Merello di Cagliari, dal 1968 e per dieci anni, fu esponente politico di
notevole peso e seguito elettorale fiduciario fin dai primi anni ’50, nelle
file del Partito Sardo d’Azione alleato dei repubblicani, poi nello stesso
Partito Repubblicano Italiano quando, nel 1968, quell’intesa cessò per la
scelta tendenzialmente separatista del PSd’A. Segretario provinciale del PSd’A
per un anno e consigliere provinciale ed assessore all’assistenza psichiatrica
dal 1964 al 1970, fu dal 1969 al 1984, per tre legislature, consigliere
regionale, e dal 1977 anche assessore regionale agli Affari generali e
coordinatore di giunta. Nel 1979 e per quasi due anni fu presidente del
Consiglio regionale. Dopo quelli regionali – come segretario politico – ebbe
intanto anche vari incarichi politici nel suo partito a livello nazionale,
dapprima come presidente del Collegio dei probiviri (dal 1975) e poi come
co-vicesegretario nell’anno e mezzo – 1981-82 – di presidenza del Consiglio dei
ministri di Giovanni Spadolini, il quale manteneva la segreteria nazionale del
PRI.
In parallelo a questi incarichi di
crescente importanza egli sviluppò la sua carriera massonica avviatasi
nell’ottobre 1969, quando venne iniziato fra le Colonne della Giovanni Mori di
Carbonia, presentato dal Fr. Livio Melis, accolto dal Ven. Tiberio Pintor
e interrogato dal Pot.mo Alberto Silicani; trasferitosi nel 1971 nei ranghi
della cagliaritana loggia Hiram, di questa divenne nel 1975 il Secondo
Sorvegliante e, dal 1976 e per tre anni, il Maestro Venerabile, associandovi la
carica di presidente del Collegio circoscrizionale. E’ del 1978 la sua
presidenza nazionale della commissione elettorale e, immediatamente successiva,
in contesto di gran maestranza Battelli, l’alta dignità di primo presidente
della Corte Centrale; eletto Gran Maestro nel marzo 1982, rimase al vertice di
Palazzo Giustiniani per otto anni, fino al 1990.
In quanto Gran Maestro promosse la
riforma della costituzione e del regolamento generale dell’Ordine che modificò
anche il regime temporale dell’ufficio di Gran Maestro: non più tre possibili
mandati triennali consecutivi, ma soltanto cinque anni senza possibilità di
immediata conferma.
Con una intensa attività anche di
promozione culturale e convegnistica del Grande Oriente – che nel 1988 trasferì
la sua sede definitivamente da Palazzo Giustiniani a Villa Medici del Vascello
– recuperò un rapporto corretto anche con il mondo politico, nonostante che
purtroppo, lungo gli anni ’80, proprio il mondo politico andasse peggiorando il
proprio stato, preparando così la stagione tremenda (e di vergogna per la
Repubblica) di tangentopoli.
Diresse, con Augusto Comba, la rivista
(bimestrale, poi mensile) “Hiram” e fortunata stella della sua gran maestranza
fu il recupero inaspettato dei vecchi libri matricola di inestimabile valore
storico con le registrazioni di settantantamila Fratelli dall’unità d’Italia
alla vigilia del fascismo e quindi alla obbligata fuoriuscita del vertice del
Grande Oriente d’Italia a Parigi. Proprio quelle registrazioni hanno consentito
l’avvio di numerose piste di ricerca delle vicende storiche della Fratellanza
massonica italiana, di fianco alle attività, dal 1986, del Centro per la storia
della Massoneria affidato al prof. Mola.
Fu, Armando Corona, uomo anche di
impresa o piuttosto di finanza, e questa dimensione forse ha appannato, sotto
diversi aspetti, la sua virtù e il nome di uomo pubblico, senz’altro fra
i più significativi dell’intera quasi settantennale stagione autonomistica. Fu
altresì e anzi fondamentalmente, egli, in quanto professionista e pur
nell’attenuazione progressiva dell’esercizio, medico e medico leale, così fino
alla fine, con il suo giuramento di Ippocrate. Ed è proprio tale sua identità
sposata alla sincera convinzione massonica che ne definisce meglio e più
profondamente la complessa personalità.
Gli ultimi suoi anni di vita furono
attraversati da amarezze di varia natura e da ripetuti assalti della malattia
che, a detta di molti (incluso chi ne riferisce), ne attenuarono la fermezza
delle posizioni e compromisero in parte la nettezza della sua immagine pubblica
massonica e anche politica (essendo il populismo e il plebiscitarismo di Forza
Italia l’esatto contrario della moralità mazziniana e del minoritario azionismo
lamalfiano da sempre onorato in quanto fondatore dello stato democratico e
repubblicano).
L’accostamento ad altra cadetta
Obbedienza massonica paradossalmente ammiratrice di Licio Gelli e sedicente
titolare di tradizioni scozzesi, nel contesto derivato dalle determinazioni che
nel 1995 lo avevano portato a chiedere l’assonnamento, parve indebolire una
militanza importante maturata lungo un quarto di secolo e più nei ranghi
giustinianei. Molto opportunamente le logge di Cagliari non dettero importanza
a uno sviamento ritenuto del tutto accidentale e ne onorarono la memoria
accogliendone le spoglie con la camera ardente allestita nel palazzo di piazza
Indipendenza nell’aprile 2009 ed accompagnandole al rito funebre celebrato,
nella basilica di Nostra Signora di Bonaria, dal padre Salvatore Morittu alle
cui comunità di recupero giovanile offerse in più occasioni i segni della
amicizia sua e della sua famiglia,
Sappiamo che da più parti viene
suggerita ed anche progettata, in ambito GOI, la costituzione formale di una
nuova officina intitolata alla memoria di Armando Corona. Un segno di maturità
massonica e di un “pensare in grande” sarebbe, a mio parere, quello di far
precedere una tale iniziativa con un’appropriata tempistica e con procedure del
tutto degne dell’uomo che si vorrebbe onorare: intanto mettendo in cantiere, da
prima di quella costituzione formale e per un triennio almeno, delle sessioni
di studio documentato ed approfondito della sua figura storica (compresi gli
aspetti politici, imprenditoriali e professionali) e, naturalmente, delle
peculiarità del suo ufficio di Gran Maestro giustinianeo, con uno sforzo del
tutto inedito (ma necessario) di inquadramento della rete liberomuratoria
isolana nel maggior contesto italiano lungo gli anni della sua fruttuosa militanza,
ma anche della preparazione della sua militanza ed a seguire la stagione di
quella stessa generosa e, per molti riguardi, illuminata militanza. Che poi
sarebbe a dire dall’immediato secondo dopoguerra ad oggi.
