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giovedì 13 aprile 2017

Francesco d'Assisi, massone ante litteram


di Piero Spinelli



Oggi, il “mondo liquido”, come lo ha definito Zygmunt Bauman, in cui tutto, a causa del consumismo e della globalizzazione, è precario, incerto, flessibile, turbolento, instabile, effimero e volatile ha abbandonato ogni valore etico e morale sviluppando una nuova idolatria: il dio denaro.
Con questa breve riflessione vogliamo celebrare i valori “solidi” ed immutabili dell’Amore fraterno, dell’Umiltà e della ricerca della Luce poiché questi concetti, predicati da Francesco d’Assisi circa 600 anni prima della nascita ufficiale della Massoneria moderna, ci appartengono e rappresentano il modello di vita del percorso iniziatico massonico.
Con il “Cantico delle creature” l’umile fraticello di Assisi, ringrazia il Creatore dell’Universo per tutte le cose viventi. Francesco decise, ad un certo punto della sua vita, di rinunciare al benessere, alla ricchezza, al potere, al dominio della spada ed alla propria posizione sociale, per dedicarsi totalmente alla Croce, simbolo di pace, amore e fratellanza. Egli abbandonò il suo status sociale per dedicarsi agli altri ed ai più alti ideali etici e morali; abbandonò i beni materiali in favore dello spirito; si fece rappresentante degli umili ai quali portò conforto e nei quali rafforzò la speranza che, pur nella sfortuna materiale, è possibile contare sulla «piena luce» del Creatore. La coraggiosa scelta dell’umile fraticello di Assisi fu esaltata anche dal sommo Poeta nel Canto XI° del Paradiso, che così inizia:

«O insensata cura de' mortali,
quanto son difettivi silogismi
quei che ti fanno in basso batter l'ali!»

Ciò a voler rimarcare che la vanità, le umane passioni e l’attaccamento alle cose materiali impediscono all’Uomo di alzare lo sguardo verso la Luce della spiritualità.
Il messaggio e l’operato di Francesco scossero le fondamenta stesse della Chiesa di Roma e quelle di un clero, all’epoca alla deriva, dedito al lusso ed avido di potere, i cui comportamenti erano ben lontani dai precetti di servizio e solidarietà. Si narra che una misteriosa voce gli disse: “Francesco, va, ripara la mia casa, che, come vedi, va tutta in rovina...” Il fraticello dapprima rimase atterrito poi, si impegnò totalmente a compiere l’incarico di riparare l’edificio esterno della sua chiesa: ma più avanti capì che l’obiettivo principale della “Voce” era la Chiesa di Roma come istituzione.
Il fascino che infonde una figura di tale levatura è innegabile! Francesco d’Assisi nella sua scelta fu, probabilmente, illuminato dall’intuizione che solo il calore di un’umanità spontanea e disinteressata può dar senso alla vita; quel tipo di calore che solamente la vista della “Luce” è capace di infondere e che, una volta sentito, è impossibile dimenticare. Il parallelismo esoterico è evidente: l’apprendista che vede per la prima volta la Luce ne avverte il calore, rinasce a nuova vita ed acquista la piena coscienza di sé; egli accende una fiammella da alimentare per tutta la vita, orienta la sua azione al miglioramento di se stesso ed al bene dell’Umana famiglia. Tutto il suo operato, fino al sublime grado di Maestro, sarà ispirato agli antichi principi della immutata tradizione iniziatica, ma non basta! Il percorso esoterico di perfezionamento che egli ha liberamente scelto, bussando alla porta del Tempio, non potrà prescindere da momenti di condivisione e di confronto in Loggia, luogo in cui il Massone trova l’atmosfera fraterna, la sacralità e la giusta dimensione spirituale che gli consentiranno di partecipare alacremente ai lavori rituali; questo gravoso impegno farà di lui un “eletto”, perché, com’è scritto nel messaggio evangelico, “molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti!». Matteo (22,1-14).
