da Giuditta’s files, la newsletter di Daniele Capezzone – numero 173, 25 gennaio 2017
Premessa doverosa: non sono massone. Anzi, forse è curiosamente significativo (direi: è meravigliosamente italiano, perché anche i massoni italiani sono italiani!) che uno dei pochi esponenti politici liberali e laici esistenti su piazza non sia mai stato invitato da esponenti della massoneria italiana (tranne una volta, mi pare nel lontano 2006 o 2007) a un solo convegno pubblico, a un dibattito aperto, a un venti settembre…
Ciò chiarito, trovo civilmente e culturalmente indecente la caccia alle streghe in atto in Italia contro la massoneria in quanto tale. Non sto qui a ricordare la grandezza degli ideali e dei principi massonici. Vi risparmio l’evocazione di una storia nobile, dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, o il ricordo del ruolo che la massoneria ebbe nella Rivoluzione americana o nell’Unità d’Italia. Se ci fossero scuole, sarebbero cose da studiare a scuola.
Mi limito invece a un punto giuridico, di libertà costituzionale, che pensavo fosse in Italia un’acquisizione banale e universalmente accettata. Essere massone non è reato. E la responsabilità penale è personale. E non si capisce perché – dalla Commissione parlamentare antimafia in giù – si avalli un approccio di segno opposto, tra richieste di elenchi (liste di proscrizione?) e un sistematico atteggiamento da presunzione di colpevolezza, da sospetto come anticamera della verità.
C’è qualche cittadino che ha commesso reati? Meglio: c’è qualche cittadino su cui gravano significativi indizi di reato? Si indaghi, si faccia un giusto processo, lo si assolva o lo si condanni. Vale per tutti i cittadini, massoni e non. Senza criminalizzare preventivamente e senza scagliare indiscriminatamente accuse e ombre.