Per Vincenzo Delitala
Fu, il Fr. Delitala, uno degli uomini di
spicco della Fratellanza muratoria cagliaritana lungo tutti gli anni ’60 e ’70,
e conservò le posizioni di vertice nel Rito Scozzese Antico e Accettato fino al
suo passaggio all’Oriente Eterno avvenuto nel 1985, dopo un doloroso ricovero
all’INRCA. Fu ripetutamente Venerabile della Nuova Cavour e presidente del
Collegio circoscrizionale.
Di famiglia di ceppo planargese migrata
nel Campidano – suo nonno, don Vincenzo come lui, fu consigliere comunale a
Quartu per trent’anni circa, fra Ottocento e Novecento, e sindaco in due
consigliature, alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento – egli
nacque a Iglesias, tappa della carriera statale del padre, ma fu Cagliari la
sua più stabile residenza anche giovanile.
Classe 1911, studiò alla scuola
complementare che si sviluppava allora nella Normale, si iscrisse quindi a
Magistero (a indirizzo linguistico), al suo esordio a Cagliari come facoltà
autonoma da Lettere. Dovette interrompere per il servizio di leva, svolto a
Torino (Cavalleria) e per gli arruolamenti successivi nei contingenti della
missione coloniale africana (Artiglieria). Così nel 1935.
Mise su famiglia, nel 1939con Maddalena
Sedda, una insegnante gavoese sua coetanea, che amò sempre di un amore
tenerissimo. Preparò per lei la casa a Mogadiscio ma la sopravvenuta chiusura
delle vie di comunicazione impedì il ricongiungimento del nucleo familiare.
Lasciò così la moglie incinta, avrebbe conosciuto la sua primogenita già
grandetta, addirittura settenne, al rientro in patria, a guerra finita e dopo
lunga prigionia in una decina di campi, dalla Somalia al Kenya, dalla Rodesia
al Mozambico al Sud Africa ecc.
Rientrato finalmente in patria, a
Cagliari, nel gennaio 1947, s’impiegò al Provveditorato alle Opere Pubbliche,
per passare poi alla Corte dei Conti, dove svolse una brillante carriera fino
al 1971. In questo segmento della amministrazione statale avrebbe incontrato
alcuni fra gli amici con i quali avrebbe sviluppato nel tempo una intensa
relazione umana e poi anche fraternale tanto più all’interno del Grande Oriente
d’Italia: con Gianni Ferrara, con Tancredi Pilato, con Alfredo Civello, tutti
Fratelli…
Al Grande Oriente d’Italia giunse nel
1963, dopo una militanza quindicennale nello scozzesismo prima di Palazzo
Brancaccio (loggia Mazzini Garibaldi, fra gli altri con il Fr. d’Aspro), poi di
Piazza del Gesù (loggia Pitagora da Samo), prima durante e dopo i tentativi di
unificazione fra ALAM ed AALLAAMM. Fino ai primissimi anni ’60 fu uno dei pochi
che resistettero alla decadenza progressiva dell’Obbedienza neoferana, fra gli
altri con i FF. Giuseppe Delitala (suo cugino) e Bruno Arba, ch’essi poi
giustinianei.
Si regolarizzò nella Nuova Cavour,
assumendo già da subito funzioni dignitarie, data la distinzione che subito gli
regalò rispetto e sequela da parte dei Fratelli. Amò l’Ordine ma forse il
suo mondo vero fu il Rito Scozzese, nel cui ambito era stato iniziato nel 1948.
Qui giunse fino al 33° grado.
Gentiluomo nel senso antico,
ottocentesco, del termine, coltiva tanto più dopo il pensionamento molti hobby,
fra cui la pittura che balzava dagli acquarelli o dagli oli alle ceramiche,
produceva bozzetti mignon, motivi sardeschi che, con altra firma, vennero pure
messi in commercio. Dipinse anche per il nemico, a suo tempo, negli anni della
prigionia africana.
Praticava un discreto humor, forse
contagiato dagli inglesi tanto… detestati. Rifiutò incarichi politici, anche
dopo il pensionamento. Il suo orientamento era moderato, sempre devoto ai
simboli della Nazione, oltre l’ordinamento costituzionale monarchico o
repubblicano. Nel 1967 Umberto II di Savoia gli conferì, con motu proprio da
Cascais, la croce di cavaliere ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia;
l’anno successivo fu il presidente Saragat ad insignirlo del titolo di cavaliere
dell’Ordine al merito della Repubblica italiana.
Per Giuseppe Solinas
Nativo di Sassari, il Fr. Solinas –
Venerabile fondatore della loggia Lando Conti – ci ha lasciati, ancora giovane,
all’età di 47 anni, nel marzo 1987. Ingegnere, lavorava all’Ente Sardo
Acquedotti e Fognature.
In Massoneria era stato iniziato nel
1974 fra le Colonne della Risorgimento, in quella fase di vita della loggia che
era quasi ancora di impianto. Nella Risorgimento cagliaritana, sotto la guida
di Venerabili di esperienza come i FF. Carleo, Mascia, Gusmeri e Gianni
Delitala, s’era formato, favorito anche da una sorta di intesa generazionale
con molti dei giovani Apprendisti, Compagni e Maestri dell’officina. Fra essi
il Fr. Addis al quale era legato da un rapporto, oltre che di personale
amicizia, anche di affinità.
Si puntò molto su di lui quando nel
1986, concludendosi parte della esperienza di rinascita dell’oristanese Ovidio
Addis (fondata nel 1972) che aveva avuto il rinforzo di numerosi Fratelli
cagliaritani, si decise di procedere all’innalzamento delle Colonne di una
nuova officina che si volle intitolare al Fr. Lando Conti, già sindaco
repubblicano di Firenze per due anni, trucidato dalla Brigate Rosse nel
febbraio di quello stesso anno.