Il lavoro in Loggia, individuale, ma collettivo ad un tempo, permette al Massone di imparare ad ascoltare ed apprendere l’arte muratoria, in un’eggregore che lo vede protagonista, insieme ai suoi Fratelli, di una perseverante ed incessante opera di perfezionamento interiore che lo renderà pietra squadrata adatta ad inserirsi, in armonia con le altre, nella ricostruzione del Tempio.
Ecco, dunque, che il rispetto dei principi massonici di libertà, uguaglianza, fratellanza e tolleranza e l’unità e l’armonia fra il corpo e l’anima, tra il visibile e l’invisibile, fra la materia e lo spirito, attraverso il dialogo e la riconciliazione con “tutte le creature” preconizzato da San Francesco, si ricongiungono in un percorso unico, la cui essenza è costituita dall’Amore fraterno, che rappresenta il quinto elemento che si unisce ai quattro tradizionali: terra, acqua, aria e fuoco.
L’Amore, appunto, l’unica risorsa contro le ingiustizie, i soprusi, le perversioni e l’egoismo umano, “l’amor che muove il sole e l’altre stelle” è la forza degli umili ed i suoi cardini sono la tolleranza ed il perdono. L’Amore è il progetto di vita, istituzionale e profano, del massone affinché il suo comportamento sia utile ed al contempo di esempio alla società in cui vive ed opera da Uomo libero e di buoni costumi.
Il cerchio si chiude: gli ideali francescani e quelli massonici identificano una via comune da seguire. Il centro dell’azione è finalizzato al perfezionamento interiore ed al bene dell’Umanità; non scomuniche, dunque, ma un percorso comune, umile e penitente, al servizio dell’Uomo, alla luce degli immutabili ed universali principi di Fratellanza, Uguaglianza, Libertà e Tolleranza.
Come tutti i grandi sogni anche quello di Francesco d’Assisi rappresenta un messaggio di amore ed armonia con il creato, compiutamente espresso nel “Cantico delle Creature”. Il grande sogno di un massone è egualmente un messaggio di armonia con l’umanità e col creato, anche lui anela alla Luce ed alla perfezione; il suo impegno è continuo: “vigilare e perseverare”, come è scritto nel gabinetto di riflessione, senza mai abbassare la guardia nei confronti delle perversità del mondo profano che stenta a riconoscere alla Massoneria la sua poesia e la sua fatica e che non riesce a comprendere che essa rappresenta il sogno di un mondo migliore!
La definizione “massone ante litteram” qui attribuita a S. Francesco d’Assisi viene anche suffragata dalla sua vocazione fulminea. Si dice che quando egli fu chiamato in sogno a riedificare “la Casa che minacciava rovina” intraprese la sua Grande Opera indossando un semplice saio di tela grezza che volle confezionare ispirandosi alla forma della croce, ai fianchi un cordone con tre nodi ed ai piedi dei semplici sandali. Pare che il suo “unico bagaglio” fosse una sacca contenente gli strumenti del muratore: la squadra, il compasso, la cazzuola, il filo a piombo, il mazzuolo, la riga e lo scalpello, che simboleggiano l’onestà del pensiero, l'amore fraterno, la rettitudine di giudizio, il lavoro infaticabile e la sottomissione delle proprie imperfezioni interiori all’operosità dello spirito, unici strumenti che ci guidano nel cammino verso la perfezione e la Luce.
Ed è qui doveroso un riferimento a Papa Francesco; il Papa venuto “dalla fine del mondo”, il Papa dei poveri, degli emarginati, dei diseredati, dei dimenticati, il quale seguendo l’insegnamento di Francesco d’Assisi, ha dato inizio ad un cambiamento epocale della Chiesa di Roma che egli vorrebbe non più arroccata a difendere i propri privilegi, ma vicina agli ultimi, aperta a spiragli di dialogo con tutti gli uomini di buona volontà e con la massoneria, cosa che fa ben sperare in un confronto aperto e costruttivo per il miglioramento della società contemporanea.
