L’ho già detto: né io né alcun mio parente o amico (che io sappia) è massone e nessuno mi ha mai proposto di agghindarmi e arredarmi con grembiuli e compassi. Per questo voglio di nuovo richiamare l’attenzione sul razzismo e gravità di un provvedimento giudiziario preso da una Commissione parlamentare d’Inchiesta – l’Antimafia presieduta da Rosy Bindi – che ha mandato di pomeriggio e fino all’alba gli uomini della Guardia di Finanza a rovistare, perquisire e sequestrare elenchi di associati al Grande Oriente d’Italia e ad altre due associazioni di “Free Masons”, liberi muratori, da cui l’italianizzazione in “Frammassoni”. Il razzismo sta nel fatto che gli elenchi degli affiliati presi in considerazione sono soltanto quelli di Calabria e Sicilia. Lo scopo dichiarato del sequestro degli elenchi e di ogni documento relativo sarebbe quello di “incrociare” i dati con quelli degli elenchi di veri o presunti mafiosi per vedere se e quanti uomini della malavita organizzata si sono serviti della copertura dell’iscrizione massonica per promuovere o coprire le loro attività. Abbiamo usato l’aggettivo “razzista” perché la selezione delle regioni interessate a questa iniziativa discrimina i cittadini calabresi e siciliani rispetto a tutti gli altri italiani, considerandoli figli di un dio minore, dunque degni di attenzione e controllo perché potenzialmente mafiosi. Sappiamo tutti, i magistrati per primi (ai quali va come sempre il nostro apprezzamento specialmente in Calabria) che i malavitosi organizzati abitano in Liguria – a Ventimiglia ce n`è una colonia e il comune Bordighera a un passo da Sanremo fu sciolto per mafia qualche anno fa in Lombardia, nel Veneto e a Roma dove, stando a una importante sentenza della Cassazione, la ‘Ndrangheta impera e possiede interi quartieri fra cui Prati, ai confini con il Vaticano. Non diciamo che se l’Antimafia avesse sequestrato tutti gli elenchi di ogni regione di tutte le logge massoniche, ci saremmo sentiti più allegri. Ma vedere costruire una gabbia per soli calabresi e siciliani, ci fa francamente orrore nel senso civile, legalitario, liberale e democratico del termine. Vale la pena ricordare che l’accanimento razzista contro i massoni fu un cavallo di battaglia del fascismo che assimilava massoni ed ebrei ad un’unica genia di nemici comuni e da estirpare. Le potenze democratiche che sconfissero il nazifascismo, Regno Unito e Stati Uniti d’America in particolare, erano e sono ricchissime di tradizioni massoniche, senza dover tirare in ballo George Washington, Abramo Lincoln ma anche i nostri Vittorio Emanuele, Giuseppe Garibaldi. L’espressione fascista “demo-pluto-giudiaico” applicata ai nemici della dittatura e agli amici della democrazia riecheggia nelle orecchie di chiunque abbia il senso e la nozione della storia.
La Bindi dirà che lei e i suoi colleghi volevano semplicemente fare una verifica incrociata per tirare fuori falsi massoni e veri criminali dalla verifica. Questo è il punto: una tale attività investigativa e limitativa delle altrui libertà non appartiene in alcun modo agli eletti dal popolo che non sono e non devono essere giudici né poliziotti. Per questo mestiere, infatti, esistono i giudici togati e i poliziotti in borghese e in uniforme. I giudici possono e devono farlo, se lo ritengono. E per farlo si servono della polizia giudiziaria che si chiama così proprio perché esecutrice di attività dei giudici. Io personalmente, come senatore della Repubblica e Presidente di una Commissione Bicamerale Parlamentare d’Inchiesta, ho guidato per quattro anni un parlamentino di quaranta fra senatori e deputati di ogni gruppo politico, evitando sempre di far uso di strumenti teoricamente previsti ma che mi avrebbero trasformato in un giudice con potere, persino, di arresto. Non l’ho fatto – e chiedo scusa se uso la mia persona come materiale di testimonianza – pur di fronte all’evidenza di reati, di menzogne, contraffazioni e depistaggi. E ho pagato carissima la mia prudenza e il mio rispetto per i cittadini rappresentati e rappresentanti. Ma ordinare una perquisizione è un’enormità indigeribile, perché per questo genere di azioni esistono i giudici togati: è il loro mestiere previsto dalla legge e secondo la legge. Forse la Bindi intendeva censurare l’ignavia dei magistrati agendo in proprio là dove i magistrati non avevano ritenuto di spingersi? Ci rendiamo invece del fattore politico, mediatico e giustizialista che spinge a queste azioni: suggerire senza prove che una associazione, persino una bocciofila, è definibile, per sua natura, infame e potenzialmente criminale. Sempre nella mia lunga vita di giornalista e di parlamentare mi sono occupato molto di servizi segreti e di spie. Posso dire che fra i funzionari dello Stato che si occupano di intelligence ci sono galantuomini e anche (almeno in passato) fior di mascalzoni, eroi e miserabili. Tuttavia, è passato ormai nel lessico dei giornalisti più giovani, l’odioso aggettivo “deviati” come corredo dovuto della parola “servizi”. È un’idiozia, prima ancora che un falso. Ora vedremo quali pesci salteranno fuori da una tale rete gettata nelle limacciose acque di Calabria e di Sicilia. Restiamo in fervida attesa. Ma siamo sicuri che la nostra Magistratura basta e avanza per combattere la criminalità e che la guerra alla malavita non passa attraverso la gogna di cittadini che hanno pieno diritto di riunirsi, come prevede la Costituzione, come dove e quando a loro pare e piace, secondo le norme e le leggi che governano il nostro Stato e che non prevedono roghi, non prevedono inquisizioni, né tratti di corda e auto da fè.
Paolo Guzzanti