Il Fr. Solinas partecipò attivamente
alle fasi fondative della loggia che traeva la metà del suo piedilista
originario dalla sua stessa Risorgimento e l’altra metà dagli organici di
diverse altre compagini della Circoscrizione. Certamente il suo carattere
misurato ed educato, timido perfino, insieme però cordiale ed affettuoso, lo
proposero come ideale primo Venerabile della storia della nuova loggia.
Ma fu, il suo mandato, avviatosi nel
luglio 1986, condizionato ripetutamente dal suo stato di salute. Una volta
capitò addirittura che egli non potesse concludere il rito di iniziazione di
due profani, e dovesse essere sostituito da un collega Venerabile della loggia
Hiram, presente alla cerimonia.
Tredici giorni soltanto e una nuova
crisi, silenziosa, nella notte, presso la sua abitazione al quartiere del
Poetto, lo travolse migrandolo all’Oriente Eterno.
Testimonierà il Fr. Marongiu:
«Mercoledì 25, è morto così come ha vissuto, tranquillamente, senza disturbare
nessuno. Nel sonno. E’ morto prematuramente un uomo buono, intelligente, colto,
arguto… Quanto la morte di Giuseppe colpì l’Officina lo testimonia il fatto che
nel verbale di Apprendista non si fa riferimento al suo passaggio all’Oriente
Eterno, quasi a voler rimuovere, non parlandone, quanto accaduto».
La loggia, orfana del suo Venerabile
fondatore, dovette comunque andare avanti. Si sarebbero anticipate le elezioni
egli sarebbe subentrato, con apposita votazione, il Fr. Baldussi.
Per Paolo Spissu
Veniva da una famiglia cagliaritana che
aveva segnato l’economia cittadina del secondo Ottocento e primo Novecento:
legata ad una delle maggiori concerie industriali della Sardegna ed alla
conduzione della Società Operaia, presente anche nella militanza della nostra
Comunione (loggia Fede e Lavoro, in quel della Marina).
Per lui si era profilata, da
giovanissimo, una vocazione religiosa che avrebbe dovuto passare anche gli
stadi del ministero ordinato. E invece altro si sarebbe profilato nella sua
esistenza, pur restando sempre egli legato ai valori della sua fede cristiana e
cattolica. C’è chi lo ricorda teso partecipante alle liturgie… Fece famiglia,
lavorò nel settore della consulenza scientifica, collaborò con spirito di
volontario nella casa di riposo San Vincenzo, di fianco al Buon Pastore.
Iniziato fra le Colonne della Alberto
Silicani, a lungo Oratore di questa officina, nel 2004 partecipò alla
gemmazione della Giordano Bruno di cui divenne, nel tempo, anche il Venerabile.
Nella tornata dedicata alla
commemorazione dei Fratelli defunti, nel 1998, disse: «Il pensiero della morte
vogliamo che sia portatore di serenità perché questo rappresenta solo il primo
momento di un movimento più complesso che porta al risveglio e alla vita: solo
morendo nella terra il seme genera la pianta e produce i frutti. Tutta la vita
è un continuo ciclo di sacrificio-dolore-morte che porta alla
ricchezza-gioia-vita.
«Oggi dobbiamo un particolare ricordo
per tutti quei fratelli che hanno lavorato massonicamente prima di noi… la
ricerca della verità sempre al primo posto, la accettazione di tutti gli uomini
come fratelli, la dedizione del proprio tempo perché il mondo diventi più
simile al progetto del GADU sono le virtù che ci sono state trasmesse quali
luci da tenere accese perché siano consegnate a chi ci seguirà».
Dieci anni dopo, di ritorno da una lunga
esperienza di malattia, tracciò nella Giordano Bruno una Tavola, «leggendo
dentro di me – disse – mentre la leucemia mi teneva in ospedale». Il testo è
presente nel libro-dvd “Liberi Muratori” alle pagine 699/701. Invito tutti
quanti a recuperarle e leggerle e meditarle, dal punto in cui dice «A sedici
anni mi sono trovato a fare l’infermiere all’ospedale Cottolengo di Torino…».
Per Gianfranco Cusino
Incaricato dal mio M.V. e portatore,
nella mia stessa esperienza, in anni trascorsi, dei carichi morali di Venerabile
della loggia Europa, porgo alla conoscenza di noi tutti la seguente Tavola
biografica:
E’ il 1965, il 27 di marzo, quando il
Fr. Quintino Fernando sottoscrive la domanda per l’ingresso nell’istituzione
massonica del profano Gianfranco Cusino, nato a Sanluri il 6 novembre del 1930.
Il profano, prima di apporre la propria firma nella domanda, indica le persone
che possono riferire sul suo conto. Queste persone sono nell’ordine: Addis
prof. Ovidio, Ferrero dott. Sante, Lai avv. Flavio, Paderi prof. Gesuino.
L’unico Fr. massone è Ovidio Addis, che, dopo averlo conosciuto e frequentato,
e aver scoperto in lui una buona pietra grezza, gli parla della Massoneria, dei
suoi principi e delle sue finalità. Ovidio Addis tegola Gianfranco a Seneghe.
Gianfranco allora, cancelliere di pretura, risiedeva lì, nel paese alle pendici
del Monti Ferru. La domanda viene presa in considerazione il 2 aprile del 1965.
Nel frattempo le condizione di salute del suo amico e tegolatore Fr. Addis si
aggravano sempre più. Il 21 ottobre del 1966 avviene il passaggio all’Oriente
Eterno. Venuto a mancare il suo amico ed effettivo presentatore, la domanda di
ammissione resta sospesa.
Passa non poco tempo prima che la
richiesta riprenda il suo iter. E’ il 14 marzo del 1967, data della prima votazione
per la sua ammissione nell’Ordine. In una delle tavole informative si legge:
«Gianfranco Cusino è persona dotata di estrema sensibilità morale… lo spirito
di intransigenza etica ed un intenso modo di sentire i doveri del proprio stato
può indurre il profano Gianfranco Cusino ad assumere atteggiamenti iper
critici. Ha buona cultura, ingegno e spiccata attitudine ad assimilare i
principi della dottrina massonica». Gianfranco è iniziato a Cagliari il 13
giugno del 1967 nella R.L. Hiram n. 657 all’Oriente di Cagliari, di cui è M.V.
il Fr. Mario Giglio e segretario il Fr. Hoder Claro Grassi. Gianfranco
non perde una tornata di lavori e la loggia, il 5 aprile del 1968, in Camera di
compagno gli concede l’aumento al 2° grado. Gianfranco è sempre più entusiasta
dei lavori con i fratelli; il 7 febbraio del 1969 la Camera di maestro delibera
il suo passaggio al 3° grado.