Su questa apertura «C’è da essere ottimisti, molto ottimisti! – come ebbe a dire l’ex Gran Maestro Gustavo Raffi nella sua ultima allocuzione alla Gran Loggia del 06 Marzo 2014 – ottimisti perché il futuro dell’Uomo è costruito dalle mani dell’Uomo. L’edificio del nostro futuro sarà quello che noi Muratori avremo costruito nella nostra libertà pietra su pietra» ed a ciò vorrei personalmente aggiungere: confortati dalla nostra Umiltà e dall’Amore fraterno. Per poter proseguire nella nostra riflessione sulla figura di Francesco d’Assisi è necessario ricordare che l’avventura templare nasce con la prima crociata. Al grido Deus Vult (Dio lo vuole), i crociati si radunarono sotto le mura di Gerusalemme, e il 15 luglio 1099 e la conquistarono dopo una sanguinosa battaglia. Si realizzò così il sogno di Urbano II, artefice del "progetto crociato". È nel 1119 che, nove cavalieri, sotto la guida di Ugo di Payne, fondarono un nuovo ordine monastico-militare, l'Ordine dei “Poveri Cavalieri di Cristo”, con sede in Gerusalemme, nella spianata ove sorgeva il Tempio ebraico di re Salomone, con lo scopo di vigilare sulle strade percorse dai pellegrini cristiani. L’ordine venne formalizzato dalla Regola di S. Bernardo da Chiaravalle che fondò la “Militia Templi”; un'ideale di tipo iniziatico ispirato alle grandi tradizioni, orientale e occidentale, nella ricerca delle comuni origini della storia umana; l'Ordine ottenne l'approvazione di papa Onorio II° nel concilio di Troyes del 1128.
«on è casuale che i “tre nodi” del cordone rivelino l'origine militare dell’ordine francescano: povertà, obbedienza e castità; essi rappresentano anche i tre voti della regola templare concepita da San Bernardo: la Preghiera comune, la Preghiera personale ed il Lavoro.
Nel 1219, Francesco d’Assisi partì per l'Oriente, insieme al suo fedele frate Elia, unendosi agli eserciti della V° Crociata; ebbe, così, modo di incontrare i Cavalieri del Tempio ed esprimere il suo pensiero a proposito dell'opera di assistenza spirituale e materiale prestata dai Templari ai Crociati ed ai pellegrini alla ricerca dei Luoghi Santi.
Alla mente di Francesco non rimasero indifferenti i principi Templari della prudenza e della saggezza, del Mentore che ammaestra, della divina scintilla della Conoscenza, della Ricerca applicata all'opera quotidiana. Egli ammirò la severità dei costumi di questo Ordine, militare e monastico ad un tempo, disponibile a soccorrere i più deboli nell'avventura umana dell’intramontabile Ulisse (“fatti non foste a viver come bruti...”), fino all’impegno della ricostruzione del Tempio, in una dimensione trismegistica tra materiale e spirituale, tra il terreno e il divino, nell’identità tra l'alto e il basso che costituiscono l'imperturbabile armonia dell'Universo nel suo divenire; ciò consentì che gli interessi umanitari dei diversi Ordini Cavallereschi andassero, nel tempo, a coincidere con gli obiettivi dell’Ordine dei Frati Minori di S. Francesco divenuto, proprio come questi, soggetto attivo in Medio Oriente.
«Correva, dunque, l’anno 1219 quando Francesco d’Assisi, insieme ai suoi monaci, si unì al viaggio dei Templari tra S. Giovanni d’Acri e Damietta, dove l’esercito crociato cingeva d’assedio quella città ed il sultano d’Egitto Al-Kamil, da circa due anni. La carovana era guidata e difesa da dieci cavalieri Templari che indossavano cotte di ferro e bianchi mantelli, contrassegnati dalla grande croce palmata di colore rosso. Anch’essi avevano fatto voto di obbedienza, povertà e di castità; in gran parte erano francesi partiti per recarsi in Terrasanta per difendere i pellegrini, sulle pericolose strade di “Outre Mèr” (oggi “Medio Oriente”).