E’ l’inizio di una tanto appassionata,
quanto entusiasmante, attività all’interno dell’Ordine. Nel 1972 è tra i
fondatori della R.L. Ovidio Addis n°769 all’Oriente di Oristano, e sempre nel
1972 lo ritroviamo tra i fondatori della R.L. Risorgimento n°770 all’Oriente di
Cagliari.
Gli anni ’70 e ’80 rappresentano per la
Libera Muratoria sarda gli anni della svolta. Il Maestro, con la M maiuscola,
Fr. Mario Giglio è la guida e l’artefice della Rinascita Massonica, trovando in
Gianfranco il Fr. intelligente e capace di seguire e concretizzare il suo
lungimirante disegno architettonico: dare la luce massonica ai tanti profani
meritevoli di sostenere le fatiche del lavoro muratorio.
Per molti anni Gianfranco ha ricoperto
nelle diverse logge la carica di Oratore ed è stato M.V. nella R.L. Ovidio
Addis all’Oriente di Oristano. Successivamente fondatore della R.L. Lando Conti
e della R.L. Vittoria all’Oriente di Cagliari, ne ha ricoperto negli anni la
carica di M.V.
E’ stato Consigliere dell’Ordine
ispettore, presidente (e già prima ripetutamente segretario) del Collegio
circoscrizionale, e consigliere di amministrazione della società URBS. E’ in
questa veste che si prodigò prima per l’acquisto della casa massonica
dell’Oriente di Nuoro, poi, con un impegno e una perseveranza non comuni, per
la realizzazione della complessa ristrutturazione della nostra casa massonica
cagliaritana. Con sua grande soddisfazione poté vederla in parte
realizzata.
Il lavoro di Gianfranco è stato
instancabile, sia all’interno che all’esterno del Tempio, e caratterizzato
dalla dedizione e dall’entusiasmo.
Era sensibile e disponibile ad
ascoltare, difendere e confortare non solo i Fratelli ma tutti coloro che si
trovavano in difficoltà. Per Gianfranco ogni uomo era un fratello. Qualcuno,
purtroppo, per invidia o per piccineria non ha capito lo spirito che ha animato
Gianfranco, rivolto sempre ed esclusivamente al bene dell’Ordine e
dell’Umanità. E noi FFr. dell’ Europa, e non solo, e sottolineo non solo, gli
siamo grati ed eternamente riconoscenti. Grazie a te, Gianfranco.
Per Paolo Carleo
La militanza nella socialdemocrazia
(Partito Socialista unificato, poi nel Partito Socialista unitario) e la
stretta amicizia con il Fr. Mario Giglio, anch’egli militante del PSDI – in
tempi nei quali gran parte dei quadri dirigenti di quel partito avevano
un’appartenenza massonica – credo fossero state le condizioni personali che
portarono Paolo Carleo alla domanda di iniziazione.
Egli fu iniziato fra le Colonne della
Hiram nel 1967. Veniva da Napoli ed a Cagliari aveva un incarico di Economia
agraria nella facoltà di Economia e commercio – poi sarà associato di Economia
agroalimentare – e un posto nel Centro regionale di programmazione, con
competenza l’agricoltura.
Nel 1972 fu tra i fondatori della
Risorgimento, loggia che derivò da gemmazione spontanea e positiva della Hiram:
di essa divenne Oratore da subito e presto Venerabile, alternandosi con
Fratelli come Salvago, Mascia e Gusmeri.
Nello stesso periodo partecipò
attivamente all’impianto del Capitolo Ichnusa del Rito di York, unitamente ad
altri Fratelli soprattutto della sua Risorgimento, della Arquer e della Mori.
Quando non ricopriva incarichi di loggia
o di Rito, assolveva a funzioni circoscrizionali come Ispettore (così prima
come dopo la distinzione dal ruolo di Consigliere dell’Ordine).
Nel 1980, con altri undici Compagni del
Rito fu tra i fondatori della SOCREM, la Società per la cremazione che opera in
questo stesso camposanto.
Intanto nel 1976, al terzo mandato del
Gran Maestro Salvini, era stato eletto giudice della Corte Centrale; lo fu
anche nel triennio della gran maestranza Battelli, con il Fr. Corona primo
presidente, il quale lo incaricò di presiedere nel 1981 il tribunale che
deliberò infine la espulsione di Licio Gelli dal GOI.
Nel 1982 fu con i FF. Marchi e Lucarelli
fra i promotori di una loggia di studi, denominata Epsilon, che però,
incontrando difficoltà di accettazione nell’Oriente, rimase un progetto
inattuato.
In sede di discussione della riforma
della Costituzione e del Regolamento generale dell’Ordine voluto fra il 1984 e
l’85 dal Ven.mo Corona, difese fermamente impostazione e articolato, anche in
contrasto con l’opinione di Fratelli a lui carissimi e della sua stessa loggia:
ciò rivelò lo spessore della sua partecipazione alle fasi elaborative di quei
testi e la sua stretta intesa con il Gran Maestro circa alcune linee
riformatrici ritenute allora utili.
C’è qui chi lo ricorda presente, con
molti altri, all’insediamento, nel marzo 1986, della loggia Francesco Ciusa.
Oltre che giudice centrale (in carica
dal 1976 e così fino al 1990) fu in quell’anno anche segretario del Collegio
presieduto dal Ven. Bucarelli.
Attorno a lui molte curiosità profane si
accesero al tempo della pubblicazione delle liste, nel 1993. Paolo allora
ricopriva l’ufficio – e fu ufficio sfortunato – della SIPAS (la società
regionale degli investimenti agro-alimentari) dopo aver presieduto la Nuova
Valriso.
Nel 1994 venne eletto ancora una volta
Ispettore circoscrizionale nonché giudice del Tribunale circoscrizionale,
optando per la prima delle due cariche, cui presto rinunciò però in uno alla
autosospensione – in attesa del recupero della sua onorabilità, per noi
perfetta sempre – data la comunicazione di garanzia per le questioni
SIPAS. Purtroppo si dovette, in ragione del protocollo firmato dal Gran
Maestro Gaito con il prefetto Parisi, formalizzare la sospensione anche da
parte del vertice del GOI.
Tante amarezze – pur se era uomo che
pensava sempre positivo – e i malanni al cuore, negli ultimi anni; il ricovero
al Cardarelli, dove lo abbiamo perso nel capodanno 2006. Riportato a Cagliari
per la cremazione, lo abbiamo qui.
Per Emanuele Zirone
Negli ultimi giorni del dicembre 2002,
quasi in contemporanea con il Fr. Gianfranco Porcu – altro eminente dignitario
di lunga data della Circoscrizione sarda, passava all’Oriente eterno il Fr.
Nello Zirone. Cagliaritano ma di nascita olbiese, classe 1938, medico
ginecologo, era stato iniziato fra le Colonne della Sigismondo Arquer nel
maggio 1975 (un anno record, per il numero di ammissioni nelle logge
funzionanti all’interno dell’Oriente cagliaritano). Quello era un periodo di
vita della Sigismondo Arquer che ancora risentiva delle fatiche dell’impianto
così originale o anomalo, con un piedilista per i tre quarti identificabile
nell’ex gruppo di lavoro P2, e con una sorprendente e inedita spinta civile di
cui i Fratelli fondatori e alcuni dei primi iniziati – da Anton Francesco
Branca a Sergio Caddeo a Elisio Spiga ecc. – si facevano portatori, marcando un
indubbio arricchimento nel concerto delle voci dell’Oriente e della
Circoscrizione.
Promosso Compagno d’arte nel 1976 e
Maestro nel 1977, era stato per svariati anni – dal 1982 al 1985 – consigliere
dell’Ordine Ispettore, quindi – fra il 1986 ed il 1992 – Oratore e poi
Maestro Venerabile della sua officina e presidente del Collegio
circoscrizionale (fra il 1990 ed il 1993).
In questo contesto aveva assunto posizioni
assai critiche verso la nuova gran maestranza di Giuliano Di Bernardo il quale,
come si sa, avrebbe poi inopinatamente abbandonato il Grande Oriente d’Italia
per dar vita ad un’altra Obbedienza che strappava a noi il riconoscimento della
Gran Loggia Unita d’Inghilterra.
Aveva inoltre ricoperto le funzioni di
garante d’Amicizia della Gran Loggia Columbia (dal 1999 al 2000) e della Gran
Loggia Orientale Francisco de Paula Saint’Ander n. 199-104 dal 2001 alla morte.
In ogni occasione aveva mostrato determinazione
di obiettivi, sempre rispettabili anche quando non condivisi.
Per Eligio Orrù
Conoscevo il Fratello Eligio da circa
quarant’anni, cioè da quando entrambi abbiamo iniziato
la nostra attività lavorativa nel settore del Turismo. Era nato a Muravera
nel 1941 e dopo diverse esperienze formative e professionali all’estero
riapprodò nella sua Sardegna per lavorare prima al Forte Village e poi
all’Hotel Is Morus (per dirigere il “sistema” alberghiero ad esso collegato).
Il Fratello Eligio era un esperto
professionista del settore turistico-alberghiero legato in maniera
profonda alla sua terra. Uomo severo dall’ironia sottile, serio e rigoroso sul
lavoro verso se stesso e verso i suoi collaboratori, capace tuttavia, al
momento giusto, con il suo stile d’altri tempi, di gesti di magnanimità e
sorrisi generosi.
Il nostro rapporto di conoscenza si è
arricchito quando ragioni di famiglia l’hanno felicemente favorito, e la
relazione si è ancor meglio approfondita e consolidata nella comune
partecipazione ideale e associativa alla Libera Muratoria cagliaritana.
Fu iniziato il 26 novembre 1986
nella loggia Francesco Ciusa 1054 all’Oriente di Cagliari.
Fu incaricato delle funzioni di
1°Diacono fin dalle prime elezioni di loggia, mentre nell’anno 1987 fu iniziato
al grado di Compagno d’Arte e nel 1988 a quello di Maestro. Ha ricoperto, nel
tempo, diversi ruoli come Ufficiale e Dignitario di loggia con sentimento e
diligenza.
Nel 2012 dopo un quarto di secolo di
militanza nella loggia Francesco Ciusa ha aderito al progetto di fondazione
della loggia Armonia. Proseguì poi nella sua attività di ricerca ed
approfondimento, l’anno successivo, nell’accogliente piè di lista della loggia
Concordia.
Un vero massone, fatto di sostanza e
convinzione. Un Fratello di grande esperienza sia nella vita profana, che
in quella muratoria.
Mi confidava spesso le sue riflessioni
su quanto sia difficile, oggi più che mai, appartenere alla nostra istituzione.
Era consapevole del fatto che siamo parte, nel mondo profano, di un consorzio
umano che umilia i valori e soffoca gli ideali, che calpesta
i diritti e ignora i doveri e che impone stili di vita osceni e regole
destabilizzanti.
Temeva che da questo mondo profano si
potesse correre il rischio, come massoni, di essere, probabilmente,
contaminati. Aveva il timore di non essere capace d’impegnarsi
abbastanza per proteggere le persone che amava e soccorrere i Fratelli più
fragili.
Soffriva di non riuscire come avrebbe
voluto a praticare la virtù della tolleranza ma si sforzava di farlo convinto
che saper ascoltare il proprio Fratello lo avrebbe aiutato a guardare al futuro
con fiducia e con tanta voglia di fare e forse con la possibilità di
riuscire.