Si racconta che, durante le soste nel deserto, Francesco avesse fraternizzato con uno dei cavalieri, tale Gerard de Rocamadour ed un suo compagno, Charles de Touteville; a loro aveva raccontato di come anch’egli si fosse armato da cavaliere molti anni prima, nel 1204, per recarsi ad Ancona al seguito di un principe di Francia per imbarcarsi e raggiungere i Crociati partiti verso Gerusalemme, ma, giunto a Spoleto, era stato fermato da una terribile febbre e che, in tale circostanza Gesù, apparsogli in sogno, gli ordinò di lasciare la crociata, perché altri compiti lo attendevano ad Assisi.
Si narra che una notte, nel deserto, davanti al fuoco, mentre Gerard espletava il suo turno di guardia e tutti dormivano, Francesco si avvicinò al Templare e vedendolo assorto in preghiera gli disse: «Fratello come non puoi sentire sulla tua coscienza il peso per tutte queste morti. È vero che combatti per una causa giusta, che sei al servizio del Cristo e del Papa, ma hai tolto la vita a centinaia di uomini, a tanti giovani come te». Gerard volse lo sguardo verso quel piccolo frate magro, emaciato e stremato dalla fatica, e sentì l’energia divina che emanavano i suoi occhi ed in uno slancio di commozione lo abbracciò teneramente. “François”, gli disse in francese “ti rivelerò un segreto del nostro Ordine: prima di andare in battaglia, noi Templari ci inginocchiamo e preghiamo”. Detto ciò l’imponente Templare si inchinò davanti a lui, col ginocchio destro per terra, le mani appoggiate sull’elsa della spada, piantata in terra come fosse una croce. Francesco, compresa la forza d’animo e la tranquillità di Gerard, posò anch’egli la fronte sull’elsa di quella spada e poi, giunte le mani gli disse: “Anche noi siamo cavalieri, tutti i miei frati per me sono “cavalieri della tavola rotonda”, così amo chiamarli. Ed anche noi abbiamo la spada: il cordone che pende dalla nostra cinta, quello è la nostra spada. Una spada d’amore, che vogliamo far conoscere in ogni luogo, anche qui, dove voi combattete e da anni vi uccidete con i musulmani».
«Anche noi vogliamo la pace, ma prima ci devono lasciare tornare a Gerusalemme» rispose Gerard, guardando Francesco negli occhi, «per questo combattiamo».
E Francesco: «Deve esserci un modo per evitare le morti di tanti giovani. Ne parlerò con i capi cristiani e andrò anche dal Sultano Al Kamil, per convincerlo».  Seppur sconsigliato da Gerad, Francesco non desistette e la sua fu una vera e propria missione di Pace, egli si recò dal sultano insieme al suo fedele frate Elia!
Pare che il Sultano Al Kamil fosse un “Maestro Sufi”1, dalla mente aperta, abile politico, attento ai problemi dello spirito, ma soprattutto "massone d’oriente iniziato all’arte regia”; Francesco ed Elia, ammantati solo di stracci, furono ammessi alla sua corte ed egli, ammirato del loro coraggio, li ospitò presso di sé alcuni giorni e volle ascoltare ciò che avevano da dire; il sultano apprezzò la forza d’animo e la ferrea volontà di quegli infedeli e si commosse quando Francesco, insultato ed offeso dai suoi dignitari, che gli magnificavano le meraviglie del Paradiso del Profeta – dove scorrono fiumi di ambrosia e miele e dove bellissime giovani tornavano ad esser vergini ogni volta, dopo aver fatto l’amore – si sentì rispondere: «Ma tutto questo cosa conta se non c’è l’amore, il perfetto amore di Gesù, che ci ha insegnato ad amare anche i nostri nemici?».
Purtroppo l’opera di S. Francesco fu vana! Il cardinale Pelagio, legato pontificio, chiuso nel suo ostinato rifiuto a qualsiasi compromesso con i musulmani, costrinse i comandanti Crociati ad una nuova e terribile offensiva, nonostante l’offerta del Sultano di consegnare Gerusalemme, Nazareth e le reliquie della vera croce ai Crociati. La battaglia di Damietta si concluse il 5 novembre del 1219 con la presa della città, che fu saccheggiata e gli abitanti massacrati.”i
Predicata invano in Oriente la fede di Cristo e degli apostoli e dei martiri, Francesco si ritirò nelle solitudini rupestri della Verna (nei pressi di Chiusi), dove ricevette le stimmate. Morì alla Porziuncola di Assisi, come scrive il sommo Poeta: “nudo sulla nuda terra.” L’audacità del progetto francescano, politico e religioso ad un tempo, ci consente di considerare S. Francesco e frate Elia, suo mentore e maestro spirituale, “massoni ante litteram” poiché, ambedue armati della sola Fede, si impegnarono a portare nel mondo musulmano “la parola sacra di un Dio universale”.