Sono felice, io che ormai mi avvio verso
i quattro decenni di militanza liberomuratoria nella ideale sequenza delle
logge Sardegna e Ciusa, e che ho portato sulle mie spalle la responsabilità
della conduzione pro tempore della familiarità muratoria nell’ambito
dell’officina che celebra, nella Comunione, il nome del più grande scultore
sardo del Novecento, di aver avuto oggi la fortuna di ricordare il
carissimo Fratello Maestro Eligio Orrù e di onorare, con la sua, la memoria dei
tanti Fratelli passati all’Oriente Eterno, ma anche di riflettere sulla
limitatezza e la precarietà dell’esistenza, che può essere bruscamente
interrotta da qualsiasi accidente e che perciò deve essere vissuta con
l’intensità che la consapevolezza della grandiosità del Grande Architetto
dell’Universo ci dona.
Grazie, ciao Eligio.
Per Natalrigo Galardi
A pochi giorni dal passaggio all’Oriente
Eterno della moglie (e Sor. del Capitolo Sandalyon dell’Order of the Eastern
Star) Lia Rapezzi, nel gennaio 2007 si congedava da noi, degente nella casa di
cura Città di Quartu, stremato dalla malattia, il Fr. Ghigo Galardi, senz’altro
una delle figure che, per l’attività svolta sia all’Oriente di Carbonia che in
quello di Cagliari e nel Rito di York, ed infine come perfetto Maestro di Casa
della nuova sede di piazza Indipendenza, s’è distinta fra le più notevoli degli
ultimi decenni.
Lo ricordiamo iniziato nella Giovanni
Mori nel 1968 e qui Venerabile dal 1974, e poi anche vice presidente del
Collegio, vicario del presidente Corona; lo ricordiamo tra i fondatori, nel
1980, della SOCREM, ci cui fu per lunghi anni anche l’amministratore; lo
ricordiamo fondatore, fra il 1985 ed il 1986, della loggia Giorgio Asproni, di
cui fu anche, e per un triennio, il primo Venerabile.
Maremmano di Massa Marittima, classe
1920, perito minerario della Carbosarda, visse stabilmente a Carbonia dal 1946,
anche se il suo primo incontro con l’Isola fu più remoto ancora, datando dal
1941. A Carbonia raggiunse il padre, anch’egli tecnico minerario. Dovette
lasciare qualche anno per combattere sul continente, dopo aver frequentato la
scuola allievi ufficiali di Fano, ed esser assegnato ad un presidio sul
Brennero. L’8 settembre 1943 fu fatto prigioniero dai tedeschi e deportato in
Polonia. Liberato a condizione di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, già
da subito collaborò invece con le formazioni partigiane (Brigata Osoppo).
Militante, fin dalla stagione
referendaria, del mazzinianesimo – secondo la tradizione della Toscana
tirrenica –, e più volte candidato, sempre per la bandiera, con i repubblicani
dell’Edera simbolo della Giovine Europa, condivise fra il suo partito e la sua
loggia sulcitana molte delle sue energie negli anni più creativi.
Nonostante il suo “caratteraccio”, egli
fu tra i più impegnati e generosi nel lenire le ferite prodottesi nello
spirito della Fratellanza locale per la gemmazione del 1971, così come fu fra i
più attivi – con Lia, Annalisa ed Estella – negli allestimenti rituali del
Capitolo Sandalyon, dal 1971 al 1976, e, dal 1972, nell’impianto sardo nel
Capitolo Ichnusa yorkese – minoritario ma vivacissimo nella Fratellanza
cagliaritana e sarda, dove erano gli scozzesi a dominare la scena.
Con il suo trasferimento a Cagliari,
all’indomani dell’entrata in quiescenza, si incardinò nella Sigismondo Arquer,
da cui venivano molti quadri del suo capitolo rituale. Le tensioni di varia
natura sviluppatesi poi all’interno di questa officina consigliarono una
riarticolazione delle forze in due distinte formazioni: ne derivò la loggia
Giorgio Asproni, che recuperò il titolo distintivo da un progetto mai attuato
in quel di Iglesias rimontante giusto a dieci anni prima e storicamente
presente però nelle intitolazioni delle Camere rituali scozzesi…
Anche con i suoi contatti
internazionali, con l’impegno continuativo nella promozione di iniziative
sociali e culturali, è indubbio che la Giorgio Asproni abbia costituito per
lunghi anni, per merito iniziale proprio del Fr. Galardi, una delle compagini
simboliche di maggior presenza sulla scena della Circoscrizione. Né molto di
quanto fu necessario mettere in atto per avviare l’operatività di palazzo
Sanjust avrebbe potuto essere cosa concreta senza la sua diretta, continua e
sacrificata partecipazione. Onore al merito!
Per Luciano Rodriguez
Nativo di Gonnesa, Luciano Rodriguez
veniva da una famiglia iglesiente che aveva maturato numerose presenze nella
Massoneria di impianto minerario di fine Ottocento-primissimo Novecento (tutti
alti dignitari scozzesi: Giuseppe Carta, Silvio Olla Nobilioni, Libero
Rodriguez, lo stesso suo padre Cesare, operativo a Bacu Abis prima di
trasferirsi in Toscana come direttore generale delle miniere di Valdarno).
Funzionario dell’INAM, venne iniziato
nella Nuova Cavour, salvo errore, nel 1960, all’indomani di quelle operazioni
che portarono prima alla regolarizzazione nel GOI della brancacciana loggia
Cavour, quindi all’assorbimento da parte di questa dei ranghi della
Risorgimento n. 354, della Mazzini e della XX Settembre – queste ultime
provenienti da altra Obbedienza –, infine all’abbattimento delle Colonne e alla
ricostituzione come Nuova Cavour n. 598 in gemellaggio con la Libertà n. 599
(in capo al Fr. Marchi, ma che poi rinunciò confluendo egli stesso, con i suoi,
nella Nuova Cavour).
Dopo cinque anni di militanza nella
Nuova Cavour aderì al progetto del Fr. Anichini di dar vita alla Giordano Bruno
(cui fu dato il numero 656), che ebbe però salute stentata e cadde dopo pochi
anni. Egli ne era stato l’Oratore.
Nel 1970 passò all’organico della
Sigismondo Arquer e qui presto divenne il Venerabile, riempiendo il vuoto
lasciato, nel giro di pochi mesi, dal passaggio all’Oriente eterno dei FF.
Francesco Bussalai e Anton Francesco Branca, che ne era stato l’Oratore.
In quanto Venerabile fu anche, nell’anno
massonico 1974-75, il presidente del Collegio e colui che dovette quindi curare
la pratica complessa (anche dal punto di vista finanziario) dell’acquisto della
nuova casa massonica di Cagliari, in via Zagabria: dopo 17 anni di permanenza a
palazzo Chapelle le cinque logge cagliaritane si trasferirono nel 1977 a
Genneruxi, per restarci un decennio abbondante.
Presiedette anche lo sfortunato Circolo
Le Arti che si volle allora impiantare come copertura profana alla Istituzione
nella nuova sede.
Negli anni del Venerabilato e della
presidenza fu fra i più attivi tanto nel sostegno all’esordiente Capitolo
Ichnusa n., 13 dell’Arco Reale di obbedienza americana – Rito di York, cui
aderirono Fratelli soprattutto della Sigismondo Arquer, della Risorgimento e
della carboniese Giovanni Mori – sia del Capitolo, anch’esso esordiente,
Sandalyon, dell’Ordine (pure di impianto americano) della Stella d’Oriente che
coinvolse molte familiari mogli, figlie, sorelle e anche madri di i Fratelli.
In campo profano, partecipò anche, in
quegli anni, al Comitato regionale per il teatro – di supporto alla Regione per
le politiche dello spettacolo – lavorando insieme con altri Fratelli fra cui
Francesco Bussalai, Rinaldo Botticini, lo stesso Fabio Maria Crivelli (al tempo
direttore de “L’Unione Sarda” e commediografo).
Insignito del collare della Giordano
Bruno – al tempo di rarissima concessione da parte del Gran Maestro Salvini –
per qualche tempo si ritrasse dalla prima linea, mettendosi comunque a
disposizione della sua Sigismondo Arquer e del Collegio circoscrizionale per
chiamate più o meno rapsodiche: fu ancora Oratore di loggia e giudice del
Collegio stesso.
Nel 1989 rientrò nella loggia d’origine,
la Nuova Cavour.
Ci ha lasciati nel 1997, all’età di 83
anni, dopo un ricovero al policlinico Lay. Era un gentiluomo di stampo antico,
formale e spontaneamente cordiale insieme. Meriterebbe fossero raccolti i suoi
interventi scritti, se reperibili. Nel libro-dvd “Liberi Muratori” se ne
trovano alcune tracce non irrilevanti.
Per Virgilio Lai
Classe 1926, egli era un ogliastrino di
Ulassai ma a Cagliari viveva da giovanissimo, studente a Lettere negli ultimi
anni della guerra. Figlio di insegnanti e nato intellettuale senza la minima
ombra di spocchia però, era invece minatore umile e disciplinato e
paziente di biblioteche ed archivi.
Virgilio Lai aveva portato la sua anima
e la sua educazione nella loggia Risorgimento, dove era stato iniziato alla
fine degli anni ’70, primissimi ’80, per passare poi alla Nuova Cavour. Aveva
trovato segni di Massoneria negli studi sulla Sardegna della rivolta
antifeudale, quella di Gio.Maria Angioy, e forse aveva maturato allora l’idea
di bussare alla porta del Tempio. C’era poi l’amicizia personale con il nostro
Vindice Gaetano Ribichesu, suo collega di giornalismo e sodale nei maggiori
riferimenti ideali, in quell’Italia e quella Sardegna che forse non ci sono
più, fra radical-socialismo ed autonomismo sardista ma di sentimento italiano,
e la cosa aveva contato moltissimo.
Era stato, giovane di 25 anni, il primo
addetto stampa del Consiglio regionale, scelto dal primo presidente
dell’Assemblea, l’avv. Anselmo Contu. Era stato, negli anni ’70, tra i
fondatori della editrice Edes, con Ribichesu e colleghi in maggioranza di
provenienza sassarese ed esperienze a “La Nuova Sardegna” ormai passata nelle
mani e nelle censure della SIR di Rovelli. Aveva curato vari libri di storia
isolana, tanto più – come accennato – della stagione giacobina, quella
post-Rivoluzione francese, quando anche si ipotizzò di diverse logge operanti a
Cagliari: “La rivoluzione sarda”, “Il giornale di Sardegna 1795-96”, i primi
titoli. Poi “La nostra storia per immagini”, un libro fotografico che racconta
la Sardegna più di molte pagine scritte.
Ebbe questa sensibilità particolare per
la fotografia come fonte storica, e pubblicò anche diverse cartelle di
immagini, anche della città di Cagliari, fra Ottocento e Novecento, utili per
tessere la storia sociale, tanto più quella legata al movimento operaio e poi
antifascista ed autonomista della Sardegna.
Ebbe l’intelligenza e la sapientia
cordis di non snobbare nessuno, uomini e cose, e anzi di coltivare grandi e
piccoli. Per questo, salvò materiali preziosi che sembravano perduti nel buio
degli archivi privati, e tutto mise a disposizione del pubblico, non soltanto
degli studiosi ma della cittadinanza, di chiunque mostrasse amore alla storia
condivisa. Perché Virgilio aveva della cultura una idea partecipativa,
profondamente democratica nel suo sentire umanistico.
Ebbe, in famiglia, sofferenze acute,
altre si aggiunsero negli anni, e furono di salute. Meriterebbe che la
Fratellanza di Cagliari, associandosi a quella in procinto di organizzarsi in
Ogliastra, lo ricordasse in quest’anno che sarebbe il 90° della sua nascita.
Per Enrico Ganga
Alla vigilia del ferragosto 2010 passava
all’Oriente Eterno il Fr. Enrico – Chicco – Ganga, figlio di massone, iniziato
lui nel dicembre 1985 fra le Colonne della Sardegna n. 981, loggia di cui
egli sarebbe divenuto perfino il Venerabile – e che Venerabile! – , dopo
aver ricoperto altri uffici e dignità, nel triennio 2005-2007.
E’ caduto giovane, 53enne, il Ven.
Chicco, dopo avere tanto tribolato, e combattuto. Dopo le cure qui e all’estero
affrontate con ammirevole coraggio, era sembrato aver superato il suo male, che
poi si è ripresentato uccidendolo.