Il loro messaggio ebbe il suo effetto sul Califfo Al Malik, il che permise all’imperatore Federico II° di raggiungere Gerusalemme alla guida dei crociati e sottoscrivere accordi di pace, consentendo che questa crociata, la sesta, fosse l'unica combattuta pacificamente con gli strumenti della politica portando, nel febbraio del 1229, ad un trattato decennale di pace che restituì Gerusalemme e gli altri Luoghi Santi ai Crociati.
A proposito degli ideali francescani la nostra riflessione non può escludere un sia pur breve riferimento a Celestino V°, al secolo Pietro Angelerio del Morrone, eletto Papa della Chiesa di Roma nel 1294 che accettò di assumere l'incarico più prestigioso della cristianità con lo scopo di portare a termine il compito che si erano prefissi San Francesco e Frate Elia e le sue scelte furono condivise dall'Ordine del Tempio da cui ebbe tutto il sostegno necessario per la costruzione della Basilica di Collemaggio da lui fortemente voluta.
Egli diede inizio ad una appassionata attività che apparve insensata a chi non conosceva la logica delle sue scelte: abbattere la Chiesa materiale, impura e corrotta, per consentire alla Chiesa Spirituale di prenderne il posto. Per raggiungere questo obiettivo Celestino V° concesse il “Perdono gratuito” a chi si fosse recato, “nei secoli e fino alla fine dei tempi”, nella Basilica di Collemaggio, riconciliato con se stesso e con il prossimo.
La “Perdonanza” con cui Celestino V° si ricollega al Perdono predicato dal fraticello di Assisi, costituisce la precisa indicazione dello strumento per colmare gli abissi interiori e tra gli esseri umani, consentendo a se stessi ed agli altri una nuova opportunità, liberandosi dal fardello della colpa ed imparando la lezione dell’Amore, motore della vita umana. Fu, forse, questo che consentì di comprendere che l’umile monachello, considerato “un santo” dalla sua comunità abbruzzese, era un essere eccezionale, forse proprio l'uomo tanto atteso: il “Papa Angelico”, profetizzato dal monaco calabrese Gioacchino da Fiore. La storia ci insegna che probabilmente i tempi non erano ancora maturi per “l’età dello Spirito” che Celestino V° preconizzava; questa, evidentemente, doveva essere prima preparata, per permettere ad una umanità futura di realizzarla e fu forse questo fallimento che lo indusse a rinunciare al suo mandato papale.
Ma Celestino V°, santo come Francesco d’Assisi, è stato giustamente riabilitato: «Pietro del Morrone (Celestino V°), come Francesco d'Assisi” - scrive Papa Francesco- “conoscevano bene la società del loro tempo, con le sue grandi povertà. Erano molto vicini alla gente, al popolo. Avevano la stessa compassione di Gesù verso tante persone affaticate e oppresse; ma non si limitavano a dispensare buoni consigli o pietose consolazioni. Loro per primi hanno fatto una scelta di vita controcorrente, hanno scelto di affidarsi alla Provvidenza del Padre, non solo come ascesi personale, ma come testimonianza profetica di una paternità e di una fraternità, che sono il messaggio del Vangelo di Gesù Cristo».


Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam 



1 Nell’Islam, i saggi, i “sufi” (“suf” in arabo significa cappuccio) portavano abitualmente un rosso abito con un cappuccio)

Riferimenti bibliografici: Knighttemplar; York Magazine; Secreta Magazine; G.M. Bragadin "San Francesco - Le verità nascoste".