Negli anni del suo Venerabilato egli
tracciò alcune Tavole, pubblicate nel libro-dvd “Liberi Muratori”, relative
alla morte: “Le ragioni della morte”, “Conosco l’acacia”. Ne consiglio la
lettura. Sono Tavole bellissime, profondissime, di cui è impossibile fare
sintesi. Propongo appena qualche rapido stralcio dalla prima delle due:
«L’uomo contemporaneo cerca in ogni modo
di allontanare da sé l’idea della precarietà della sua esistenza; nei secoli
passati non la occultava, ma anzi la rappresentava anche nel suo aspetto più
terrificante; nelle società contemporanee sembra quasi che la vita si difenda
dalla morte, rimuovendola… La stessa parola “morte” viene sostituita da
eufemismi e modi di dire…».
«Ogni individuo sente, in cuor suo, la
paura dell’evento, il timore di soffrire, lo struggimento nel lasciare i suoi
cari. Si trincera dietro la fiducia in una vita ultraterrena o la speranza che
sarà un evento tanto repentino da non permettergli di rendersene conto.
Predomina la rassegnazione verso un appuntamento che… è una caratteristica
ineluttabile della nostra esistenza».
«Per la mia professione conosco bene il
volto pietoso dello stato di morte corporale, le assurde pose, la fissa
rigidità del cadavere. Sono ben consapevole che ogni mia cellula abbia un
orologio biologico che, come una candela accesa, consuma il tempo di sua spettanza;
così come so bene di essere depositario di un meccanismo cellulare che
indirizza la singola cellula ad una morte programmata in base alla scelta di
uno specifico interruttore… Il corpo vive, e mentre vive si disintegra».
«… è in discussione il riconoscimento
del “diritto dell’individuo” di decidere il come e il quando della propria
morte, una volta che le sofferenze di una malattia senza speranza di guarigione
non gli consentano altro che il prolungamento di un’esistenza che egli non
giudica più degna di essere vissuta. Per molti, un atto dovuto quanto il
rispetto della libertà di ciascuno di disporre dei propri progetti e del
proprio futuro…».
«La letteratura medica cita più di uno
studio che raccoglie le così dette esperienze in prossimità della morte di
pazienti sopravvissuti ad arresto cardiaco. Emerge un quadro con elementi
piuttosto simili quali: sensazione di pace o di gioia; accelerazione del tempo;
visione di tunnel e di luce; inconsapevolezza del corpo o esperienze molto
coinvolgenti fuori dal corpo; visione di persone amichevoli attorno alla
propria salma; sensazione di entrare in un altro mondo, di incontrare un essere
mistico, di giungere ad un punto di non ritorno. Si tratta di esperienze che si
pongono nell’esiguo spazio fra la morte e l’incoscienza a forte rischio di
sfociare nella morte, ed è verosimile che mediante esse il cervello tenti di
dare senso ad un’esperienza insolita e sconvolgente: la mente infatti è
strutturata per attribuire un senso ad ogni evento, integrando memorie e sentimenti
con la prefigurazione delle conseguenze, in modo da indurre il comportamento
più favorevole per l’individuo».
«La nascita e la morte: sono i due
momenti che delimitano la vita terrena, così com’è limitato il cammino
apparente del sole tra i due solstizi. La nascita è fissata con precisione sia
nello spazio che nel tempo; la morte esce dal tempo e si dissolve nello spazio.
In prospettiva massonica si va non dalla nascita alla morte, ma dalla morte
alla nascita; con l’iniziazione prende un nuovo valore il concetto di morire e
rinascere».
«Il morire, dal punto di vista
iniziatico, ha valore di rinuncia: la rinuncia che ogni massone volontariamente
fa all’atto della sua iniziazione… La morte iniziatica è quindi svincolata
dall’incognita temporale…, e resta ben fissata nello spazio e nel tempo. Nel
concetto iniziatico, rinascere e morire coincidono: si muore e si rinasce
continuamente. Ad ogni gradino di ascesa c’è una morte ed ogni morte c’è una
rinascita all’interno della nostra coscienza… Si può immaginare il cammino
iniziatico di ogni massone come un insieme di tappe per conseguire
l’immortalità… La Vita può proseguire ad un’unica condizione: che coloro che
essa ha generato… cedano il posto ai nuovi esseri».
Per Salvatore Loi
Il nome di Salvatore Loi si lega
all’esperienza di tre logge: la Hiram di Cagliari, dove fu iniziato
nell’autunno 1975, la Risorgimento di Carbonia cui collaborò fin dall’inizio,
con presenze assidue, accolto e anzi invitato dal Ven. Bianchi, giusto al
rilancio di quella officina per l’intervento generoso di numerosi Fratelli
cagliaritani fra 1975 e 1976; la Concordia, cui egli con altri dette vita nel
1992.
Nel tempo naturalmente molti altri
incarichi ebbe il Fr. Loi nel servizio delle logge e della Circoscrizione. Lo
ricordiamo segretario del Collegio nel 1982 e per diversi anni, tesoriere
successivamente (dal 1987) – scrupoloso in entrambi gli uffici come forse pochi
altri avrebbero saputo essere –, giudice supplente dal 1990.
Nel 1992 con altri quindici Fratelli
della Hiram, fra cui piace ricordare adesso in special modo il Fr. Porcu,
gemmò, come detto, fondando la loggia Concordia. Le riunioni preparatorie
avvennero proprio nel suo ufficio e della loggia egli fu il primo,
apprezzatissimo, Maestro Venerabile: tenne la carica per un triennio (gli
sarebbe subentrato il Fr. Ajtano).
Cagliaritano di nascita,
professionalmente il Fr. Salvatore Loi era un insegnante: fu maestro ai corsi
di istruzione primaria nelle carceri circondariali di Buoncammino per molti
anni, associando questo impegno a quello di impiegato amministrativo della
Franz Mobili, in capo al Fr. Franz Bianchi per molti anni, più di trenta, nello
stabilimento di Quartu. Testimone delle trasformazioni di quel centro
dell’hinterland, da prevalentemente agricolo ancora negli anni ’50-60, divenuto
col tempo la terza città della Sardegna.
Fu, Salvatore Loi, uomo buono e
discreto, educato e gentile, capace di ascolto. Ci ha lasciato, all’età di 73
anni, e dopo un doloroso ricovero all’ospedale Binaghi, nel 2003.